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sabato 25 novembre 2017

Tribù indigene (mai contattate) continuano ad essere massacrate in Amazzonia. - Lewis Evans



Dieci indigeni, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi nella regione della Valle di Javari in Amazzonia nel settembre di quest’anno, secondo alcune fonti. I loro corpi sarebbero stati mutilati e scaricati in un fiume. Si pensa che l’assalto sia opera dei cercatori d’oro, due dei quali sono stati successivamente sentiti mentre se ne vantavano in un bar del posto.
Questa non è la storia di qualche conquistadores o di qualche cercatore di caucciù dell’era coloniale. Questo fatto è accaduto nel 2017 – solo poche settimane fa – nell’odierna Repubblica del Brasile. Nonostante tutti gli apparenti ‘progressi’ compiuti dall’umanità negli ultimi secoli, intere popolazioni di popoli indigeni vengono ancora sistematicamente annientate da chi invade le terre e dai coloni.
Estremamente vulnerabili
Al di là dei circoli per i diritti degli indigeni, molte persone sono ancora stupite che possano esistere tribù mai contattate. L’ipotesi più diffusa è che quell’epoca sia finita: oggi il mondo intero è stato colonizzato e proiettato nel mainstream industrializzato.
Ma, come rivelano le straordinarie foto aeree pubblicate da Survival International nel 2008 e nel 2011, semplicemente non è così. Ci sono persone, in Amazzonia come altrove, che scelgono di rifiutare il contatto col mainstream.
Non si tratta di reliquie primitive o arretrate di un passato remoto. Sono nostri contemporanei e una parte di vitale importanza per la diversità umana.
Le tribù mai contattate vivono forme di vita autosufficienti e diversificate, cacciano, si nutrono, coltivano cibo negli orti e si aggrappano alla loro lingua, mitologia e prospettiva del mondo. Hanno tutto il diritto di continuare a farlo, e noi del mondo esterno abbiamo una grande responsabilità nel garantire che possano.
Certo, non tutti condividono questo punto di vista. Ci sono sempre state persone disposte a contattare le tribù isolate con la forza. Che si tratti di missionari evangelici determinati ad imporre la propria teologia o di opportunisti che cercano un modo di far soldi, c’è una lunga e sanguinosa storia di violenza genocida contro i popoli tribali.
Le tribù mai contattate sono estremamente vulnerabili non solo alla violenza dei forestieri che vogliono rubare le loro terre e le loro risorse, ma anche alle malattie come l’influenza e il morbillo, alle quali non hanno resistenza. Questo rende le tribù mai contattate le popolazioni più vulnerabili del pianeta.
Lobby dell’agribusiness
Popoli recentemente contattati ancora soffrono di malattie infettive che possono spazzare via intere popolazioni. Gli Ayoreo in Paraguay stanno ancora combattendo una misteriosa malattia simil-tubercolosi che fu introdotta dai ranchers negli anni ‘90.
Per quanto scioccante possa essere, la violenza che presumibilmente è stata inflitta agli Indios lo scorso mese non è senza precedenti. E probabilmente neanche così rara.
Survival mette in guardia da anni a proposito di “genocidi nascosti” che hanno luogo nella profonda Amazzonia. Le prove emergono spesso molto tempo dopo. Almeno in questa occasione, siamo stati in grado di vedere chiaramente l’orrore che affrontano molti popoli non contattati e il destino che molte altre tribù potrebbero affrontare senza una rigida protezione delle loro terre.
Tutte le tribù mai contattate devono affrontare la catastrofe, a meno che la loro terra non venga protetta. Senza questa sicurezza, molti rischiano di fare la fine degli Akuntsu, una piccola tribù amazzonica adesso ridotta solo a 4 membri dopo la brutale violenza inflittagli dagli allevatori nel 1980.
In modo assolutamente sconcertante, l’attuale governo è riluttante ad assicurare tale protezione. Il Presidente Michel Temer e la sua amministrazione sono strettamente legati alla potente lobby dell’agribusiness – i grandi proprietari terrieri che guidano l’industria agricola del Paese. Il Governo ha inoltre operato importanti tagli alla FUNAI, l’agenzia governativa responsabile della protezione delle terre indigene.
Foreste inoltrate
I politici brasiliani non hanno fatto abbastanza per prevenire i massacri come quello del mese scorso. Per quanto li riguarda, sembra, i popoli indigeni e il loro diritto alla terra sono, nel migliore dei casi, un fastidio e nel peggiore dei casi un ostacolo al profitto che deve essere rimosso con la forza.
Questo è contrario sia alla Costituzione del Brasile sia al diritto internazionale. Ed è anche fondamentalmente immorale – permettere il genocidio di intere popolazioni e il disboscamento dell’Amazzonia per l’arricchimento di pochi.
Ma c’è qualche speranza. Quando il diritto alla terra delle tribù mai contattate viene rispettato, queste continuano a prosperare. Sappiamo che ci sono più di un centinaio di tribù del genere nel mondo, per esempio, e vista la raffica di attenzioni che hanno ricevuto negli ultimi nove anni sta emergendo un movimento globale che ne domanda il diritto alla terra.
Unendo organizzazioni indigene, attivisti per i diritti umani e ambientalisti, attori di spicco come Gillian Anderson e Sir Mark Rylance, e membri attivi di tutto il mondo, sempre più persone alzano la voce e spingono i Governi ad agire nei confronti di queste tribù mai contattate.
E la pressione ha funzionato. Nell’Aprile 2016 è stata fatta pressione al Ministro della Giustizia brasiliano affinché firmasse un decreto che delimiti la terra della tribù Kawahiva – estremamente vulnerabile – che vive in fuga nelle foreste inoltrate dello stato del Matto Grosso.
Società contemporanee
E’ nell’interesse di tutti noi prevenire l’annichilimento delle tribù mai contattate. Il loro sapere è insostituibile e si è sviluppato nel corso di migliaia di anni. Sono i migliori guardiani del loro ambiente, e le evidenze dimostrano che i territori tribali sono la miglior barriera alla deforestazione.
Survival International sta facendo tutto il possibile per assicurare la terra delle tribù mai contattate e per dar loro la possibilità di determinare il proprio futuro. E’ una lotta che conduciamo dal 1969.
Tragedie come quella riferita, che hanno avuto luogo in Amazzonia sono certamente demoralizzanti, ed è sconvolgente dover sentir parlare di incidenti che non siamo stati in grado di prevenire. Ma non ci arrenderemo mai finché non avremo un mondo in cui i popoli tribali siano rispettati al pari delle altre società contemporanee e i loro diritti umani vengano protetti. 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GEA CAVOLI

lunedì 5 ottobre 2015

INDIGENI RIFIUTANO UN MILIARDO DI DOLLARI DAL GIGANTE PETROLIFERO PER UN NUOVO GASDOTTO IN CANADA. - Francesca Mancuso

gasdottoindigeni

Una storia da leggere con calma, staccandosi per un momento dagli impegni del quotidiano. Una testimonianza di amore incondizionato e di attaccamento per Madre Terra. Voliamo virtualmente al confine tra Canada e Alaska, dove vivono gli indigeni Lax Kw’alaams: nelle loro terre verrà costruito l'impianto per la produzione di gas naturale liquefatto Pacific Northwest. È stato offerto loro un mega risarcimento di un miliardo di dollari da parte della società petrolifera Petronas, ma i Lax Kw’alaams hanno rifiutato.
L'offerta comprendeva esattamente un miliardo cash in 40 anni e altri 108 milioni in terre, pari a 320mila dollari per ogni indigeno. Un NO che suona ancora più forte se si pensa che è il simbolo della Natura contro i veleni umani, dell'amore per la terra contro quello delle multinazionali per il denaro.
Bastano le parole del grande capo Stewart Phillip a far capire come il denaro sia nulla se rapportato al valore degli ecosistemi naturali, di cui gli indigeni si porgono a tutela:
I nostri anziani ci ricordano che il denaro è come la polvere che viene soffiata via velocemente dal vento, mentre la terra è per sempre” ha detto al quotidiano canadese The Globe and Mail.
Facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia che si snoda attorno al progetto del gruppo Pacific Northwest Lng (Pnw Lng), un piano che prevede un investimento da 11,4 miliardi di dollari per la realizzazione di una struttura dedicata alla trasformazione del gas naturale in gas naturale liquido e poi al trasporto in Asia via mare lungo un gasdotto di 950 chilometri. Non è un errore: quasi 1000 km.
La struttura partirebbe dall'isola Lelu e dal Flora Bank, un banco di sabbia che la marea a volta nasconde sull'estuario del fiume Skeena. E qui si aggancia la vicenda dei Lax Kw’alaams che rivendicano queste aree come indigene. Il fiume Skeena è l'antichissima casa di questa comunità formata da 3.600 persone, che hanno accesso esclusivo alle risorse naturali.
firstnation
Spiegano gli indigeni che il significato della foce del fiume Skeena non può essere sottovalutato e che i Kw'alaams Lax sono vincolati dalla legge tradizionale che coinvolge anche le altre comunità a proteggere le risorse naturali per le generazioni future.
In base alla legge canadese, Petronas, proprietario di maggioranza del gruppo Pacific Northwest Lng, doveva avviare le consultazioni con la comunità indigena. Così ha fatto. Ma i Lax Kw’alaams hanno rifiutato all'unanimità l'enorme risarcimento offerto, rivendicando il diritto sancito dall’articolo 10 della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite. E in un comunicato spiegano:
“ Speriamo che il pubblico riconosca il consenso unanime della comunità (dove l'unanimità è l'eccezione) nei confronti di un progetto in cui alla comunità stessa è fatta un'offerta al di sopra di un miliardo di dollari. Non è un problema di soldi ma una questione ambientale e culturale”.
Per il progetto, gli indigeni saranno esclusi dall’isola Lelu, da cui ricavano tradizionalmente piante e medicine tradizionali. Non si tratta solo di diritti delle popolazioni indigene ma di un'intera comunità che non vuole sacrificare i propri luoghi per gli interessi delle multinazionali. La consultazione per il progetto è stata rivolta a cinque gruppi indigeni ma solo i Lax Kw’alaams hanno rifiutato ogni compromesso pur essendosi detti aperti al dialogo e al confronto.
Peccato però che intanto il governo provinciale abbia rinnovato il proprio impegno nel progetto, firmando un accordo con Pacific Northwest Lng per uno dei 19 progetti nella Columbia Britannica. L'ultima parola spetta ora alla Canadian Environmental Assessment Agency, che si pronuncerà in autunno.