Il più ambizioso è il progetto di Oygarden, in Norvegia: fino a 5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno saranno infilate in un pozzo profondo 2.500 metri, vicino a Bergen e lì rinchiusi, nel profondo del mare, si spera per sempre. Lo Stato norvegese ha promesso 1,6 miliardi alle società Equinor, Shell, Total e a un’industria di cemento, che costruiranno il mega sito di stoccaggio del carbonio (Ccs).
Un po’ più a sud, in Germania, sulla foce dell’Elba, ci sarà un terminal di gas liquido. Porterà gas liquefatto e raffreddato dagli Stati Uniti o dal Qatar. Un sogno per il responsabile del distretto: “La Germania si renderà neutrale dal punto di vista climatico, il gas naturale è più pulito del petrolio”. Meno contenti sono gli abitanti del posto che vedranno presto costruire un carro armato alto come un grattacielo per accogliere le petroliere del gas liquido.
Poi ci sono i tubi del North-Stream 2 tra la Russia e la Germania; i gasdotti in costruzione in Romania per portare gas fossile dal Mar Nero e ridurre la dipendenza dalla Russia; il nuovo mega progetto East-Med, 1.870 km di tubi da Israele verso la Grecia e l’Europa, per i quali è quasi scoppiata una guerra quest’estate tra Grecia e Turchia. E naturalmente il Tap, ormai quasi finito, 3.500 km di tubi per portare 10 miliardi di metri cubi di gas dall’Azerbaijan in Europa (dalla Russia ne importiamo nell’Ue 200 miliardi all’anno).
Secondo i dati del Global Energy Monitor e dell’associazione industriale “Gas Infrastructure Europe”, che Investigate-Europe ha potuto elaborare, stiamo per spendere 104 miliardi di euro in nuovi progetti di gas fossile, per costruire 12.842 km di nuovi tubi, un aumento del 54% di impianti di gas liquido e del 22% di centrali a gas fossile classiche, con una spesa di 29 miliardi di euro. Ma perché tutto questo spreco di denaro pubblico per un’energia fossile, che libera nell’atmosfera il metano, 86 volte più nocivo del CO2? E poi, perché costruire nuovi impianti se, come ci dice Eurostat, l’Europa consuma solo la metà del gas che potrebbe già importare e addirittura il 20% del gas liquido a disposizione? Persino la Commissione europea, dal 2018 scrive che il consumo di gas naturale diminuirà del 21% entro il 2030 e addirittura del 85% nel 2050.
Che senso ha investire in nuovi impianti che hanno una durata di vita di almeno 20-25 anni, quando gli scienziati del clima ci dicono che dobbiamo smettere di estrarre energie fossili per evitare di riscaldare il pianeta di oltre 1,5 gradi? Mentre i nostri governi continuano a parlare di emergenza climatica, il gas viene presentato come l’energia del futuro che ci porterà verso un’economia a zero emissioni. La Commissione nel suo Green Deal ha scritto “abbiamo bisogno del gas” e il “gas può essere decarbonizzato”.
Lo scorso 12 febbraio l’Europarlamento ha approvato la nuova lista di Progetti di interesse comune (Pci) in mezzo alle polemiche. Tra i 149 progetti prioritari scelti per ricevere finanziamenti europei, ce n’erano ben 32 di gas naturale. Uno scandalo per le Ong del clima. Inevitabile per la Commissione europea che per due anni aveva negoziato quel pacchetto con gli Stati membri: se cadevano alcuni progetti, si ricominicava da zero. La commissaria all’Energia Kadri Simson promise allora agli eurodeputati che “la prossima lista non avrà progetti di gas naturale”.
Ora però il vice capo della Dg Energia, Klaus-Dieter Borchardt, ammette, in un’intervista a Investigate-Europe, che non sarà così: saranno forse costretti a inserire nuovi progetti di gas nella lista prevista per il 2021, perché “abbiamo degli impegni legali con le compagnie”. Borchardt spiega come la “Commissione europea sia nelle mani degli operatori del gas che decidono quali progetti finanziare”.
Quando nel 2009 si volle creare un mercato unico dell’energia per renderlo col tempo indipendente dalla Russia, i governi si affidarono alle grandi società dei gasdotti – l’italiana Snam, la spagnola Enagas, la francese Grtgas, la tedesca Thyssengas, l’olandese Gasunie – che posseggono tutti i dati sensibili sulla salute dei “tubi” e sulla sicurezza della fornitura. Venne creata EntsoG, una lobby presente a Bruxelles in un elegante palazzo del quartiere europeo, regolarmente iscritta nel registro delle lobby, il cui compito è, secondo il regolamento TEN-E, fornire scenari sulla domanda di gas in Europa e, in base a questi, proporre una lista di nuove infrastrutture.
Così da dieci anni va avanti a Bruxelles un conflitto d’interessi sancito per legge. Global Witness ha pubblicato in giugno un rapporto su EntsoG, calcolando che i suoi membri hanno ricevuto dal 2013 al 2019, il 75% dei fondi per gas naturale, circa 4 miliardi di euro. Spesso per progetti inutili. Lo ha ammesso lo stesso Borchardt: “East-Med per esempio è sovradimensionato. Posso capire che ci sia molto gas nel Mediterraneo, ma avrebbe più senso utilizzare gli impianti regionali di gas liquido, piuttosto che portare il gas naturale in un lungo gasdotto da Israele verso la Grecia”.
Anche Midcat, voluto da Francia e Spagna, si è rivelato un progetto inutile: doveva trasportare gas fossile dall’Africa in Francia, è rimasto nelle liste PCI per 6 anni, ricevendo 1,3 miliardi di fondi Ue, prima di venir ritirato l’anno scorso. I regolatori dei due Paesi hanno scritto: “MidCat non contribuisce in alcun modo alla sicurezza dell’approvvigionamento in Francia, i gasdotti esistenti tra Francia e Spagna non sono sovraccarichi”. Oggi restano 80 chilometri di tubi a un’ora di auto da Barcellona, abbandonati nella natura.
Frida Kieninger, di Food & Water Europe, partecipa da anni come osservatrice alle riunioni per i progetti prioritari del gas. La sua analisi è inquietante: “Il processo per arrivare a nuovi progetti è opaco, i governi e le parti interessate s’incontrano in ‘gruppi regionali’ coi promotori dei progetti, spesso seduti accanto ai rappresentanti del ministero. In alcuni incontri sembrava che un paese fosse rappresentato solo da una società del gas. Non ci sono verbali, non ci sono liste di partecipanti. Ed EntsoG si siede sempre sul podio accanto alla Commissione, rispondendo alla maggior parte delle domande e accompagnando tutte le fasi del processo”.
Ma non è tutto. EntsoG, forte del suo monopolio sui dati, negli ultimi dieci anni ha sempre previsto una domanda di gas molto superiore alla realtà del mercato. Così è anche per l’ultimo scenario, fino al 2050. Gli operatori del gas prevedono una diminuzione della domanda massimo del 41% nei prossimi trent’anni (contro l’85% della Commissione). E soprattutto promettono che quasi tutto il gas fossile diventerà verde, le emissioni nocive verranno catturate sotto terra, con il CCS, per produrre idrogeno, ma non forniscono dettagli su dove sarà “pulito” il gas (in Russia, in Azerbaijan?), quali sono i costi per queste operazioni e quanta la perdita di metano nell’atmosfera. Ci ha detto il dg di EntsoG, Jan Ingwersen: “I gasodotti ci saranno, e non è un costo marginale. Quindi, meglio usarli. Per il periodo di transizione, nei nostri scenari, troverete molti progetti di transizione con l’idrogeno”.
L’idrogeno è il nuovo obiettivo della lobby del gas a Bruxelles e la Commissione sta cadendo nella trappola. Consigliata dalla lobby industriale Hydrogen Europe, a cui l’esecutivo Ue ha chiesto di scrivere un draft della strategia per l’idrogeno, a luglio è stata inaugurata la “Clean Hydrogen Alliance”, una piattaforma di industrie che dovrà suggerire alla Ue quali infrastrutture costruire nei prossimi anni. La segreteria la assicura Hydrogen Europe e tra i membri ci sono solo industrie dell’oil&gas, nessuna Ong (eccetto la norvegese Bellona, favorevole al Ccs) e nessuna compagnia di energia rinnovabile, quando l’idrogeno verde dovrebbe venire solo dal surplus delle rinnovabili. L’idrogeno è il nuovo eldorado della lobby del gas: l’obiettivo è attingere ai soldi del Recovery Fund.
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