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martedì 14 novembre 2023

La pietra di Ingà.

Situata in Brasile, è una meraviglia archeologica mondiale. Ha più di 6000 anni e ha centinaia di strani simboli.
Scienziati di tutto il mondo hanno cercato di decifrarlo senza successo, l'unica cosa che si sa è che ha personaggi egiziani, fenici, sumeri anche simili al rongorongo dell'isola di Pasqua e soprattutto simboli della lingua nostratica, la più antica e rara dell'umanità.

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sabato 23 maggio 2020

Coronavirus, diretta: in Svezia mortalità alle stelle, Finlandia verso chiusura delle frontiere. (20.5.2020)

Coronavirus, diretta: in Svezia mortalità alle stelle, Finlandia verso chiusura delle frontiere

Altre quaranta persone sono morte in Svezia a causa del coronavirus portando il numero totale delle vittime nell'unico Paese al mondo che non ha imposto misure di lockdown a 3.871. Il dato di oggi è comunque il più basso da metà aprile. Secondo l'aggiornamento dell'Istituto della Sanità svedese, ci sono inoltre 649 nuovi casi di Covid-19, per un totale di 32.172. Il numero dei contagi in Svezia non è in calo come invece quello delle vittime.
Non è ancora una decisione ufficiale ma il governo della Finlandia potrebbe vietare quest'estate l'ingresso nel Paese ai turisti svedesi nell'ambito delle misure di contenimento del coronavirus. Per il capo dell'Istituto della Sanità finlandese, Mika Salminen, «la differenza» tra i due Paesi «nella diffusione del virus è un fatto». La Svezia, ha sottolineato l'epidemiologo seguendo quanto riportato dal Guardian, ha più casi di tutti i suoi vicini messi insieme e «di questo dovrà tenere conto il governo quando dovrà prendere una decisione».
Centoseimila contagi di coronavirus in un giorno nel mondo. «Nelle ultime 24 ore sono stati riportati all' Oms 106.000 nuovi casi di coronavirus, il numero più alto in un giorno da quando è iniziata la pandemia. Quasi due terzi di questi sono stati registrati in solo quattro Paesi». Lo ha detto il direttore dell' Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus​, nel consueto briefing sul Covid-19 ribadendo che «la strada è ancora lunga».
«Non è stato ancora provato che l'idrossiclorochina sia efficace contro il coronavirus. Ci sono invece diversi studi che mettono in guardia sugli effetti collaterali». Lo ha detto il dottor Mike Ryan dell' Oms nel consueto briefing sul Covid-19. Ryan ha tuttavia sottolineato che le autorità sanitarie di ciascun Paese sono libere di scegliere i farmaci da usare nella terapia contro il virus.
Brasile, boom di morti. Il numero di morti per coronavirus in Brasile è cresciuto del 120% in due settimane, con un forte aumento dei casi soprattutto nello Stato di Rio de Janeiro e nelle province della regione amazzonica. A Rio il numero dei decessi per Covid-19 è passato da 1.205 registrati il 6 maggio a 3.237 di ieri, con un aumento del 270%, secondo un rapporto del portale di notizie Uol. San Paolo e Rio, entrambi nella regione sud-orientale, restano gli Stati più colpiti dalla malattia.
Svezia, tasso mortalità più alto del mondo. La Svezia è il paese con il più alto tasso di mortalità pro capite per coronavirus nel mondo: ha superato la Gran Bretagna, l'Italia e il Belgio. Lo riferisce il Daily Telegraph online citando i dati raccolti dal sito web Our World in Data, secondo cui la Svezia ha avuto 6,08 decessi per milione di abitanti al giorno su una media mobile di sette giorni tra il 13 maggio e il 20 maggio. Questo, secondo la stessa fonte, è il più alto del mondo, al di sopra del Regno Unito, del Belgio e degli Stati Uniti, che hanno rispettivamente 5,57, 4,28 e 4,11. Intanto Standard Ethics boccia l'approccio sanitario della Svezia al coronavirus, declassando il rating a «EEE-» dal precedente «EEE», il voto massimo. Durante la prima fase della pandemia da Covid-19, «la politica sanitaria svedese non è stata conforme a quanto consigliato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità», sottolinea l'agenzia di valutazione etica. È opinione degli analisti di Standard Ethics che ciò abbia prodotto rischi aggiuntivi alla popolazione svedese ed europea. La maggior parte delle aziende, dei ristoranti, dei bar e delle scuole è rimasta aperte, anche se alla fine di marzo sono stati proibiti incontri di oltre 50 persone. L'obiettivo per le autorità svedesi è quello di arrivare all'immunità di gregge.

venerdì 17 agosto 2018

La pietra di Ingà e la distruzione di Atlantide



La “Pedra do Ingá” è un monumento archeologico nello stato nordorientale di Paraíba, in Brasile, posto nel mezzo del fiume Ingá. Si tratta di una composizione di pietre di basalto che formano una superficie di circa 250 m² completamente ricoperta di simboli non ancora decifrati. La maggior parte dei glifi sembrano rappresentare animali, frutta, esseri umani, costellazioni e galassie, mentre altri simboli sono del tutto irriconoscibili. Chi ha inciso la Pietra di Ingá? Perchè? Ma, soprattutto, cosa rappresentano quei simboli?

È un lungo masso orizzontale ricoperto di misteriosi simboli e notevoli formazioni geometriche.

Gli indigeni Tupi che vivevano in questa zona la chiamavano “Itacoatiara”, che nella loro lingua significava semplicemente “la pietra”.

È lunga 26 metri e alta 4 e si trova nel bel mezzo del fiume Ingá, nei pressi dell’omonima cittadina a circa 96 km da João Pessoa, nello stato di Paraíba, a nordest del Brasile.

Il monolite di Ingá è completamente inciso con simboli e figure in bassorilievo che sembrano rappresentare animali, frutta, esseri umani e costellazioni come Orione e galassie come la Via Lattea. Altri simboli, invece, sono del tutto irriconoscibili.

Chi ha scolpito questo antico monolite ? Cosa voleva descrivere o significare? E’ possibile che i glifi incisi sulla roccia rappresentano un’antica lingua terrestre sconosciuta? Nonostante l’interessamento degli archeologi, ad oggi la Pietra di Ingá rimane ancora un enigma. Sono state avanzate molte teorie sull’origine e il significato dei misteriosi simboli, ma finora nessuno studioso è stato in grado di risolvere il mistero di Ingá.

Alcuni studiosi credono che si tratta di antichi simboli sacri scolpiti da antiche culture sudamericane; altri hanno ipotizzato che rappresenti la scrittura utilizzata da una antica civiltà sconosciuta che ha abitato la regione; altri, infine, spingendosi in ipotesi più eretiche, propongono addirittura che si tratti di un messaggio in codice lasciato da una civiltà extraterrestre.

In totale, la roccia conta circa 450 glifi. La questione è capire se quanto inciso sul monolite sia un’antica lingua. La maggior parte delle figure, infatti, sembra a prima vista astratta, ma i ricercatori ritengono che la Pietra di Ingá nasconda un antico messaggio cifrato. Il problema principale è che mancano paralleli su cui operare un confronto ed eventualmente tentare una traduzione.



Il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi, grande studioso di lingue antiche che ha trascorso buona parte della sua vita allo studio della Pietra di Ingá, sostiene che i glifi di Ingá sono simili in forma e dimensione a quelli delle culture mesopotamiche primordiali.

Per di più, a suo parere, la lingua Tupi – Guarani, parlata da molti gruppi etnici sudamericani, sembra avere una lontana origine comune con la lingua ittita, antico popolo indoeuropeo fiorito in Anatolia 3800 anni fa.

Come è possibile che due culture tanto lontane possano aver condiviso la comune origine del linguaggio e della scrittura? Baraldi trova in questa comunanza una prova dell’esistenza di una grande civiltà globale esistita più di 10 mila anni, nota più comunemente con il nome di Atlantide.

D’annunzio Baraldi, ricercatore indipendente e esploratore, è infatti considerato uno degli ultimi grandi atlantologi. Nella sua visione, alcuni gruppi umani originari del mitico continente sarebbero sopravvissuti alla catastrofico cataclisma avvenuto nel 9500 a.C., dirigendosi verso est, in Europa, e verso sud-ovest, in Brasile. Baraldi sostiene che i glifi della Pietra di Ingá raccontino proprio della grande catastrofe globale che causo la distruzione della civiltà atlantidea.

Se la tesi di Baraldi è corretta, significa che la Pietra di Ingá rappresenta un messaggio che gli antichi superstiti di Atlantide vollero lasciare ai posteri, come memoria del passato e come monito per il futuro. E ciò significa che non possono essere stati i nativi americani ad incidere i glifi sul monolite. 

La scrittura dell’Isola di Pasqua.
A sostegno dell’ipotesi atlantidea ci sarebbe la somiglianza dei glifi della Pietra di Ingá con la scrittura utilizzata dagli antichi abitanti della remota Isola di Pasqua, il Rongorongo. L’Isola di Pasqua (in lingua nativa Rapa Nui, letteralmente “grande isola/roccia”) si trova nell’Oceano Pacifico meridionale.

Si tratta di una scrittura con andamento bustrofedico e che, al momento, è stata solo parzialmente decifrata. L’isola di Pasqua è l’unica nell’area del Sud Pacifico ad aver sviluppato nella propria storia una scrittura propria. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare non si tratta di una scrittura che utilizza geroglifici. La scrittura rongorongo non fu mai decifrata completamente e per molti decenni rimase incompresa.

Fu quindi solo grazie agli studi condotti dal tedesco Thomas Barthel e alla scoperta di una tavoletta che riportava un calendario lunare (oggi conservata nell’archivio dei SS Cuori a Grottaferrata nei pressi di Roma), la cosiddetta tavoletta Mamari, che si poté parzialmente decifrare alcuni simboli. Al momento (2009) in tutto il mondo esistono soltanto 26 tavolette, in buone condizioni ed autentiche al di là di ogni dubbio, scritte in rongorongo.



Alcuni intravedono una forte somiglianza tra l’alfabeto rongorongo e i simboli della Pietra di Ingá. È possibile che questa somiglianza avvalori l’ipotesi che gli abitanti primordiali del Brasile, della Mesopotamia e dell’Isola di Rapa Nui discendessero tutti da un’unica cultura globale spazzata via da un cataclisma?

La Pietra di Ingá rimane uno dei reperti archeologici più importanti degli ultimi tempi e il suo studio, e la sua eventuale traduzione, potrebbero svelare un passato molto diverso del nostro pianeta, raccontandoci di un tempo in cui i nostri antenati vivevano in un grande villaggio globale chiamato Atlantide.



https://camminanelsole.com/la-pietra-di-inga-e-la-distruzione-di-atlantide/

sabato 25 novembre 2017

Tribù indigene (mai contattate) continuano ad essere massacrate in Amazzonia. - Lewis Evans



Dieci indigeni, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi nella regione della Valle di Javari in Amazzonia nel settembre di quest’anno, secondo alcune fonti. I loro corpi sarebbero stati mutilati e scaricati in un fiume. Si pensa che l’assalto sia opera dei cercatori d’oro, due dei quali sono stati successivamente sentiti mentre se ne vantavano in un bar del posto.
Questa non è la storia di qualche conquistadores o di qualche cercatore di caucciù dell’era coloniale. Questo fatto è accaduto nel 2017 – solo poche settimane fa – nell’odierna Repubblica del Brasile. Nonostante tutti gli apparenti ‘progressi’ compiuti dall’umanità negli ultimi secoli, intere popolazioni di popoli indigeni vengono ancora sistematicamente annientate da chi invade le terre e dai coloni.
Estremamente vulnerabili
Al di là dei circoli per i diritti degli indigeni, molte persone sono ancora stupite che possano esistere tribù mai contattate. L’ipotesi più diffusa è che quell’epoca sia finita: oggi il mondo intero è stato colonizzato e proiettato nel mainstream industrializzato.
Ma, come rivelano le straordinarie foto aeree pubblicate da Survival International nel 2008 e nel 2011, semplicemente non è così. Ci sono persone, in Amazzonia come altrove, che scelgono di rifiutare il contatto col mainstream.
Non si tratta di reliquie primitive o arretrate di un passato remoto. Sono nostri contemporanei e una parte di vitale importanza per la diversità umana.
Le tribù mai contattate vivono forme di vita autosufficienti e diversificate, cacciano, si nutrono, coltivano cibo negli orti e si aggrappano alla loro lingua, mitologia e prospettiva del mondo. Hanno tutto il diritto di continuare a farlo, e noi del mondo esterno abbiamo una grande responsabilità nel garantire che possano.
Certo, non tutti condividono questo punto di vista. Ci sono sempre state persone disposte a contattare le tribù isolate con la forza. Che si tratti di missionari evangelici determinati ad imporre la propria teologia o di opportunisti che cercano un modo di far soldi, c’è una lunga e sanguinosa storia di violenza genocida contro i popoli tribali.
Le tribù mai contattate sono estremamente vulnerabili non solo alla violenza dei forestieri che vogliono rubare le loro terre e le loro risorse, ma anche alle malattie come l’influenza e il morbillo, alle quali non hanno resistenza. Questo rende le tribù mai contattate le popolazioni più vulnerabili del pianeta.
Lobby dell’agribusiness
Popoli recentemente contattati ancora soffrono di malattie infettive che possono spazzare via intere popolazioni. Gli Ayoreo in Paraguay stanno ancora combattendo una misteriosa malattia simil-tubercolosi che fu introdotta dai ranchers negli anni ‘90.
Per quanto scioccante possa essere, la violenza che presumibilmente è stata inflitta agli Indios lo scorso mese non è senza precedenti. E probabilmente neanche così rara.
Survival mette in guardia da anni a proposito di “genocidi nascosti” che hanno luogo nella profonda Amazzonia. Le prove emergono spesso molto tempo dopo. Almeno in questa occasione, siamo stati in grado di vedere chiaramente l’orrore che affrontano molti popoli non contattati e il destino che molte altre tribù potrebbero affrontare senza una rigida protezione delle loro terre.
Tutte le tribù mai contattate devono affrontare la catastrofe, a meno che la loro terra non venga protetta. Senza questa sicurezza, molti rischiano di fare la fine degli Akuntsu, una piccola tribù amazzonica adesso ridotta solo a 4 membri dopo la brutale violenza inflittagli dagli allevatori nel 1980.
In modo assolutamente sconcertante, l’attuale governo è riluttante ad assicurare tale protezione. Il Presidente Michel Temer e la sua amministrazione sono strettamente legati alla potente lobby dell’agribusiness – i grandi proprietari terrieri che guidano l’industria agricola del Paese. Il Governo ha inoltre operato importanti tagli alla FUNAI, l’agenzia governativa responsabile della protezione delle terre indigene.
Foreste inoltrate
I politici brasiliani non hanno fatto abbastanza per prevenire i massacri come quello del mese scorso. Per quanto li riguarda, sembra, i popoli indigeni e il loro diritto alla terra sono, nel migliore dei casi, un fastidio e nel peggiore dei casi un ostacolo al profitto che deve essere rimosso con la forza.
Questo è contrario sia alla Costituzione del Brasile sia al diritto internazionale. Ed è anche fondamentalmente immorale – permettere il genocidio di intere popolazioni e il disboscamento dell’Amazzonia per l’arricchimento di pochi.
Ma c’è qualche speranza. Quando il diritto alla terra delle tribù mai contattate viene rispettato, queste continuano a prosperare. Sappiamo che ci sono più di un centinaio di tribù del genere nel mondo, per esempio, e vista la raffica di attenzioni che hanno ricevuto negli ultimi nove anni sta emergendo un movimento globale che ne domanda il diritto alla terra.
Unendo organizzazioni indigene, attivisti per i diritti umani e ambientalisti, attori di spicco come Gillian Anderson e Sir Mark Rylance, e membri attivi di tutto il mondo, sempre più persone alzano la voce e spingono i Governi ad agire nei confronti di queste tribù mai contattate.
E la pressione ha funzionato. Nell’Aprile 2016 è stata fatta pressione al Ministro della Giustizia brasiliano affinché firmasse un decreto che delimiti la terra della tribù Kawahiva – estremamente vulnerabile – che vive in fuga nelle foreste inoltrate dello stato del Matto Grosso.
Società contemporanee
E’ nell’interesse di tutti noi prevenire l’annichilimento delle tribù mai contattate. Il loro sapere è insostituibile e si è sviluppato nel corso di migliaia di anni. Sono i migliori guardiani del loro ambiente, e le evidenze dimostrano che i territori tribali sono la miglior barriera alla deforestazione.
Survival International sta facendo tutto il possibile per assicurare la terra delle tribù mai contattate e per dar loro la possibilità di determinare il proprio futuro. E’ una lotta che conduciamo dal 1969.
Tragedie come quella riferita, che hanno avuto luogo in Amazzonia sono certamente demoralizzanti, ed è sconvolgente dover sentir parlare di incidenti che non siamo stati in grado di prevenire. Ma non ci arrenderemo mai finché non avremo un mondo in cui i popoli tribali siano rispettati al pari delle altre società contemporanee e i loro diritti umani vengano protetti. 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GEA CAVOLI

giovedì 3 dicembre 2015

DISASTRO AMBIENTALE IN BRASILE: IL GOVERNO FA CAUSA A SAMARCO, CHIESTO RISARCIMENTO DA 20 MLD DI DOLLARI. - Marta Albè

rio doce brasile samarco

La situazione in Brasile continua ad essere tragica. Il Governo inizia a pensare a come intervenire. Il presidente del Brasile Dilma Rousseff ha deciso di avviare una causa civile contro la società Samarco, responsabile del disastro ambientale che da un mese sta interessando il Rio Doce.
Verrà creato un fondo da 20 miliardi di dollari per il recupero del bacino del Rio Doce, inquinato dal fango tossico dopo il crollo di due dighe nella regione mineraria di Minas Geiras. Il fondo non sarà alimentato con i fondi pubblici. La Samarco e le sue due società madri, Vale e BHP, dovranno occuparsi di mettere a disposizione il denaro.
Finalmente sentiamo parlare di un intervento per cercare di arginare i danni ambientali in Brasile. Il Governo sta intervenendo in ritardo, a ben un mese dalla tragedia e dopo essere stato criticato dalle Nazioni Unite per la mancata attuazione di misure di emergenza.
Il piano d’azione è stato suddiviso in quattro fasi:
1) Contenimento dei danni ambientali per fermare la diffusione del fango tossico.
2) Interventi per la riduzione dei danni.
3) Rivitalizzare l’ecosistema del bacino del Rio Doce.
4) Risarcire le persone colpite dalla tragedia.
Si prevede che le condizioni di base del Rio Doce vengano ripristinate in dieci anni, ma il bacino sarà completamente recuperato soltanto dopo 25 anni. Secondo il ministro dell’Ambiente brasiliano Izabella Teixeira, il fondo da 20 miliardi di dollari faciliterà il rispetto di queste scadenze.
Ben 50 tonnellate di fango tossico stanno attraversando il percorso di 850 chilometri del Rio Doce e hanno ormai raggiunto il mare. Il fondo che Samarco dovrà mettere a disposizione sarà gestito per i prossimi dieci anni dalla Magistratura per il ripristino del Rio Doce.
La cifra potrà aumentare nel corso del tempo se non sarà sufficiente per riparare i danni. Se Samarco non dovesse collaborare, il Governo brasiliano si dichiara pronto a sequestrarne i beni.
Se tutto andrà secondo le previsioni, il denaro necessario per arginare i danni non arriverà da soldi pubblici e non sarà ottenuto attraverso il bilancio del Governo. La somma servirà per riportare in vita il bacino del Rio Doce, dalla valutazione dei danni alle azioni necessarie per la lotta all’inquinamento.
Inoltre, secondo il ministro dell’Ambiente brasiliano, Samarco potrebbe ritrovarsi a pagare multe per 250 milioni di dollari, per non aver risposto ai cinque avvisi di accertamento emessi nelle scorse settimane. BHP, società anglo-australiana casa madre di Samarco, ha dichiarato che valuterà i documenti relativi alla causa avviata dal Governo brasiliano. Ci chiediamo se l’azienda pagherà davvero per il grave disastro ambientale che ha provocato.

giovedì 9 luglio 2015

Una nuova Banca di sviluppo anti Fmi.



Brics. In corso in Russia il VII Vertice dei cinque grandi emergenti.

Si con­clude domani a Ufa, in Rus­sia, il VII Ver­tice dei Brics, ovvero Bra­sile, Rus­sia, India, Cina e Suda­frica: il 40% della popo­la­zione mon­diale e oltre il 30% del Pil glo­bale. 
A Mosca tocca la pre­si­denza di turno, dopo il pre­ce­dente inca­rico del Bra­sile, che ha ospi­tato il sum­mit dell’anno scorso. E il mini­stro dello Svi­luppo eco­no­mico russo, Anton Silua­nov è il gover­na­tore della nuova Banca dello svi­luppo, grande inven­zione dei Brics. L’altro ieri, le ban­che cen­trali dei cin­que grandi emer­genti hanno fir­mato un accordo ope­ra­tivo che regola il fun­zio­na­mento del fondo di riserve mone­ta­rie comune, pari a 100.000 milioni di dol­lari. La Cina met­terà 41 miliardi di dol­lari, Rus­sia, India e Bra­sile 18 miliardi cia­scuno e il Suda­frica 5 miliardi. La sede sarà a Shan­ghai, ma un altro cen­tro regio­nale si tro­verà in Suda­frica. La Banca è dotata di un con­si­glio di ammi­ni­stra­zione, il cui primo pre­si­dente è Silua­nov, di un diret­tivo a con­du­zione bra­si­liana e da una pre­si­denza, a cui è stato nomi­nato l’indiano Kun­da­pur Vaman Kamath, affian­cato da 4 vice­pre­si­denti degli altri 4 paesi. La nuova Banca di svi­luppo comin­cerà ad essere ope­ra­tiva entro la fine di aprile del 2016. Obiet­tivo del fondo comune sarà quello di con­ce­dere pre­stiti ai paesi par­te­ci­panti in caso di pro­blemi con la liqui­dità in dol­lari.
La deci­sione di dotarsi di una banca è stata presa dai Brics l’anno scorso, durante il ver­tice di For­ta­leza, in Bra­sile. Se ne discute però dal 2009, con il primo ver­tice dell’organismo. Ora, l’intenzione dei cin­que paesi è quella di farne un orga­ni­smo finan­zia­rio glo­bale «spe­cia­liz­zato in pro­getti di infra­strut­tura»: il dise­gno di una nuova archi­tet­tura finan­zia­ria, alter­na­tivo al Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale e alla Banca mon­diale (che ha un patri­mo­nio di 490 miliardi di dol­lari), ege­mo­niz­zati dagli Usa. I Brics hanno dichia­rato la loro dispo­ni­bi­lità ad incor­po­rare altri stati fon­da­tori, ma le moda­lità sono ancora da defi­nire.
L’indirizzo è però dichia­rato: una logica di pre­stiti senza il cap­pio al collo degli aggiu­sta­menti strut­tu­rali richie­sti dall’Fmi, presso cui i Brics hanno solo il 10,3% del diritto di voto. Un atteg­gia­mento impor­tante dato il disli­vello esi­stente all’interno dei paesi mem­bri, ove l’economia cinese è 28 volte quella del Suda­frica, e date le dif­fe­renti moda­lità di governo adot­tate dai sin­goli paesi.
Verso la fine dell’egemonia del dol­laro? 

Intanto, i Brics ragio­nano sull’istituzione di una moneta comune. 
Intanto, costi­tui­scono una sponda per la Rus­sia col­pita dalle san­zioni. 
E potreb­bero lan­ciare un sal­va­gente anche all’economia greca, nell’ottica di una poli­tica di Atene a più dimen­sioni, in cui i Brics gio­che­reb­bero un ruolo prin­ci­pale. A fine mag­gio, la Gre­cia ha mani­fe­stato inte­resse per la nuova Banca di svi­luppo. E anche se Atene non potrà certo appor­tare con­tri­buti ini­ziali, potrebbe rice­vere un cre­dito non con­di­zio­nato e un appog­gio finan­zia­rio signi­fi­ca­tivo. Di recente, il pre­si­dente russo Vla­di­mir Putin ha detto che la crisi greca è fuori dall’agenda della Banca di svi­luppo, ma non da quella del ver­tice, e che se ne dovrebbe discu­tere in una cola­zione di lavoro, insieme ad altri temi di inte­resse inter­na­zio­nale come l’Ucraina o la minac­cia del Calif­fato. L’anno scorso, l’Argentina ricat­tata dai fondi avvol­toio, posi­zio­nati a Washing­ton, è stata pre­sente a For­ta­leza e la pre­si­dente Cri­stina Kirch­ner ha posto deci­sa­mente l’esigenza dei paesi del sud di impo­stare un sistema finan­zia­rio alter­na­tivo. Pre­senti anche i pre­si­denti dei paesi socia­li­sti lati­noa­me­ri­cani, che — Vene­zuela in testa — hanno inau­gu­rato una logica soli­dale alter­na­tiva negli scambi sud-sud.
Domani, sem­pre a Ufa, si svolge anche un altro impor­tante ver­tice finan­zia­rio, quello dell’Organizzazione di coo­pe­ra­zione di Shan­ghai (Ocs), che attual­mente include Rus­sia, Cina, Kaza­ki­stan, Kir­ghi­zi­stan, Tagi­ki­stan e Uzbe­ki­stan, e pre­vede l’entrata di India e Paki­stan per con­fi­gu­rarsi come un nuovo G8.


http://ilmanifesto.info/una-nuova-banca-di-sviluppo-anti-fmi/

domenica 7 giugno 2015

Come la falsità e la disinformazione gestisce il G7. L’ombra dei due marò pesa come un macigno. - Sergio Di Cori Modigliani




Esattamente 40 anni fa, nel giugno del 1975, i politici italiani (quelli di una volta) ebbero un’idea seria e brillante. Talmente buona e innovativa da  riuscire a imporla al resto del mondo. Tutto nacque da una cena privata sulla terrazza romana, a Piazza Costaguti, nell’appartamento di un importante esponente socialista, Giolitti, e i quattro commensali che lanciarono l’idea erano Aldo Moro, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga. Allora ci si trovava al centro della guerra fredda tra Usa e Urss, in un momento molto delicato. A Mosca e a Washington erano insediati due bei grossi falchi, Richard Nixon e Leonid Breznev, due mastini che amavano trascorrere i loro week end circondati dai loro generali e così volevano essere fotografati, tanto per spiegare al mondo come si stavano mettendo le cose. Dal loro punto di vista.
I nostri politici si fecero interpreti delle preoccupazioni collettive europee (e giapponesi) perché c’era in atto una grossa crisi economica, innescata dal caro petrolio che aveva triplicato il suo prezzo e valore di mercato. Tre importanti nazioni, totalmente prive di oro nero -Germania, Giappone e Italia- erano quelle che stavano pagando il conto più salato. E al loro interno, al culmine della guerra fredda, avevano tutte e tre una fortissima sinistra antagonista, turbolenze sindacali, con il rischio di deflagrazioni sociali incontrollabili.
Allora, le comunicazioni erano lente e faticose. Le visite ufficiali tra capi di Stato erano eventi pomposi, molto formali, che avevano più una funzione di propaganda che sostanziale, e finivano sempre nello stesso modo, con piatte dichiarazioni congiunte di grande amicizia collaborativa e niente di più. L’Italia, sia come nazione che come Paese, era al centro dell’attenzione planetaria perché la nostra repubblica (a mio avviso giustamente e correttamente) era stata identificata come il laboratorio sociale e politico più evoluto e avanzato di tutto l’occidente. In quel momento, forse, addirittura di tutto il mondo. C’era un enorme stimolante brulichio e un perenne confronto tra soggetti diversi e antagonisti; ai pacifisti e a tutti coloro che combattevano contro i guerrafondai era piaciuta molto l’idea di Enrico Berlinguer, nata come reazione ai criminali colpi di stato della Cia in Sudamerica: è arrivato il momento di incontrarsi tra forze politiche democratiche che appartengono a storie e nature diverse, i movimenti socialisti e le forze democristiane devono trovare la cifra giusta e realistica per siglare un compromesso storico nel nome del bene comune dell’intera collettività. Così come era stata accolta con favore la fortissima intesa che Aldo Moro stava iniziando a costruire con i comunisti. Bisognava, dunque, parlarsi, incontrarsi, conoscersi meglio. In Europa già lo si faceva. Decisero, quindi, (i quattro) di lanciare ufficialmente, e soprattutto “formalmente” il G7, con il dichiarato obiettivo di allargarlo sempre di più per arrivare a fondare la grande utopia e mettere intorno a un tavolo americani, sovietici, asiatici ed europei: la strada migliore per evitare ogni rischio di conflitto armato.
Quando ci si conosce, si discute, ci si confronta, ci si abitua l’un l’altro, l’aggressività, inevitabilmente, scema, diluisce. La rigidità nazionalistica che alimenta sempre le menti degli ottusi generali di ogni paese nasce dalla paura e dalla misconoscenza di etnie, nazioni, gruppi diversi. Quanto più ci si conosce e quanto più ci si incontra, tanto più diminuiscono le possibilità di una guerra.
E così, nel 1976, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia coinvolgono anche gli Usa, Giappone e Canada e lanciano il primo G7 della Storia moderna.
Da allora, sono trascorsi 40 anni.
Ci spiega wikipedia:  Il Gruppo dei Sette (di solito abbreviato in G7) è il vertice dei ministri dell’economia delle sette nazioni sviluppate con la ricchezza netta più grande al mondo. Esso è nato nel 1976, quando il Canada aderì al Gruppo dei Sei (FranciaGermaniaGiapponeItaliaRegno Unito e Stati Uniti). Anche il rappresentante dell’UE ed il Presidente del FMI sono sempre presenti agli incontri. Dal 1997 è stato affiancato dal G8, il vertice dei capi di Stato dei già menzionati allargato alla Russia…..
Ancora oggi, statutariamente, è così: si tratta di un vertice dei ministri dell’economia delle sette nazioni sviluppate con la ricchezza netta più grande al mondo. Anche un bambino o una persona distratta che non segue i teatri della geo-politica, si rende conto, quindi, che nella riunione che si apre formalmente domani a Emau, in Germania, c’è qualcosa che non funziona. Le nazioni che vi partecipano, infatti, non sono quelle che dovrebbero parteciparvi.
Angela Merkel farà gli onori di casa nel più surreale spettacolo mai offerto dalla politica.
Le nazioni che vi partecipano, infatti, sono le stesse del primo G7 nel 1976.
Una follia. O un falso. O volontà di disinformazione. Scegliete voi la definizione.
Adottando i criteri dello statuto del G7, sottoscritto da tutti i contraenti nel giugno del 1975, se avessero dovuto rispettare sia i parametri che la legalità, la riunione sarebbe stata, nell’ordine, tra Usa, Cina, Giappone, Germania, Russia, Gran Bretagna, India. Queste sette nazioni summenzionate, infatti, aderiscono alla definizione del 2015 corrispondente a “…economie con la ricchezza netta più sviluppata al mondo”.
Tra sei mesi ci sarà il G8 che include anche la Francia.
Tra nove mesi il G10 che include anche il Brasile e la Corea del Sud.
Il vero elenco del G10, infatti è: Usa, Cina, Giappone, Germania, Russia, Gran Bretagna, India, Francia, Brasile, Corea del sud.
Tutte queste nazioni, messe insieme, sono in grado di poter emettere un comunicato comune che corrisponde per davvero alla leadership planetaria.
Questa riunione del G7 nel castello di Schloss Emau mi sembra un incontro tra mitomani che hanno completamente perso il senso della realtà, della misura, e hanno l’arroganza prepotente e sfacciata di comunicarla anche al resto del mondo.
Perché lo fanno? Per depistare. Per farci vivere l’emozione di una realtà fittizia, per dimostrare che sono in grado di poter intervenire nel cuore dell’Europa alterando i codici della relazionalità logica, facendo ciò che vogliono, nel disprezzo del buon senso? L’Europa non può permettersi -intendo dire l’Europa a trazione teutonica- che l’Italia non sia più nel G7, nel G8, nel G10. Se lo facessero, diventerebbe “pubblicamente ufficiale” la notizia relativa allo stato reale dell’economia italiana: il nostro Paese, dal 2009 al 2015 ha perso, in termini di produzione di ricchezza, circa 250 miliardi di dollari, retrocedendo tra le nazioni considerate tecnicamente “Paese che si sta de-industrializzando”.
Questa potrebbe essere la umana, banale, semplice ragione per cui l’India non ci restituisce i due marò. Gli indiani sono inviperiti e io li capisco, hanno ragione. Dal punto di vista della sovranità nazionale indiana, non si capisce perché alle riunioni dei grandi ci vada una economia come quella italiana (definita dall’India “un’economia miope, decisamente regressiva, con una classe politica dirigente che non situa quel paese tra le nazioni che possono determinare il trend planetario oggi”) e non ci vada l’India che produce il 24% in più dell’Italia. Si sentiranno vittime di un affronto. E anche i brasiliani e i sudcoreani saranno inviperiti.
In geo-politica, la forma equivale alla sostanza.
Il G7 che si apre domani a Emau è un evento surrealista. Qualunque cosa decidano, basta che la Cina, o la Russia, o l’India, o la Corea del Sud, o il Brasile rispondano “non rispetteremo nessuna delle vostre decisioni” che i 7 non possono replicare. Con l’aggravante che, se per caso, la Cina, la Russia, l’India, la Corea del Sud e il Brasile, decidono di far fronte comune ed emettono un comunicato congiunto, allora da una frittata piccolo-borghese si passa all’anteprima di una tragedia socio-politica internazionale.
Se il fine del G7 è aiutare la pace, è già fallito.
Non ci può essere nessuna pace se si dice il falso.


I motivi per cui l’India ci nega la restituzione dei due marò credo che siano da ricercare altrove: la mancanza di trasparenza e legalità che aleggia nel nostro paese corrotto e razzista potrebbe rappresentarne uno.
Non siamo più un paese culla di cultura, onestà, progresso.
Siamo un paese allo sbando affidato ad illustri arrivisti, burattini nelle mani del potere economico.
Siamo inaffidabili.
Cetta.

giovedì 12 giugno 2014

Brutta partenza, scontri e feriti a San Paolo-



Proteste, scioperi e tensioni sociali rischiano di offuscare i mondiali di calcio in Brasile e di far passare in secondo piano le prodezze di Neymar, Messi, Cristiano Ronaldo e le altre stelle del pallone. 
La partita inaugurale tra Brasile e Croazia a San Paolo e' stata infatti preceduta da manifestazioni di protesta organizzate a San Paolo, Rio de Janeiro, Salvador e in altre citta' del colosso sudamericano dalle diverse sigle che compongono la variegata galassia del movimento 'No Copa', che riunisce nella protesta contro le spese per l'organizzazione dei Mondiali studenti, sindacalisti, insegnanti, contadini senza terra, disoccupati, abitanti delle favelas e senzatetto
Una manifestazione e' degenerata in violenti scontri a San Paolo quando alcune decine di black bloc si sono infiltrati in un corteo pacifico del sindacato dei lavoratori della metro ed hanno cominciato a lanciare pietre e bottiglie contro le forze dell'ordine. I reparti anti-sommossa della polizia militare hanno risposto sparando candelotti di gas lacrimogeno, bombe assordanti e proiettili di gomma. 
Due giornaliste della Cnn, un fotografo argentino dell'Associated press ed il cameraman di una tv locale sono rimasti feriti.
Una decina di manifestanti sono stati arrestati. 
Scontri anche nei pressi dello stadio Itaquerao, che alcune centinaia di manifestanti che innalzavano striscioni con scritto 'Senza diritti niente Coppa' e 'Fifa terrorista' cercavano di raggiungere a piedi. 
La polizia militare ha sigillato con un cordone di sicurezza impenetrabile il perimetro attorno allo stadio, preso d'assalto dalle prime ore del mattino da oltre 60 mila tifosi in festa. L'appello di Papa Francesco, che ha inviato un messaggio d'auguri in portoghese auspicando ''una festa di solidarieta' tra i popoli in tutta serenita' e tranquillita'', e' caduto parzialmente nel vuoto, nel maggiore Paese cattolico al mondo. 
Le tensioni sociali alimentate dalla crisi economica e dalle faraoniche spese per la costruzione dei nuovi stadi hanno fatto esplodere la rabbia sociale, che e' in parte cavalcata anche da interessi politici. 
Il prossimo 5 ottobre si vota infatti per le presidenziali e per la nomina dei governatori di tutti gli stati della federazione.
La presidente Dilma Rousseff ha accusato le opposizioni di mentire sulle spese per i Mondiali e di strumentalizzare le legittime proteste. 
Dilma, in calo di popolarita', e' stata fischiata durante la cerimonia di inaugurazione assieme al presidente della Fifa, Joseph Blatter, quando sono stati ricordati i nove operai morti nei cantieri degli stadi del Mondiale. 
Una contestazione analoga a quella subita dalla presidente nel giugno scorso, all'inaugurazione della Confederations Cup, nello stadio di Brasilia. 
Nel nuovo stadio Itaquerao, dove le maestranze hanno lavorato fino ad un istante prima dell'apertura dei cancelli e dove l'incendio di un generatore elettrico ha lasciato al buio il settore vip, hanno preso posto in tribuna d'onore accanto a Dilma il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e altri 12 capi di stato e di governo.