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giovedì 1 aprile 2021

31 milioni davanti alla tv per la crisi della Quinta Repubblica. - Cesare Martinetti

 

Emmanuel Macron è profondamente “désolé” per la disorganizzazione con cui è partita la campagna di vaccinazione, ora bisogna procedere con “umiltà e determinazione”. Ma non riconosce altri errori, se non per prendere atto della fiammata di contagi. E dunque, dopo giorni di attesa di una sua parola che non arrivava mai (Cosa sta aspettando?, titolava martedì a piena prima pagina Libération) ha finalmente annunciato ieri sera misure mai viste prima, che stanno dando luogo a una rivolta parlamentare e non solo delle opposizioni. Più che il merito si discute del metodo: il dibattito è stato aperto in Parlamento solo dopo la parola del monarca. 

Intanto chiuse anche le scuole (per tre settimane) per la prima volta per la prima volta dall’inizio della pandemia. Coprifuoco a partire dalle 19. No agli spostamenti tra regioni, ci si può muovere dalla propria abitazione per non più di dieci chilometri salvo motivi eccezionali. Smartworking senza eccezioni per tutti quelli che lo possono fare… Lo specifico francese è una flambée, una fiammata di contagi, quasi mezzo milione nelle ultime due settimane, 60 mila solo ieri, al 90 per cento dovuti alla temuta “variante inglese”, nome particolarmente evocativo. Ventotto mila francesi ricoverati, oltre 5 mila in rianimazione. Dunque ospedali e rianimazioni letteralmente a “bout de souffle”, senza respiro. Vaccinazioni troppo lente: a oggi 2 milioni e 700 mila, solo il 4 per cento della popolazione, hanno avuto la dose completa, l’11 per cento la prima dose. Il ministro della sanità Olivier Veran spera che con queste misure si possa arrivare al picco entro fine aprirle.

“Abbiamo agito né troppo presto, né troppo tardi”, ha detto questa mattina all’Assemblée il primo ministro Jean Castex per fare da scudo all’accusa più forte indirizzata in questi giorni al governo e al presidente Macron, quella di non aver ascoltato gli scenari anticipati dagli epidemiologi e aver usato finora mezze misure. Sotto accusa anche per l’ostinazione a valor tenere le scuole aperte, a qualunque costo, negando che fossero anch’esse- com’è ovvio - bacino di contagio. (Detto tra parentesi, l’espressione usata dal presidente fin dal marzo 2020 era “quoi qu’il en coûte” e altro non era che la traduzione del “whatever it takes” di Mario Draghi divenuta proverbiale nelle élite europee). 

Ieri sera Emmanuel Macron ha riconosciuto che sono stati fatti degli errori nell’organizzazione delle vaccinazioni, senza però mai ammettere di aver sbagliato nelle valutazioni generali. “Non ho nessun mea culpa da fare, né rimorsi da esprimere”, aveva detto sabato. La linea presidenziale è rimasta quella : la “flambée” non è arrivata a febbraio com’era stata prevista dagli scienziati, dunque “abbiamo guadagnato tempi di vita”. Adesso però “dobbiamo prenderci le nostre responsabilità, senza cedere la panico o alla negazione”.

Mentre i francesi si contagiano e muoiono più o meno come gli italiani (a ieri i morti erano 95 mila, in media 355 al giorno nelle ultime due settimane) sotto la tenda ad ossigeno c’è un altro malato illustre, la Quinta Repubblica. Da anni politici e costituzionalisti discutono sull’attualità del sistema istituzionale che Charles de Gaulle aveva ritagliato su sé stesso alla fine degli anni Cinquanta, in piena crisi d’Algeria e quando la seconda guerra mondiale era una memoria ancora fresca.

Da allora è praticamente rimasto intatto, la modifica più significativa è stata la riduzione da sette a cinque anni del mandato presidenziale fatta nel 2000 dalla coppia Chirac-Jospin, in un afflato destra-sinistra che aveva come obiettivo eliminare la distorsione della coabitazione e cioè la compresenza forzata di un presidente gollista e un primo ministro socialista (o viceversa) com’era avvenuto varie volte nel passato: Mitterrand-Chirac o appunto Chirac-Jospin. La coincidenza di elezioni presidenziali e legislative avrebbe dovuto risolvere il problema. È così è stato. Dal 2002 nessuna coabitazione. Ma il sistema presidenziale ne è risultato rafforzato, una vera “monarchia repubblicana” come nel disegno di De Gaulle, fino al punto che il brutale Sarkozy ha potuto derubricare il suo primo ministro Fillon in semplice “collaboratore”.

Con il più pacioso e caotico François Hollande la verticalità del sistema è parsa molto attenuata. Ma tutto si è rovesciato con Macron, fin dalla sera della sue elezioni quando il giovanissimo presidente si è presentato alla nazione in una scenografia che mescolava il “nouveau” con l’ “ancien régime”, lui solo nel cortile del Louvre sotto la piramide di Mitterrand, nell’aria le note della Marsigliese e dell’europeista Inno alla gioia. Macron è stato dunque una specie di rifondatore di una presidenzialissima Quinta Repubblica, teorizzando e praticando per se un ruolo “jupiterien” alla sommità dello Stato.

Nel corso delle varie crisi che hanno caratterizzato il suo mandato, dalla rivolta popolare e populista dei gilets gialli, a quella interclassista contro la riforma delle pensioni il presidente ha teso semmai a rafforzare il suo ruolo pantocratore, catalizzando lo scontento e gestendo in proprio le soluzioni. A metà mandato si è liberato di un primo ministro come Edouard Philippe divenuto troppo autonomo (e popolare) e ha collocato a Matignon l’attuale Jean Castex (un fedele di Sarkozy, tra l’altro) che per biografia e configurazione appare davvero come un “collaboratore” del presidente.

La crisi Covid ha enfatizzato questa situazione. Quella di ieri sera è stata la settima “allocuzione solenne” del presidente, 30,8 milioni francesi hanno ascoltato la sua parola e misurato la temperatura emotiva del palazzo rispetto alla pandemia. Una temperatura che è variata più volte nel corso dei mesi. La prima volta fu con tono bonapartista: “Siamo in guerra”. Poi via via il tono è cambiato, di volta in volta paternalista, scientifico, pedagogico. Ieri sera Macron ha voluto trasmettere un messaggio di umiltà e determinazione. Ma può un paese, un sistema, un mondo - visto che ci sono ancora “territori d’oltremare” - aspettare giorni e giorni la parola del presidente? Con governo e politica apparentemente paralizzati nell’attesa? Solo oggi all’Assemblée e domani al Senato si discuterà, ma di decisioni che sono state prese e annunciate ieri sera dal presidente. “Una Waterloo”, dice Marine Le Pen, mentre il capo degli Insoumis Jean-Luc Mélenchon parla di “pesce d’aprile”. Sono i capi delle opposizioni, estrema destra ed estrema sinistra, ma è bene ricordare che al primo turno delle presidenziali 2017 hanno preso ognuno un venti per cento dei voti, che sommati fanno quaranta che disegnano con nettezza i confini di uno stato d’animo collettivo anti sistema che non si è certo attenuato in questi quattro anni. 

Il dibattito all’Assemblea è in corso, e anche i centristi dell’Udi, che sono nella maggioranza, hanno annunciato che non parteciperanno al voto: “una mascherata”. La crisi della Quinta Repubblica è aperta. 

HuffPost.italia

venerdì 10 aprile 2020

Roby Festa 6 aprile alle ore 11:13

Sulla soglia dell'eternità' di van Gogh, la disperazione di vivere ...

Il 3 marzo chiamo il 112 perché mia madre ha febbre alta (39.5)e tosse fortissima. Viene dimessa lo stesso giorno dal pronto soccorso di Chiari. Diagnosi: polmonite, ma il tampone non le viene fatto in quanto “non è Covid”. La curo a mani nude, fidandomi dei medici, più esperti di me. Due giorni dopo trovo mio papà svenuto in bagno, con una pozza di sangue sotto la testa. Penso a un problema di glicemia, chiamo di nuovo il 112 ma non essendosi rotto niente non lo faccio ricoverare (non sia mai che prenda il covid in ospedale). La mamma intanto non migliora. Il mio compagno resta a dormire qui dai miei, per darmi sostegno. Il papà inizia a tossire con tosse secca. La mamma nel frattempo peggiora al punto che chiamo di nuovo il 112. La ricoverano e le fanno, stavolta, il tampone. Ovviamente è positiva. A Marco viene febbre, 38.5 per tre gg, con tosse e raffreddore. A me poche linee. Decido di portare mio papà a fare rx. Decido io, non un medico. Ha la polmonite e la febbre. Tutti e tre perdiamo il gusto e l’olfatto. Tutti mi sconsigliano di far portare il papà al pronto soccorso. Dopotutto respira ancora bene. Il numero verde della regione è gestito da impiegati di 12 anni. Litigo con l’ATS perché mi vogliono togliere la quarantena dopo 14 gg dal contatto con mia mamma, spiegando che sto vivendo col papà. Me la rimettono allora per altri 14 gg, ma perché gliel’ho detto io. Per telefono. Riesco a far venire l’unico santo medico che visita ad Orzinuovi, Micheli, che pubblicamente ringrazio e che non è il nostro medico di base. La decisione viene completamente demandata a me, sento medici del Civile, tramite mio fratello ho contatti con una virologa dello Spallanzani. Mi prendo l’enorme responsabilità di curarlo a casa, con le ovvie conseguenze che qualora fosse peggiorato avrei avuto sulla coscienza questa decisione per il resto della mia vita. Non ci hanno mai fatto un tampone, nonostante le mie continue richieste. “Dovete contare 14 gg da che siete asintomatici,se peggiora chiamate il 112”. Quando mia madre è morta non ci siamo potuti nemmeno abbracciare tra di noi, perché psicologicamente il timore di nuocere (perché questo succede, temi di nuocere agli altri) era più forte del desiderio di conforto.
Ecco perché non trovo ancora le parole per ricordare mia madre, che se ne è andata sola e spaventata in un cazzo di ospedale dove il secondo antivirale è arrivato dopo un’altra settimana, perché mancava.
Mia madre che non ho ancora sepolto.
Perché sono arrabbiata.
Perché la Regione Lombardia ha gestito di merda la situazione e lo dico con cognizione di causa, perché ho amici in diverse regioni e mi sto confrontando.
Perché so di dirigenti di fondazioni trovati a farsi fare di nascosto i tamponi.
Perché si parla tanto di Roma ladrona, ma l’incapacità gestionale, il populismo e la propaganda emergono in questi casi: quando i sindaci delle città più colpite ti chiedono aiuto con domande dirette (perché non vengono fatti i tamponi ai famigliari dei pazienti covid? Perché non partiamo con le analisi sierologiche come tante altre regioni? dove sono le mascherine? Perché non c’è un servizio di assistenza medica domiciliare come in altre regioni?) viene risposto che è polemica politica.
È una pandemia, mai successa prima, tutti sono alla sbaraglio, ok, ma ieri mi sono guardata un’ora intera di conferenza della World Health Organization e questo diceva il direttore generale (si, l’ho trascritto) “The best way for countries to end restrictions is to attack the virus with the aggressive and comprehensive package of measures that we have spoken about many times before: find, test, isolate and treat every case and trace every contact.” Trovare i sospetti, testarli, isolarli e curarli.
Se non vengono rispettate le disposizioni mondiali, ma andiamo avanti a clientelismi, non ne usciremo mai da questo incubo.
Oltre a tutti gli amici e amiche che ho sentito sempre vicini, ringrazio i medici che mi hanno aiutata e stanno aiutando grazie a Micheli, Lucio Scroffi, Francesca Angelini, Claudia dello Spallanzani, Diego Pezzola, Rosario, Carlo Lombardi, la Croce verde di Orzinuovi e Andrea Ferretti, il mio medico di base d.ssa Salvaderi che mi sta facendo tutte le ricette e che comunque mi chiama sempre, ma voglio ringraziare particolarmente una persona, un’amica piccolina ma dal cuore grande grande, un’infermiera che mi è stata vicino, mi ha dato costanti consigli, mi ha fatto prendere il saturimetro subito (me lo sognerò di notte), è volata a casa mia (con i rischi del caso)quando pensavo mia mamma morisse soffocata per causa mia (era andata di traverso una pastiglia), ha gestito tutte le mie crisi di panico e soprattutto quando mia mamma è stata ricoverata mi ha obbligata a chiamare l’ospedale per andare a salutarla (mi avevano già detto che era gravissima). Grazie a Carolina le ho potuto almeno dire addio, non lo dimenticherò mai. Avere un’amica infermiera è stata la mia fortuna più grande, nella sfortuna.
Scusate se sono stata lunga, ma era un mese che tenevo tutto dentro, ma vedere il video delle Iene dove uno dei loro giornalisti dichiara di essere ancora positivo dopo un mese mi ha fatta sbiellare.
Se volete condividerlo fate pure, in modo che sia noto ai più come noi famiglie siamo state abbandonate.


https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=883121532153001&id=100013654877344

mercoledì 20 febbraio 2019

Venezia, per il Mose un conto di oltre 5,5 miliardi. - Iacopo Giliberti




Non funzionerà. Bisognava fare come in Olanda. È tutto un magna magna. Non funziona. Con quello che ci hanno mangiato. Non ha funzionato. Sono tutti corrotti. Servirebbe ben altro. Le locuzioni che avete letto sono una selezione ristretta dei pareri comuni sul Mose, il sistema di barriere mobili per trattenere fuori dalla laguna l’acqua alta che rovina Venezia ed eccita i turisti.
Come un magnete, dal 2003 l’opera attrae i dubbi degli scettici. Giustamente. Dopo 25 anni dai primi abbozzi del progetto, dopo 15 anni dalla posa della prima pietra, dopo avere spento e spanto con generosità babilonese 5 miliardi pubblici, Venezia non ha ancora le dighe mobili e l’altra settimana è finita ancora una volta sott’acqua, 156 centimetri.
Dopo il passato, ecco i fatti di oggi.
Primo. Il Mose non funziona ancora perché potrà funzionare solamente quando sarà finito.
Secondo. Ormai è quasi del tutto completo.
Terzo. Finora è costato la cifra paperonesca di 5,15 miliardi.
Quarto. La stagione delle tangenti e dei satrapi è finita e da 4 anni l’opera è gestita con oculatezza e sobrietà dall’Autorità anticorruzione con la Prefettura di Roma e il Provveditorato alle opere pubbliche.
Quinto. Alla fine dei lavori sarà costato 5,49 miliardi.
Sesto. Le barriere mobili saranno completate a settimane, ma per far funzionare il Mose bisognerà realizzare la parte impiantistica.
Settimo. Potrà essere sperimentato tra un anno con le acque alte dell’autunno 2019.
Ottavo. Si è visto che alcune parti si ammalorano prima del previsto e la manutenzione sarà assai cara, forse un centinaio di milioni l’anno.
L’acqua alta
Venezia sprofonda da quand’è nata perché i terreni sabbiosi con il tempo si compattano e si assestano. Il fenomeno si chiama subsidenza. La subsidenza è diventata velocissima nel Novecento quando il polo industriale di Marghera ha cominciato a estrarre dalle falde acquifere del sottosuolo fiumi di acque produttive. Le foto di un secolo fa mostrano una Venezia orgogliosa e alta sulle acque, oggi è una città seduta al pelo dell’acqua.
Al fenomeno della subsidenza si sono sommati sbancamenti e scavi in laguna e soprattutto si sommerà l’alzarsi del livello dei mari, che sarà reso più drammatico e veloce quando il riscaldamento del clima scioglierà i ghiacci polari.
La laguna di Venezia è un bassofondo di acqua salmastra diviso dal mare da un cordone di isole e unito al mare da tre vastissimi canali naturali, le bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia. Ogni sei ore la marea cresce e ogni sei ore scende. Quando luna e sole sommano il loro effetto astronomico con l’apporto delle piogge e con il vento di scirocco che gonfia l’Adriatico contro la laguna, a Venezia l’acqua sale fino ad allagare piazza San Marco (70 centimetri, il punto più basso della città).
Il 4 novembre 1966 (chi scrive aveva 5 anni e ne ha un ricordo vago in bianco-e-nero) ci fu la più devastante delle “tempeste perfette” in cui si concentrarono tutti gli effetti disastrosi, il livello dell’acqua arrivò a 194 centimetri, con danni incalcolabili.
Il 16 aprile 1973 venne varata la Legge Speciale che dichiarò Venezia «di preminente interesse nazionale».
Dighe invisibili, scandalo visibile
Nel mondo ci sono molti esempi di paratoie che difendono i bassopiani costieri, per esempio in Olanda o alla foce del Tamigi in Inghilterra. Ma invece di grandi opere di ingegneria semplice e ingombrante, per Venezia negli anni ’70 si decise: le barriere contro l’acqua alta dovranno avere due caratteristiche irrinunciabili.
Primo, dovranno essere invisibili, non come quei colossi olandesi che rovinano il paesaggio e ingombrano ettari su ettari.
Secondo, non solamente invisibili ma anche “reversibili”. Cioè se un domani si inventasse una tecnologia oggi sconosciuta, le barriere dovranno poter essere dimenticate come se non fossero mai esistite.
L’unica soluzione per conseguire questi due princìpi irrinunciabili era costruire barriere che quando fossero a riposo sparissero sott’acqua senza dare alcun ingombro. A scomparsa: questo il principio secondo cui dal primo progetto di massima del 1981 sono state progettate le dighe mobili.
Quando l’acqua salirà oltre il livello stabilito (è stato deciso di chiudere le barriere con una marea di 110 centimetri, ma con questa scelta sarà allagata parte di piazza San Marco) le barriere saliranno dal fondo delle tre bocche di porto e divideranno la laguna dall’Adriatico.
Fu creato un potentissimo concessionario unico per lo Stato, il Consorzio Venezia Nuova, formato da imprese, il quale dopo dissipazioni colossali di denaro il 14 maggio 2003, alla presenza del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, avviò la costruzione delle dighe a scomparsa.
Costo iniziale previsto, 3.200 miliardi di lire, ovvero 1,6 miliardi di euro. Di sperpero in sperpero, oggi si sa che l’opera costerà 5,5 miliardi di euro, tre volte e mezzo di più.
Gli euro scorrevano a fiumi con generosità: partiti politici, imprese, funzionari dello Stato, associazioni di ogni colore e tonalità, comprese bocciofile e cori di battellieri, ricevettero segnali di tanta generosità. Il gioco si interruppe con lo scattare di manette. Inchieste, retate, scatoloni di documenti, un’infinità di intercettazioni.
Spento il forno bruciasoldi, bisognava finire il lavoro. Nel 2014 la spesa finale di 1,38 miliardi fu messa sotto la gestione severa dei commissari scelti dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), Giuseppe Fiengo (Avvocatura di Stato) e Francesco Ossola (Politecnico di Torino), i quali controllano con minuzia ogni atto insieme con il provveditore alle opere pubbliche Roberto Linetti, il committente che èroga i finanziamenti (già stanziati fino all’ultimo euro).
Il Mose oggi.
Ai primi di novembre l’acqua alta è tornata. Più che l’altezza superba, stavolta ha colpito la continuità: nelle 6 ore di calo l’acqua non calava e rimaneva alta; per dimensioni la quarta acqua alta della storia di Venezia. Se ci fossero state le paratoie del Mose, la barriera sarebbe rimasta in funzione quasi 22 ore di fila.
Sono state posate 67 delle 78 paratoie mobili, ne vengono aggiunte un paio la settimana. Finora sono stati chiusi lavori per 5,14 miliardi. Lavori importanti, come il mini-Mose che difende il paesino di Malamocco (funziona). Vanno completati lavori per gli ultimi 300 milioni come l’allestimento degli edifici di comando, gli impianti elettrici, i sistemi di monitoraggio, le rapide per acqua e aria che movimentano le paratoie.
A mano a mano che l’opera viene realizzata se ne scoprono i difetti.
Per esempio le cerniere delle dighe mobili, garantite per 50 anni, in realtà hanno già punti di ruggine e se non si farà una manutenzione accurata potranno durare meno di 20 anni. I problemi finora scoperti portano a un sovraccosto di una cinquantina di milioni, l’1% di un’opera da 5 miliardi.
Qui i nomi, le cifre, le mazzette, i favori...

giovedì 10 marzo 2016

Adozioni internazionali. Tutte le bugie del governo. . Chiara Rizzo



«La Cai operativa? Ma se si è riunita solo nel 2014. È un soviet». Intervista a Simone Pillon, avvocato, membro della commissione.
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola – Un clamoroso calo delle adozioni internazionali di cui quasi nessuno parla, mentre il dibattito mediatico è per lo più concentrato sulla, non meno importante, stepchild adoption. Eppure, l’Italia – per anni paese modello in tutto il mondo per l’accoglienza (nazionale e internazionale) in famiglia di minori – vive un brusco cambio di tendenza. Una rivoluzione all’incontrario. Il governo Renzi come risponde al problema della flessione? Semplicemente nega che vi siano problemi. Lo scorso 5 marzo, rispondendo in Senato a due interrogazioni presentate da Carlo Giovanardi e Maurizio Sacconi, il rappresentante dell’esecutivo in aula (che quel giorno era, va ricordato, il sottosegretario alle politiche Agricole Andrea Olivero) ha rassicurato tutti: «L’operatività della commissione, intensissima negli ultimi mesi, è pienamente garantita e in atto». «Ma quando mai? Ci siamo visti una volta in due anni», denuncia a Tempi Simone Pillon, avvocato, membro della suddetta commissione.
Pillon, non siete pienamente operativi?
No. Lo scorso 19 marzo è stata l’ultima volta che ho inviato una richiesta di convocazione della commissione con posta elettronica certificata e la mia richiesta non è stata nemmeno riscontrata. Non ho avuto alcuna risposta. La commissione non viene convocata dal 27 giugno 2014.
Si tratta della riunione in cui il magistrato Silvia Della Monica è stata nominata vicepresidente della commisione?Sì, è stata la prima riunione presieduta dall’attuale vicepresidente, che però fa anche la presidente.
Scusi, ma la presidenza non l’ha assunta su di sé il premier Matteo Renzi?
In teoria presidente della Cai dovrebbe essere il presidente del Consiglio o qualcuno da lui delegato tra i membri dell’esecutivo. Ci dovrebbe poi essere anche un organo tecnico, rappresentato dal vicepresidente, che deve essere una persona diversa. Nell’interrogazione parlamentare del 5 marzo, Olivero ha semplicemente spiegato che «la scelta del presidente del Consiglio di tenere su di sé la competenza delle adozioni internazionali, delegando le sue funzioni alla vicepresidente Silvia Della Monica, è stata gradita in sede internazionale». Il vicepresidente, poi, dovrebbe essere un magistrato con esperienze in giustizia minorile.
Invece?
Ho guardato il curriculum che è stato pubblicato online e non ne ho trovato traccia. È stata consigliere di Cassazione e magistrato a Firenze prima. È stata anche senatrice in quota Pd. Non mi risultano esperienze nel settore minorile, ma se qualcuno ha notizie diverse sono pronto ad ascoltare.
Ma in questa prima riunione del 2014, Della Monica cosa vi ha detto? Vi avrà presentato il suo programma per guidare la Cai, no?
Ci ha detto che ci saremmo aggiornati presto perché quel giorno doveva correre in Senato. La riunione del 2014 è durata dieci minuti. Una successiva riunione non è mai stata fissata.
Magari Della Monica si è rimboccata le maniche da sola, e ha continuato a lavorare in tutto questo tempo.
No. La vicepresidente non può prendere decisioni di alcun tipo in assenza della commissione, e le decisioni non possono essere operative se non vengono prima ratificate dalla Cai. L’unica cosa che è accaduta dal 2014 è che abbiamo assistito a una violenta rivoluzione della norma giuridica, perché un organo democratico, la commissione, è diventato monocratico e qualsiasi decisione abbia adottato il vicepresidente è priva di ratifica.
Il 5 marzo, invece, il sottosegretario Olivero ha garantito: «Nell’ambito dei rapporti internazionali, si è lavorato intensamente in questo anno, con esiti molto importanti. La commissione ha invitato e ricevuto molte delegazioni per importanti sessioni di lavoro».
Quello che so è che le adozioni sono crollate e che molti paesi stranieri si lamentano dell’assenza della commissione che non avvia i contatti necessari, a livello burocratico, per aprire nuovi canali. Moltissime famiglie mi chiamano perché non hanno alcuna notizia, addirittura ce ne sono state alcune che mi hanno raccontato di essere state convocate dalla vicepresidente, lasciate attendere ore, per poi non essere ricevute. La vicepresidente dice di voler fare “poche ma buone” adozioni. La verità è che si è trasformato un virtuosissimo sistema di collaborazione pubblico-privato qual era la Cai – un sistema copiato pure dagli Stati Uniti – in una specie di scatola vuota. Anzi peggio, oggi la Cai è divenuta un soviet in cui tutto passa dal volere e dal capriccio di una singola persona.
Lei ha chiesto dei chiarimenti?
Ho denunciato pubblicamente quanto accade. Ogni tanto mi convoca qualche senatore per chiedermi se ci sono novità e provare a far pressioni sul governo, ma allo stato attuale è tutto fermo.
A suo avviso c’è una motivazione dietro tutto quello che starebbe avvenendo in seno alla Cai?
Certamente. Io penso che c’è una motivazione culturale alla base di tutto quello che sta accadendo: demolire la collaborazione tra pubblico e privato che era in atto nella commissione, per imporre una visione “statocentrica” dove il privato è sottomesso allo Stato che fa e disfa a suo piacimento.

Se la C.A.I., Commissione per le Adozioni Internazionali, non si riunisce dal 2014, tutta questa gente, tra cui la presidentessa - nonché vicepresidentessa, senatrice del PD, e consigliera della Suprema Corte di Cassazione, che cosa fa?
COMPOSIZIONE DELLA C.A.I.
Presidente: Presidente del Consiglio dei Ministri, dott. Matteo RENZI. Per delega, Presidente è la Cons. Silvia DELLA MONICA
Vice Presidente: Cons. Silvia DELLA MONICA, consigliere di Cassazione
Componenti:
3 rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
1 rappresentante del Ministero degli Affari Esteri;
1 rappresentante del Ministero della Pubblica Istruzione;
1 rappresentante del Ministero dell'Interno;
2 rappresentanti del Ministero della Giustizia;
1 rappresentante del Ministero del Lavoro Salute e Politiche Sociali;
1 rappresentante del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
4 rappresentante della Conferenza unificata Stato-Regioni;
3 rappresentanti delle associazioni;
3 esperti.
Non vi sentite turlupinati?
Cetta.