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venerdì 13 agosto 2021

Non solo piromani: la Calabria brucia per sprechi e mafia. - Vincenzo Bisbiglia e Maddalena Oliva

 

Calabria Verde” - Spirlì butta 40mln di fondi per la forestazione. E paga 160mln per gli stipendi.

Il primo segno sono le cicale. Non friniscono come gli altri giorni, incessanti. Poi, le colonne di fumo intenso che si alzano, a segnare il passaggio della guerra. E i cumuli di cenere, i legni neri carbonizzati e le carcasse degli animali, che invadono quel che resta dei boschi. La Calabria è in guerra col fuoco, da giorni. Bruciano le foreste della Sila e il Reventino, il Pollino e la Riviera dei Cedri, brucia l’Aspromonte, coi suoi giganteschi pini e faggi, con le querce pluricentenarie, tutti patrimonio Unesco. Non solo sterpaglie, o erba secca. A essere mangiati dalle fiamme sono i boschi antichi delle valli degli argenti e dei briganti, il cuore della Calabria grecanica: “È come se bruciassero i Bronzi di Riace”, hanno detto ieri le guide del Parco nazionale dell’Aspromonte. I roghi ancora attivi sono 59. Il giorno prima, se ne contavano 13 di più. Non si può avere una stima precisa dei danni, degli ettari bruciati, perché – come sottolineano gli ambientalisti riuniti nel Comitato Stop Incendi Calabria – “qui è stata disattesa la Legge quadro sugli incendi (353/2000), che prevederebbe, oltre al piano di spegnimento attivo, anche la prevenzione. Manca pure un catasto degli incendi, senza cui è impossibile quantificare i danni, così come individuare le zone interessate, anche per far partire le indagini…”. Ed è proprio il Comitato Stop Incendi Calabria, assieme a Italia Nostra e Wwf, a puntare il dito nei confronti delle istituzioni di una Regione che “non fa altro che chiedere per l’ennesima volta lo stato di emergenza: l’emergenza di un’emergenza di un’emergenza”, si sfoga Armando Mangone. “Fino a pochi giorni fa, nonostante le elezioni a breve, il tema degli incendi non era nemmeno dibattuto tra i candidati!”. Tant’è che le diverse associazioni hanno scritto una lettera aperta ai principali candidati alla guida della Regione (Mario Occhiuto per il centrodestra, Amalia Bruni per Pd e M5S, e Luigi De Magistris), a oggi senza risposta. “Gli incendi che stanno dilaniando la nostra terra non sono imponderabili disastri – si legge nel testo – né tanto meno piaghe dovute al fato o alla casualità, bensì fenomeni prevedibili, se soltanto le istituzioni operassero come le loro responsabilità e funzioni impongono”.

La regione e Calabria Verde.

Quaranta milioni di euro andati persi. Sono i soldi previsti ogni anno come contributo statale vincolato per i piani di forestazione che il leghista Antonino Spirlì – presidente pro-tempore e in corsa per la poltrona da vice, nel ticket con Occhiuto – avrebbe “bruciato”, per non aver presentato gli adeguati progetti con la sua giunta. Un’azienda alle strette dipendenze della Regione, Calabria Verde, a cui fa capo il servizio “AIB – anti incendio boschivo”, che ogni anno costa ai contribuenti 160 milioni di euro solo di stipendi (4.800 addetti, età media 55 anni). Una grande mangiatoia di soldi pubblici, a guardare le diverse inchieste della magistratura, finita negli anni agli onori della cronaca o per essere stata usata dalla politica come “moneta di scambio” clientelare, o perché, secondo i pm, avrebbe contato tra i suoi addetti uomini delle ‘ndrine e pregiudicati.

La società regionale nasce nel 2013 sulle ceneri dell’agenzia Afor, e finisce per “imbarcare” addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale, personale delle comunità montane (abolite proprio nel 2013) e decine di “comandati” dai vari uffici della Regione. Lavoratori, di base, per lo più inquadrati come operai agricoli, con buste paga da 1.300 euro al mese, ma che spesso mancano di una formazione specifica. Un ente pachidermico che alla voce “personale sorveglianza idraulica” nel 2019 contava 3.988 dipendenti, sui 4.769 totali. Aloisio Mariggiò, ex generale dei Carabinieri oggi in pensione, è stato il Commissario straordinario di Calabria Verde che, nel 2020, prima di dimettersi, ha consegnato ai vertici della Regione una relazione durissima in cui ricordava come “qualcuno” avesse assunto un “preciso impegno” per “non operare tagli sul personale”. Fra le anomalie rilevate da Mariggiò, anche il caso della sede di Calabria Verde. Si trova “all’interno di una struttura commerciale di Catanzaro” e occupa 1.760 metri quadri. Una sede per cui la società regionale “corrisponde canoni di locazione per oltre 180mila euro l’anno”, e che appartiene “a due diverse società” (su una delle quali pende “un’interdittiva antimafia”).

La mafia dei boschi.

Così, mentre i servizi regionali che dovrebbero contrastare e prevenire affondano negli sprechi, la “mafia dei boschi” fa affari grazie agli incendi. Come? La Calabria, oltre a essere l’unica, assieme all’Abruzzo, ad avere sul proprio territorio tre Parchi nazionali (Aspromonte, Sila e Pollino, il più esteso d’Italia), è anche la regione italiana con più centrali elettriche a biomasse, dunque a combustibile organico, tecnologia che viaggia anche grazie al legno “riciclato” dagli incendi. “Solo il 20% dell’energia prodotta dalle centrali biomasse qui resta in Calabria – spiega Ferdinando Laghi, medico per l’ambiente oggi candidato con De Magistris – il resto finisce fuori. E, per avere un’idea, la centrale del Mercure, in provincia di Cosenza, nel primo anno di esercizio ha incassato 49 milioni di euro: 10 dalla produzione di energia, 39 dagli incentivi pubblici”. A fiutare il business, ancora una volta, è la ‘ndrangheta. Dalle carte dell’inchiesta “Farmabusiness” del 2020 della Procura di Catanzaro, emerge come già nel 2012 il boss Nicolino Grande Aracri avesse intuito l’affare: intercettato, parlava di un guadagno di “300mila euro al mese” dai carichi di legname venduti, da ditte affiliate, ai gestori delle centrali. E sempre la Dda di Catanzaro, con l’operazione “Stige”, aveva portato alla luce i “disboscamenti selvaggi per alimentare il mercato delle biomasse, favoriti dalla connivenza di chi doveva vigilare e non l’ha fatto”.

I contadini improvvisati.

“Quando parliamo di incendi, specie in questa terra, per inquadrare le responsabilità bisogna guardare a tutti i livelli”, spiega Mangone di Stop Incendi. “È molto diffusa purtroppo la pratica dei singoli che bruciano le stoppie, per ripulire i propri campi”. Sono i tanti calabresi, ricorda lo scrittore Francesco Bevilacqua, “che giocano a fare i contadini e i pastori, avendo dimenticato gli antichi saperi. Così come calabresi sono i piromani che appiccano il fuoco per psicopatia o per ritorsione verso il vicino, il parco, il mondo intero. È la Calabria, che ha la sua luce e la sua ombra. Il fuoco non è che una metafora di questa condizione ambivalente”.

ILFQ

lunedì 12 aprile 2021

Calabria. Spiragli di rinascita: “Ora i pentiti parlano, i cittadini protestano e denunciano”. - Nando dalla Chiesa

 

Gli urli bisogna sentirli. Dopo che ho dedicato questa rubrica a una preside di Vibo Valentia, sempre da Vibo mi è giunta una lettera. L’ha scritta un quarantenne di Libera che ha fatto una scelta radicale: lavorare per un bene confiscato ai potenti Mancuso di Limbadi. È una richiesta di aiuto. Perché, mi chiede, non vedete che cosa sta accadendo quaggiù e in particolare nella mia città? Fatti importanti, dice, che contraddicono gli stereotipi nazionali.

“Siamo di fronte a una grande opportunità nel contrasto culturale alla ’ndrangheta”. Leggo e gli do ragione. Giuseppe Borrello, così si chiama l’autore, sottolinea tre cose. Primo, la società civile non subisce più in silenzio “angherie e soprusi”, “un potere violento che è stato la causa di sottosviluppo, negazione dei più basilari diritti, povertà ed emigrazione”. Continuano le manifestazioni di opposizione, spiega, “ma su tutte ritengo fondamentale ricordare l’iniziativa svoltasi a Vibo Valentia il 24 dicembre 2019, all’indomani dell’operazione Rinascita-Scott. Quando migliaia di persone si sono ritrovate unite dalla parte dello Stato. Una reazione che neanche noi pensavamo potesse essere così copiosa, una presa di posizione forte, non scontata. Soprattutto in contesti piccoli come quelli che viviamo e dopo un’operazione elefantiaca nei numeri”. Sa, mi chiede, che cosa vuol dire da noi vedere una folla di giovani schierarsi fisicamente con le divise? Altro che omertà generale, sembra dire. E subito consegna le altre due novità.

“Sono sempre di più gli appartenenti alle ’ndrine che decidono di collaborare con la giustizia. Esponenti di spicco della ’ndrangheta nostrana che, fornendo elementi utili per le indagini, ci restituiscono pezzi di storia importante del nostro territorio disvelandone trame e intrecci, connivenze e deferenze, come, per esempio, Andrea Mantella. Oppure, ancora, figure emblematiche, come Emanuele Mancuso o Walter Loielo, la cui collaborazione dimostra il venir meno di quell’immagine ermetica e granitica propria della ’ndrangheta, dettata appunto dai legami di sangue”. Non solo dunque si leva una nuova voce dalla società civile, ma qualcosa si sgretola all’interno del mondo maledetto.

La terza novità è perfettamente in linea con le altre due: l’aumento delle denunce, frutto di una recuperata fiducia nei confronti dello Stato. “Più volte, il procuratore di Vibo e il comandante provinciale dei Carabinieri hanno confermato in pubblico questo dato. Lo Stato oggi, a Vibo Valentia, ha recuperato la propria centralità, almeno dal punto di vista repressivo, ed appare forte e credibile perché credibili ed io aggiungerei immensamente umane, sono le persone, uomini e donne, che lo rappresentano”. Perché non cogliere queste novità, perché non raccontarle? Perché l’antimafia deve essere solo quella, certo importantissima, degli arresti?

L’autore della lettera è troppo giovane per saperlo. Ma a me le sue parole ricordano quel che accadde in Sicilia 35 anni fa. La società civile si svegliava, si organizzava, le scuole annunciavano nuovi orizzonti e l’Italia vedeva sempre e solo il maxiprocesso. Osservava la superficie luminosa ma si annoiava o rifiutava la piccola fatica di guardare appena un palmo sotto.

Proprio come oggi in Calabria, anche tra gli intellettuali locali, denuncia Giuseppe: “Si tratta di aspetti importanti per i quali, purtroppo, credo manchi la giusta consapevolezza, sia a livello regionale che nazionale. Il dibattito politico e culturale si nutre di divisioni, faziose e strumentali, a favore o contro quel magistrato o quell’inchiesta, senza rendersi conto di correre il rischio di perdere un’occasione irripetibile”. No, davvero non perdiamola questa occasione. Si esiste se si è raccontati, alla lunga. E quel pezzo di Calabria che si ribella ha, tra i suoi tanti diritti, appunto quello di essere raccontato.

IlFattoQuotidiano

domenica 14 febbraio 2021

Eolico, la Calabria blocca tutte le autorizzazioni.

 

L'assessore regionale all'ambiente comunica di aver disposto la sospensione di tutte le autorizzazioni per gli impianti eolici e gli elettrodotti.

In una nota pubblicata sul portale istituzionale della Regione si legge che. "Nelle more dell'approvazione del Piano paesaggistico della Regione Calabria, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, 'Codice dei beni culturali e del paesaggio', l'assessore regionale alla Tutela dell’ambiente, Sergio De Caprio, ha disposto la sospensione di tutte le autorizzazioni per gli impianti eolici e gli elettrodotti, in quanto rappresentano una violenza alla bellezza della Regione e allo sviluppo del turismo".

Si specifica, inoltre, che è stato contestualmente "avviato un tavolo tecnico interdipartimentale per definire l'efficienza ecologica del marchio di qualità dell'energia rinnovabile regionale, come previsto dalla legge regionale n. 25 del 19 novembre 2020" [la legge in realtà è datata 10 novembre 2020, NdR].

Al momento non è chiaro se questa iniziativa, di cui la nota rappresenta l'unica testimonianza ufficiale, sarà accompagnata da specifiche disposizioni normative.

Quel che è certo, invece, è che questa vera e propria moratoria sull'eolico contrasta con tutte le disposizioni comunitarie e nazionali sulla promozione delle fonti rinnovabili.

Non è un caso, infatti, che sino ad oggi, tutti i tentativi di blocco delle autorizzazioni disposti dalle Regioni siano finiti con una inevitabile bocciatura da parte della Corte costituzionale. Basti solo ricordare, tra gli esempi più recenti e clamorosi, la sentenza (20 giugno 2018, n. 177) con cui la Consulta aveva dichiarato illegittima la moratoria campana sull'eolico del 2016.

https://www.nextville.it/news/43905/eolico-la-calabria-blocca-tutte-le-autorizzazioni/


domenica 29 novembre 2020

Longo, prima grana: 8 mln di fatture sparite a Cosenza. - Stefano Vergine

 

L’azienda sanitaria - Ha 361 milioni di euro di debiti, trasformati in parte in bond. Ma non si trovano più le ricevute delle operazioni.

A Cosenza l’ultima richiesta è arrivata lo scorso agosto: versare 8,3 milioni di euro. Sull’unghia, altrimenti si va in tribunale. È su questa nuova bomba su cui si è appena seduto Guido Longo, neo commissario alla sanità calabrese. L’intimazione di pagamento spedita alla Azienda sanitaria locale (in Calabria si chiamano Asp) è firmata da una società di Milano: la Tocai Spv Srl. I proprietari ultimi della Tocai non sono noti, l’impresa è controllata da un trust, il Rubino Finance, che gestisce una serie di altre aziende attive nello stesso business: debiti della sanità, in particolare sanità calabrese, la più disastrata d’Italia. Circa 11 anni di commissariamento e un buco in bilancio che si allarga di anno in anno.

La Corte dei Conti dice che la sanità pubblica della regione ogni anno perde 105 milioni di euro, e il buco si aggiunge ai debiti accumulati. Solo quelli con i fornitori privati valgono 1,1 miliardi di euro (dati 2019). Tra questi, ci sono quelli di società come la Tocai Spv. Le Spv (Special purposevehicles) sono società-veicolo, fanno cartolarizzazioni. Negli ultimi anni, molte si sono buttate su questa nuova nicchia di mercato. Fanno affari rivendendo crediti di aziende private nei confronti delle Asl italiane.

Funziona così. Molte aziende private convenzionate con il sistema sanitario nazionale, come le cliniche e le Rsa, dovrebbero essere pagate per le prestazioni effettuate in convenzione dalla propria Asl di riferimento, ma invece di aspettare il pagamento (solitamente in ritardo) vendono il loro credito a queste società-veicolo, in cambio di liquidità immediata. Le Spv si accollano il rischio di recuperare il credito a fronte di un prezzo d’acquisto vantaggioso. Poi trasformano questi crediti in titoli finanziari, impacchettandoli in bond da vendere agli investitori. La Tocai nel suo bilancio dice di aver comprato in totale fatture da aziende sanitarie private per 10,5 milioni di euro, pagandole 9,6 milioni. E le ha di fatto rivendute, a investitori istituzionali non meglio specificati, trasformandole in obbligazioni. Titoli che promettono un ottimo rendimento: 5,5% annuo.

È così che si è messo in moto il mercato dei bond sanitari in Calabria. Decine di Spv create negli ultimi quattro-cinque anni per fare profitti, sfruttando la malagestione della sanità locale. Come nel caso dei mafia bond, scoperti mesi fa da un’inchiesta del Financial Times.

Per la Corte dei Conti, le doppie e triple fatture della Asp di Reggio Calabria sono poca cosa rispetto a quanto successo Cosenza. Sul totale di 1,1 miliardi di debiti verso i fornitori privati, la Asp di Cosenza è la più indebitata delle cinque aziende sanitari della regione, con un fardello di 361 milioni. Il numero ufficiale potrebbe non essere esaustivo, visto quanto sta succedendo proprio con la Tocai. Quando ad agosto la società milanese ha chiesto il pagamento di vecchie fatture per 8,3 milioni di euro, alla Asp di Cosenza sono saltati sulla sedia. Due dirigenti hanno scritto alla loro capa, Cinzia Bettelini, commissario della Asp, per comunicare che quelle fatture non “non erano registrate nella contabilità aziendale”, si legge nei documenti. Com’è possibile che la Asp Cosenza non avesse mai registrato fatture per 8,3 milioni? E quanti altri debiti del genere gravano sul bilancio regionale?

A una richiesta di intervista il commissario Bettellini non ha risposto. Una dirigente interna all’azienda sanitaria locale, chiedendo l’anonimato, ci ha confermato che “le fatture non ci sono. Tutte quelle con la Tocai sono state saldate: le fatture che ci chiedono ora sono inesigibili, potrebbero essere fatture che l’azienda privata da cui le hanno comprate non ha mai inviato a noi”. Tocai ci ha fatto sapere di essere in possesso di tutte le garanzie che il credito in questione è certo, liquido ed esigibile, aggiungendo che proprio quelle fatture sono “oggetto di un giudizio davanti al Tribunale di Cosenza”, in cui la difesa dell’Asp Cosenza “non ha mai contestato la mancata ricezione delle fatture”.

Come se non bastasse, l’azienda privata da cui Tocai ha comprato i crediti nel frattempo è fallita. È la Casa di Cura Tricarico. La Procura di Paola ipotizza la bancarotta fraudolenta. Alcuni dei titolari l’avrebbero spolpata usando i soldi dell’azienda per fini personali, per questo a giugno sono stati arrestati.

Chi pagherà alla fine gli 8,3 milioni che mancano? La Asp Cosenza o l’anonima società milanese? All’azienda sanitaria costerebbe un po’ di debito in più, particolare di un fenomeno generale, quello della finanziarizzazione dei crediti sanitari di una regione, la Calabria, che oggi non ha abbastanza posti per ricoverare i malati di Covid. Ma anche per Tocai sarebbero dolori. “Il servizio titoli emessi, in linea interessi e capitale, è assicurato unicamente dagli incassi derivanti dal portafoglio crediti”, scrive nel bilancio la società. Significa che se da Cosenza non pagano, le cose rischiano di mettersi male anche per chi ha investito in quei bond.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/29/longo-prima-grana-8-mln-di-fatture-sparite-a-cosenza/6020245/

sabato 21 novembre 2020

“Aiutò i clan a entrare nell’affare farmaci”: arrestato il ras di FI. - Lucio Musolino

 

È il n. 1 del consiglio regionale.

“Si manda sull’aereo… se l’azienda manda in Inghilterra la medicina… ci sono antitumorali… Giova’… antitumorali che costano duemila euro… okay? Gli ospedali li comprano a mille… nell’Inghilterra li vendono a cinquemila… gli antitumorali… quindi tu li compri a mille e li vendi a cinquemila”. Le parole di Salvatore Grande Aracri, detto “il Calamaro”, sono la dimostrazione plastica di come ’ndrangheta e politica insieme si sono mangiati la Calabria. Una regione che oggi è devastata dal virus ma in cui, fino a ieri, cosche e colletti bianchi speculavano addirittura sui medicinali destinati a chi soffre di tumore. È questo uno degli aspetti più raccapriccianti dell’operazione “Farmabusiness”. Su richiesta della Dda di Catanzaro i carabinieri hanno arrestato 18 persone. Ai domiciliari è finito anche il presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini accusato di aver favorito, nel 2014, quando era assessore al Personale i boss dei Grande Aracri. Per loro ha accelerato “l’iter burocratico per il rilascio di necessarie autorizzazioni nella realizzazione del ‘Consorzio Farma Italia’ e della società ‘Farmaeko’, che prevedeva la distribuzione dei cosiddetti medicinali da banco sul territorio nazionale”.

Per il procuratore Gratteri e i suoi pm, l’esponente di Forza Italia e “quegli amici” della cosca Cutro avevano “il programma delittuoso di truffare il Ssn esportando illegalmente farmaci oncologici per rivenderli all’estero con profitti spropositati”. Secondo il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e i sostituti Paolo Sirleo e Domenico Guarascio che lo hanno accusato di concorso esterno con la ’ndrangheta e scambio politico-mafioso, Tallini era il “contatto privilegiato” delle cosche crotonesi. Per il gip, che ieri ha firmato l’ordinanza di custodia, quella dell’esponente di Forza Italia è “una contiguità ’ndranghetistica che sfiora la vera e propria intraneità”.

L’uomo di collegamento era un tecnico antennista e concessionario di Sky per la Calabria: Domenico Scozzafava, “l’uomo della pioggia” di Tallini, “un formidabile portatore di voti” ma anche uno “’ndranghetista fino al midollo”. È lui che, facendosi garante dei favori che la cosca riceverà dal politico, offre in dote Tallini ai Grande Aracri, consentendo ai boss di entrare nel progetto “Farmitalia” che nasce da un’idea dell’ex senatrice Anna Maria Mancuso, ex Pdl, ma oggi passata alla Lega. Nel 2013, in vacanza a Sellia Marina con il marito e con il factotum Walter Manfredi, l’ex senatrice Mancuso entra in contatto con Scozzafava, ritenuto il trait d’union tra gli ambienti criminali più pericolosi, quelli di una politica dedita alla spregiudicata ricerca di consensi e gli ambienti di un’imprenditoria parassita”.

Per i pm, la Mancuso e il marito “spariranno in pochi mesi dalla scena” e si diranno delusi “dagli amici calabresi”. Prima di suicidarsi nel 2016, il “faccendiere” Manfredi resta ed entra nell’affare del “Consorzio Farma Italia”, portando dentro il commercialista romano Paolo Del Sole che, tra i soci, si ritrova anche Giuseppe Tallini, figlio del presidente del Consiglio regionale Mimmo.

Dietro tutto c’era il giovane Salvatore Grande Aracri, che rappresentava gli interessi mafiosi degli zii, don Nicolino e Mimmo Grande Aracri. Apparentemente un semplice falegname di Brescello, il “Calamaro” è stato intercettato mentre trattava affari milionari con un soggetto svizzero. Senza ricoprire alcuna carica sociale, era lui il dominus del consorzio “Farma Italia”. Tallini lo sapeva e non ha mai preso “le distanze”. Anzi, dopo un litigio con il figlio che voleva uscire dall’affare, “si spende per convincerlo a ‘non mollare’”. “È ben a conoscenza – scrive il gip – che Scozzafava gli porta voti dagli ambienti ’ndranghetistici di Cutro nell’ambito di uno scambio di favori e di promesse di favori che hanno al centro il consorzio Farmaci”. In ballo, infatti, c’erano i quasi 10mila voti rastrellati alle Regionali del 2014. “È stata indagata – ha dichiarato il procuratore Nicola Gratteri – una famiglia di ’ndrangheta di serie A”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/20/aiuto-i-clan-a-entrare-nellaffare-farmaci-arrestato-il-ras-di-fi/6009965/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-20

giovedì 19 novembre 2020

'NDRANGHETA Calabria, “L’investimento è per voi”: così Tallini parlava alla ‘ndrangheta. “Favorì gli affari della cosca coi farmaci in cambio di voti”. - Lucio Musolino

 

Il presidente del Consiglio regionale è ai domiciliari con l'accusa di concorso esterno con la ‘ndrangheta e scambio politico-mafioso. Nell'ordinanza si legge che aiutò "il rilascio di necessarie autorizzazioni" e "il procacciamento di farmacie" per gli affari "della famiglia mafiosa Grande Aracri”. Il politico di Forza Italia impose inoltre "l'assunzione e l'ingresso, quale consigliere, del proprio figlio Giuseppe Tallini" nella società della cosca.

“Insomma… l’investimento è per voi… mica lo facciamo per noi… no? Fino a mo’ ci abbiamo solo rimesso…però nonostante tutto… anche gratis… Mi devi spiegare meglio com’è impostato tutto il ragionamento”. Per la Dda di Catanzaro, la frase del presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini è chiara: con la parola ‘voi’ indica la ‘ndrangheta mentre con il ‘noi’ non ci sono dubbi che si riferisca a sé stesso e ai benefici familiari ed elettorali che può trarre dal rapporto con le cosche attraverso quello che i pm chiamano “l’uomo della pioggia”. All’anagrafe Domenico Scozzafava, “un formidabile portatore di voti” per il politico di Forza Italia finito ai domiciliari, ma anche uno “’ndranghetista fino al midollo”. Entrambi sono stati arrestati nell’operazione “Farmabusiness” assieme ad altre 17 persone contigue alla cosca di Cutro.

Il terremoto giudiziario stronca Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale, e dimostra ancora una volta l’interessamento della ‘ndrangheta negli affari della sanità calabrese. Per la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, infatti, Tallini “in qualità di assessore regionale fino al 2014, candidato alle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale del 2014, e successivamente quale consigliere regionale, forniva un contributo concreto, specifico e volontario per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative della famiglia mafiosa Grande Aracri”.

Concorso esterno con la ‘ndrangheta e scambio politico-mafioso. Stando alle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dai pm Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, il presidente del Consiglio regionale ha accelerato “l’iter burocratico per il rilascio di necessarie autorizzazioni nella realizzazione del ‘Consorzio Farma italia’”. Pur “consapevole” che quelli erano soldi della ‘ndrangheta, Tallini concorreva – è scritto nel capo di imputazione – “nei progetti commerciali inerenti la distribuzione dei farmaci e imponeva nella struttura societaria della Farmaeko srl, l’assunzione e l’ingresso, quale consigliere, del proprio figlio Giuseppe Tallini, così da contribuire all’evoluzione dell’attività imprenditoriale del Consorzio Farmaceutico, fornendo il suo contributo, nonché le sue competenze e le sue conoscenze anche nel procacciamento di farmacie da consorziare”.

Il tutto per avere il sostegno elettorale del boss Nicolino Grande Aracri e di suo fratello Domenico alle regionali del 2014. Per i magistrati, infatti, Tallini era “ben consapevole di prestare un rilevante contributo all’associazione criminale e che il lusinghiero ‘ritorno’ elettorale era riconducibile al patrimonio di intimidazione che la cosca stessa indubbiamente detiene”. I pm hanno riscostruito i rapporti tra Tallini e Domenico Scozzafava che “ha profondi legami con tale frangia della criminalità calabrese”. Considerato, infatti, vicino al clan dei Gaglianesi, Scozzafava andava “in giro a piazzare bottigliette incendiarie”. Tallini per gli investigatori lo sapeva e, nonostante questo, ha accettato di avere come socio “l’uomo della pioggia”. È lui, secondo gli inquirenti, che gli procura “gli appuntamenti con soggetti del crotonese e lo fa nell’ambito di uno scambio di favori e di promesse di favori che hanno al centro il Consorzio Farmaci”.

Dal canto suo, il politico avrebbe garantito “l’autorizzazione regionale per il Consorzio, la sua attività per procacciare farmacie da consorziare, ma anche l’apporto di denaro e l’impiego pressoché gratuito del figlio Giuseppe Tallini”. Nel corso delle indagini sono emerse le cautele dell’ex assessore regionale che ha sempre cercato di evitare “ogni contatto diretto con i cutresi”. Addirittura, il politico evitava persino di salire sull’auto dello Scozzafava, ma il 5 ottobre 2014 i carabinieri hanno registrato “la visita in assessorato di personaggi del crotonese che andavano a promettergli voti”.

Un mese dopo, poco prima delle elezioni regionali, un’intercettazione tra Scozzafava e un suo cugino di Sellia Marina dimostra la “gratitudine elettorale” del clan verso Tallini. “A chi state portando? A Sergio (Costanzo altro candidato, ndr)”. “No, a Mimmo”. “Te li raccolgo, non ti preoccupare, e vedi tu che è sempre grazie a lui se partiamo… dobbiamo ringraziare… al momento è forte e probabilmente sarà sempre il numero uno a Catanzaro Mimmo… e non c’è niente… pure che non sale… ma sempre la minoranza”. “Li porta, li porta, perché ora li prende pure a Crotone, Vibo. E domani vado a Cutro che devo fare un lavoro e per i voti pure… Un poco di voti glieli ho trovati pure là pure”.

Le frasi sono chiare, ma Scozzafava non ha sostenuto Tallini solo nel 2014. Per lui, il politico di Forza Italia è stato sempre il cavallo su cui puntare, secondo quanto emerso dalle indagini: “Elementi certi che denotano la vicinanza del Tallini allo Scozzafava – scrive il gip nell’ordinanza – sono apprezzabili ancora nel corso del 2018. Anche nel corso di tale anno, così come nel 2017, era accertata l’attività di sostegno, proselitismo e pubblicità elettorale al Tallini da parte di Scozzafava e altre persone allo stato sconosciute facenti parte del suo ambito relazionale”.

Erano le politiche del 2018 e Tallini era capolista per Forza Italia nel collegio uninominale di Catanzaro. Non viene eletto e, due anni più tardi, si ripresenta alle regionali del 2020 sostenendo la candidatura a governatore di Jole Santelli. Nonostante la Commissione parlamentare antimafia lo indica come uno dei due “impresentabili”, vince le elezioni: il centrodestra non solo non prende le distanze, ma lo mette a capo di Palazzo Campanella. Dopo 9 mesi, la Regione rimane senza guida per la morte della presidente Santelli. Da oggi lo è anche il Consiglio regionale. Eppure tracce dei rapporti di Tallini con gli ambienti criminali di Cutro erano già emersi nell’inchiesta “Kyterion”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/19/calabria-linvestimento-e-per-voi-cosi-tallini-parlava-alla-ndrangheta-favori-gli-affari-della-cosca-con-i-farmaci-in-cambio-di-voti/6008833/

mercoledì 18 novembre 2020

Un prontuario per scegliere il commissario. - Antonio Padellaro.

 

Peccato perché mal comune mezzo Gaudio era un titolo perfetto (senza contare che l’altro mezzo si chiama Strada, una festa per i giornali). Però al terzo flop governativo nella ricerca del commissario sanitario calabrese (che eguaglia i tre presidenti peruviani in una settimana), smettiamola di criticare e proviamo a dare una mano al ministro Speranza con un breve prontuario per non toppare la quarta volta. 

1) Accertarsi che non soffra di sdoppiamento della personalità, di perdite di conoscenza e di sonnambulismo. Evitare che colleghi invidiosi iscritti alla massoneria, e/o alla ’ndrangheta non gli somministrino di soppiatto droghe e/o allucinogeni onde convincerlo di essere Ezechiele Lupo o il Mago di Oz. 

2) Informarsi sulle pubblicazioni del candidato per verificarne il valore scientifico: per esempio, se 15 minuti di lingua in bocca servano come detonatore per misurare la carica virale, o rappresentino un’innocente vanteria erotica. 

3) Individuato il possibile nome, consultare il casellario giudiziario e il bollettino dei protesti, indagare anche sui siti di scommesse e pornografici. 

4) Interpellare il coniuge del prescelto (ma anche figli e congiunti, come da relativo Dpcm) sulle preferenze riguardo alla città di residenza. Registrare eventuale gradimento sulle località di vacanza: mare, lago, montagna, campagna. 

5) Come da protocollo del presidente Spirlì, investigare sull’origine calabrese doc dell’esaminando, fino alla terza generazione: la consumazione continuativa di piatti a base di nduja e peperoncino fanno punteggio. 

6) Da escludere i medici di riconosciuta fama internazionale, che hanno operato in zona di guerra, privi di padrinati politici e con trascorsi giovanili di sinistra.

7) Nel caso questi requisiti non fossero riscontrabili, recuperare i picchiatelli e gli stravaganti e i perditempo di cui sopra. Di sanità pubblica non sapranno una mazza, ma almeno ci fanno divertire.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/18/un-prontuario-per-scegliere-il-commissario/6007441/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-18

sabato 7 novembre 2020

Calabria, il commissario alla Sanità Cotticelli in tv: “Devo fare io il piano operativo Covid? Non lo sapevo”. Conte lo sostituisce “con effetto immediato” -Thomas Mackinson

 

La surreale intervista del commissario calabrese che ha ammesso di non essere a conoscenza delle disposizioni del Governo né quante siano le terapie intensive nella regione di cui è plenipotenziario per la sanità. Lo scopre solo leggendo un documento davanti alle telecamere di Raitre. Interviene il presidente del Consiglio: "Va sostituito, voglio firmare il decreto già nelle prossime ore”. Lui si dimette.

La Calabria “zona rossa” non ha più un commissario alla Sanità. E’ stato licenziato, anzi si è dimesso, per una surreale testimonianza di incompetenza. In carica da due anni come plenipotenziario della dissestata sanità calabrese, Saverio Cotticelli scopre solo adesso, davanti alle telecamere di un giornalista di Titolo V (RaiTre), di essere stato incaricato dal governo anche del “Programma operativo per la gestione dell’emergenza Covid“. Il Commissario legge l’atto ripescato nell’archivio come fosse la prima volta: “Sono io”, ammette poi e impacciato cerca di correggere il tiro dicendo di essere sul punto di realizzarlo: “La settimana prossima è pronto”. E poi aggiunge sconsolato: “Cosa vuole che le dica, dottore, tanto io domani mattina sarò cacciato”. E infatti, l’indomani, annuncia dimissioni, ma solo dopo che sul caso è intervenuto addirittura il capo del governo Conte annunciandone la rimozione al primo atto utile.

Sul caso era intervenuto anche il ministro per il Mezzogiorno Beppe Provenzano con un post su Facebook che non lasciava margini: “L’attuale Commissario alla Sanità in Calabria non può restare al suo posto un minuto in più. Il Governo darà corso alla nuova nomina, sulla base del nuovo commissariamento deciso in CdM. La Zona Rossa però è il frutto non di una decisione politica, ma di un RT elevatissimo e di gravi inadempienze nell’organizzazione regionale, nonostante le importanti risorse stanziate in questi mesi”. A stretto giro l’intervento di Conte in una nota che ufficializza la prossima defenestrazione: “Va sostituito con effetto immediato – si legge – . Anche se il processo di nomina del nuovo commissario prevede un percorso molto articolato, voglio firmare il decreto già nelle prossime ore”.

Saverio Cotticelli, generale dei Carabinieri in pensione, è stato incaricato a dicembre del 2018. E’ solo l’ultimo di una serie di commissari che in 11 anni non sono stati capaci di centrare l’obiettivo per cui erano stati incaricati: portare a termine il piano di rientro. Tanto che l’emergenza nell’emergenza continua. Il governo gli aveva rinnovato la fiducia giusto tre giorni fa, quando ha approvato in Cdm il “Decreto Calabria” bis che proroga e rafforza la gestione straordinaria della sanità per i prossimi tre anni, rinnovando quello varato a fine dell’anno scorso. Che il plenipotenziario della Sanità calabrese però non sapesse neppure le sue competenze nella più grande emergenza di sempre è effettivamente “straordinario”, come il fatto che non riuscisse a indicare i posti di terapia intensiva attualmente disponibili nella regione.

Il vice, interpellato sul punto, non fa una figura migliore. “La devi finire! Quando fai queste cose devi andare preparato”, gli dice fuori campo il sub commissario Maria Crocco che è nella stanza a fianco e smentisce ogni cifra azzardata alla rinfusa dal suo capo. “Quanti posti letto di terapia intensiva abbiamo attivato, Marì?», chiede il generale. Lei ribatte: “Non ne hai attivati, sono quelli che hai previsto nel piano”.

Puro teatro dell’assurdo. Che termina con una terza voce che segna l’atto finale. Fa il suo ingresso anche una terza persona a sostenere che i posti letto attualmente attivati sono 55, per un totale di 161. «La fonte di questa informazione chi è?», domanda il giornalista in un carosello tragicomico. “No, io faccio un altro mestiere, faccio l’usciere”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/07/calabria-il-commissario-alla-sanita-cotticelli-in-tv-devo-fare-io-il-piano-operativo-covid-non-lo-sapevo-conte-lo-sostituisce-con-effetto-immediato/5995322/

lunedì 30 marzo 2020

Regione Calabria, le spese folli del Consiglio. Dirigenti pagati a peso d’oro e 351 dipendenti. - Riccardo Tripepi

Palazzo Campanella
Palazzo Campanella

Il segretario generale percepisce quasi 300mila euro l’anno, il presidente dell’Assemblea 165mila, i direttori di settore 137mila. In più c’è una pletora infinita di impiegati, con un rapporto di 12 unità per ogni consigliere.


Si apre il prossimo 9 marzo la legislatura regionale. Palazzo Campanella i suoi dipendenti si preparano dunque a intensificare il proprio impegno in attesa di capire quali saranno le decisioni, o le eventuali riforme, che la nuova Assemblea sul loro futuro. Mentre sono ancora in corso di svolgimento le procedure per alcuni concorsi, l’organico sembra essere sovradimensionato e ipercostoso.

Al momento, il personale interno del Consiglio, nel quale troveranno spazio i 30 consiglieri appena eletti, è composto da 351 unità a tempo indeterminato, con un’invidiabile media di 11,7 dipendenti per consigliere regionale. Nel numero sono compresi i nuovi assunti per carenza di organico nel 2010, che nella misura del 20% viene applicato nelle strutture speciali dei politici, lasciando spesso sotto organico gli uffici.

Impietoso il confronto con gli altri Consigli regionali italiani. A partire, ad esempio, da quello della Lombardia che risulta composto da 80 consiglieri e conta 268 unità a tempo indeterminato, con la media di 3,35 dipendente per consigliere regionale.

Alla spesa per i dipendenti già analizzata in precedenza, si aggiunge quella per i dirigenti che presenta alcuni tratti del tutto singolari.

Il segretario generale di palazzo Campanella percepisce un compenso pari ad euro 282.358,71 all’anno, così per come stabilito dalla legge regionale la n. 8 del 1996. Praticamente guadagna più dello stesso presidente del Consiglio che si ferma ad euro 165.600,00. La figura omologa alla giunta guadagna euro 160.217,66, ben 45.831,05 in meno di competenze stipendiali fisse.

Eppure diversa sembrerebbe la mole di lavoro per i due segretari: mentre in giunta regionale vi sono 13 dirigenti generali e circa 2.500 dipendenti, al Consiglio vi è 1 solo direttore generale e circa 351 dipendenti.

Le differenze tra palazzo Campanella e Cittadella proseguono anche per il capo di gabinetto: al Consiglio si prevede uno stipendio da Euro 202.437,39 mentre quello della Giunta soltanto Euro 140.578,68.
Le stesse differenze si riscontrano anche in ordine ai dirigenti di settore che sono 9 per 351 dipendenti in Consiglio per uno stipendio annuo da euro 137.478,07, un compenso superiore di circa 25.000 euro rispetto a quanto percepito dai circa 120 dirigenti di Settore della Giunta regionale.

Costi della politica necessari al funzionamento della macchina amministrativa e gestionale si dirà. Eppure un’operazione trasparenza all’interno dei palazzi del potere potrebbe essere un invidiabile biglietto da visita per la nuova Amministrazione regionale che potrebbe censire nel dettagli i costi e spiegare ai calabresi come vengono spesi i denari pubblici e per ottenere quali risultati.

giovedì 19 dicembre 2019

'Ndrangheta, maxi blitz dei Cc: 334 arresti.

Giancarlo Pittelli © ANSA
Giancarlo Pittelli. (ansa)

Disarticolate tutte le cosche del Vibonese in Italia e all'estero. 

Politici, avvocati, commercialisti, funzionari infedeli dello Stato e massoni figurano tra i 334 arrestati della maxi operazione condotta all'alba dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Vibo Valentia con il coordinamento della Dda di Catanzaro. Tra loro anche l'avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli. 
L'operazione 'Rinascita-Scott' ha disarticolato tutte le organizzazioni di 'ndrangheta operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca Mancuso di Limbadi. Complessivamente sono 416 gli indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose.
Contestualmente all'ordinanza di custodia cautelare, i carabinieri stanno notificando anche un provvedimento di sequestro beni per un valore di circa 15 milioni di euro. L'imponente operazione, frutto di indagini durate anni, oltre alla Calabria interessa varie regioni d'Italia dove la 'ndrangheta vibonese si è ramificata: Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata. Alcuni indagati sono stati localizzati e arrestati in Germania, Svizzera e Bulgaria in collaborazione con le locali forze di Polizia e in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall'autorità giudiziaria di Catanzaro. Nell'operazione sono impegnati 2500 carabinieri del Ros e dei Comandi provinciali che in queste ore stanno lavorando sul territorio nazionale supportati anche da unità del Gis, del Reggimento Paracadutisti, degli Squadroni Eliportati Cacciatori, dei reparti mobili, da mezzi aerei e unità cinofile.   

giovedì 1 agosto 2019

"Pareva un summit di mafia e non una riunione elettorale". - Enrico Fierro - Il FattoQuotidiano del1 agosto 2019

“Pareva un summit di mafia e non una riunione elettorale”

Un politico di Fratelli d’Italia potente e in ascesa eletto direttamente dai boss e diventato il loro burattino. Un altro, del Pd, terrorizzato dalle voci di inchieste che lo riguardavano che chiede informazioni a un finanziere offrendo in cambio un posto di lavoro. Un altro ancora, Pd, ex potente ma sempre col pallino di tornare sulla scena, accusato di trafficare con le cosche da anni.
È la Calabria fotografata dall’inchiesta “Libro nero”, della Squadra mobile di Reggio Calabria e della Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. Una terra dove nei rapporti col malaffare e con la ’ndrangheta non esistono confini politici, né differenze ideali, solo voti, consenso e quote di potere da conquistare con l’aiuto dei boss. Anche di quelli sospettati di aver ammazzato e fatto sparire tuo padre. È il caso di Sandro Nicolò, ex uomo forte del berlusconismo in riva allo Stretto, poi folgorato da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia. Di lui si parlava come prossimo candidato a sindaco di Reggio Calabria. Ma quando chiedeva voti alle cene elettorali, le riunioni “sembravano summit di ’ndrangheta”.
“A Saline, in un agriturismo, Alessandro fece una cena. Alessandro Nicolò, dove c’era anche Demetrio Berna (uno degli imprenditori arrestati, ndr), c’eravamo io e c’era Ferlito, e c’erano tutti i ragazzi della cosca. Sembrava un summit, non sembrava una riunione elettorale”.
Parla il pentito Enrico De Rosa, e il racconto di quella sera conferma il contenuto dell’inchiesta: il consigliere Nicolò era “diretta espressione della cosca Libri” e in ragione di questo, “divenne il punto di riferimento della criminalità organizzata”. Quella dei Libri è una delle famiglie “storiche” della ’ndrangheta calabrese, alleata dei Tegano, dei De Stefano e dei Condello, ha sempre avuto ottimi rapporti con la politica. Nell’inchiesta emerge la storia tragica del padre del consigliere Nicolò, vittima di “lupara bianca” nel 2004. Secondo gli inquirenti perché membro della cosca Libri ma inviso a don Mico, il capostipite, ipotesi sempre respinta dalla famiglia e dal figlio Nicolò. “Questo – dice uno degli arrestati intercettato dalla polizia – ha vinto con i voti di quelli che gli hanno sotterrato a suo padre”.
Ma quando “Sandro”, come lo chiamano gli affiliati, viene eletto, tutti sono raggianti. “Sandro è cosa nostra, con Sandro abbiamo vinto, abbiamo vinto”. Tutti felici anche in casa Fratelli d’Italia, quando, dopo le scorse elezioni politiche, Nicolò decise di passare dalla loro parte.
A vergare un comunicato entusiasta Giorgia Meloni e Wanda Ferro, senatrice e sicuro candidato governatore alle prossime regionali calabresi. “L’ingresso di Nicolò rappresenta per il nostro partito un valore aggiunto…”. Per i pm, invece, Nicolò era “patrimonio del clan Libri”, un uomo che andava sostenuto. “Sandro – si sente in una intercettazione tra appartenenti alla cosca alla vigilia delle ultime regionali – è un nostro candidato, altri non li dovete votare”. E il pentito De Rosa: “Io Sandro Nicolò lo conoscevo come espressione della famiglia Libri”.
Sebi Romeo, uomo vicinissimo al governatore Oliverio e capogruppo del Pd in Regione, era ossessionato dalle inchieste su di lui. Chiedeva lumi a giornalisti e amici in polizia.
Ne parla col segretario del suo partito di Melito Porto Salvo che ha un amico finanziere nella polizia giudiziaria della Corte d’Appello. Vuole sapere, per l’accusa promette favori “in cambio di informazioni coperte da segreto”. Finisce ai domiciliari per tentata corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio. Risalirebbero nel tempo, invece, le relazioni oscure dell’avvocato Demetrio Naccari Carlizzi, Pd di fede renziana, già assessore regionale e cognato di Giuseppe Falcomatà, il sindaco della città. I magistrati parlano di un suo “stabile, solido e proficuo accordo con i più importanti clan, in occasione di elezioni comunali e regionali”. Chiedeva voti per sé e per i suoi amici di cordata. 
È la politica in Calabria, bellezza.