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sabato 21 novembre 2020

Recovery, nessun ritardo: “Non esiste un caso in Ue”. - Wanda Marra

 

Salta sulla sedia Enzo Amendola, ministro degli Affari europei, quando legge l’apertura di Repubblica che parla di “allarme” Ue per “i ritardi” dell’Italia nella presentazione del Recovery plan. Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, abbozza una risata incredula. Mentre Giuseppe Conte, all’Assemblea dell’Anci, prende la questione di petto: “È stata pubblicata con grande evidenza su un quotidiano una fake news: l’Italia in ritardo sul piano di resilienza. Quella notizia non viene neppure da Bruxelles, è stata inventata di sana pianta”. Poi racconta il modo di procedere dell’esecutivo: “Lavoriamo già con la Commissione, settimanalmente, per la definizione dei progetti. Ieri sera (mercoledì ndr) sino alle 11 abbiamo avuto una riunione interna per definire la struttura normativa che consenta di garantire che il piano abbia rapida attuazione”. Presenti Conte, Amendola e Gualtieri.

“Non esiste un caso Italia a Bruxelles”, è il messaggio che il trio direttamente impegnato sul dossier ci tiene a far passare. Il supporto arriva dalla Commissione. Lo staff di Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici, twitta un brano della conferenza stampa di mercoledì con Valdis Dombrovskis in cui negava qualsiasi “irritazione” sui tempi della presentazione dei Piani. A chiarire a che punto sono i lavori è lo stesso Amendola: “A fine mese ci sarà un’altra riunione del Comitato interministeriale per gli Affari europei. Poi invieremo nuovi documenti al Parlamento”. Le linee guida sono state sottoposte alle Camere a metà ottobre. Il ministro nega anche problemi di rivalità: “Conte ha la conduzione, Gualtieri con il Mef e la Ragioneria di Stato ragiona sulle risorse, io coordino i lavori”.

Sono due giorni che in Italia il Recovery plan è tornato al centro della discussione. Da quando Marco Buti, capo di gabinetto di Paolo Gentiloni, ha scritto un lungo documento (di cui ha dato notizia il Corriere della Sera) in cui esprimeva preoccupazione non tanto sui tempi, ma sulle oggettive difficoltà amministrative legate alla sua gestione. Arrivando a raccomandare “una cabina di regia”. Che costruire il piano di riforme sia un’impresa complessa e spendere le risorse pure, non è un mistero. L’esecutivo sta già lavorando a una struttura di governance. Spiega Amendola: “Si sta ragionando su 4 capitoli. Governance, progetto, criteri di impatto e visione generale. Ogni settimana facciamo il punto con lo staff della Commissione”.

Ecco cosa diceva Gentiloni mercoledì: “Non credo che ci sia una irritazione o una delusione della Commissione sui tempi della presentazione del piano. Siamo in una fase in cui solo 6 o 7 paesi hanno presentato in forma molto iniziale i loro piani. Noi incoraggiamo i paesi a presentarli in una forma preliminare, perché questo aiuta il dialogo tra i governi e gli uffici della Commissione per risolvere i problemi”. Tra i grandi Paesi che hanno presentato delle bozze di piano ci sono Francia e Spagna, chiariscono fonti europee. “Linee guida”, sintetizza Amendola. Peraltro, la presentazione è fissata a metà gennaio e dunque per ora non esiste neanche lo strumento per l’invio ufficiale dei piani. Dalla Commissione chiariscono che lo stato di avanzamento è molto eterogeneo: per alcuni paesi esiste della documentazione più dettagliata, per altri ancora niente. Ma parole come “allarme” o “irritazione” non caratterizzano lo stato d’animo a Bruxelles. Senza contare che adesso il vero problema è superare il veto di Polonia e Ungheria, che rischia di bloccare tutto.

Nessun problema neanche a Roma? Ancora Amendola: “Abbiamo fatto due decreti Ristori e una legge di Bilancio nelle ultime due settimane”. Quando è arrivata la seconda ondata Covid, molti tecnici si sono trovati impegnati su altre priorità. Ma i ministeri stanno lavorando. Al netto delle difficoltà reali, l’impressione è che il Recovery sia diventato un terreno di scontro politico come il Mes, sul quale misurare insofferenze. Magari proprio da parte di settori del Pd che vedrebbero bene cambiamenti al governo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/20/recovery-nessun-ritardo-non-esiste-un-caso-in-ue/6010004/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ore-19&utm_term=2020-11-20

giovedì 28 maggio 2020

Il ritorno dello Gedi. - Marco Travaglio

Virus, Copasir: «Fake news contro l'Italia, c'è volontà di destabilizzare»
Da qualche settimana mi svegliavo la mattina con uno strano senso di vuoto. Come se mi mancasse qualcosa e non sapessi che cosa. Poi ieri ho letto Repubblica e ho capito: le fake news russe. E, già che ci siamo, pure cinesi. Ecco cos’era quella sgradevole sensazione: “Da Russia e Cina fake news contro l’Italia. È una guerra fredda”. E chi lo dice? Il Copasir, che dovrebbe controllare i servizi segreti, ma s’è preso una vacanza e ora indaga – insieme a un’ottantina di task force italiane ed europee – sulle fake news d’importazione (missione senz’altro più agevole che indagare su quelle italiane). E ha partorito un “report” di notevole “portata” “di cui Repubblica è venuta in possesso”. E, siccome a caval donato non si guarda in bocca, è passata sopra al dettaglio che il presidente del Copasir è il leghista Raffaele Volpi, detto The Fox, compare di partito di quelli che andavano e venivano dall’hotel Metropol di Mosca a trattare tangenti sui carburanti. Gente che di Russia se ne intende. Infatti il quotidiano di Sambuca Molinari smaschera “Sputnik, ma anche Russia Today” come “fonti esposte della disinformatia russa, fabbricanti di narrative artefatte”. E Repubblica se ne intende anche più di Volpi e del Copasir, visto che dal 2010 al 2015 allegava come suo inserto settimanale Russia Oggi, a cura del Cremlino di Putin. E ora scopre, grazie a una “chiosa” di Volpi, che Russia Today e Sputnik “tendono a fomentare polemiche contro l’Ue e i Paesi dell’Alleanza euro-atlantica” (mai esistita, ma fa niente).
L’allerta, come si può immaginare, è ai massimi livelli. “Senza alcuna pietà per le migliaia di morti che si accumulavano negli obitori italiani”, “la fucina della disinformazione russo-cinese ha continuato a sfornare centinaia di fake news” per “condizionare l’opinione pubblica italiana” e “indebolire il fronte delle democrazie occidentali nello scacchiere geopolitico mondiale”. Mica pizza e fichi. Ma anche per “delegittimare un competitor come gli Stati Uniti” (casomai a delegittimarlo non bastassero le cazzate fatte e dette da Trump). Stiamo parlando della “nuova frontiera della Guerra Fredda del terzo millennio”, “luogo di intersezione tra le maggiori potenze globali” e pensate un po’: “il Coronavirus è il palcoscenico perfetto che i regimi autocratici stavano aspettando”. Corbezzoli. In tre mesi Mosca e Pechino ci hanno trasformati in 60 milioni di agenti putiniani e di guardie rosse xijinpinghiane con la sola forza del pensiero, a colpi di “decine di profili fasulli”, “account anonimi” e “un esercito di troll”, senza dimenticare “le famigerate botnet” che, qualunque cosa siano, non hanno bisogno di presentazioni.
Gli esempi delle fake news che ci hanno russocinesizzati in blocco fanno accapponare la pelle. 
1) Il video con “una voce da un balcone” che urla “Grazie Cina!”, mentre “anziani commossi e famiglie si abbracciano e applaudono per le mascherine e gli aiuti ricevuti”: terribile. 
2) “La notizia falsa che i nostri servizi fossero a conoscenza del virus già nel novembre 2016 e avessero taciuto… rimasta sul sito di Rainews per mezza giornata”, addirittura (cioè più segreta dei servizi segreti): agghiacciante. 
3) “13 articoli apparsi sul sito Sputnik” sul “virus creato in un laboratorio americano in Ucraina” e su “Bill Gates finanziatore del virus” (evidentemente ha un conto in banca pure il Covid-19): mostruosi. 
4) Altri “due articoli dal contenuto discutibile”: da non dormirci la notte. 
5) “Casi apparentemente ‘autoctoni’, ma di cui non è ancora chiara l’origine”, tipo “il gruppo pubblico su Facebook i cui iscritti, facendo leva sulla difficoltà economica di cui soffre la popolazione della Puglia, inneggiano alla rivoluzione, al disordine sociale, contro il governo italiano”: la famosa insurrezione del Tavoliere e della Capitanata, da pelle d’oca. Ma anche “il gruppo privato ‘Rivoluzione Nazionale’ che incoraggia i raid ai danni di supermercati nel palermitano”: da barricarsi in casa.
Noi per la verità ci eravamo fatti l’idea che a soffiare sul fuoco delle sommosse e degli assalti ai supermercati fosse La Stampa, italianissima cugina di Repubblica, con titoli rasserenanti come “Rivolte al Sud: a Palermo prime razzie alimentari” (18 marzo), “Il Nord a rischio di tensioni sociali” (12 maggio), che sarebbero parsi un po’ eccessivi persino a Maria Giovanna Maglie. Ma si sa che questi troll russo-cinesi si annidano dappertutto, anche tra gli intrepidi cavalieri Gedi. Ieri, per dire, mentre l’annuncio della Von der Leyen sul Recovery Fund spazzava via tutte le panzane sul nostro governo perdente in Europa e condannato a chiedere l’elemosina al Mes, ci siamo abbeverati alla fonte purissima dei nemici delle fake news: Repubblica. E abbiamo scoperto, dal nostro idolo Stefano Folli, che Conte è “imbarazzato” perché i renziani hanno salvato Salvini e dimostrato che sul blocco della Open Arms il premier “non poteva non essere informato e quindi era consenziente, dal momento che Salvini, nei giorni della Open Arms, non è stato smentito da Palazzo Chigi”. In realtà Conte lo smentì con una lettera ufficiale lunga due metri e pubblicata anche su Facebook il 15 agosto 2019. Ma queste son cose note ai giornalisti, dunque non a Folli. Resta solo da appurare (magari dal Copasir) se le sue fake news arrivino dalla Russia, o dalla Cina, o siano produzione propria.

mercoledì 15 maggio 2019

Dal Tav al reddito, quando il falso è dei giornali.



L’Unione europea ha pronta una procedura di infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo. Il reddito di cittadinanza provocherà l’assalto agli uffici postali. Anzi no, contrordine lettori, è un flop. Intanto gli immigrati costringono al matrimonio una bambina di nove anni. Se queste notizie vi preoccupano, tranquillizzatevi. Sono fake news. Solo che non nascono nei bassifondi dei social, bensì dai nostri maggiori quotidiani (un articolo più ampio sul tema si trova sul mensile Fq MillenniuM attualmente in edicola).

CELEBRE il caso di una certa Beatrice Di Maio, individuata da La Stampa come una produttrice di bufale contro Pd e Quirinale. “Ha qualcosa a che fare con la Casaleggio o la comunicazione ufficiale del M5S?”, si chiedeva il quotidiano. Si trattava in realtà di Tommasa Giovannoni Ottaviani, moglie del forzista Renato Brunetta, che agiva in proprio.

Ancora, avrebbe meritato qualche verifica in più il trattamento riservato all’allora deputato Luigi Di Maio nell’indagine su Raffaele Marra, l’ex vicecapo di gabinetto della sindaca di Roma Virginia Raggi: “E Di Maio scrisse alla sindaca: Marra è un servitore dello Stato” (Corriere della Sera). “M5S, le chat che smentiscono Di Maio. Scrisse a Raggi: Marra è uno dei miei”(Repubblica). Peccato che quei titoli fossero basati su uno scambio WhatsApp finito monco negli atti giudiziari. Nella versione integrale, diffusa la mattina dopo, così Di Maio rispondeva alla Raggi: “Quanto alle ragioni di Marra. Aspettiamo Pignatone (il procuratore di Roma, ndr). Poi insieme allo staff decidete/decidiamo. Lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”. Una telefonata all’interessato avrebbe chiarito tutto per tempo.

È invece esploso pubblicamente a inizio anno lo scontro interno al Corriere della Sera. Il corrispondente da Bruxelles Ivo Caizzi ha accusato il direttore Luciano Fontana di aver pubblicato titoli del tutto fuorvianti nel dibattito incandescente sulla manovra economica del governo gialloverde. Il primo novembre 2018, ha sostenuto Caizzi, il quotidiano apriva “titolando in prima pagina su una “procedura d’infrazione” Ue contro l’Italia inesistente, oltre che tecnicamente impossibile, in quella data”.

OPPURE fate finta di arrivare oggi da Marte e provate a farvi un’idea sul Tav leggendo i quotidiani: sarà un disastro economico e ambientale oppure un’infrastruttura fondamentale per restare in Europa? E chissà se qualcuno ha deciso di tenersi lontano dagli uffici postali leggendo, all’avvicinarsi del debutto del reddito di cittadinanza, titoli come “Uffici postali e Caf potrebbero andare in tilt” (La Stampa, 6 marzo) o “Reddito, partenza nel caos” (Repubblica). Poteva non distinguersi Libero? “Un’orda mai vista invaderà Poste e Inps”. Un incubo, dal quale per fortuna è stato facile risvegliarsi il giorno dopo: “L’assalto al reddito parte al rallenty” (Repubblica, 7 marzo).

Quando i protagonisti sono gli immigrati, è ancora più facile che le fake news bollinate dalla carta stampata imbocchino il senso unico, come la raccapricciante storia di una sposa-bambina di 9 anni abusata dal marito “musulmano” pubblicata dal Messaggero a novembre 2017, poi completamente smentita dai carabinieri di Padova. Quando ormai i commenti indignati di politici e opinionisti di prima pagina avevano inondato l’opinione pubblica.

https://infosannio.wordpress.com/2019/05/14/dal-tav-al-reddito-quando-il-falso-e-dei-giornali/?fbclid=IwAR1DDOUHLZZx0MSbFF8ojsbTNki5HJqy34dlh9tg0GBXth5njnvU9YgwvD0

lunedì 8 aprile 2019

MA MI FACCIA IL PIACERE - Marco Travaglio

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I Serenissimi. “Tria deve stare sereno” (Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, 5.4). E chiedere a Enrico Letta come si fa.
Nuovi martiri. “Caro Mattarella, liberi Formigoni. Ponga fine a questo strazio” (Vittorio Feltri, Libero, 6.4). “Assurdo tenere in cella Formigoni. Dovrebbe essere senatore a vita” (Luigi Amicone, Libero, 7.4). E solo perchè ha rubato appena 6 milioni di euro. Se arrivava a 10, presidente della Repubblica.
Giornalismo investigativo. “Roma, la sindaca Raggi parcheggia l’auto di servizio in divieto di sosta. L’auto elettrica del Campidoglio lasciata davanti al segnale per due ore. Niente multa. L’ironia sui social: ‘Ma non criticava pesantemente Marino per lo stesso motivo?’” (Corriere.it, seconda notizia del giorno in homepage, 7.4). A parte il fatto che la Raggi non parcheggia perché non può guidare, avendo la tutela obbligatoria della Polizia municipale per ordine del Viminale dal 2016, il cartello indica la fine del divieto di sosta: dunque l’auto del Comune che trasporta la sindaca poteva parcheggiare. Però, dài, sui giornaloni conta il pensiero.
Levategli il vino. “Invito Di Maio a non venire a Verona nemmeno tra pochi giorni, quando ha in programma la visita a Vinitaly. Può andare da un’altra parte a fare passerella elettorale, visto che è la stessa città che ha insultato. Se esistesse il Daspo urbano per le offese, Di Maio lo rischierebbe” (Federico Sboarina, sindaco di centrodestra di Verona, 2.4 mattina). “Invito tutti, compreso Di Maio, per scoprire che Verona è la città più bella del mondo” (Sboarina, 2.4 pomeriggio). Ha già iniziato a bere.
Colpa di Virginia/1. “Lo Stato tappa il miliardario buco della Raggi” (Libero, 5.4). “Il governo si accolla i maxi-debiti di Roma e salva la Raggi” (La Stampa, 5.4). “Debito, arriva il ‘soccorso amico’. Esulta Raggi” (Repubblica, 5.4). Trattasi dei 12,8 miliardi di debiti accumulati dalle giunte di sinistra e destra fino al 2008, quando furono commissariati da B. e Alemanno 8 anni prima che la Raggi diventasse sindaca. Ma, anche qui, conta il pensiero.
Colpa di Virginia/2. “Roma, nel disastro grillino, nuove manette per le coop. Il business dell’accoglienza non è finito. Arresti per la onlus che intascava soldi e faceva fuggire i minori” (il Giornale, 4.4). Siccome la onlus ruba, è colpa della Raggi.
Carfagna in castagna. “Marco Travaglio ha indicato in un editoriale Silvio Berlusconi come colpevole dell’omicidio della signora Fadil” (Mara Carfagna, deputata FI, Otto e mezzo, La7, 4.4). “Il cui prodest, una volta tanto, allontana i sospetti da B., che tutto poteva augurarsi fuorché il ritorno dei bungabunga sui giornaloni, che li avevano rimossi per riabilitarlo come leader moderato e argine al populismo. Non solo: da viva Imane poteva essere contestata al processo Ruby-ter da Ghedini&C.; da morta, i suoi verbali dinanzi ai pm valgono come prova inconfutabile” “Sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil… I testimoni B. di solito li compra, non li ammazza” (Marco Travaglio, Il Fatto quotidiano, 17 e 19.3). Secondo voi, così, a naso, chi è il bugiardo?
In fondo a sinistra. “La sinistra si divide sulla patrimoniale. Il no di Zingaretti alla proposta lanciata da Landini: ‘Non è una mia proposta’” (Repubblica, 4.4). Sennò poi scambiano il Pd per un partito di sinistra.
Amorosi Sensi. “Basterebbe il voluminoso apparato bibliografico, le note e le fonti dell’Esecuzione per ringraziare @jacopo_iacoboni del suo cuore di tenebra” (Filippo Sensi, deputato Pd, Twitter, 3.4). C’è chi legge i libri e chi guarda le figure. Sensi lecca le note.
Best killer. “Stop all’ultimo libro noir di Battisti: l’editor francese congela l’uscita” (Repubblica, 1.4). Teme che sia un libro d’evasione.
Il titolo della settimana/1. “Stefano Boeri: ‘Pure i poveri avranno il Bosco Verticale. Il grattacielo ecologico da ricchi può essere replicato per le case popolari in tutte le città’” (Libero, 4.4). È la risposta del Pd al reddito di cittadinanza: il bosco di cittadinanza.
Il titolo della settimana/2. “Il livello record del debito, come ai tempi di guerra” (Federico Fubini, Corriere della sera, 6.4). L’Apocalisse, ormai, è questione di ore. Penitenziagite!
Il titolo della settimana/3. “L’appello al governo per Radio Radicale: ‘Non tolga i fondi, è una voce da salvare’” (Corriere della sera, 5.4). Per sapere: ma questa voce non potrebbe parlare gratis, o almeno non a nostre spese?

venerdì 9 marzo 2018

Meridionali in coda per il reddito di cittadinanza: come il Pd inventa una fake-news. - Francesca Fornario

Meridionali in coda per il reddito di cittadinanza: come il Pd inventa una fake-news

Oh, avete sentito la notizia di quegli scansafatiche dei meridionali in coda ai Caf per chiedere il reddito di cittadinanza promesso dai grillini, rilanciata da tutti i tg???
È falsa. Una bufala totale, lanciata dalla Gazzetta del Mezzogiornoe ripresa da Repubblica e da tutte le tv e sapientemente smontata dal Fatto. Una panzana di quelle che Matteo Renzi, all’inizio della sua campagna elettorale, prometteva solennemente di combattere: “Ho creato un milione di posti di lavoro e ogni quindici giorni farò un report contro le fake news (Il prossimo tra 14 giorni, ndr)”.
La falsa notizia è stata messa in giro da un esponente del Pd e da un sindacalista che faceva propaganda per il Sì al referendum di Renzi.
“Da lunedì ci sono lunghe code al Caf: decine e decine di meridionali che chiedono i moduli da riempire per poter ottenere il reddito di cittadinanza promesso dai 5 Stelle!”, hanno raccontato i vertici di Porta Futuro, centro di orientamento al lavoro di Bari, il cui responsabile è Franco Lacarra, delegato welfare del Pd barese e dirigente del comune governato dal sindaco (renziano) Antonio Decaro. Il sindaco di Giovinazzo, Tommaso Depalma, che in campagna elettorale ha sostenuto il Pd, conferma e rilancia: “Già da lunedì dietro la porta dell’assessore ai Servizi Sociali di Giovinazzo c’erano persone in fila per chiedere spiegazioni sul Reddito di Cittadinanza promesso dal M5s in caso di vittoria! Abbiamo dovuto dirgli che era solo una promessa…”.

Qualcosa, però, non torna: non si trovano testimonianze né foto delle persone in code, né a Bari, né a Giovinazzo, ne in altri comuni del sud. La notizia però monta: le tv dedicano lunghi servizi e dibattiti ai meridionali che pretendono i soldi senza lavorare e che per questa loro atavica inclinazione al parassitismo hanno votato in massa 5 Stelle.
Il testimone intervistato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, però, ritratta. Non si trova uno disposto a raccontare che sì, lui era lì in coda, con decine di altri, perché aveva creduto alla promessa dei 5 Stelle. Non uno che li abbia visti. Si scopre anzi che il responsabile del centro per l’impiego che ha diffuso la notizia, Franco Lacarra, è fratello di Marco, segretario Pd appena eletto parlamentare in quota Renzi. Il quale Marco Lacarra, a fine febbraio, è stato accusato dai 5 Stelle pugliesi di aver affidato illegittimamente un incarico regionale da 19mila euro a un suo parente. Chi? Il fratello Franco.

Gli attivisti locali del Movimento 5 Stelle corrono comunque a verificare: “Abbiamo controllato e dopo aver girato alcuni Caf senza scorgere neanche lontani tentativi di assalti, abbiamo deciso di recarci direttamente a Porta futuro”, racconta Sebastiano Tagliaferro: “All’ingresso alcuni addetti ci hanno spiegato che in realtà loro non avevano visto quasi nessuno, che la notizia sentita in tv li ha lasciati di stucco “. Cercano direttore Franco Lacarra, costretto anche lui a ridimensionare di molto la portata dell’assalto agli sportelli: non centinaia di persone che nessuno ha mai visto ma… “alcune”. Niente code, niente ressa. Gli attivisti gli chiedono di pubblicare una smentita che esce come post sulla pagina Facebook del centro per l’impiego. Anche il sindaco di Giovinazzo modifica la sua versione dei fatti, al telefono con l’Adnkronos, dopo aver riferito delle lunghe file: “Sono venute 4 o 5 persone, tutto qui, ma è normale, vengono sempre…”.
Una bufala anche l’unico altro caso specifico al quale le tv hanno fatto riferimento per poi generalizzare e far la morale ai meridionali pigri e stolti che abboccano alle promesse di Di Maio.

Palermo, Toto Barone, delegato cittadino della Lnd–Figc, affigge un manifesto all’ingresso del suo patronato: “Qui non si fanno pratiche per il reddito di cittadinanza”. Poi si lamenta al telefono con le agenzie di stampa: “Ecco cosa siamo costretti a scrivere oggi grazie ai Cinque Stelle!”. Anche a Palermo, però, nessuno ha visto né fotografato le code. Sul sito personale di Barone colpisce un particolare: il logo per il Sì al referendum costituzionale di dicembre 2016.
Il Fatto chiede chiarimenti alla consulta nazionale dei Caf, che smentisce categoricamente ogni tipo di ricostruzione: “Si sarà trattato di casi isolati, comunque numeri irrilevanti. Non è stata segnalata nessuna coda ai nostri sportelli”.
I tg e talk show che hanno dato la notizia falsa non danno però la smentita che poi è la notizia vera, perché non ci farebbero una gran figura ad ammettere di non aver verificato i fatti, e di aver mandato in onda generiche immagini d’archivio di code al Caf come se quelle fossero le file per il reddito di cittadinanza.

Non mi ha sorpreso che fosse una fake news. In questi mesi ho incrociato centinaia di elettori 5 Stelle. Quando domandavo: “Perché voti 5 Stelle?” nessuno mi ha ma citato il reddito di cittadinanza, mai. Né fuori dalle fabbriche né tra i giovani né tra gli ex elettori di sinistra. Ti spiegano che votano perché i 5 Stelle sono gli unici che possono fare argine alla destra/Renzi/le larghe intese e cercano di convincerti a fare altrettanto: “Proviamo, sono comunque meglio loro di Renzi/Berlusconi/D’Alema/Salvini”.
A naso, do anche una diversa interpretazione della notizia del reddito di cittadinanza diventato trend topic su Google la notte delle elezioni. Non credo siano gli lettori ansiosi di cercare il reddito su Google alle 4 di mattina, quando bastano pochi click per diventare trend sui motori di ricerca. Sospetto che a digitare fossero gli unici svegli la notte delle elezioni: giornalisti e candidati.

A quale scopo, però, il Pd ha rilanciato una simile fake news? Per irridere i meridionali? Per fare apparire irresponsabile Di Maio al confronto del moooolto più responsabile Silvio Berlusconi, nella speranza di convincere i pochi elettori rimasti che è meglio fare il governo con Berlusconi, cosa che del resto il Pd ha già fatto in passato?
Basandosi su questa fake news, in tutti i dibattiti tv, commentatori e esponenti Pd hanno rafforzato nella mente dei pochi elettori residui il pregiudizio che i meridionali siano parassiti e scansafatiche e l’idea che non sia etico che lo Stato paghi chi sta a casa senza lavorare (dimostrando di ignorare la proposta 5 Stelle). Eppure, gli esponenti Pd sanno – mi auguro –  tre cose: la prima è che l’Italia è il solo paese europeo oltre alla Grecia a non avere una forma di reddito minimo garantito ed è per questo tra i paesi dove la povertà è aumentata vertiginosamente: triplicata in 10 anni, invece che diminuita. La seconda è che l’Europa, un reddito universale per tutti, ce lo chiede dal 1992 ma il Pd e Forza Italia hanno preferito dar retta all’Europa solo quando chiedeva di aumentare l’età pensionabile, precarizzare il lavoro, salvare le banche invece dei poveri. La terza è che pagare chi non lavora, cosa che per gli esponenti Pd sarebbe oltremodo diseducativa, è quello che lo Stato italiano già fa da sempre: lo fa attraverso i sussidi di disoccupazione riformulati da Monti e Fornero e poi da Renzi con la Naspi, lo fa attraverso il reddito di inclusione (poche centinaia di euro che escludono dal sussidio due terzi dei cinque milioni di poveri assoluti e tutti i nove milioni di poveri relativi), lo fa attraverso la cassa integrazione straordinaria, un ammortizzatore sociale concesso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed erogato dall’Inps ai lavoratori che vengono “sospesi” dalle aziende in crisi e che dunque non lavorano. Il problema è che questi ammortizzatori sociali escludono intere categorie di lavoratori(autonomi, false partite Iva, a buoni-lavoro…), che quando perdono il lavoro precipitano in povertà.

Dubito invece che molti esponenti Pd, così come molti loro elettori e molti giornalisti, conoscano davvero il tema del reddito. Dubito che abbiamo approfondito la differenza sostanziale che esiste tra la proposta di legge a favore del reddito minimo garantito depositata negli anni passati da Sel e il “reddito di dignità” promosso dalla Rete dei numeri pari di Don Ciotti per uscire dalla povertà e condiviso da Potere al popolo e il reddito di autodeterminazione delle donne elaborato dal Non Una di Meno e la proposta dei 5 Stelle di un reddito che non è universalistico, non è per tutti, ma è legato all’obbligo di cercare e accettare qualunque lavoro e intanto lavorare gratuitamente per lo Stato (lavoro gratuito legalizzato: di nuovo!Come per gli stagisti della pubblica amministrazione, come per gli studenti in alternanza, come per i richiedenti asilo… poi lamentiamoci che non c’è lavoro, eh).
Gli esponenti Pd che hanno alimentato con una notizia falsa l’idea che il Sud sia popolato da poveri ignoranti e parassiti meriterebbe che i molti poveri del Sud smettessero di votare per il Partito Democratico… un momento: già fatto.

sabato 20 gennaio 2018

Il Ministero della Verità. - Marco Travaglio

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L’invito è ufficiale, anzi ufficialissimo: “Domani 18 gennaio alle ore 17.00, presso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) al Polo Tuscolano in Via Tuscolana 1548, alla presenza del Ministro dell’Interno Marco Minniti e del Capo della Polizia Franco Gabrielli, verrà presentato il nuovo servizio di segnalazione istantanea contro le fake news. Ti aspettiamo”. Quel “ti aspettiamo” ha un che di vagamente inquietante, tipo quando ballavo in discoteca con una tipa che mi piaceva e un coetaneo più robusto di me (ci voleva poco) mi diceva “ti aspetto fuori”.
In effetti l’idea che a decidere quali news sono fake, cioè false, siano il Viminale e la Polizia di Franco Gabrielli detto Nazareno, cioè il governo, allarma un po’. Riporta alla mente il ministero della Verità di George Orwell in 1984, che fra l’altro spacciava fake news a tutto spiano, le più pericolose e imperiture perché consacrate dal timbro dell’ufficialità, dall’ipse dixit dell’autorità. Il ministero aveva sede in una mega-piramide bianca che recava sulla facciata gli slogan “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” e “L’ignoranza è forza”. E aveva il compito di riscrivere secondo i dettami e la “neolingua” della propaganda governativa tutto ciò che la contraddiceva: romanzi, cronache, statistiche, libri di storia.
È anche il sogno del nostro pericolante e tremebondo regimetto, in vista delle elezioni che potrebbero spazzarlo via dalla faccia della terra. Dunque che faranno le nostre forze dell’ordine? Disperderanno le fake news, o presunte tali, con gli idranti? Le calpesteranno con plotoni di carabinieri a cavallo? Caricheranno gli autori con agenti in tenuta antisommossa armati di manganello? Niente paura. Siamo in Italia, dove ogni dramma diventa melodramma e ogni tragedia si muta in farsa. Infatti la mirabolante guerra alle fake news sarà affidata a una decina di appuntati chiusi in un commissariato. I quali, nei ritagli di tempo fra una denuncia di furto, una di documenti smarriti e una di gattini scomparsi, raccoglieranno le segnalazioni dai privati che si sentiranno offesi dal tal sito, blog, social network; dopodiché dovranno rivolgersi al server per convincerlo a cancellare tutto e, se quello opporrà resistenza, chiameranno un pm perché indaghi sull’eventuale contenuto diffamatorio del messaggio incriminato ed eventualmente sequestri il corpo del reato (la fake news) o l’arma del delitto (il sito o la pagina facebook, twitter, instagram ecc.). Già, perché è dato per scontato che le fake news siano un’esclusiva della Rete.
Invece i tg e i giornali sono dei pozzi di scienza e verità, scevri come sono da conflitti d’interessi e da intenti propagandistici. Lo dice il 10 gennaio lo stesso sito della Polizia: “ATTENZIONE!! Fake news. È tempo di campagna elettorale e, come spesso purtroppo accade, assistiamo ad un’impennata nella diffusione di fake news via internet e social network… la ben nota e poco edificante attività di creazione a tavolino, e successiva diffusione, di notizie prive di fondamento, relative a fatti o personaggi di pubblico interesse, al solo scopo di condizionare fraudolentemente l’opinione pubblica. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, ha interessato la Presidente della Camera, Laura Boldrini” e te pareva: “ai suoi danni è circolata su whatsapp la bufala virale secondo cui un ragazzo di 22 anni senza adeguate referenze professionali, presunto nipote della Presidente, sarebbe stato assunto a Palazzo Chigi”. La classica bufala a cui credono poche migliaia di gonzi, mai ripresa da giornali o tg, dunque innocua.
Invece contro le balle dei giornaloni, che di solito si muovono a testuggine, ripresi poi da tutti i tg, nulla è previsto perché per lorsignori il problema non esiste: e ci mancherebbe, visto che giornaloni e tg li controllano loro e spacciano solo le fake news che vogliono loro. La madre di tutte le fake news dell’ultimo quarto di secolo la raccontano gli ex pm Caselli e Lo Forte nel libro "La verità sul processo Andreotti" (ed. Laterza): la falsa assoluzione, annunciata a reti ed edicole unificate, del sette volte premier, dichiarato colpevole in appello e in Cassazione di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, reato “commesso” ma prescritto poco prima della sentenza. Fecero tutto le tv e i giornaloni. E tutt’oggi milioni di italiani non sanno come finì il processo del secolo, anzi peggio: sono convinti dell’opposto della verità.
C’è poi un altro trascurabile dettaglio: che si fa se le fake news le raccontano direttamente i politici? La polizia irrompe negli studi televisivi per imbavagliarli e ristabilire ipso facto la verità? L’altra sera abbiamo tanto sperato che ciò avvenisse a Matrix, mentre B. sparava le sue cifre mirabolanti sulla flat tax che aumenta il gettito (uahahah), sulla lotta all’evasione (parola di un pregiudicato per frode) e sulla sua prossima abolizione dell’Imu sulle prime case (abolita due anni fa). 
Se poi la guerra alle fake news fosse retroattiva, non vorremmo essere nei panni di Renzi che, tra un “Enrico stai sereno” e un “Se vince il No lascio la politica”, dovrebbe subire il sequestro della lingua a vita. 
Infine ci sarebbero le fake news sulle fake news, tipo le balle senza prove sul mandante Putin, per nascondere le vere interferenze straniere nelle elezioni italiane: quelle degli americani e dei governi europei, ma anche della Ue (ultimo esemplare: il commissario Moscovici, lo stesso Nostradamus che nel 2016 vaticinò l’apocalisse “populista” in caso di No al referendum). Ma di questo si occuperà senz’altro la “Task force europea contro le fake news” istituita da Juncker al quarto whisky e composta da 39 “esperti”, fra cui Gianni Riotta. Quindi tranquilli, siamo in buone mani.

venerdì 1 dicembre 2017

FAKE NEWS SULLA RUSSIA E ALTRI NEMICI VARI (THE NEW YORK TIMES 1917-2017). - Edward S. Herman

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È divertente vedere il New York Times e altri media mainstream che esprimono tutto il loro sgomento per l’aumento della diffusione delle “fake news”. Queste testate ritengono che sia una ovvia verità che quello che distribuiscono loro sia un racconto diretto, imparziale e basato sui fatti. Raccontano notizie, ma forniscono anche un flusso costante di altre varie forme di notizie, spesso informazioni false o fuorvianti fornite dal National Security o da altri uffici governativi o da centri del potere delle multinazionali. Una forma importante di notizie false che viaggia sui media mainstream è togliere spazio ad altre informazioni e commenti che metterebbero in discussione le notizie più importanti.

Questo è il caso di “The Lie That Was Not Shot Down”, titolo di un editoriale del 18 gennaio 1988, Il Times faceva riferimento a una nota propagandistica di cinque anni prima che gli editori avevano digerito e dimenticato. La menzogna – si riferiva ai sovietici che sapevano che l’aereo di linea coreano 007, abbattuto il 31 agosto 1983, era un aereo civile – fu rivelata dal Congressman  Lee Hamilton, non dal Times. Le fake news dei media-mainstream sono particolarmente ricercate, perché in poco tempo riescono a orientare l’opinione pubblica su un certo argomento – un topic – e vengono raccontate eresie che (dopo aver fatto il loro effetto) vengono immediatamente messe alla gogna perché ingenue, antipatriottiche o semplicemente sbagliate.

In un’illustrazione drammatica, per un capitolo del libro intitolato “Worthy and Unworthy Victims” – “Vittime degne e indegne” – Noam Chomsky e io mostrammo la copertura mediatica data da Time, Newsweek, CBS News e il New York Times all’omicidio del prete Jerzy Popieluzko, avvenuto nel 1984 nella Polonia comunista – un evento drammatico e politicamente utile per i media politicizzati occidentali il rilievo dato alla notizia fu assolutamente molto superiore a quello dato agli omicidi di un centinaio di altre figure religiose ammazzate in America Latina da governi amici degli Usa dalla fine della seconda Guerra Mondiale ad oggi.1

E’ conveniente e sicuro concentrare il focus dei media su una vittima “degna”, mentre raccontare con cura come sono morti quegli altri cento preti avrebbe richiesto uno sforzo di ricerca costoso e pericoloso che, tra l’altro, avrebbe dato fastidio al Dipartimento di Stato. 
A guardare bene, scegliere di dare questo genere di notizie in modo così particolareggiato  (sollevando indignazione) per una vittima politicamente utile e ignorare quasi del tutto tanti altri omicidi simili, compiuti dall’establishment politico, o cercare di minimizzarli o non parlarne del tutto è una pratica molto vicina a dare una notizia falsa.

Dare notizie false sulla Russia è una tradizione per il Times che risale almeno fino alla rivoluzione del 1917. In uno studio classico sulla copertura data dalla stampa alla Russia da febbraio 1917 a marzo 1920, Walter Lippmann e Charles Merz hanno scoperto che “Dal punto di vista del giornalismo professionale, la cronaca sulla rivoluzione russa fu un disastro. Su certe questioni essenziali l’effetto fu quasi sempre fuorviante e le notizie fuorvianti sono peggio che non dare notizie … (I giornali) Possono essere ragionevolmente accusati di credulità sconfinata e di instancabile prontezza a farsi prendere in giro, e spesso di vera e propria mancanza di buon senso. “”2

Lippmann e Merz hanno scoperto che le notizie venivano diffuse con un chiaro orientamento editoriale e la zelante opposizione ai comunisti portò il giornale a raccontare di atrocità mai accadute e prevedere l’imminente collasso del regime bolscevico almeno novantuno volte in tre anni. I giornalisti accettavano acriticamente le dichiarazioni ufficiali e citavano come fonte una “alta autorità” non identificata. Questo era prassi regolare per il Times.

Queste fake news del 1917-20 furono ripetute spesso negli anni seguenti. L’Unione Sovietica restò bersaglio nemico fino alla Seconda Guerra Mondiale, e per tutto il periodo il Times le restò costantemente ostile. Con la fine della guerra e l’emergere dell’Unione Sovietica come rivale militare, e come potenza nucleare, cominciò la Guerra Fredda. Negli Stati Uniti, l’anticomunismo divenne Religione di Stato e l’Unione Sovietica fu considerata, nei discorsi ufficiali e sui media, una minaccia globale che doveva essere urgentemente frenata. Con questa ideologia e con i piani USA per espandere in modo globale il proprio potere, la minaccia comunista aiutò a sostenere una costante crescita del complesso militare-industriale e i ripetuti interventi per contrastare le presunte aggressioni sovietiche.3

Uno dei primi Grandi Crimini: il Guatemala.
Uno dei casi più palesi in cui la minaccia sovietica fu sfruttata per giustificare la violenza sponsorizzata dagli Stati Uniti fu il rovesciamento del governo socialdemocratico del Guatemala nel 1954 per mano di un piccolo esercito che invase il paese entrandovi  dal Nicaragua di Somoza, che era alleato degli USA. Questa azione fu provocata da certe riforme promosse dal governo che infastidivano gli interessi USA, tra cui una legge del 1947 che consentiva la formazione di sindacati e leggi di buy-back per riacquistare (a prezzo ufficiale) e redistribuire ai contadini parte delle proprietà inutilizzate dalla United Fruit Company e da altri grandi proprietari terrieri. Gli Stati Uniti, che si erano trovati tanto bene durante i 14 anni della precedente dittatura di José Ubico, non potevano tollerare questa sfida democratica, e il governo eletto, guidato da Jacobo Arbenz, fu presto accusato di varie malvagità, basate su un presunta colorazione rossa assunta dal governo guatemalteco.4

Nella campagna di propaganda pre-invasione, i principali media si allinearono con le false accuse di dure repressioni governative, di minacce fatte ai paesi vicini e presa del potere da parte dei comunisti. Il Times riferì ripetutamente di questi presunti abusi e minacce dal 1950 in poi (il mio articolo preferito: “Come i Comunisti presero il controllo in Guatemala” di Sidney Gruson, 1 marzo 1953). Arbenz e il suo predecessore, Juan Jose Arevalo, avevano accuratamente evitato di far aprire ambasciate di paesi del blocco sovietico, temendo rappresaglie USA. Dopo la rimozione di Arbenz e l’instaurazione di una dittatura di destra, lo storico Ronald Schneider, dopo aver studiato 50.000 documenti sequestrati da fonti comuniste in Guatemala, scoprì che non solo i comunisti non avevano mai controllato il paese, ma che l’Unione Sovietica “non spese nemmeno una lira per appoggiare il regime di Arbenz “, perché all’epoca aveva troppi problemi interni per pensare anche all’America centrale.5

Chi salì al governo con il colpo di stato decimò subito i nuovi gruppi sociali formatisi nell’era democratica, principalmente si trattava di organizzazioni di contadini, operai ed insegnanti. Arbenz aveva vinto, con il 65% dei voti, in una libera elezione, ma il “liberatore” Castillo Armas subito dopo vinse con un “plebiscito” del 99,6% dei voti e benché questo sia un risultato familiare nei regimi totalitari, i media mainstream ormai già avevano perso interesse per il Guatemala, e parlarono a malapena di questo risultato elettorale. Il Times nel 1950 aveva sostenuto che la politica USA in Guatemala “non stava cercando di bloccare il progresso sociale ed economico del paese, ma era interessata che il paese diventasse una democrazia liberale” .6   
E nemmeno in seguito, i redattori del Times  si accorsero che il risultato della politica USA era precisamente  il  “blocco del progresso sociale ed economico”, e che aveva installato un regime di terrore reazionario.
Nel 2011, più di mezzo secolo dopo il 1954, il Times riferì che il presidente guatemalteco Alvaro Colom si era scusato per quel “Grande crimine”, per il violento rovesciamento del governo Arbenz che fu “un atto di aggressione a un governo che iniziava una sua primavera democratica” .7   L’articolo dice anche che, secondo il presidente Colom, la famiglia Arbenz sta “aspettando le scuse dagli USA per il ruolo svolto nel Grande crimine”, ma il Times non ha mai presentato le sue scuse e nemmeno ha riconosciuto il proprio ruolo nel Grande Crimine.

Un altro grande crimine: il Vietnam
Le Fake-News abbondavano sul Times e su altre pubblicazioni main-stream durante la guerra del Vietnam. La percezione comune è che i giornalisti raccontavano la guerra in modo fuorviante e essenzialmente falso. In Without Fear or Favor, l’ex-reporter del Times Harrison Salisbury riconobbe che nel 1962, quando l’intervento USA ebbe una escalation, il Times fu “profondamente e coerentemente” favorevole alla politica di guerra.8  e che il giornale divenne progressivamente più critico dopo il 1965, culminando poi con la pubblicazione dei Pentagon Papers nel 1971. Ma Salisbury non riconosce che dal 1954 ad oggi, il Times non ha mai abbandonato la sua visione e il suo vocabolario da Guerra Fredda, secondo cui gli Stati Uniti avevano solo opposto resistenza alle “aggressioni” di un’altra nazione e stavano proteggendo “il Vietnam del Sud “. Il giornale non ha mai usato il termine aggressione per questo paese, ma lo ha usato liberamente riferendosi alle azioni fatte dal Vietnam del Nord e a quelle del Fronte di liberazione nazionale nella parte Sud del Vietnam.
Le varie pause ai bombardamenti concesse dagli USA nel 1965 e dopo, per “dare una possibilità alla pace” servirono anche per costruire notizie false, in quanto l’amministrazione Johnson usava queste pause temporanee per placare le proteste interne contro la guerra, mentre facevano capire in modo chiaro ai vietnamiti che gli Stati Uniti chiedevano una loro resa totale. Il Times ed i suoi colleghi hanno ingoiato l’amo del governo senza nemmeno fiatare o dire una parola di dissenso.9

Inoltre, benché dal 1965 in poi il Times era più disponibile a pubblicare report che mettessero la guerra in una luce meno favorevole, non si è mai rotta la sua forte dipendenza dalle fonti ufficiali, né si è incrinata la sua riluttanza a parlare dei danni provocati al Vietnam e alla sua popolazione civile dalla macchina della guerra USA.  
Comportandosi in modo diametralmente opposto alla sua ricerca appassionata sui rifugiati cambogiani che scappavano dai Khmer rossi dopo l’aprile 1975, il giornale raramente ha cercato qualche testimonianza sui milioni di profughi vietnamiti in fuga dai bombardamenti degli Stati Uniti e dalla guerra chimica. Anche nei suoi articoli di approfondimento, la nuova linea lasciava spazio solo a commentatori che accettavano il presupposto della guerra e si limitavano a critiche su problemi tattici e ai costi interni. Dall’inizio alla fine della guerra chiunque criticasse la guerra e la definisse una campagna immorale di pura aggressione fu sempre escluso dal dibattito. 10

Il tentativo di assassinare il Papa nel 1981
Ulteriore impulso fu dato dai media mainstream alla propaganda della Guerra Fredda, con il tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II a Roma nel maggio 1981. In un’epoca in cui l’amministrazione Reagan cercava di demonizzare l’Unione Sovietica come “impero del male”, i colpi sparati al papa dal fascista turco Ali Agca furono presto collegati a Mosca, con l’aiuto della confessione di Agca – dopo diciassette mesi di prigionia, dopo interrogatori, minacce, istigazioni  – che dichiarò ai media che  c’erano bulgari e KGB sovietico dietro l’attentato.
Nessuna prova credibile confermò questa connessione, le affermazioni non erano plausibili e la corruzione nel processo fu notevole. (Inoltre Agca spesso diceva di essere Gesù Cristo.) 
La causa contro i bulgari (e implicitamente contro il KGB) fu persa anche nel quadro giudiziario estremamente prevenuto e politicizzato dell’Italia. Ma il Times prese  quelle affermazioni per buone e le dedicò una attenzione prolungata, intensa e assolutamente indiscussa, così come la maggior parte dei media USA.

Durante le udienze del Senato del 1991 per la nomina di Robert Gates alla guida della CIA, l’ex ufficiale, Melvin Goodman, testimoniò che la CIA sapeva fin dall’inizio che le confessioni di Agca erano false, perché aveva “ottime entrature” nei servizi segreti bulgari. Il Times omise di riportare questa affermazione nell’articolo sulla testimonianza di Goodman. Durante lo stesso anno, quando la Bulgaria era parte del “mondo libero”, l’analista conservatore Allen Weinstein ottenne il permesso di riesaminare i file dei servizi segreti bulgari sul tentativo di assassinio. Queste nuove indagini furono riportate dalla stampa ed anche sul Times, ma quando Weinstein concluse di non aver trovato nulla che coinvolgesse Bulgaria o KGB, molti giornali, incluso il Times, ritennero che quelle conclusioni non fossero più degne di fare notizia.

Il Gap Missilistico.
Dal 1975 al 1986, gran parte delle notizie sul presunto “divario missilistico” tra USA e URSS era poco più di una notizia falsa ed i giornalisti del Times alimentavano un flusso costante di dichiarazioni ufficiali che infiammavano gli animi. Un caso importante si verificò verso la metà degli anni ’70, quando i falchi della destra dell’amministrazione Ford tentavano di intensificare la Guerra Fredda e la corsa agli armamenti. Un rapporto della CIA del 1975 aveva scoperto che i sovietici puntavano solo alla parità nucleare, ma questo non bastava, così il capo della CIA George H. W. Bush nominò una nuova squadra di espertoni che presto scoprì che i sovietici invece stavano ottenendo una superiorità nucleare e si preparavano a combattere una guerra nucleare. Questo cosiddetto rapporto della squadra B fu preso così com’era e riportato in un articolo da prima pagina dal Times del 26 dicembre 1976, da David Binder. 
Nessuno notò  i suoi pregiudizi politici o i motivi per cui stava pubblicando un’ informazione per cui non aveva nemmeno fatto la mossa di consultare esperti con opinioni divergenti. La CIA alla fine nel 1983, ammise che i calcoli del Team B erano delle invenzioni. Ma per tutto quel periodo, il Times sostenne la necessità della militarizzazione, diffondendo false informazioni, in gran parte confutate in modo convincente da Tom Gervasi nel suo classico “The Myth of Soviet Military Supremacy” un libro che divenne un classico  mai recensito sul Times.

La Yugoslavia e  l’ “Intervento Umanitario”.
Negli anni ’90 le guerre di smantellamento della Jugoslavia riuscirono a rimuovere dal potere un governo indipendente e a sostituirlo con quel che restava di uno stato serbo e con altri stati, poveri, instabili e falliti in Bosnia e in Kosovo. Riuscirono anche a dare un sostegno ingiustificato al concetto di “intervento umanitario”, basato su una massa di false dichiarazioni e su rapporti di parte. Il demonizzato leader serbo Slobodan Milošević non era un ultra-nazionalista che voleva una “Grande Serbia”, ma piuttosto un leader non allineato sulla lista nera degli occidentali che cercò di aiutare le minoranze serbe in Bosnia, Croazia e Kosovo a restare in Jugoslavia mentre USA e UE volevano una divisione legalmente discutibile e la costituzione di diverse repubbliche jugoslave.
Milošević appoggiò tutti gli insediamenti che vennero fuori da questi conflitti e che furono sabotati da bosniaci e americani che volevano condizioni migliori o la sconfitta militare totale della Serbia, cosa che alla fine ottennero. Milošević non ebbe niente a che fare con il massacro di Srebrenica di luglio 1995, dove i serbi bosniaci si vendicarono dei soldati musulmani bosniaci che stavano devastando i vicini villaggi serbo-bosniaci partendo dalla base – sotto protezione NATO – di Srebrenica. Delle migliaia di morti civili serbi nessuno parlò sui media main-stream, mentre si parlò molto del numero delle vittime giustiziate a Srebrenica, che fu gonfiato.11

L’Era di Putin.
L’establishment politico americano fu scioccato e deliziato dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1989-91, e fu ugualmente compiaciuto delle politiche del presidente Boris Eltsin, un cliente virtuale degli USA, sotto il cui governo i russi vissero una disastrosa caduta del loro standard di vita , mentre un piccolo gruppo di oligarchi riuscì a saccheggiare le rovine dello stato. La vittoria elettorale di Eltsin nel 1996, molto appoggiata da consulenti, consiglieri e soldi degli Stati Uniti, fu chiamata, dai redattori del Times, “Una vittoria per la democrazia russa”. 12
Loro non furono affatto disturbati né da quella corruzione elettorale, né dalla nascita di una oligarchia economica basata su una grande ruberia né, poco dopo, dalle nuove regole che centralizzavano tutto il potere in mano al presidente. 13
Il successore di Eltsin, Vladimir Putin, abbandonò gradualmente questo asservimento agli interessi dell’occidente e quindi fu percepito come minaccia. La sua rielezione nel 2012, sebbene sicuramente meno immorale di quella riportata da Eltsin nel 1996, fu aspramente criticata dai media USA. L’editoriale del “Times” del 5 maggio 2012 titolava “uno schiaffo in faccia” agli osservatori europei della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione, dato dalle proteste di “migliaia di manifestanti antigovernativi riuniti in piazza a Mosca per cantare ” Russia senza Putin”.14
Dopo l’avvelenata vittoria di Eltsin nel 1996 però il Times non parlò di nessuna “sfida alla legittimità “.
La demonizzazione di Putin si intensificò con la crisi ucraina del 2014 , con la successiva guerra di Kiev nella parte est dell’Ucraina, con l’appoggio russo dato alla Resistenza,  e con il referendum della Crimea ed il suo assorbimento da parte della Russia. Tutto questo fu dichiarato “aggressione” da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati e clienti, furono imposte sanzioni alla Russia, ed avviata una intensa attività militare USA-NATO ai confini della Russia. Le tensioni crebbero ulteriormente con l’abbattimento del volo Malaysia Airlines 17, sull’Ucraina sud-orientale – prontamente, ma quasi sicuramente falsamente, addossato a ribelli “filo-russi” e alla stessa Russia. 15

Le ostilità anti-russe si infiammarono ulteriormente per l’escalation degli interventi in Siria dal 2015 in poi, a sostegno di Bashar al-Assad e contro le forze ribelli guidate dall’ISIS e da al-Nusra, una propaggine di al-Qaeda. Gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO in Medio Oriente per diversi anni avevano aggredito la Siria, con una alleanza de-facto con al-Nusra e con altre fazioni islamiche estremiste. L’intervento russo ha invertito questa tendenza, frustrando gli obiettivi USA e sauditi che volevano il cambio di regime contro Assad e tacitamente indebolendo gli alleati degli USA.
Il Times ha trattato questi sviluppi senza riserve come apologetici – il colpo di stato a Kiev di febbraio 2014 – che non ha mai chiamato colpo-di-stato, per il ruolo che ebbero gli USA nel rovesciamento del governo eletto di Victor Yanukovych, ma manifestò rabbia e orrore per il referendum in Crimea e per l’assorbimento russo, che non ha mai riconosciuto come risposta difensiva al colpo di stato di Kiev. 

La sua richiesta di punire l’ “aggressione” russa senza morti in Crimea è in netto contrasto con la sua difesa dell’aggressione americana “voluta” (non difensiva) in Iraq dal marzo 2003 che causò un milione e più di vittime . I giornalisti del Times condannano il disprezzo di Putin per il diritto internazionale, ma non condannano mai il proprio paese per le ripetute violazioni di quella stessa legge.16

Nelle rubriche di indagine e di opinione del Times, la Russia viene regolarmente assalita definendola espansionista e minaccia per i suoi vicini, ma praticamente non si accenna mai all’espansione della NATO fino ai confini russi e al posizionamento di armi anti-missile in Europa orientale – mandate dopo aver detto che erano solo la risposta a una minaccia missilistica dell’Iran! Analisi fatte dallo scienziato politico John Mearsheimer e dallo studioso della Russia Stephen F. Cohen che facevano notare questa avanzata della NATO non hanno trovato posto sulle pagine di opinione del Times.17   
Invece Maria Alyokhina, una delle ***** Riot, il gruppo punk rock, ha incontrato il comitato editoriale del Times.18, per denunciare Putin e la Russia. Tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2014, il giornale ha pubblicato ventitré articoli sulle ***** Riot e il loro presunto significato come simbolo della limitazione della libertà di parola in Russia. Le ***** Riot avevano interrotto un servizio religioso e poi erano state fermate dalla polizia, su richiesta delle autorità ecclesiastiche. Ne è seguita una pena detentiva di due anni. Nel frattempo, a febbraio 2014, suor Megan Rice, una suora di ottantaquattro anni, è stata condannata a quattro anni di carcere perché, come protesta simbolica, nel 2012 era entrata in un sito di armi nucleari USA. The Times ha riportato questa notizia con una breve nota nella sezione National Briefing, con il titolo “Suora del Tennessee condannata per la sua protesta sulla pace”. Nessun editoriale e nessun incontro con il consiglio di amministrazione per Sister- Rice.

Ci sono manifestanti degni e altri indegni, proprio come le vittime.
In Siria, con l’aiuto russo, l’esercito di Assad e le milizie alleate sono state capaci di cacciare i ribelli da Aleppo, con grande sgomento di Washington e dei principali media. È illuminante vedere i resoconti  sulle vittime civili ad Aleppo, con foto di bambini abbandonati e storie sulle sofferenze e le privazioni dei civili espressa dal Times e la sua indignazione per la disumanità di Putin-Assad, tutto il contrario del silenzio virtuale tenuto dallo stesso giornale in occasione della strage di vittime civili a Falluja nel 2004 e, più recentemente, nelle zone ribelli della Siria, e nella città irachena di Mosul, quando fu attaccata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.19 
Il diverso trattamento delle vittime degne e indegne ha funzionato egregiamente quando il Times ha parlato della Siria.
Possiamo trovare un altro segno di russofobia acuta nei dibattiti presidenziali di ottobre 2016, quando Hillary Clinton dichiarò che Donald Trump, come presidente, sarebbe stato un “burattino” di Putin, un tema che nella sua campagna ha ribadito più volte. Questa enfasi è aumentata dopo le elezioni, con l’aiuto dei media e dei servizi di intelligence, mentre il partito dei Clinton cercava di spiegare la sconfitta elettorale, per cercare di mantenere il controllo del partito e forse anche per ribaltare il risultato elettorale nei tribunali o nei colleggi elettorali, dicendo che Trump aveva vinto per l’interferenza dei russi.
Un importante impulso per la connessione-Putin è arrivato con la pubblicazione, nel gennaio 2017, del rapporto  Background of Assessing Russian Activities and Intention in Recent US Elections  dell’Ufficio del Director of National Intelligence (DNI). Più della metà di questo breve documento è dedicato alla RT News sponsorizzata dalla Russia, che viene indicata come una fonte illegittima di propaganda. L’organizzazione dovrebbe far parte della “influence campaign” della Russia [che] aspirava a dare una mano al presidente eletto Trump, possibilmente, discreditando il segretario Clinton e mettendola in cattiva luce verso il presidente eletto. “Non c’è nessuna ombra di prova che si sia trattato di una “campagna” programmata, piuttosto che una continua espressione di opinioni e notizie. Gli stessi standard che sono serviti per identificare una “campagna di influenza” russa potrebbero servire con uguale forza per identificare il trattamento riservato dai media USA e da Radio Free Europe durante qualsiasi elezione russa – e, naturalmente, l’intervento diretto degli USA nelle elezioni del 1996 –  diretto e andato molto oltre una semplice “influenza” sulla campagna.
Per quanto riguarda un intervento russo più diretto sulle elezioni USA, gli autori del DNI ammettono l’assenza di “prove concrete”, ma in realtà non forniscono nemmeno prove del tipo … asserzioni, ipotesi o supposizioni speculative. “Abbiamo accertato che … Putin ha ordinato una campagna di influenza nel 2015” – scrivono – con l’intento di sconfiggere la signora Clinton e “per minare la fiducia nel processo democratico degli Stati Uniti”, ma non forniscono nessuna prova sull’esistenza di questo ordine. Il rapporto inoltre non contiene nessuna prova che la Russia abbia hackerato le comunicazioni del Democratic National Committee (DNC) o le e-mail della Clinton e dell’ex manager della sua campagna, John Podesta, o che abbia fornito informazioni compromettenti a Wikileaks. Julian Assange e l’ex diplomatico britannico Craig Murray hanno ripetutamente affermato che queste notizie sono trapelate da addetti ai lavori locali, non sono arrivate dall’esterno. Anche esperti veterani di intelligence come William Binney e Ray McGovern sostengono che le prove di WikiLeaks sono trapelate dall’interno e non hackerate da enti esterni..20 
È anche degno di nota il fatto che delle tre agenzie di intelligence che hanno firmato il documento della DNI, la NSA, l’agenzia che più probabilmente poteva disporre delle prove dell’ hackeraggio russo e che l’avrebbe trasmesso poi a WikiLeaks, così come qualsiasi altro “ordine” di Putin, ha espresso “moderata fiducia” nei risultati del documento.

Ma dopo aver creduto che i rossi governavano il Guatemala, che i sovietici stessero superando gli USA nella corsa per i missili o che il KGB complottava per assassinare il papa, il Times ha creduto che fosse vero anche l’hackeraggio dei russi, prendendolo come un dato di fatto, nonostante l’assenza di prove concrete. Il reporter del Times, David Sanger, fa riferimento ad un “resoconto schiacciante e sorprendentemente dettagliato sugli sforzi della Russia per indebolire il sistema elettorale americano”, per poi riconoscere che il rapporto pubblicato “non contiene informazioni su come le agenzie siano … giunte alle loro conclusioni”.21  
Il rapporto stesso registra la sorprendente affermazione che “non si intende che i pareri espressi siano confermati da prove che dimostrino dei dati di fatto”. Inoltre, se il rapporto fosse stato  basato su “intercettazioni di conversazioni” e su dati informatici compromettenti – come affermano Sanger e il DNI – perché il DNI ha omesso di citare una singola conversazione con i presunti ordini e piani di Putin?

Il Times non ha mai citato o dato spazio a William Binney, Ray McGovern o Craig Murray, le autorità dissidenti più influenti sulla tecnologia degli hacker, sulla loro metodologia e sulle specifiche degli hacker di DNC. Ma il Times ha trovato spazio per un editoriale di Louise Mensch “What to Ask about Russian Hacking”. La Mensch è una nota teorica della cospirazione senza nessun background tecnico, descritta dagli scrittori Nathan Robinson e Alex Nichols come una che “passa la maggior parte del suo tempo su Twitter scrivendo deliranti denunce di eserciti immaginari di “Putin-bots” online, che l’hanno resa “una delle persone meno credibili su Internet”. 22    
Ma viene ospitata da Times perché dice cose che contrastano le informazioni credibili e documentate di Binney e Murray, e segue la linea del partito, che seguono il presupposto di un hackeraggio dei russi, come dice il DNC.
L’ impudente intervento della CIA nel processo elettorale nel 2016 e nel 2017 ha aperto nuovi orizzonti nella politicizzazione dell’agenzia. Nel mese di agosto 2016 l’ex capo della CIA Michael Morell ha annunciato in un editoriale: “Ho gestito la C.I.A e adesso sostengo Hillary Clinton” e l’ex capo della CIA Michael Hayden ha pubblicato un editoriale sul Washington Post pochi giorni prima delle elezioni, dal titolo “Ex capo della CIA: Trump è un inutile marionetta della Russia”. 
Ma Morell aveva già fatto un altro editoriale sul Times il 6 gennaio, aggredendo apertamente il nuovo presidente. Questi attacchi, indiscutibilmente offensivi per Trump e pieni di lodi per la Clinton, servivano per ritrarre Trump come un traditore ma anche a chiarire che la posizione più combattiva della Clinton contro Siria e Russia era preferibile di gran lunga alla disponibilità di Trump verso la negoziazione e la cooperazione con la Russia.
Questo era anche vero per lo scandalo sulla telefonata del portavoce della Defence Intelligence-nominato da Trump, Michael Flynn, con l’ambasciatore russo, in cui avrebbe discusso di azioni politiche dell’amministrazione entrante. Le possibilità politiche di questi fatti sono state colte al volo dal personale-uscente del Security di Obama e dai media mainstream, con l’FBI che interrogava Flynn e con le tante espressioni di orrore per quello che aveva fatto Flynn, denunciandolo per essersi esposto al ricatto russo. 
Ma questi incontri della pre-inaugurazione con i diplomatici russi erano “pratica comune” – secondo Jack Matlock, ambasciatore USA in Russia sotto Reagan e Bush – tanto che lo stesso Matlock aveva organizzato personalmente uno di questi incontri per Jimmy Carter.23  
Anche l’ambasciatore di Obama in Russia, Michael McFaul, ha ammesso di aver visitato Mosca per colloqui nel 2008, prima delle elezioni. Daniel Lazare con questi esempi ha dimostrato, non solo che l’illegalità e la minaccia di ricatto dei russi sono inverosimili, ma che l’interrogatorio dell’FBI a Flynn puzza di trappola. 
“Eppure i liberal anti-Trump stanno cercando di convincere la gente che quello che succede è “peggio del Watergate”. 24
Il punto politico del rapporto DNI sembra essere collegare gli affari dell’amministrazione Trump con la Russia. Certi analisti che non lavorano per i mainstream hanno detto che potremmo essere stati testimoni di incipiente incidente di spionaggio o di colpo di stato nel palazzo che non sono riusciti concretamente ma che comunque hanno avuto l’effetto desiderato, cioè indebolire la nuova amministrazione.25   Il Times non ha detto una  sola parola di critica su questa politicizzazione e intervento nel processo elettorale da parte delle agenzie di intelligence, e in effetti gli editori hanno lavorato con loro e con il Partito Democratico come una squadra affiatata in un programma chiaramente anti-democratico progettato per minare o invertire i risultati delle elezioni del 2016, con il pretesto di presunte interferenze elettorali straniere.
Il Times ed i media mainstream in generale hanno anche appena menzionato il fatto imbarazzante che le presunte comunicazioni hackerate delle e-mail di DNC e Clinton e Podesta hanno rivelato fatti non contestati sulle vere manipolazioni elettorali della campagna Clinton, fatti che il pubblico aveva il diritto di conoscere e solo questo avrebbe influito sui risultati delle elezioni. L’attenzione sulle affermazioni prive di evidenza di un’intrusione hacker russa ha contribuito a distogliere l’attenzione dai veri abusi elettorali rivelati dal materiale di WikiLeaks. Anche in questo caso, le notizie false ufficiali e tradizionali hanno contribuito a seppellire le notizie reali.
Un’altra freccia nella faretra della Russofobia è stato un “dossier” di intelligence privato compilato da Christopher Steele, un ex agente dei servizi segreti britannici che lavorava per la Orbis Business Intelligence, una società privata contrattata dal DNC per scavare tra le sozzerie di Trump. Il primo rapporto di Steele, consegnato a giugno 2016, riportava parecchie serie accuse contro Trump, in particolare sul fatto che Trump era stato colto durante qualche scappatella a Mosca – offerta dal Cremlino guidato da Putin –  per almeno cinque anni, per seminare discordia all’interno dell’establishment politico USA e perturbare l’alleanza occidentale. 
Questo documento era basato su presunte conversazioni di Steele con sedicenti diplomatici (russi): cioè, rigorosamente su testimonianze per sentito dire, le cui affermazioni, ove verificabili, a volte erano sbagliate.26    
Ma si diceva solo quello che democratici, media mainstream e CIA volevo sentire, e che di conseguenza certi addetti della Intelligence dichiararono “credibili”, quindi ben accolte dai media. Il Times si è in qualche modo impegnato a collaborare in questa campagna pacchiana definendo il rapporto “non verificato”, ma malgrado ciò ha riferito tutto quello che c’era scritto.** 27

Il dossier Steele è diventato anche una parte centrale delle indagini e delle udienze sul “Russia-gate ” tenuto dalla House Intelligence Committee a partire da marzo 2017 e guidato dal rappresentante democratico Adam Schiff. Mentre basava la sua dichiarazione di apertura su un dossier pieno di dicerie, Schiff non si chiedeva chi avesse finanziato il lavoro di Steele, chi fosse Steele, chi fossero esattamente i russi di cui si citano i nomi e quanto fossero stati pagati. Sembra però che parlare con i russi su un progetto che può influenzare una elezione presidenziale americana sia assolutamente accettabile se il candidato che ne trae vantaggio è un anti-russo!
Il Times ha avuto un ruolo importante in questa ultima ondata di russofobia, che ricorda la sua performance degli anni 1917-20 in cui – come dissero Lippmann e Merz nel 1920 – “una credulità sconfinata ed una instancabile prontezza a essere preso in giro” caratterizzava il processo di produzione delle notizie . Mentre accennava all’ammissione della CIA che non c’erano prove concrete, si parlava di “prove circostanziali” e di “possibilità”, il Times era felice di descrivere dettagliatamente queste possibilità e tutte le implicazioni che potrebbero produrne.28   
Sia gli editoriali che gli articoli erano calibrati uniformemente sulla falsa supposizione che l’hackeraggio russo fosse provato, e che i russi avessero passato questi dati a WikiLeaks, altra cosa non dimostrata e strenuamente negata da Assange e Murray.
Il Times è arrivato testa a testa con il Washington Post nel creare agitazione per la guerra della informazione russa e per l’illecito coinvolgimento di Trump. Il Times ora mischia agevolmente le notizie false con qualsiasi critica alle istituzioni costituite, come l’articolo di Mark Scott e Melissa Eddy del 20 febbraio 2017  “Europe Combats a New Foe of Political Stability: Fake News” . 29   Ma la cosa più straordinaria è il modo uniforme con cui tutti i giornalisti della carta stampata hanno accettato come dato di fatto le affermazioni della CIA per cui i russi hanno fatto hackeraggio ed hanno trasmesso dati a Wikileaks, che esista una possibilità o una probabilità che Trump sia un burattino di Putin e che sia urgente la necessità di un’indagine del Congresso ma una indagine che “non sia di parte” su queste affermazioni.
Questo credo nella nuova linea del partito della guerra è stato accolto a braccia aperte dai media liberals. Sia il Times che il Washington Post hanno dato il loro tacito sostegno all’idea che queste “false notizie” debbano essere frenate, probabilmente da una qualche forma di auto-censura organizzata dai media o da un intervento del governo che dovrebbe almeno occuparsi di queste falsità.
L’episodio mediatico più notevole di questa campagna anti-influence è stato il pezzo di Craig Timberg sul Post , “Gli esperti dicono che gli sforzi della propaganda russa hanno aiutato a diffondere  notizie false durante le elezioni” articolo che conteneva il rapporto di un gruppo di esperti “anonimi” una entità chiamata PropOrNot che sosteneva di aver identificato duecento siti web che, consapevolmente o no, ” spacciavano propaganda russa “. Mentre calunniavano questi siti web, molti dei quali erano agenzie di stampa indipendenti il ​​cui unico punto in comune era una posizione critica nei confronti della politica estera USA , gli “esperti anonimi” si rifiutavano di identificarsi, forse per paura di essere “presi di mira da legioni di hacker esperti”. Come ha scritto il giornalista Matt Taibbi, “Vuoi mettere sulla lista nera centinaia di persone, ma non vuoi metterci il ​​tuo nome ? Take a hike – Fatti una passeggiata. “30  
Ma il Post ha accolto e condiviso questo sforzo di McCartite, che potrebbe facilmente essere un prodotto della guerra informativa fatta dal Pentagono o dalla CIA. (E loro si che sono ben finanziate e ben introdotte nell’industria della propaganda).
Il 23 dicembre 2016, il presidente Obama ha firmato il Portman-Murphy Countering Disinformation and Propaganda Act, che probabilmente permetterà agli USA di combattere più efficacemente la propaganda e la disinformazione straniera (cioè russa e cinese). Incoraggerà maggiori sforzi di contropropaganda dalla pubblica amministrazione e darà soldi a entità non governative per aiutare il governo in questa impresa. È chiaramente un seguito alle affermazioni di hackeraggio e propaganda russe e condivide lo spirito di quell’elenco dei duecento pubblicati sul Washington Post. (Forse adesso PropOrNot  si farà riconoscere e chiederà un sussidio e potrà anche allungare la sua lista.) I liberals non si sono pronunciati su questa nuova minaccia alla libertà di parola, indubbiamente influenzati dalla paura delle notizie- false e dalla propaganda che viene dalla Russia. Ma potranno ancora prenderne atto, anche se tardivamente, quando Trump o qualcuno dei suoi successori lo farà funzionare meglio e contro il loro concetto di notizie false e di propaganda.
Il successo della campagna del partito della guerra per contenere o per invertire qualsiasi tendenza che possa allentare le tensioni con la Russia si è reso drammaticamente evidente con l’immediato bombardamento fatto dall’amministrazione Trump come risposta ai morti provocati dalle armi chimiche siriane del 4 aprile 2017. Il Times e altri giornalisti e giornalisti mainstream hanno salutato questa mossa aggressiva con un entusiasmo quasi uniforme, e ancora una volta non hanno chiesto nessuna prova sulla colpevolezza di Assad, se non le dichiarazioni del governo.31   
Il bombardamento ha creato danni sia a Assad che alla Russia, ma è stato utile per i ribelli.  Ma i media mainstream non chiedono mai cui prodest? in casi come questo?
Nel 2013, un’accusa simile contro Assad – che portò gli Stati Uniti sull’orlo di un bombardamento su vasta scala in Siria si rivelò una false flag operation, e certe autorità ritengono che anche questo sia un caso altrettanto problematico.32 
Comunque, Trump si è mosso rapidamente (e illegalmente), infliggendo un duro colpo a qualsiasi ulteriore avvicinamento tra Stati Uniti e Russia.
La CIA, il Pentagono, i leader democratici e il resto del partito della guerra hanno vinto un’importante battaglia nella lotta per la guerra permanente.

Edward S. Herman ha scritto ampiamente di  economia,  politica estera e media.
Fonte: https://monthlyreview.org

Link: https://monthlyreview.org/2017/07/01/fake-news-on-russia-and-other-official-enemies/
1.07.2017

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di BOSQUE PRIMARIO

Note
  1. Noam Chomsky and Edward S. Herman, Manufacturing Consent (New York: Pantheon, 2008), chapter 2.
  2. Walter Lippmann and Charles Merz, A Test of the News (New York: New Republic, 1920).
  3. On the Grand Area framework, see Noam Chomsky, “The New Framework of Order,” in On Power and Ideology (Boston: South End, 1987).
  4. Edward S. Herman, “Returning Guatemala to the Fold,” in Gary Rawnsley, ed., Cold War Propaganda in the 1950s (London: Macmillan, 1999).
  5. Ronald Schneider, Communism in Guatemala, 1944–1954 (New York: Praeger, 1959), 41, 196–97, 294.
  6. Editorial Board, “The Guatemala Incident,”New York Times, April 8, 1950.
  7. Elisabeth Malkin, “An Apology for a Guatemalan Coup, 57 Years Later,”New York Times, October 11, 2011.
  8. Harrison Salisbury, Without Fear or Favor (New York: Times Books, 1980), 486.
  9. Richard Du Boff and Edward Herman, America’s Vietnam Policy: The Strategy of Deception (Washington, D.C.: Public Affairs, 1966).
  10. See Chomsky and Herman, Manufacturing Consent, chapter 6.
  11. Editorial Board, “A Victory for Russian Democracy,”New York Times, July 4, 1996.
  12. Edward S. Herman and David Peterson, “The Dismantling of Yugoslavia,”Monthly Review 59, no. 5 (October 2007); Herman and Peterson, “Poor Marlise: Her Old Allies Are Now Attacking the Tribunal and Even Portraying the Serbs as Victims,” ZNet, October 30, 2008, http://zcomm.org.
  13. Stephen F. Cohen, Failed Crusade: America and the Tragedy of Post-Communist Russia (New York: Norton, 2000).
  14. Ellen Barry and Michael Schwartz, “After Election, Putin Faces Challenges to Legitimacy,”New York Times, March 5, 2012.
  15. Robert Parry, “Troubling Gaps in the New MH-17 Report,” Consortium News, September 28, 2016, http://consortiumnews.com.
  16. Paul Krugman says, “Mr. Putin is someone who doesn’t worry about little things like international law” (“The Siberian Candidate,”New York Times, July 22, 2016)—implying, falsely, that U.S. leaders do “worry about” such things.
  17. A version of Mearsheimer’s article appeared as “Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault, ”Foreign Affairs, September 10, 2014. The paper likewise rejected Stephen Cohen’s 2012 article “The Demonization of Putin.”
  18. “Sochi Under Siege, ”New York Times, February 21, 2014.
  19. Michael Kimmelman, “Aleppo’s Faces Beckon to Us, To Little Avail, ”New York Times, December 15, 2016. Above this front-page article were four photographs of dead or injured children, the most prominent one in Syria. The accompanying editorial, “Aleppo’s Destroyers: Assad, Putin, Iran,” omits some key actors and killers. See also Rick Sterling, “How US Propaganda Plays in Syrian War,” Consortium News, September 23, 2016.
  20. William Binney and Ray McGovern, “The Dubious Case on Russian ‘Hacking,’” Consortium News, January 6, 2017.
  21. David Sanger, “Putin Ordered ‘Influence Campaign’ Aimed at U.S. Election, Report Says, ”New York Times, January 6, 2017.
  22. Nathan J. Robinson and Alex Nichols, “What Constitutes Reasonable Mainstream Opinion, ”Current Affairs, March 22, 2017.
  23. Jack Matlock, “Contacts with Russian Embassy,” Jack Matlock blog, March 4, 2017, http://jackmatlock.com.
  24. Daniel Lazare, “Democrats, Liberals, Catch McCarthyistic Fever,” Consortium News, February 17, 2017.
  25. Robert Parry, “A Spy Coup in America?” Consortium News, December 18, 2016; Andre Damon, “Democratic Party Floats Proposal for a Palace Coup,” Information Clearing House,” March 23, 2017, http://informationclearinghouse.info.
  26. Robert Parry, “The Sleazy Origins of Russia-gate,” Consortium News, March 29, 2017.
  27. Scott Shane et al., “How a Sensational, Unverified Dossier Became a Crisis for Donald Trump,”New York Times, January 11, 2017.
  28. Matt Fegenheimer and Scott Shane, “Bipartisan Voices Back U.S. Agencies On Russia Hacking,”New York Times, January 6, 2017; Michael Shear and David Sanger, “Putin Led a Complex Cyberattack Scheme to Aid Trump, Report Finds,”New York Times,January 7, 2017; Andrew Kramer, “How Russia Recruited Elite Hackers for Its Cyberwar,”New York Times, December 30, 2016.
  29. Robert Parry, “NYT’s Fake News about Fake News,” Consortium News, February 22, 2017.
  30. Matt Taibbi, “The ‘Washington Post’ ‘Blacklist’ Story Is Shameful and Disgusting”, Rolling Stone, November 28, 2016.
  31. Adam Johnson, “Out of 47 Media Editorials on Trump’s Syria Strikes, Only One Opposed,” Fairness and Accuracy in Reporting, April 11, 2017, http://fair.org.
  32. Scott Ritter, “Wag the Dog—How Al Qaeda Played Donald Trump and The American Media,” Huffington Post, April 9, 2017; James Carden, “The Chemical Weapons Attack in Syria: Is There a Place for Skepticism?” Nation, April 11, 2017.