Un politico di Fratelli d’Italia potente e in ascesa eletto direttamente dai boss e diventato il loro burattino. Un altro, del Pd, terrorizzato dalle voci di inchieste che lo riguardavano che chiede informazioni a un finanziere offrendo in cambio un posto di lavoro. Un altro ancora, Pd, ex potente ma sempre col pallino di tornare sulla scena, accusato di trafficare con le cosche da anni.
È la Calabria fotografata dall’inchiesta “Libro nero”, della Squadra mobile di Reggio Calabria e della Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. Una terra dove nei rapporti col malaffare e con la ’ndrangheta non esistono confini politici, né differenze ideali, solo voti, consenso e quote di potere da conquistare con l’aiuto dei boss. Anche di quelli sospettati di aver ammazzato e fatto sparire tuo padre. È il caso di Sandro Nicolò, ex uomo forte del berlusconismo in riva allo Stretto, poi folgorato da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia. Di lui si parlava come prossimo candidato a sindaco di Reggio Calabria. Ma quando chiedeva voti alle cene elettorali, le riunioni “sembravano summit di ’ndrangheta”.
“A Saline, in un agriturismo, Alessandro fece una cena. Alessandro Nicolò, dove c’era anche Demetrio Berna (uno degli imprenditori arrestati, ndr), c’eravamo io e c’era Ferlito, e c’erano tutti i ragazzi della cosca. Sembrava un summit, non sembrava una riunione elettorale”.
Parla il pentito Enrico De Rosa, e il racconto di quella sera conferma il contenuto dell’inchiesta: il consigliere Nicolò era “diretta espressione della cosca Libri” e in ragione di questo, “divenne il punto di riferimento della criminalità organizzata”. Quella dei Libri è una delle famiglie “storiche” della ’ndrangheta calabrese, alleata dei Tegano, dei De Stefano e dei Condello, ha sempre avuto ottimi rapporti con la politica. Nell’inchiesta emerge la storia tragica del padre del consigliere Nicolò, vittima di “lupara bianca” nel 2004. Secondo gli inquirenti perché membro della cosca Libri ma inviso a don Mico, il capostipite, ipotesi sempre respinta dalla famiglia e dal figlio Nicolò. “Questo – dice uno degli arrestati intercettato dalla polizia – ha vinto con i voti di quelli che gli hanno sotterrato a suo padre”.
Ma quando “Sandro”, come lo chiamano gli affiliati, viene eletto, tutti sono raggianti. “Sandro è cosa nostra, con Sandro abbiamo vinto, abbiamo vinto”. Tutti felici anche in casa Fratelli d’Italia, quando, dopo le scorse elezioni politiche, Nicolò decise di passare dalla loro parte.
A vergare un comunicato entusiasta Giorgia Meloni e Wanda Ferro, senatrice e sicuro candidato governatore alle prossime regionali calabresi. “L’ingresso di Nicolò rappresenta per il nostro partito un valore aggiunto…”. Per i pm, invece, Nicolò era “patrimonio del clan Libri”, un uomo che andava sostenuto. “Sandro – si sente in una intercettazione tra appartenenti alla cosca alla vigilia delle ultime regionali – è un nostro candidato, altri non li dovete votare”. E il pentito De Rosa: “Io Sandro Nicolò lo conoscevo come espressione della famiglia Libri”.
Sebi Romeo, uomo vicinissimo al governatore Oliverio e capogruppo del Pd in Regione, era ossessionato dalle inchieste su di lui. Chiedeva lumi a giornalisti e amici in polizia.
Ne parla col segretario del suo partito di Melito Porto Salvo che ha un amico finanziere nella polizia giudiziaria della Corte d’Appello. Vuole sapere, per l’accusa promette favori “in cambio di informazioni coperte da segreto”. Finisce ai domiciliari per tentata corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio. Risalirebbero nel tempo, invece, le relazioni oscure dell’avvocato Demetrio Naccari Carlizzi, Pd di fede renziana, già assessore regionale e cognato di Giuseppe Falcomatà, il sindaco della città. I magistrati parlano di un suo “stabile, solido e proficuo accordo con i più importanti clan, in occasione di elezioni comunali e regionali”. Chiedeva voti per sé e per i suoi amici di cordata. È la politica in Calabria, bellezza.
Ne parla col segretario del suo partito di Melito Porto Salvo che ha un amico finanziere nella polizia giudiziaria della Corte d’Appello. Vuole sapere, per l’accusa promette favori “in cambio di informazioni coperte da segreto”. Finisce ai domiciliari per tentata corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio. Risalirebbero nel tempo, invece, le relazioni oscure dell’avvocato Demetrio Naccari Carlizzi, Pd di fede renziana, già assessore regionale e cognato di Giuseppe Falcomatà, il sindaco della città. I magistrati parlano di un suo “stabile, solido e proficuo accordo con i più importanti clan, in occasione di elezioni comunali e regionali”. Chiedeva voti per sé e per i suoi amici di cordata. È la politica in Calabria, bellezza.
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