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giovedì 17 febbraio 2022

Referendum, responsabilità diretta dei giudici e cannabis: affondati altri 2 quesiti. - Antonella Mascali

 

VIA AL VOTO - La Corte costituzionale ha finito l’esame: in tutto ha detto sì a cinque richieste sulla Giustizia. Tre i bocciati. Il presidente Amato ha spiegato la formulazione errata su eutanasia e droghe: sono stati scritti male.

Quando si dice è una beffa del destino. A trent’anni esatti da Mani Pulite, a presiedere la Corte costituzionale che ha dato il via libera ai referendum sulla Giustizia, a eccezione di quello sulla responsabilità civile diretta del magistrato, è Giuliano Amato, tra i protagonisti politici della Prima Repubblica al fianco di Bettino Craxi.

Aspirante senatore a vita, Amato forse ancora pensa di essere presidente del Consiglio, dato che ieri ha indetto una conferenza stampa in cui non si tiene neppure alcune critiche ricevute dalla Corte per l’inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente (decisa martedì). “Sentire che non sappiamo cosa significhi soffrire mi ha ferito, ha ferito tutti noi. L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia”. Quanto all’inammissibilità del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati che, ci risulta, lui, invece, avrebbe voluto, spiega: “Essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, diversamente da altri funzionari pubblici, l’introduzione della responsabilità diretta rende il referendum più che abrogativo”.

È lo Stato, aggiungiamo noi, che risarcisce il cittadino che abbia subito un ingiusto danno, per poi rivalersi sul magistrato. Ovvio la ratio della legge: se ci fosse la responsabilità diretta, ogni indagato-imputato, potente, potrebbe intimidire così il magistrato.

Dunque, ieri, la Corte ha dato il via libera ai referendum che chiedono la separazione delle carriere dei magistrati; l’abolizione della legge Severino; lo svuotamento della carcerazione preventiva; la valutazione professionale dei magistrati da parte degli avvocati presenti nei consigli giudiziari; la possibilità per i magistrati di candidarsi al Csm anche senza una raccolta di firme. La Corte con un comunicato spiega il via libera: “Le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario”. Sarà, ma se si va a leggere il quesito che chiede la separazione delle carriere, viene il mal di testa, tante sono le leggi cui fanno riferimento i promotori, altro che quesito chiaro, lineare per gli elettori. Inoltre, come la Corte sa, c’è già la riforma Bonafede, sul punto non modificata dalla ministra Marta Cartabia, che propone di diminuire i possibili passaggi da pm a giudice e viceversa, da 4 a 2, ma non di separare le carriere, di fatto, come vorrebbe, invece, Forza Italia. Se vince il sì non sarà permesso alcun cambio di funzione con buona pace del principio costituzionale dell’unicità dell’ordinamento giudiziario e con un possibile destino per il pm di essere dipendente dal governo.

Via libera anche al referendum che chiede l’abolizione della legge Severino, che vieta l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dei parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna definitiva per reati gravi come mafia, terrorismo e corruzione. Se vince il sì, viene abolito anche l’articolo 11 della stessa legge sulla sospensione per 18 mesi degli amministratori e rappresentanti locali condannati in primo grado per determinati reati. E pensare che la Severino ha retto a tutti i vagli della Consulta.

C’è poi il referendum che si potrebbe ribattezzare “liberi tutti”: si chiede la cancellazione della possibilità di arresto per un reato a “caso”, il finanziamento illecito ai partiti, ma anche per altri reati che prevedono la reclusione “non inferiore nel massimo a cinque anni”, a meno che non ricorra il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove. Sparisce quindi il pericolo di reiterazione del reato. “C’è da rimettersi solo alla saggezza dei cittadini”, osserva Nello Rossi, ex avvocato generale della Cassazione, “sperando che, se voteranno sì all’abrogazione, non imprechino poi contro giudici e pm se i truffatori seriali, gli hacker e i bancarottieri resteranno liberi e in azione sino alle condanne definitive”. Infine, dichiarato inammissibile il referendum sulle droghe perché, ha spiegato Amato “non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze con papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/17/referendum-responsabilita-diretta-dei-giudici-e-cannabis-affondati-altri-2-quesiti/6496818/

sabato 22 gennaio 2022

L’Uomo Poltrona. - Marco Travaglio

 

Il 23 aprile 1993, dopo la bocciatura del suo decreto Salvaladri che ha scatenato il putiferio alla Camera, fra leghisti che sventolano cappi e missini che mostrano guanti bianchi, spugne e manette, Giuliano Amato si dimette da presidente del Consiglio (sostituito da Ciampi) e abbandona la politica: “Per cambiare, dobbiamo trovare nuovi politici. Per questo confermo che ho deciso di lasciare la politica, dopo questa esperienza da primo ministro. Solo i mandarini vogliono restare sempre e io sono in Parlamento ormai da dieci anni”. Sarà il ritiro più breve della storia.

Tiritiritu? Nel 1994 Berlusconi va al governo e, grato per i decreti pro Fininvest, il 9 novembre nomina Amato presidente dell’Antitrust: chi meglio del santificatore del suo trust? Infatti in tre anni il Dottor Sottile non si accorge della più spaventosa posizione dominante mai vista sui mercati televisivo, editoriale e pubblicitario. In compenso spezza le reni a un trust ben più grave per il libero mercato: le scatole di fiammiferi che, a differenza degli accendini, possono ospitare pubblicità. Uno scandalo: fremente di sdegno, Amato scrive una letteraccia ai presidenti delle Camere, al premier Prodi e al ministro Bersani perché provvedano immantinente: “Fiammiferi e accendini sono prodotti che assolvono alla stessa funzione d’uso e l’esistenza di due distinte discipline normative determina una disparità ingiustificata di trattamento a favore delle imprese attive nella produzione e commercializzazione di fiammiferi”. Ecco perché non vede la trave Fininvest: ha sempre una pagliuzza, anzi un fiammifero nell’occhio.

L’amico Squillante. Nel 1996 Berlusconi gli offre un collegio sicuro in FI e lui, prima di declinare, ne discute con l’amico giudice Renato Squillante, capo dei Gip romani di stretta osservanza socialista e poi berlusconiana, senza sapere che sta per essere arrestato per corruzione. Così il suo nome salta fuori dalle intercettazioni e tabulati dell’inchiesta “toghe sporche”. Nel 1997, in piena Bicamerale, D’Alema lo vuole con sé nel progetto “Cosa 2” per seppellire l’Ulivo prodiano. Ma basta un fax da Hammamet per fermarlo sull’uscio. “Amato – scrive Craxi il 7 febbraio – tutto può fare salvo che ergersi a giudice delle presunte malefatte del Psi, di cui egli, al pari degli altri dirigenti, porta per intero la sua parte di responsabilità… Ma guardacaso, forte delle sue amicizie e altolocate protezioni, a lui non è toccato nulla di nulla. Buon per lui…”. Lo definisce “becchino del Psi”, “voltagabbana”, “una cosa vomitevole come tutti i craxiani diventati anticraxiani”, “un opportunista che strisciava ai miei piedi e ora striscia a quelli degli altri per salvarsi la pelle”.

Erano pronti perfino ad andare ad Arcore pur di fare quel tanto agognato vertice che lui, il candidato in pectore, voleva rimandare per prendere ancora tempo. Così alla fine Silvio Berlusconi si è dovuto arrendere alla pressione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Lo hanno chiamato e lui non ha potuto tirarsi indietro. Dunque il vertice del centrodestra si farà oggi pomeriggio a Roma e sarà decisivo: Berlusconi, anche se in collegamento da villa San Martino, scioglierà la riserva. In un senso o nell’altro. E a quel punto si sbloccherà lo stallo. Sarà lui a prendere per primo la parola e a decidere il da farsi: se da Arcore si racconta che Berlusconi è ancora “determinato” e potrebbe convincere gli alleati che ce la può fare, alla fine il leader azzurro sarebbe pronto al ritiro.

Tant’è che per la prima volta Berlusconi aprirà a una rosa di nomi alternativi. Tutti “piani b” ma su cui discutere con Meloni e Salvini. D’altronde il leader della Lega, smanioso di fare il kingmaker, come gli ha consigliato il suocero Denis Verdini, ieri pomeriggio ha incontrato Umberto Bossi a Gemonio e ha sentito tutti i leader della coalizione di governo via sms con un messaggio preciso: “Lavori in corso”. Come dire: le carte le do io e solo io posso sbloccare la partita del Colle. Che sia vero o meno, lo si vedrà oggi. Anche perché ieri sera dalla Lega facevano sapere che Salvini è pronto a tirare fuori un nome coperto, non ancora uscito negli ultimi giorni. Uno di questi potrebbe essere Paola Severino, di cui il leghista ha parlato giovedì con Conte. Ma la certezza, ieri sera, era un’altra: un accordo sul nome, nel centrodestra, non c’è.

Oggi però la prima mossa dovrà farla Berlusconi. Se tutto fa pensare al suo ritiro, al momento la sua posizione è quella di dire “no” a Mario Draghi. Una strategia emersa ieri nel pranzo ad Arcore con Licia Ronzulli e Antonio Tajani, i capigruppo Paolo Barelli e Anna Maria Bernini e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. La prima scelta di Berlusconi sarebbe quella del Mattarella bis ma Lega e Fratelli d’Italia sono apertamente contrari a questa ipotesi.

L’altro nome in testa di Berlusconi è quello di Giuliano Amato, anche questo bocciato da Salvini e Meloni. A quel punto si ragionerà su altri nomi “di alto profilo di centrodestra”, come ha spiegato ieri il segretario del Carroccio. E sarà Salvini a dover fare la prima mossa. Nella rosa del leghista, in pole ci sono Marcello Pera (sponsorizzato da Verdini) e Maria Elisabetta Alberti Casellati. Più indietro, Letizia Moratti e Franco Frattini ma anche Pier Ferdinando Casini, che ha preso sempre più quota nelle ultime ore. Meloni invece condivide con il leghista il sostegno a Pera e non le dispiacerebbe Giulio Tremonti. Su tutti questi nomi però Berlusconi resta freddo (“sono tutti miei sottoposti” usa dire) a partire da Casini: in Forza Italia non prendono in considerazione l’ipotesi del senatore centrista. E anche dalla Lega c’è scetticismo: “È stato eletto con il Pd” dicono i salviniani più stretti. Anche se alla fine potrebbe essere lui l’anti-Draghi, il candidato che mette d’accordo tutti e non fa vincere nessuno. Veti e controveti che rendono complicata una convergenza su un candidato di centrodestra a partire dalla prima votazione.

Così, anche se Salvini e Berlusconi dicono “no” in partenza, si arriva a Draghi. Quella di Berlusconi è una posizione tattica: sbarrare la strada al premier per trattare un possibile appoggio a partire dal rimpasto di governo (in cui entrerebbe Antonio Tajani) e magari, è il sogno dell’ex Cavaliere, la nomina di Gianni Letta come segretario generale del Quirinale. Anche Meloni vedrebbe bene l’elezione del premier al Colle: è stata lei la prima a fare il suo nome e con lui ha un ottimo rapporto. Ma soprattutto, è la tesi di un esponente di peso di Fratelli d’Italia, Draghi potrebbe essere quell’ombrello con le cancellerie internazionali pronto a garantirgli l’incarico a Palazzo Chigi. L’unico dei tre che, per il momento, resta sul “no” secco al premier è Salvini. Che potrebbe sparigliare e mettere sul piatto proprio quel Casini che terrorizza il Pd.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/22/luomo-poltrona/6464531/

venerdì 21 gennaio 2022

Affossa-lira e salva-ladri. - Marco Travaglio

 

Dopo tanti scandali sparsi per l’Italia, nel 1992 il pool Mani Pulite scoperchia l’intero sistema di Tangentopoli. Craxi spedisce Amato a Milano come commissario del Psi. E lui si segnala subito per rigore morale e lungimiranza: “Il tentativo di coinvolgere Craxi nella storia di Mario Chiesa mi sembra il classico scandalo montato sul nulla per impedire che Craxi abbia l’incarico” (7.6.’92). Infatti sarà proprio Chiesa a inguaiare Bettino. Dopo le elezioni-terremoto di aprile e la strage di Capaci del 23 maggio, il nuovo presidente Oscar Luigi Scalfaro deve nominare il nuovo premier al posto di Andreotti. L’accordo Dc-Psi prevede il ritorno di Craxi, ma le confessioni di politici e imprenditori fanno di lui un indagato sicuro. Le alternative sono Amato e Martelli, il delfino che però sta scaricando Bettino. Così tocca ad Amato, ritenuto più fedele al segretario. Il suo governo è un lombrosario: infatti in pochi mesi perderà per strada ben 7 ministri, impallinati da avvisi di garanzia per tangenti. Poi, per tamponare la crisi economico-finanziaria che vede lo Stato sull’orlo della bancarotta, vara una legge finanziaria da 92mila miliardi di lire tutta tasse e tagli. E, non bastando, dispone nottetempo il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti degli italiani.

Molti gli rimprovereranno anche la strenua difesa della lira per tutta l’estate, decisa da lui, dal governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi, dal suo direttore generale Lamberto Dini, dal ministro del Tesoro Piero Barucci (Dc) e dal suo direttore generale Mario Draghi. Una politica monetaria suicida che polverizza le riserve valutarie della Banca d’Italia (48 miliardi di dollari) e poi porta ugualmente alla svalutazione del 30%. Mega-speculatori, investitori e banche internazionali, “intuita” la linea Amato, guadagnano fortune colossali attaccando e vendendo in massa la debole valuta italiana. Ma anche banche, imprese e politici hanno tutto il tempo di uscire da debiti in monete forti, per acquistare da Bankitalia dollari e marchi (pagando con lire vicine al deprezzamento) e nascondere capitali all’estero. Come scriverà sul Fatto Ivo Caizzi, il quintetto Amato-Barucci-Draghi-Ciampi-Dini verrà soprannominato ironicamente dagli speculatori ingrassati il “Dream Team” o la “Squadra del ’92”. E farà carriera: a parte Barucci, approderanno tutti a Palazzo Chigi.

Appena giunto al governo, Amato non fa nulla per bloccare la trattativa Stato-mafia, avviata dal vicecapo del Ros Mario Mori con Vito Ciancimino. Il 22 luglio Mori ne informa Fernanda Contri, segretario generale della Presidenza del Consiglio, che avvisa subito il premier.

Sentito come teste al processo Trattativa, Amato dirà di non ricordare nulla neppure di uno dei nodi più intricati della nascita del suo governo: le manovre per cacciare due ministri antimafia come Martelli alla Giustizia e Scotti a Viminale (riuscite a metà con l’arrivo di Mancino al posto di Scotti). Un’amnesia che, scriverà nella sentenza la Corte d’assise di Palermo nel 2018, “non può non suscitare perplessità”.
Poker d’assi alla toilette. Il 27 agosto 1992, da premier, Amato partecipa alla segreteria Psi convocata da Craxi per scatenare l’offensiva dei dossier contro Di Pietro. Dirà poi di non essersi accorto dello scopo della riunione perché, nel momento clou, era andato alla toilette. In realtà in quel nobile consesso vengono esaminate alcune informative dei servizi segreti sul pm di Mani Pulite (la Mercedes usata, il telefonino, qualche prestito, le amicizie con alcuni socialisti suoi futuri indagati) e i risultati di attività spionistiche illegali sull’intero Pool di Milano. Rino Formica, all’uscita, dichiara: “Bettino ha in mano un poker d’assi”. “Amato – racconterà Di Donato – era rimasto a bocca aperta per le rivelazioni e come tutti si era sentito rassicurato per il futuro”. Altro che toilette. Carlo Ripa di Meana, allora ministro craxiano dell’Ambiente, interrogato nel ’95 a Brescia, racconterà: “Amato (nell’estate ’92, ndr) mi disse: ‘Io ho i rapporti del capo della Polizia (Vincenzo Parisi, ndr) e di tutti i servizi, che dicono che bisogna fermare questo pool, e in particolare Di Pietro, perché questi stanno mettendo in pericolo le istituzioni’…”. Altri particolari Ripa di Meana li racconterà nella sua autobiografia Cane sciolto (Kaos, 2000): “Trovavo inaccettabile il silenzio del governo (Amato, ndr) che non aveva aperto bocca per difendere l’indipendenza dei giudici… Pensavo che Craxi dovesse essere fermato prima che completasse la propria rovina personale e quella del Psi… Decisi che avrei scritto una lettera aperta ai magistrati milanesi (‘Fate un lavoro necessario. Chi vi attacca per fermarvi sbaglia’) e che comunque avrei rotto col governo, con il partito e col mio amico Bettino… Amato mi rimproverò: disse che l’azione giudiziaria di Mani Pulite – come indicavano i Servizi e il capo della Polizia Parisi – era un pericolo per le istituzioni. Poi il confronto tra noi a Brescia, con Giuliano che pretendeva di negare tutto…”.
Il 9 febbraio 1993, poco dopo le dimissioni di Craxi da segretario Psi, rientra dalla latitanza l’architetto socialista Silvano Larini, collettore delle tangenti milanesi. E svela al Pool i segreti del Conto Protezione (usato negli anni 80 dal banchiere piduista Roberto Calvi, complice Licio Gelli, per girare a Craxi una mazzetta dell’Eni di 8 miliardi). Intanto i pm arrivano al cuore di Tangentopoli con le indagini su Enimont, il Gotha della finanza (Fiat, Fininvest, Ligresti) e delle Partecipazioni statali (Eni, Iri, Enel) e sulle tangenti rosse al Pci-Pds tramite Primo Greganti. Il Sistema sta per saltare e Amato si precipita al salvamento.
“Bettino, abbi fede”. Il 9 febbraio, mentre Larini canta in Procura, su carta intestata “Il Presidente del Consiglio dei ministri”, il premier Amato scrive una lettera non protocollata all’amico Bettino – indagato per corruzione, concussione e illecito finanziamento e furibondo perché il suo governo non fa nulla contro i pm – per suggerirgli la linea difensiva e rassicurarlo sul colpo di spugna che sta preparando. “Caro Segretario, prendo a calci i primi mattoni di un muro di silenzio che non vorrei calasse fra noi. E vorrei chiederti invece di avere fiducia in quel che io sto cercando di fare. Occorre certo che passi qualche giorno, che la situazione delle imprese, e non solo della politica, appaia (come del resto già è) insostenibile. È inoltre realisticamente utile che la macchia d’olio si allarghi. Neppure a quel punto credo che sarà possibile estinguere reati di codice. Ma credo che l’estensione per essi dei patteggiamenti e delle sospensioni condizionali sia una strada percorribile. Sto conquistando su questo preziosi consensi. E ritengo che si ottengano così procedure non massacranti, che evitano la pubblicità devastante dei dibattimenti e forniscono possibilità di uscita. Se posso darti un consiglio personale, ricomponi le tue linee difensive: tu hai detto che sapevi – come tutti – che c’erano dei finanziamenti irregolari. Ora neghi di aver avuto conoscenza delle singole cose che ti vengono addebitate. Ciò significa che neppure tu sapevi quanto fosse ramificata, estesa e legata a fatti specifici di corruzione o concussione la provvista dei fondi irregolari”. Poi parla della guerra nel Psi sul successore di Craxi: “Lo scontro è pericoloso. Anche se Claudio (Martelli, ndr) mi pare ormai in pericolo. Apprendo che, se ci fosse un riscontro a ciò che ha detto Larini, già sarebbe partito un avviso per concorso in bancarotta fraudolenta (del Banco Ambrosiano, ndr). Io sono qua. E continuo ad esserti grato ed amico. Giuliano”.
Il Dottor Spugna. Detto, fatto. Il 5 marzo Amato vara un decreto del ministro della Giustizia Giovanni Conso che depenalizza il reato di finanziamento illecito ai partiti. Un mega-colpo di spugna sulle indagini su Tangentopoli, senz’alcuna sanzione neppure politica o amministrativa per i colpevoli. Scalfaro e i presidenti delle Camere, Napolitano e Spadolini, sconsigliano. Conso tentenna. Ripa di Meana si dimette per protesta da ministro e dal Psi. Ma il premier tira dritto, garantendo l’avallo di Scalfaro. Che invece ha posto precisi paletti: “Chi confessa e patteggia per finanziamento illecito deve rinunciare per sempre alla vita pubblica”. Invece nel decreto c’è scritto solo che l’illecito finanziamento non è più reato, ma una semplice infrazione amministrativa senz’alcuna interdizione dai pubblici uffici. Non solo. C’è pure il bavaglio alla stampa: nessuna notizia sulle indagini fino al processo. “Non è un colpo di spugna, abbiamo fatto esattamente quel che ci ha chiesto il pool di Milano con Di Pietro e Colombo”, azzarda Amato. Ma il procuratore Francesco Saverio Borrelli lo sbugiarda a stretto giro: “Non consentiamo a nessuno di presentare come da noi richieste, volute o approvate, le iniziative in questione… Ciascuno si assuma davanti al popolo italiano le responsabilità politiche delle proprie scelte, senza farsi scudo… delle nostre opinioni. Che sono esattamente opposte al senso dei provvedimenti adottati. Il prevedibile risultato… sarà la totale paralisi delle indagini e la impossibilità di accertare fatti e responsabilità… Così si disincentiva qualunque forma di collaborazione”. Migliaia di cittadini indignati inondano di fax i giornali e scendono in piazza. Lega, Rete e Msi sparano a zero, il Pds si dissocia e Scalfaro non firma il decreto. Il governo Amato è ormai un morto che cammina.

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mercoledì 18 settembre 2013

Amato, le tre scimmiette Pd: ‘Dimissioni? Non abbiamo letto o sentito nulla’



Oggi il giuramento dell’ex premier, Giuliano Amato, come giudice della Consulta. Dopo la bufera che si è scatenata sulla registrazione in cui l’ex vicesegretario Psi chiedeva alla vedova di un dirigente del partito, chiamata a testimoniare, di non fare nomi con i magistrati che indagavano su un giro di tangenti, è scattata la linea difensiva dei vertici del Pd. Tra questi: Massimo D’Alema, Guglielmo Epifani e Anna Finocchiaro con la loro serie di: “Non so…non ho letto…e comunque lo stimo”. Tutto raccontato nel videomontaggio di David Marceddu, Samuele Orini e Gisella Ruccia.

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/09/18/amato-tre-scimmiette-del-pd-dimissioni-non-abbiamo-letto-o-sentito-nulla-su-di-lui/245204/

Etica, onestà mentale, onore...questi sconosciuti...

Epifani, D'Alema e Finocchiaro proteggono se stessi ed i loro privilegi.