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sabato 30 gennaio 2021

Il senatore, il principe e il patto di Abramo. - Gad Lerner

 

Anche la settimana scorsa al Senato, nella sua requisitoria anti-Conte, Matteo Renzi non aveva mancato di esaltare gli “accordi impressionanti nel mondo arabo” conseguiti nel summit di Al-Ula da Mohammed bin Salman. Un omaggio preventivo al “grande principe ereditario” saudita che si apprestava a vezzeggiare di persona a Riyad, con toni apologetici. In effetti quel raduno delle petromonarchie sunnite del Golfo, revocando l’embargo imposto al Qatar, chiudeva felicemente il triangolo delle amicizie mediorientali di Renzi: l’israeliano Netanyahu, l’emiro qatarino Al-Thani e la dinastia regnante sulla Mecca. Un accordo propiziato da Trump demolendo la politica distensiva di Obama, garantito dal riarmo di regimi ferocemente reazionari e fondato sulla supremazia della finanza. Ma questo per Renzi e i suoi consiglieri è solo un dettaglio trascurabile. Conta di più la propensione agli affari sviluppata al tempo del suo governo, spaziando dalle compagnie aeree all’esportazione di armi, dai giacimenti di gas alla cybersecurity in cui gli ha fatto da battistrada il fido Marco Carrai.

“Gli 80 mila euro percepiti per sedere nel board della Future Investment Initiative? Sono spiccioli rispetto a ciò che Renzi potrebbe guadagnare se anteponesse il denaro al potere”, mi spiega un uomo della finanza milanese. Nel cosiddetto Patto di Abramo sottoscritto da Israele con gli Emirati e incoraggiato dall’Arabia Saudita, Renzi aspira a ritagliarsi il suo piccolo spazio. Ci lavora fin da quando era primo ministro e instaurò un solido rapporto col leader della destra israeliana, facendo tesoro delle entrature dell’allora corrispondente de La Stampa

a Gerusalemme, Maurizio Molinari. Una politica estera “in proprio” che lo ha portato sempre più spesso anche nel Golfo, dove cercava ristoro anche per le sorti di Monte dei Paschi e della Roma.

Il record di condanne a morte per decapitazione? La legislazione che sottomette le donne? I diritti umani calpestati? Bazzecole di fronte all’opportunità di sedere tra i vincenti. Meglio Trump di Obama, quando si tratta di investimenti. E del resto, come si è visto, qualche spicciolo in tasca da lì te ne verrà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/30/il-senatore-il-principe-e-il-patto-di-abramo/6083765/




sabato 21 novembre 2020

“Aiutò i clan a entrare nell’affare farmaci”: arrestato il ras di FI. - Lucio Musolino

 

È il n. 1 del consiglio regionale.

“Si manda sull’aereo… se l’azienda manda in Inghilterra la medicina… ci sono antitumorali… Giova’… antitumorali che costano duemila euro… okay? Gli ospedali li comprano a mille… nell’Inghilterra li vendono a cinquemila… gli antitumorali… quindi tu li compri a mille e li vendi a cinquemila”. Le parole di Salvatore Grande Aracri, detto “il Calamaro”, sono la dimostrazione plastica di come ’ndrangheta e politica insieme si sono mangiati la Calabria. Una regione che oggi è devastata dal virus ma in cui, fino a ieri, cosche e colletti bianchi speculavano addirittura sui medicinali destinati a chi soffre di tumore. È questo uno degli aspetti più raccapriccianti dell’operazione “Farmabusiness”. Su richiesta della Dda di Catanzaro i carabinieri hanno arrestato 18 persone. Ai domiciliari è finito anche il presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini accusato di aver favorito, nel 2014, quando era assessore al Personale i boss dei Grande Aracri. Per loro ha accelerato “l’iter burocratico per il rilascio di necessarie autorizzazioni nella realizzazione del ‘Consorzio Farma Italia’ e della società ‘Farmaeko’, che prevedeva la distribuzione dei cosiddetti medicinali da banco sul territorio nazionale”.

Per il procuratore Gratteri e i suoi pm, l’esponente di Forza Italia e “quegli amici” della cosca Cutro avevano “il programma delittuoso di truffare il Ssn esportando illegalmente farmaci oncologici per rivenderli all’estero con profitti spropositati”. Secondo il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e i sostituti Paolo Sirleo e Domenico Guarascio che lo hanno accusato di concorso esterno con la ’ndrangheta e scambio politico-mafioso, Tallini era il “contatto privilegiato” delle cosche crotonesi. Per il gip, che ieri ha firmato l’ordinanza di custodia, quella dell’esponente di Forza Italia è “una contiguità ’ndranghetistica che sfiora la vera e propria intraneità”.

L’uomo di collegamento era un tecnico antennista e concessionario di Sky per la Calabria: Domenico Scozzafava, “l’uomo della pioggia” di Tallini, “un formidabile portatore di voti” ma anche uno “’ndranghetista fino al midollo”. È lui che, facendosi garante dei favori che la cosca riceverà dal politico, offre in dote Tallini ai Grande Aracri, consentendo ai boss di entrare nel progetto “Farmitalia” che nasce da un’idea dell’ex senatrice Anna Maria Mancuso, ex Pdl, ma oggi passata alla Lega. Nel 2013, in vacanza a Sellia Marina con il marito e con il factotum Walter Manfredi, l’ex senatrice Mancuso entra in contatto con Scozzafava, ritenuto il trait d’union tra gli ambienti criminali più pericolosi, quelli di una politica dedita alla spregiudicata ricerca di consensi e gli ambienti di un’imprenditoria parassita”.

Per i pm, la Mancuso e il marito “spariranno in pochi mesi dalla scena” e si diranno delusi “dagli amici calabresi”. Prima di suicidarsi nel 2016, il “faccendiere” Manfredi resta ed entra nell’affare del “Consorzio Farma Italia”, portando dentro il commercialista romano Paolo Del Sole che, tra i soci, si ritrova anche Giuseppe Tallini, figlio del presidente del Consiglio regionale Mimmo.

Dietro tutto c’era il giovane Salvatore Grande Aracri, che rappresentava gli interessi mafiosi degli zii, don Nicolino e Mimmo Grande Aracri. Apparentemente un semplice falegname di Brescello, il “Calamaro” è stato intercettato mentre trattava affari milionari con un soggetto svizzero. Senza ricoprire alcuna carica sociale, era lui il dominus del consorzio “Farma Italia”. Tallini lo sapeva e non ha mai preso “le distanze”. Anzi, dopo un litigio con il figlio che voleva uscire dall’affare, “si spende per convincerlo a ‘non mollare’”. “È ben a conoscenza – scrive il gip – che Scozzafava gli porta voti dagli ambienti ’ndranghetistici di Cutro nell’ambito di uno scambio di favori e di promesse di favori che hanno al centro il consorzio Farmaci”. In ballo, infatti, c’erano i quasi 10mila voti rastrellati alle Regionali del 2014. “È stata indagata – ha dichiarato il procuratore Nicola Gratteri – una famiglia di ’ndrangheta di serie A”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/20/aiuto-i-clan-a-entrare-nellaffare-farmaci-arrestato-il-ras-di-fi/6009965/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-20

giovedì 9 luglio 2020

Bond, affari, ’ndrangheta: i mediatori sono italiani. - Stefano Vergine

Bond, affari, ’ndrangheta: i mediatori sono italiani

Si chiama Ottima Mediazione. È controllata da una società anonima lussemburghese, la 2404 SA. Ed è amministrata da Pietro Greco, 41 anni, promotore finanziario di Lamezia Terme, candidato alla Camera nel 2013 per “Fare per fermare il declino”, il partito di cui è stato leader Oscar Giannino. È questo il profilo pubblico dell’azienda alla radice dell’inchiesta del Financial Times: obbligazioni garantite dalla ’ndrangheta e vendute a investitori internazionali. Con pagatore ultimo il sistema sanitario nazionale.
Per capire qualcosa di più di questo intrigo finanziario bisogna partire proprio dalla Ottima Mediazione, otto dipendenti e un fatturato di 9,6 milioni di euro (nel 2018), sempre in crescita finora. Specialità? “Smobilizzo di crediti commerciali nei confronti della pubblica amministrazione, con la cessione di crediti pro soluto tramite operazioni di cartolarizzazione”, per dirla con le parole dell’azienda. Più semplicemente, una società che compra crediti dai fornitori delle Asl italiane, soprattutto al Sud, e punta a rivenderli sul mercato sotto forma di obbligazioni.
Il business ha già dato parecchie soddisfazioni a Pietro Greco e compagni. “Nel triennio 2016-2018 abbiamo intermediato operazioni per circa un miliardo di euro”, si legge sul sito della società, che ha sedi a Bologna, Napoli, Milano e Lamezia Terme. Il motivo del successo è che le aziende sanitarie pagano a rilento i propri fornitori, e questi sono ben contenti di trovare qualcuno disposto a comprarli in cambio di liquidità immediata. Di più. I crediti ospedalieri negli ultimi anni sono diventati un vero affare, soprattutto per banche e finanziarie capaci di trasformarli in bond e venderli sui mercati. Perché più i tempi di pagamento della pubblica amministrazione si allungano – l’Italia impiega in media il doppio della media dei Paesi Ue – e più crescono i guadagni. Spiega Angelo Drusiani, gestore obbligazionario di Banca Albertini Syz: “È una nicchia di mercato cresciuta molto negli ultimi 5-6 anni. I titoli legati a questi crediti sono considerati sicuri, perché alla fine sul pagamento garantiscono le Asl italiane, cioè in ultima istanza lo Stato. Al contempo però garantiscono rendimenti relativamente alti, visto che i tempi di pagamento della pubblica amministrazione italiana sono lunghi. Dopo il Covid la situazione è un po’ cambiata, ma fino a poco tempo fa – per dare una proporzione – un titolo del genere poteva rendere tra il 4 e il 4,5%, contro un titolo di Stato italiano che garantiva il 3%”. Ci sono buttati dentro un po’ tutti, anche grandi banche e fondi pensione internazionali. E infatti i crediti comprati dalla Ottima Mediazione sono arrivati fino a Banca Generali, l’istituto di private banking del gruppo Generali, oltre che a fondi pensione ed hedge fund internazionali. Secondo il Financial Times, però, alcune di questi crediti erano legati ad aziende sospettate dalla magistratura italiana di essere controllate dalla ’ndrangheta. Il quotidiano londinese non ha per ora pubblicato i nomi delle imprese, né quelli delle aziende sanitarie italiane indebitate con queste ultime. Ha citato solo genericamente un grande centro per rifugiati in Calabria finito nelle mani del crimine organizzato. Di certo i crediti messi sotto la lente dall’inchiesta giornalistica hanno fatto un lungo giro prima di essere venduti sotto forma di bond. Sono saliti fino in Lussemburgo, patria europea delle obbligazioni a tassazione leggerissima. A creare il veicolo necessario per vendere i bond (cioè crediti cartolarizzati) a investitori come Banca Generali è stata infatti la finanziaria Cfe, sede principale in Lussemburgo, filiali a Ginevra, Londra e Principato di Monaco. Presente nei Panama Papers come intermediaria di sette scatole offshore sparpagliate tra Panama e le Isole Vergini Britanniche, la società finanziaria batte in realtà bandiera italiana. È stata fondata nel 2001 nel Granducato da due finanzieri nostrani – Mario Cordoni ed Enrico Brignone – e dalla Banca Lombarda e Piemontese, oggi parte del gruppo Ubi Banca. La lussemburghese è amministrata ancora oggi dal fondatore Mario Cordoni e dal manager Massimiliano Piunti: due uomini di finanza che lavorano da anni tra l’Italia, la Svizzera e Londra. Sono stati loro a creare il veicolo Chiron Spv, quello attraverso il quale i crediti delle Asl italiane sono stati trasformati in titoli finanziari, impacchettati fra loro e sottoscritti da Banca Generali, con la consulenza di Ernst & Young, per poi essere venduti ai clienti finali. In totale sono 47,4 milioni di euro, dovuti da quasi tutta la Sanità del Mezzogiorno: Asp Cosenza, Asp Vibo Valentia, Asp Reggio Calabria, Asp Catanzaro, Asp Crotone, Asl Avellino, Asl Benevento, Asl Caserta, Asl Salerno, Asl Bari, Asl Foggia, Asl Napoli 1 Centro, Asl Napoli 2 Nord, Asl Napoli 3 Sud, Azienda Ospedaliera Mater Domini. Possibile che nessuno si sia accorto di niente? L’operazione finanziaria è iniziata nella primavera del 2017 ed è stata chiusa nell’estate del 2019. Tutto è filato liscio: aziende rientrare in anticipo dei propri crediti, investitori rimborsati e contenti. Solo che dei quasi 50 milioni di euro di crediti della sanità italiana, circa 800 mila euro facevano capo ad aziende sospettate di essere sotto controllo mafioso. I responsabili di Cfe hanno dichiarato al Financial Times di non aver mai acquistato consapevolmente crediti legati ad attività criminali, e di aver fatto la necessaria due diligence prima di comprarli. Anche Ottima Mediazione, interpellata dal Fatto, ha fatto sapere che tutti i controlli necessari sono stati fatti. Possibile davvero che nessuno se ne sia accorto? Secondo un portavoce di Banca Generali la spiegazione è semplice: “Le notizie delle indagini giudiziarie sulle aziende sono emerse nell’autunno del 2019, quando ormai gli investitori erano già stati rimborsati e l’operazione era finita”. Come dire: quando abbiamo comprato quei crediti sottoforma di bond, nessuno poteva immaginare dei legami con la ’ndrangheta.

domenica 7 giugno 2020

Il broker dei mille magheggi: dagli affari maltesi al Vaticano. - Gianni Barbacetto

Il broker dei mille magheggi: dagli affari maltesi al Vaticano

Gianluigi Torzi - Il molisano di Londra.
Nella storia italiana, il finanziere d’avventura è una figura ricorrente, che attraversa tutte le grandi vicende economico-finanziarie degli ultimi decenni. Chissà se Gianluigi Torzi ambisce a far parte di questa storia a suo modo grandiosa. Per ora, ha avuto il raro privilegio di essere arrestato dalle autorità vaticane, con le accuse di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio: per aver fatto svanire almeno 15 milioni di euro in una complessa operazione iniziata nel 2014 che ruota attorno alla compravendita di un immobile di pregio in Sloane Avenue a Londra. Sarebbero però oltre 400 i milioni dell’Obolo di San Pietro finiti nei magheggi di Torzi e dei suoi compagni d’avventura, il finanziere Raffaele Mincione e due responsabili dell’amministrazione vaticana, monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi. “Un malinteso”, secondo gli avvocati di Torzi, Ambra Giovene e Marco Franco.
Intanto Torzi esce dalle pagine finanziarie per entrare in quelle della cronaca. Chi è Torzi? Broker, molisano, basato a Londra. La sua immagine su Twitter è un mojito o comunque un cocktail variopinto. È nato a Guardialfiera, in provincia di Campobasso, dove mantiene le cariche nelle società di famiglia, tra cui la Microspore di Larino, che produce fertilizzanti. Le cronache locali si occuparono di lui per un’inchiesta giudiziaria (poi finita con un’archiviazione) sull’acquisto di una villa sul mare, a Termoli, per l’ex presidente della Regione Paolo Di Laura Frattura (Pd). Poi la sua base è diventata Londra, il suo indirizzo il 33 di Bruton Place, a Mayfair, a due passi da Hyde Park, dove risultano basate molte delle sue società. Comincia come broker, poi passa all’investment banking e alla finanza corporate. Il Fatto quotidiano s’imbatte in lui nel luglio 2019, quando racconta alcune operazioni tentate (invano) dal consigliere delegato della Popolare di Bari, Vincenzo De Bustis, per “rafforzare” la banca. Emissione di un titolo per far entrare 30 milioni di euro. E sottoscrizione di quote di un fondo lussemburghese, Naxos, per far uscire 51 milioni di euro. Il titolo per 30 milioni doveva essere sottoscritto da una società maltese, la Muse Ventures Ltd, controllata da Torzi, nata nell’ottobre 2017 e con un capitale di soli 1.200 euro. L’operazione non si chiude, perché l’istituto di credito coinvolto nell’emissione dei titoli, Bnp Paribas, rileva problemi di trasparenza e di gestione dei rischi finanziari. Anche dentro la Popolare di Bari si nota “la sproporzione tra i mezzi propri del sottoscrittore” (la Muse) “e l’importo della sottoscrizione dei titoli”. Il meccanismo s’inceppa: Muse non sgancia un euro, in compenso Naxos fa causa alla Popolare di Bari per 51 milioni. Si muove il Servizio antiriciclaggio interno alla banca: rileva che “l’anagrafica e l’identificazione della società in discorso”, cioè la maltese Muse di Torzi, “risultano incomplete, essendo carenti le informazioni relative al titolare effettivo e al codice fiscale”. Dopo qualche approfondimento, emerge anche che l’amministratore di Muse, Gianluigi Torzi, insieme al padre Enrico, è nelle liste nere: presente “nelle liste mondiali di bad press (WorldCheck) per diverse indagini a suo carico avviate dalle Procure di Roma e Larino per reati di falsa fatturazione e truffa”. Risulta che anche la Procura di Milano abbia chiesto informazioni e documentazione su di lui. Risultato: l’operazione con questo personaggio è classificata “ad alto rischio” e con “evidenza antiriciclaggio negativa”. Altra storia che lo vede protagonista è quella che ha a che fare con la compagnia assicurativa romana Net Insurance. Sotto osservazione, un ammanco di titoli di Stato scoperto dal nuovo amministratore delegato di Net Insurance, Andrea Battista, relativo all’emissione di obbligazioni realizzata dalla gestione precedente e curata da Torzi.
Il nome del finanziere molisano era spuntato anche a proposito di 14 milioni incamerati nel 2018 da due sue società londinesi (Sunset Enterprice e Odikon Service) come mega-commissione per la cartolarizzazione del credito di 80 milioni vantato dal Fatebenefratelli di Roma nei confronti della Regione Lazio. Ora l’arresto in Vaticano. Se le accuse saranno confermate, Torzi rischia di entrare davvero nella galleria dei personaggi della storia della finanza all’italiana.

mercoledì 22 aprile 2020

Ecco chi c’è dietro il business dei posti letto per anziani. - Nicola Borzi



De Benedetti, Angelucci & C. Un affare poco rischioso e assai redditizio, che ha portato in Italia anche i big quotati dalla Francia.
Gli esperti la chiamano “economia d’argento”, perifrasi consolatoria che indica il business costruito sugli anziani. L’Italia, che nel 2017 era il secondo Paese più âgée del mondo dopo il Giappone con il 29,4% della popolazione oltre i 60 anni, 17,43 milioni di persone, nel 2050 ne avrà 22,2 milioni, il 40,3%. Secondo una ricerca di Pio De Gregorio di Ubi Banca, nel 2035 gli anziani non autosufficienti in Italia saranno circa 560mila e la domanda di posti letto nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) crescerà tra le 206mila e le 341mila unità che richiederanno un investimento tra 14,4 e 23,8 miliardi. Il settore fa gola perché le Rsa sono un investimento “assicurato” e assai redditizio. Ecco perché, anche se a oggi valgono solo un quinto dell’offerta complessiva, i gruppi privati stanno investendo grandi somme sia per creare nuove strutture che per acquistare concorrenti: i principali player sono Kos del gruppo Cir (De Benedetti), Tosinvest (Angelucci), Sereni Orizzonti della famiglia friulana Blasoni, ma dalla Francia sono già arrivati i giganti quotati Korian e Orpea.
Da circa 15 anni l’Europa e il Canada hanno seguito gli Usa nella privatizzazione delle case per anziani. I governi hanno incoraggiato gli operatori privati attraverso i meccanismi di accreditamento. In Italia a fine 2017 nelle Rsa e Rsd (residenze per disabili) operavano 1.271 imprese, 702 delle quali private e profit, ma i quattro quinti del settore sono gestiti da istituzioni pubbliche e Onlus. L’offerta dei privati profit però è in costante crescita, trainata da rette mensili medie molto più alte di quelle del non profit poiché contengono la quota alberghiera. La retta sanitaria a copertura pubblica, che “pesa” tra il 30 e il 50% della retta totale, varia a livello regionale e vale dai 29 ai 64 euro al giorno.
Tra gli operatori italiani delle Rsa svetta Kos del gruppo Cir con il marchio “Anni Azzurri”. Gestisce 77 strutture in 10 regioni italiane, in Gran Bretagna e in India per oltre 7.300 posti letto: 48 Rsa, 12 centri di riabilitazione, 11 comunità terapeutiche psichiatriche, quattro cliniche psichiatriche, due ospedali, 24 sedi centri diagnostici e terapeutici, 23 centri ambulatoriali. Kos dà lavoro a oltre 6.400 persone, fattura 550 milioni e ha acquisito da poco la tedesca Charleston (48 Rsa, 4.200 posti, 3.800 dipendenti). I dati della Tosinvest della famiglia Angelucci, che conta alcune decine di Rsa col marchio San Raffaele, non sono noti a livello consolidato perché schermati dietro una holding lussemburghesi. Sereni Orizzonti (il cui fondatore Massimo Blasoni, arrestato a ottobre e tornato libero a gennaio, è accusato di truffa aggravata al Ssn proprio un’inchiesta sulle Rsa) tra Italia, Germania e Spagna ha 80 strutture con 5.600 posti letto e fattura 200 milioni (+150% in quattro anni), sta realizzando una ventina di nuove Rsa per 2.400 posti in cinque regioni con un investimento di 180 milioni e punta 30 milioni per acquisizioni in Ue.
Tra gli operatori esteri, dopo la fusione dell’agosto 2016 con la Aetas del gruppo Definancements, oggi il gruppo francese Korian in Italia conta 44 Rsa con circa 4.800 posti letto, otto centri diurni, 110 appartamenti per anziani con 200 posti letto, 12 case di cura riabilitative per 1.200 posti letto, tre servizi post acuzie, 19 centri ambulatoriali e diagnostici, tre comunità psichiatriche (65 posti), tre centri residenziali per disabili (200 posti) e due hospice. Il gruppo nel 2019 nel mondo aveva oltre 82.600 posti letto in 600 strutture, ricavi per 3,6 miliardi (+8,3% annuo), un utile netto di 136 milioni (+10,4%), con 353 milioni investiti nell’acquisto di 20 strutture e un portafoglio immobiliare di oltre 2 miliardi. Grazie alle acquisizioni, in Italia i suoi ricavi sono cresciuti del 9,3% e i clienti sono aumentati del 150% in tre anni. L’altro gigante è la francese Orpea, primo operatore mondiale con 96.577 posti letto autorizzati in 950 strutture di 14 Paesi tra Europa, Cina e Brasile. In Italia possiede 18 strutture, 1.980 posti letto e 1.422 collaboratori tra Rsa e cliniche di riabilitazione in Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto e Sardegna. A livello consolidato nel 2019 ha realizzato un fatturato di 3,74 miliardi (+9,4%) e un utile netto di 245,9 milioni (+11,6%). Ha da poco acquisito le olandesi September e Allerzorg e la tedesca Axion con un portafoglio immobiliare da oltre 6 miliardi.
Proprio gli immobili delle Rsa, grazie agli affitti garantiti da rette sostenute dal settore pubblico, ingolosiscono la finanza che dal 2006 vi ha investito un miliardo. In Italia una ventina di Sgr e Sicaf hanno in portafoglio strutture sanitarie, tra cui 50 Rsa per circa 5.600 posti letto inserite in 21 fondi immobiliari. Secondo Il Sole 24 Ore a comprare c’è la Zaffiro del gruppo Mittel che ha preso sei immobili di Rsa già operative e punta ad acquisti per 120 milioni nei prossimi anni. Il Fondo innovazione salute di Cattolica Assicurazioni, gestito da Savills Investment Management, punta a comprare 10 Rsa per 800 posti letto investendo 150 milioni. Ream Sgr (fondi Geras) sta facendo acquisizioni e ha 1.300 posti letto di Rsa in portafoglio. Il motivo è semplice: l’affitto di immobili alle Rsa genera rendimenti medi lordi annuali tra il 6 e il 7,5% l’anno.

mercoledì 8 aprile 2020

La Regione paga e la Lega incassa: l'affare che ha arricchito gli amici di Matteo Salvini. - Giovanni Tizian Stefano Vergine (26 aprile 2019)



Un immobile di una società della galassia salviniana. Vale 400 mila euro. Ma viene venduto al doppio. A una fondazione partecipata della Lombardia. E i soldi finiscono anche a una srl. La stessa che paga i commercialisti e il tesoriere del Carroccio.
Denari dei cittadini, tutti: quasi 1 milione di euro. Che dopo un lungo girovagare finiscono a società riconducibili sempre alla Lega. Tutto ha inizio con una normalissima compravendita immobiliare. Ed è da qui che inizia la nostra storia. Al confine tra Cormano e Cusano Milanino c’è un fabbricato basso e grigio di quasi mille metri quadrati. Sul portoncino di ferro c’è una targhetta argentata: “Lombardia Film Commission”, si legge. Il fabbricato si trova a pochi metri dall’autostrada Milano-Venezia, in via Bergamo 7. È qui, nell’ex cuore industriale della provincia milanese, che appunto ha sede operativa la Lombardia Film Commission, la fondazione a partecipazione pubblica che si occupa della promozione e dello sviluppo di progetti cinematografici sul territorio regionale. Un ente pubblico importante. La gran parte dei soldi con cui si finanzia arrivano dalla Regione, il resto lo mettono gli altri soci: Comune di Milano, fondazione Cariplo e Unioncamere regionale.
L’edificio di Cormano acquistato di recente dalla fondazione ha una storia molto particolare, che ci conduce direttamente al partito di Salvini.

Già, perché dietro la compravendita dell’immobile di via Bergamo 7 ci sono personaggi legati alla Lega. Infatti, gli 800 mila euro pagati dalla fondazione pubblica all’immobiliare che ha ceduto la struttura finiscono bonifico dopo bonifico ad aziende e nomi strettamente connessi tra loro e con il Carroccio. Un’operazione immobiliare che viene avviata e conclusa quando il presidente del Cda della fondazione era Alberto Di Rubba, piazzato lì dalla giunta Maroni nel 2014.
Quarantenne, bergamasco, Di Rubba è il professionista di fiducia della nuova Lega di Salvini, tanto da essere stato nominato revisore dei conti del gruppo parlamentare alla Camera e amministratore unico della Pontida Fin, la storica cassaforte immobiliare del Carroccio. Di Rubba è insomma il commercialista scelto per far quadrare i conti insieme all’amico di vecchia data, il tesoriere Giulio Centemero, con il quale ha fondato l’associazione Più Voci. È la stessa Più Voci che - come abbiamo raccontato un anno fa sull’Espresso - ha ricevuto donazioni sostanziose dal costruttore Luca Parnasi, una vicenda che vede oggi indagato Centemero per finanziamento illecito, fascicolo aperto dopo le nostre rivelazione e che si avvia alla conclusione: la procura di Roma potrebbe a breve chiudere le indagine e chiedere il rinvio a giudizio.
Lo studio di Di Rubba è a Bergamo bassa, in via Angelo Maj 24, dove hanno sede una sfilza di società che fanno capo a una holding lussemburghese schermata da una fiduciaria italiana. E proprio in via Maj, a dicembre scorso, hanno bussato i detective dalla Guardia di finanza di Genova per cercare ulteriori indizi sul presunto riciclaggio di parte dei 49 milioni dei rimborsi elettorali ottenuti con la truffa di Bossi e Belsito, che per questo sono stati condannati in Appello. Una delle società sospettate dalla Finanza e dalla procura di aver ripulito il denaro è amministrata dal tesoriere Centemero, così c’è scritto nel decreto di perquisizione. Questo è il contesto in cui si muove Di Rubba, il presidente della fondazione pubblica lombarda.
Ripartiamo proprio dalla Lombardia Film Commission. Il professionista bergamasco ha lasciato l’incarico di presidente della fondazione ad agosto scorso. Insediatosi a settembre 2014, a nove mesi dall’incoronazione di Matteo Salvini a segretario del partito, è stato scelto dalla giunta di Roberto Maroni su proposta dell’allora assessore alla Cultura Cristina Cappellini, salviniana che voleva istituire all’interno dello “sportello famiglia” il numero anti-gender (sarebbe servito a segnalare i casi di «indottrinamento gender nelle scuole»). Di Rubba lascia la presidenza dell’ente pubblico quasi quattro anni più tardi, agosto 2018. Al suo posto l’intellettuale Pino Farinotti, critico cinematografico, scrittore e giornalista. Di Rubba fa però in tempo ad assistere dall’alto del suo ruolo al colpo grosso messo a segno da un’immobiliare milanese, la Andromeda Srl.
LA LEGA E IL CONFLITTO DI INTERESSE.
L’immobiliare, il 5 dicembre 2017, incassa dalla Lombardia Film Commission 800 mila euro per la vendita dell’immobile di Cormano. Sull’atto notarile finale del 13 settembre 2018 c’è la firma del successore di Di Rubba, Farinotti. Ma è nel medesimo atto che si dà conto del pagamento ad Andromeda avvenuto tramite due bonifici accreditati il 5 dicembre 2017, cioè quando a capo della fondazione c’era il commercialista della Lega. Fin qui nulla di strano, se non fosse per alcune curiose coincidenze. La prima: la proprietà che sta dietro l’immobiliare Andromeda. La seconda: chiuso l’affare con i soldi dei cittadini, Andromeda è stata messa in liquidazione. Che i soldi finiti all’immobiliare siano pubblici non ci sono dubbi. Dai documenti letti dall’Espresso risulta che il tesoretto accumulato sul conto corrente della fondazione era composto da 1,4 milioni di fondi regionali, destinati all’attuazione della programmazione della Lombardia Film, 99 mila euro provenivano dal Comune di Milano e 100 mila da Cariplo.
Ma a chi è riconducibile l’Andromeda, la società che vende per 800 mila euro l’immobile all’ente pubblico lombardo? Le quote sono detenute dalla “Futuro partecipazioni”, di proprietà di una società fiduciaria con sede a Milano. Impossibile dunque risalire al reale titolare. Ciò che si conosce però è il nome dell’amministratore della “Futuro Partecipazioni”, la società che controlla l’immobiliare che incassa il denaro pubblico: si chiama Michele Scillieri, di lavoro fa il commercialista e revisore contabile, ha lo studio in via privata delle Stelline 1, a Milano. Proprio dove è stato registrato il nuovo brand del Carroccio sovranista, la “Lega per Salvini premier”, a fine 2017. Non solo: Scillieri è stato sindaco della fondazione diretta da Di Rubba, e pochi mesi dopo che Andromeda ha venduto l’immobile di Cormano è stato nominato anche consulente della fondazione con il ruolo di contabile amministrativo. Una nomina avvenuta quando Di Rubba si trovava ancora al comando della struttura pubblica. Il contratto di Scillieri scade nel 2020, la sua retribuzione è di 25 mila euro all’anno più Iva. Nella dichiarazione pubblicata sul sito della fondazione, il commercialista milanese dichiara di non aver alcuna incompatibilità né conflitti di interesse. Eppure quando Andromeda conclude l’affare, lui è allo stesso tempo sindaco supplente della fondazione che eroga 800 mila euro pubblici, e amministratore della società privata che beneficia di quegli 800 mila euro. Come se non bastasse, c’è un dettaglio ulteriore che rischia di mettere in serio imbarazzo la Lega di fronte ai suoi elettori lombardi: Scillieri, dopo la vendita del fabbricato di Cormano, è stato anche nominato liquidatore dell’Andromeda, la srl dai proprietari misteriosi che sta chiudendo i battenti dopo aver incassato i denari dei contribuenti italiani. Abbiamo chiesto a Scillieri che ruolo ha avuto nella compravendita. Non ha risposto. Nel luglio scorso ha invece rilasciato un’intervista a un quotidiano nazionale e ha spiegato perché sia stato scelto il suo studio come domicilio della nuova Lega: «È stato solo per un piacere personale a un collega. L’accordo era chiaro: ho accettato la domiciliazione ma volevo tenermi totalmente fuori a livello politico, finanziario e operativo». Nella stessa intervista sostiene di conoscere solo Andrea Manzoni, il collega di Di Rubba, revisore legale del gruppo Lega al Senato, e Centemero, il tesoriere del partito. E Di Rubba? Di lui non fa cenno. Eppure all’epoca Scillieri era già da qualche mese consulente della Lombardia Film Commission di cui Di Rubba era presidente.
UNA LEGA PER AMICA
La storia dell’immobile venduto dall’Andromeda a 800 mila euro si arricchisce ancora se seguiamo il tragitto dei soldi pubblici incassati dall’immobiliare. Che non li tiene fermi in banca. Partiamo da quando l’immobiliare collegata a Scillieri acquista il fabbricato di Cormano, poi rivenduto all’ente pubblico. L’immobile diventa proprietà di Andromeda solo undici dieci mesi prima della vendita alla fondazione. Quanto è costato ad Andromeda? La metà, ossia 400 mila euro, almeno così è scritto nell’atto notarile. Insomma, grazie a Lombardia Film Commission quei 400 mila lieviteranno e frutteranno alla Andromeda, oggi liquidata da Scillieri, il doppio. Non male. Anche perché nell’atto di compravendita è specificato che l’immobile è «in pessimo stato di conservazione e manutenzione e con necessità di effettuare significative opere di ripristino». Una precisazione, che tuttavia, non compare undici mesi dopo nella cessione alla fondazione Lombardia Film Commission, in cui sono menzionate alcune opere in corso di esecuzione, consistenti in «opere interne ai fabbricati ed al rifacimento della copertura degli stessi». Un affare come tanti, verrebbe da pensare. Ma è ciò che accade nei giorni successivi a riportare i soldi vicinissimi alla Lega. Cinque giorni dopo aver incassato il denaro pubblico per la compravendita dell’immobile di Cormano, l’immobiliare versa 480 mila euro alla società Eco e sei giorni dopo 178.500 alla Sdc. La Eco è un’azienda con sede a Milano, costituita un mese prima che Andromeda vendesse a Lombardia Film Commission. Il proprietario è di Gazzaniga, provincia di Bergamo, 5 mila anime in Val Seriana, paese natale di Di Rubba. Si occupa, recita l’oggetto sociale, di costruzione e ristrutturazione immobili. Possibile che l’imprenditore di Gazzaniga abbia ristrutturato il fabbricato di Cormano in un solo mese e che abbia incassato quasi mezzo milione di euro? Un mistero che solo i protagonisti della vicenda avrebbero potuto chiarire se avessero voluto rispondere alle domande che gli abbiamo inviato. Di certo possiamo aggiungere che la Eco ha intrattenuto rapporti economici con la Lega. Per esempio, il 13 febbraio 2018, Radio Padania e Pontida Fin- la storica società controllata dal partito, amministrata da Di Rubba- versano alla Eco in totale 60 mila euro. Pagamento fatture, recita la causale. Poi, due settimane più tardi, è la Eco a pagare società che orbitano attorno alla Lega. Tre bonifici, per circa 60 mila ero, i cui beneficiari sono lo studio Dea Consulting di Di Rubba (all’epoca era presente anche Andrea Manzoni), lo studio Cld - da poco incorporato in un’unica struttura con Dea Consulting- e Sdc, società il cui capitale sociale è stato versato sempre da Dea Consulting. Ed è proprio Sdc che, negli stessi giorni in cui la Eco riceve la sua parte, incassa la propria.

MEZZO MILIONE PER I LEGHISTI
La Sdc, dunque, riceve parte del denaro pubblico incassato da Andromeda. E ci riconduce ai professionisti pagati dal partito e a uomini organici ad esso: Alberto Di Rubba, cioè l’amministratore all’epoca della Lombardia Film Commission, Giulio Centemero, il tesoriere del partito, e Andrea Manzoni, il contabile del gruppo al Senato. Tra il 2016 e il 2018 la Sdc versa sistematicamente soldi al trio di commercialisti della Lega con causale “pagamento fatture”. Prendiamo Centemero, deputato e tesoriere del partito: in un anno ha incassato da Sdc circa 62 mila euro. Chi ha ricevuto di più da questa azienda nata nel 2016 è certamente Manzoni, il collega di studio di Di Rubba: 211 mila euro in un anno e mezzo fino al gennaio 2018. Anche dopo, quindi, che Sdc incassa i quasi 200 mila euro girati dalla fortunatissima immobiliare Andromeda. Anche Di Rubba non è da meno: riceve 198 mila euro da Sdc, sempre a titolo di pagamento fatture, emesse dal giugno 2016 al gennaio 2018. Le date indicano dunque che Di Rubba, durante la presidenza della Film Commission lombarda, ha guadagnato con prestazioni offerte da Sdc, che a sua volta ha ricevuto gli 800 mila euro pubblici spesi dall’ente che lui presiedeva. Abbiamo chiesto a tutti i diretti interessati di commentare questa vicenda: non abbiamo ricevuto alcuna risposta.

Dell’acquisto dell’immobile abbiamo chiesto conto con domande puntuali anche alla nuova dirigenza della fondazione partecipata dalla Regione. La nostra richiesta di commento è giunta alla consigliera Paola Dubini, che dall’estero ci ha risposto di non riuscire ad aiutarci: «Come giustamente dite voi non ero all’epoca entrata nel Cda e quindi l’approvazione del bilancio non è stato oggetto di lavoro da parte mia». Dubini ha girato le nostre richieste all’ufficio stampa, che però non ci ha più fatto sapere nulla. Una cosa possiamo dirla con certezza: i soldi dei contribuenti lombardi si sono persi in mille rivoli e hanno fatto guadagnare personaggi del partito della Lega, quasi una famiglia per Matteo Salvini. Uno strano caso di catarsi. Da “prima gli italiani” a “prima la famiglia”: the family, come ai vecchi tempi.
https://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/04/26/news/la-lega-incassa%20la-regione-paga-1.334142?fbclid=IwAR3odN-1wHUnOfe4cntRTA4BMrRmgP0ASykE5gmG8zce99NXOrKQhHl7HJs

martedì 18 febbraio 2020

Renzi in Pakistan a sciare con l’alta finanza, M5s: ‘Vacanze sono sua priorità’. Lui: ‘Devo chiedere permesso al tribunale dell’antirenzismo?’

Renzi in Pakistan a sciare con l’alta finanza, M5s: ‘Vacanze sono sua priorità’. Lui: ‘Devo chiedere permesso al tribunale dell’antirenzismo?’

In una foto pubblicata sui social dal primo ministro pakistano il leader di Italia Viva è presente a un aperitivo di lavoro con alcuni componenti del board di Afiniti, una società di intelligenza artificiale. Il motivo del viaggio, a leggere Imran Khan, è "vacanza sciistica". Di certo la presenza dell'ex premier in Pakistan coincide con il momento complesso dell'esecutivo di cui Renzi fa parte: difficoltà create proprio dall'ex Rottamatore.

La foto è stata pubblicata il 15 febbraio alle ore 8.31 dal primo ministro del Pakistan Imran Khan ed è stata ripresa nell’edizione odierna del quotidiano La Verità di Maurizio Belpietro: un giardino, il sole, un gruppo di persone attovagliate attorno a un tavolo per il classico aperitivo. Ciò che salta all’occhio non è tanto l’arredamento dozzinale da pensione vista mare, quanto la dicotomia tra il modesto salottino e il calibro delle personalità presenti al convivio. L’elenco è proprio del primo ministro pakistano: c’è lui, la principessa Beatrice di York, l’ex premier spagnolo Josè Maria Aznar, alcuni finanzieri tra cui Muhammad Ziullah Chishti, l’ex ambasciatore pakistano negli Stati Uniti Ali Jehangari Siddiqui e l’ex presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi.

Motivo dell’incontro? A leggere il post di Imran Khan si tratterebbe di “sky-trip“, ovvero “vacanza sciistica”. Insomma, a sentire il primo ministro pakistano il leader di Italia Viva si trovava in Pakistan per sciare. Leggendo il quotidiano di Maurizio Belpietro, però, emerge un altro aspetto: nel gruppo di “amici” ritratti nello scatto in questione, ci sono almeno tre persone che hanno legami forti con Afiniti, una società di intelligenza artificiale: si tratta di Aznar, attualmente nel board di Afiniti, che tra i fondatori vede anche Ziullah Chishti e come ex membro del cda (al pari di David Cameron) Jehangari Siddiqui. Collegamenti tra la presenza di Renzi e la società di intelligenza artificiale? Nessuno può dirlo. Ciò che appare certo, invece, è che nei giorni in cui il governo italiano è attraversato da forti fibrillazioni interne, colui che ha provocato queste tensioni si trovi in Pakistan, nella più semplice delle ipotesi per sciare
La conferma direttamente da un tweet di Matteo Renzi, che parte dalla natura incontaminata del Pakistan per arrivare alla situazione italiana: “Ci sono momenti in cui è bello riscoprirsi a riflettere, ammirando la natura incontaminata. Anche a 4.000 metri. E quassù non ci sono polemiche ma solo tanta bellezza. Ci aspettano giorni impegnativi, buona settimana a tutti”.

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La foto ha creato molte polemiche. Tra i primi a parlare il sottosegretario all’Interno Gianluca Castaldi (M5s): “Informo lo ‘sciatore pakistano'”, ha scritto su Twitter, “che qua stiamo lavorando sodo. Si goda la vacanza, potrebbe essere una delle ultime a spese degli italiani”. A lui ha replicato, intervenendo in difesa di Renzi, il viceministro al commercio estero di Italia viva Ivan Scalfarotto: “Non credo sia ammissibile che un sottosegretario di Stato, e per di più ai rapporti con il Parlamento, si esprima così. La Costituzione richiederebbe a chi ricopre funzioni pubbliche disciplina e onore: sull’onore non indago, ma la disciplina è andata totalmente perduta”. Per i 5 stelle si è esposto anche il viceministro dello Sviluppo economico Stefano Buffagni: “Mentre il M5s lavora per gli italiani”, ha scritto su Facebook, “Renzi si fa una vacanza mondana. C’è chi come noi lavora per gli italiani, e poi c’è chi preferisce farsi una vacanza a sciare con l’alta finanza in Pakistan. Gli italiani ci chiedono risposte, ci chiedono lavoro, crescita, giustizia, equità. Queste sono la priorità! Altro che weekendini mondani in montagna! Ognuno è libero di fare ciò che crede… Ma per il Movimento 5 stelle stare al governo significa mettere i cittadini al primo posto e risolvere i loro problemi!”.

Alle polemiche Renzi tramite la sua enews, giustificando la sua assenza: “Avevo preso l’impegno di incontrare il presidente della Repubblica, il primo ministro, il capo dell’esercito a Islamabad assieme all’ex premier spagnolo José María Aznar. Un politico degno di questo nome ha anche relazioni internazionali. Se ad altri non capita non so che farci. Poi, con alcuni amici, siamo andati due giorni a sciare a 4.000 metri, in luoghi bellissimi”. E ha chiuso: “Posso fare due giorni sugli sci o devo chiedere il permesso al Tribunale dell’antirenzismo?”.

Il mantra degli affari sulla vetta del mondo per il Paulo Coelho di Rignano sull’Arno. - Daniela Ranieri

Renzi dal Pakistan: «Se cade il Conte bis, nuovo governo e niente elezioni»
– “Ci sono momenti in cui è bello riscoprirsi a riflettere, ammirando la natura incontaminata. Anche a 4.000 metri. E quassù non ci sono polemiche ma solo tanta bellezza”. Le parole, come avrete capito dalla loro sconcertante banalità, sono di Matteo Renzi, il Paulo Coelho del Valdarno. Sembra di vederlo, seduto nella posizione del loto, mentre medita e recita mantra coi monaci del posto bevendo tè masala. Gli è che il Nostro, dopo aver posizionato i candelotti di dinamite nelle Istituzioni, è partito per le nevi del Pakistan. Sappiamo cosa state pensando: ma come, fino all’altro ieri era qua che minacciava di far cadere il governo sulla prescrizione, e adesso è già sulla vetta del mondo che si atteggia a Dalai Lama, staccato dalle cose terrene, tipo Brad Pitt dopo 7 anni in Tibet? Purtroppo il primo ministro pakistano Imran Khan ha rovinato l’eterea visione, pubblicando sui social una foto che immortala i suoi compagni di “ski-trip” (vacanza sciistica): attorno a un tavolo da giardino, in un cortile che potrebbe pure essere quello del resort “Il Coccio” dell’amico Marcucci in Garfagnana, siedono la principessa Beatrice di York (figlia di Andrea, amico di quell’Epstein arrestato per traffico di minori e suicida), l’ex premier spagnolo Aznar, il finanziere paki-americano Zia Chishti, l’ex ambasciatore pakistano negli Usa Ali Jehangari Siddiqui, un capo della Tim più altri milionari in petrodollari, e infine, spaparanzato al sole a capotavola, lui, Renzi (sul tavolo ogni ospite ha un’aranciata oppure una tazza di tè: Renzi è l’unico che ha sia l’aranciata che il tè). La Verità ha scoperto il link tra questi ricconi ed ex potenti: la Afiniti, una società di intelligenza artificiale, a cui in futuro si farà sempre più ricorso in mancanza di quella naturale. Ignoriamo le competenze di Renzi sul tema (a onor del vero, era bravo con le slide), e in quale lingua si esprima, ma è evidente che la missione ha natura spirituale quanto uno yak tibetano ha contezza di Rignano sull’Arno. Ci viene in mente ora che Renzi sottoponeva un tariffario agli imprenditori che volevano parlare con lui: 100 mila euro, cinque volte quello che prendono i cantanti neomelodici per esibirsi alle comunioni. Un affarone per il Pil del Pakistan. Dove vige la legge del karma: le conseguenze delle nostre azioni ci seguono ovunque come un’ombra, ne siamo responsabili ed eredi. (Nell’interesse preminente dello Stato, chiediamo alla Farnesina se è possibile corrompere gli sherpa locali per rapire, rifocillare e trattenere l’Illuminato a 4000 metri per un po’, o almeno fino alla fine della legislatura).

sabato 15 febbraio 2020

Un anno bullissimo - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 15 Febbraio.

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Da quando ha abbandonato per sempre la politica, Renzi è un uomo d’affari che bada al sodo: cioè al soldo. Almeno finché troverà qualche fiera di paese o sagra della porchetta disposta a pagarlo per dire le stesse fesserie che prima, quando era un politico, diceva gratis. Quindi interrogarsi sulle sue idee, principi, programmi, riforme, o sulla partecipazione dei suoi al Consiglio dei ministri non è sbagliato: è inutile. La cosiddetta Italia Viva non è un partito: è una ditta a conduzione familiare con più ministri, sottosegretari, deputati, senatori, capigruppo, capidelegazione, capicommissione, dirigenti, tesorieri e nominati statali e parastatali che elettori. E la totale assenza di elettori, esiziale per qualsiasi partito, per una ditta è manna dal cielo.

Immaginate che fine farebbe, se fosse ancora in politica, Renzi dopo aver così lodato ieri su Facebook l’amico Macron, quello che in Francia non può più mettere il naso fuori dall’Eliseo perché se no lo linciano: “Macron che va sui ghiacciai del Monte Bianco a sottolineare l’urgenza della grande battaglia sul climate change fa una cosa giusta. Noi siamo con lui e con tutti quelli che hanno a cuore il futuro del Pianeta. Senza ideologia, ma concretamente. Continuo a pensare che servano leader capaci di guardare al futuro, non solo al giorno dopo giorno”. Detto da chi s’è opposto persino alla plastic tax e ha votato per l’inquinantissimo Tav Torino-Lione, è roba da perdere tutti gli elettori in un colpo solo: ma lui non ne ha e non corre pericoli. Nemmeno quando scrive che “il Lodo Conte è incostituzionale secondo i principali esperti (Briatore e Lele Mora, ndr). Cercheremo di cambiarlo in Parlamento prima che venga bocciato dalla Corte Costituzionale come già avvenuto alla legge Bonafede”. La Bonafede non è stata affatto bocciata: la Consulta ha ribaltato 30 anni di giurisprudenza costante per contestare l’interpretazione “retroattiva” data dai giudici a una norma sull’esecuzione delle pene.
E finora l’unico leader giallorosa ad aver firmato leggi incostituzionali è proprio Renzi, per la precisione tre: il Jobs Act, la riforma Madia della PA e l’Italicum. Figurarsi poi che gli farebbero i suoi eventuali elettori se gli sentissero dire che “Conte è il massimo esperto nel cambiare maggioranze” (è ciò che accade nel sistema proporzionale voluto da Renzi col Rosatellum e, se abbiamo il governo Conte-2, è grazie alla fiducia dei renziani) e “il tono di Conte è sbagliato, ma ai falli da dietro del premier rispondiamo senza falli di reazione” (dopo che in tre giorni ha votato tre volte con le destre contro il suo governo).

Come i bulli sui campetti di periferia, che entrano a gamba tesa sull’avversario e poi si rotolano per terra per ingannare l’arbitro. Ora se un politico dice una cosa e fa l’opposto – tipo farsi eleggere nel Pd e poi tentare (invano) di distruggerlo, patrocinare un governo per poi impallinarlo, promettere di abolire la prescrizione dopo il primo grado e poi difenderla quando Bonafede la abolisce dopo il primo grado – rischia di incontrare uno che l’ha votato e gli sputa in faccia o gli mette le mani addosso. Ma questo rischio gli uomini d’affari non lo corrono: a nessuno verrebbe in mente di chiedere loro coerenza, ma solo fatturati e utili netti. E, da questo punto di vista, Renzi è irreprensibile. Nel gennaio 2018 esibì in tv un estratto conto da 19 mila euro. Ora, due anni dopo, dichiara un milione di euro annui, fra stipendio di senatore e conferenze a gettone. S’è comprato una villa senza avere i soldi, ma glieli ha prestati la mamma di un amico casualmente nominato da lui a Cdp, poi li ha restituiti grazie ai 500 mila euro avuti da Lucio Presta per l’imperdibile documentario su Firenze che il Nove ha pagato 20 mila (il resto mancia).

Ora però il guaio è che Italia Viva sfugge ai radar e ai sondaggi. Ed è viva solo in questo Parlamento, grazie ai voti fregati al Pd, e sui media che intervistano questi noti frequentatori di se stessi un giorno sì e l’altro pure, grazie agli editori a suo tempo beneficati dal renzismo. Dunque, per restare viva, deve sabotare il governo Conte giorno e notte, sennò nessuno si accorge che esiste. Ma deve pure evitare di farlo cadere, altrimenti possono accadere tre cose, che la trasformerebbero in Italia Morta.
1) Arrivano i “responsabili” da FI e i renziani diventano peli superflui anche nell’unico luogo dell’universo – il Senato – dove sono decisivi.
2) I renziani affezionati al governo ma soprattutto alla poltrona per altri tre anni diventano “responsabili” anticipando i forzisti in fuga e mollando Renzi a giocare a briscola con la Boschi, la Bellanova e Marattin.
3) Il governo cade, Conte brutalizza Renzi in Senato come ad agosto l’altro Matteo (siamo pronti con i pop corn) e si torna al voto. Soluzione esiziale per molti motivi fuorché per uno: almeno un Matteo su due ce lo leveremmo dalle palle, sempre per via di quel problemuccio dell’assenza di elettori.

Infatti è bastato che l’altroieri il padrone Conte tirasse un po’ il guinzaglio perché il chihuahua tornasse a cuccia e smettesse di ringhiare. Ora il partito-ossimoro annuncia che voterà tutto quel che giurava di non votare né ora né mai: riforma Bonafede del processo, lodo Conte-bis e, se del caso, pure tris e quater. Per un politico sarebbe una figura barbina, ma per un uomo d’affari è tutto fatturato: tra poco arrivano le nomine, 400 posti in palio con relative prebende, guai se la ditta resta a bocca asciutta proprio sul più bello. Naturalmente la tregua durerà un paio di giorni, poi il bullo e i bulletti ricominceranno a bulleggiare. Così, se al loro posto arriveranno i “responsabili”, anche i moralisti più intransigenti tireranno un sospiro di sollievo. Oggi, grazie a Renzi, persino Scilipoti ha un suo perché.


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domenica 15 settembre 2019

La Banda dei Buchi. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 15 Settembre:

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Il Partito degli Affari è di nuovo in ambasce: avrebbe preferito un bel monocolore Salvini-B., magari un tricolore Lega-FI-Pd. Il problema sono sempre i maledetti 5Stelle e il putribondo Conte, che per quanti sforzi si facciano non si riescono proprio a sterminare, con la loro fissa dell’ambiente. Gira e rigira, tutti i mal di pancia dei giornaloni e dei leoni da tastiera e da talk sul Conte 2 vengono di lì. Un anno fa il PdA era andato nel panico tre volte: per la dipartita dei vecchi santi protettori FI&Pd e per il governo giallo-verde; per l’annuncio di Conte, Di Maio e Salvini sulla revoca delle concessioni ad Autostrade dopo il crollo del ponte Morandi; e per le analisi costi-benefici sulle grandi opere (Tav in primis). Poi Salvini voltò gabbana su tutti e tre i fronti, diventando il nuovo patrono del PdA, che tirò un sospiro di sollievo. E cominciò a pompare il Cazzaro con i suoi giornaloni e tv, gonfiandolo come la rana della fiaba fino a farlo scoppiare. Ora il programma green di Conte provoca nuovi conati alla Banda del Buco: si vede dalle facce e dalle arrampicate sugli specchi dei suoi pennivendoli, che non dissero una parola sui vergognosi inciuci Pd-FI e ora si consumano le unghie in cerca di pretesti per sputtanare in fasce un governo pienamente legittimo.

Se c’è una critica che si può e si deve muovere al Conte 2, così come al Conte 1, è la preoccupante presenza di ministri e sottosegretari devoti al PdA: per esempio, al Mit, la De Micheli (che promette grandi opere à go-go senz’alcun controllo) e il suo vice Margiotta (in pieno conflitto d’interessi per le passate vicende petrolifero-giudiziarie e la società familiare di engineering). Ma ciò che allarma noi rallegra la Banda del Buco. E viceversa. Noi però non amiamo i processi alle intenzioni: dunque attendiamo al varco anche la De Micheli e Margiotta, per giudicarli dagli atti e dai fatti. I tre nuovi arresti per i report taroccati di Autostrade su altri viadotti pericolanti dopo il crollo del Morandi rendono urgentissima la revoca almeno parziale delle concessioni. Che peraltro lo era già un anno fa, prima del voltafaccia pro Benetton della Lega. Le responsabilità penali le stabiliranno i giudici con le loro regole e i loro tempi. Quelle gestionali del concessionario inadempiente per omessa manutenzione e messa in sicurezza di beni pubblici pagati dai cittadini e scriteriatamente privatizzati dal centrosinistra nel 1999, sono già accertate nero su bianco nella relazione degli esperti nominati da Toninelli. Qui si parrà la nobilitate del Conte 2 e la “discontinuità” del Pd che s’è ripreso Trasporti e Infrastrutture. Tutto il resto è noia. E chiacchiera.


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