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mercoledì 12 maggio 2021

“Ho già scritto il programma: Alleati al Pd, non subalterni”. - Paola Zanca

 

Giuseppe Conte - Entro fine mese il “nuovo” M5S: sul doppio mandato, voteranno gli iscritti. ”Il video di Grillo? Non l’avrei fatto”. “Sul Ponte bisogna studiare le carte”

𝗦𝗼𝗻𝗼 𝗽𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗶 𝗱𝘂𝗲 𝗺𝗲𝘀𝗶 𝗲 𝗺𝗲𝘇𝘇𝗼 𝗱𝗮 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗕𝗲𝗽𝗽𝗲 𝗚𝗿𝗶𝗹𝗹𝗼 𝗹𝗲 𝗵𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗲𝗴𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗹𝗲 𝗰𝗵𝗶𝗮𝘃𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝗠𝟱𝗦. 𝗡𝗼𝗻 𝘁𝗲𝗺𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗹𝗲 𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝗽𝗲𝗿𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗲𝗻𝘀𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝘃𝗲𝘃𝗮 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗲̀ 𝗰𝗮𝗱𝘂𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝘀𝘂𝗼 𝗴𝗼𝘃𝗲𝗿𝗻𝗼?

Sono stati due mesi spesi bene. Per rifondare una forza politica occorre del tempo, occorre un confronto continuo, a tutti i livelli. Ora siamo pronti. Abbiamo una carta dei principi e dei valori, un nuovo statuto, una piattaforma di voto alternativa: a giorni avremo i dati degli iscritti, perché non può che essere così, ci sarà un grande momento di confronto pubblico e poi si voterà.

𝗙𝗶𝗻𝗼𝗿𝗮 𝗵𝗮 𝗹𝗮𝘀𝗰𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻 𝘀𝗼𝘀𝗽𝗲𝘀𝗼 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗶 𝗻𝗼𝗱𝗶 𝗰𝗿𝘂𝗰𝗶𝗮𝗹𝗶, 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗶 𝗱𝘂𝗲 𝗺𝗮𝗻𝗱𝗮𝘁𝗶.

Il doppio mandato non è attualmente nello Statuto e quindi non sarà nel nuovo Statuto. È una questione che affronteremo più avanti con un confronto alla luce del sole. Ricordiamoci sempre che la forza del Movimento è stata una scelta originaria che si perpetuerà: far votare gli iscritti. Anche in questo caso ci sarà la possibilità di esprimere un voto sulle varie alternative che verranno proposte.

𝗦𝗶 𝗮𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝘃𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗳𝗼𝘀𝘀𝗲 𝗰𝗼𝘀𝗶̀ 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗹𝗶𝗰𝗮𝘁𝗮 𝗹𝗮 𝗴𝗲𝘀𝘁𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗶𝘁𝗮 𝗰𝗼𝗻 𝗖𝗮𝘀𝗮𝗹𝗲𝗴𝗴𝗶𝗼?

La direzione politica del Movimento va distinta dalla gestione tecnica della piattaforma. non c’è possibilità per una forza politica rappresentata in Parlamento che ci sia anche solo l’ombra di una commistione tra questi due aspetti. Purtroppo da parte dell'Associazione Rousseau c’è stata una pressante ingerenza nelle scelte politiche: ma in democrazia se si ha un progetto alternativo, lo si presenta e lo si fa votare, funziona così.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗱𝗮 𝘁𝗶𝗳𝗼𝘀𝗼 𝗮 𝘁𝗶𝗳𝗼𝘀𝗼, 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗮𝗿𝗿𝗶𝘃𝗼 𝗱𝗶 𝗠𝗼𝘂𝗿𝗶𝗻𝗵𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗥𝗼𝗺𝗮 𝗲 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝘂𝗼𝗺𝗶𝗻𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗣𝗿𝗼𝘃𝘃𝗶𝗱𝗲𝗻𝘇𝗮, 𝗶𝗻 𝗰𝗮𝗹𝗰𝗶𝗼 𝗲 𝗶𝗻 𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗮?

Il divario tra le aspettative e la complessità della realtà esiste: l’approccio migliore nei confronti del premier Draghi, che ha indiscusse qualità, è condividere con lui la complessità della fase emergenziale che stiamo attraversando. Sostenerlo in modo leale, senza accreditare nei cittadini la possibilità che un solo uomo al comando possa risolvere tutti i problemi del Paese che ci trasciniamo da anni.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝗗𝗿𝗮𝗴𝗵𝗶 𝗮𝗱 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝘀𝗶 𝗮𝗰𝗰𝗿𝗲𝗱𝗶𝘁𝗮𝘁𝗼, 𝗺𝗮 𝗶𝗹 𝗺𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮𝘁𝗶𝗰𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗴𝗹𝗶 𝗵𝗮 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝗹𝗮 𝗼𝗹𝗮. 𝗘̀ 𝘂𝗻 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗼 𝗳𝗼𝗰𝗮𝗹𝗲: 𝗹’𝘂𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗶𝗻𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗶𝗻 𝘂𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗺𝗼𝗰𝗿𝗮𝘇𝗶𝗮.

È un punto delicato che tutti coloro che hanno responsabilità politiche devono trattare con attenzione. La stampa ha un ruolo fondamentale perché è chiamata ad alimentare responsabilmente il circuito informativo; se si cade nel dileggio, nella alterazione dei fatti non si rende un buon servizio ai cittadini. Mi è capitato di rileggere i giornali del luglio 2020, quando abbiamo ottenuto i miliardi del Next Generation: rileggendo quei titoli sembrava avessimo rimediato una sconfitta, il che mi ha fatto riflettere.

(𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿): 𝗜𝗹 𝘀𝘂𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗶𝗹𝗼 𝗵𝗮 𝗯𝗶𝘀𝗼𝗴𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝗵𝗲 𝗶𝗻𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗶𝗻 𝗽𝗶𝘂̀: 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗰𝘂𝗿𝗶𝗼𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝘀𝗮𝗽𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗮𝘃𝘃𝗲𝗻𝗻𝗲 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗮𝘃𝘃𝗶𝗰𝗶𝗻𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗮𝗶 𝟱 𝗦𝘁𝗲𝗹𝗹𝗲? 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗲 𝗱𝗶 𝗮𝗰𝗰𝗲𝘁𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗴𝘂𝗶𝗱𝗮𝗿𝗲 𝘂𝗻 𝗴𝗼𝘃𝗲𝗿𝗻𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗦𝗮𝗹𝘃𝗶𝗻𝗶?

Alfonso Bonafede era assistente di un mio collega: fu lui a chiedermi se avevo interesse ad essere designato come membro laico del Parlamento dell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa. Gli precisai che non li avevo votati, né ero un simpatizzante M5S. Fui selezionato, era una occasione importante per me, gratificante anche dal punto di vista degli emolumenti. Ecco, in 4 anni non ho mai ricevuto una telefonata, una sollecitazione su un dossier. Questo mi fece maturare una condivisione dei valori del M5S, volli restituire loro qualcosa: per questo, alle elezioni politiche mi resi disponibile, a essere potenziale ministro della Funzione Pubblica.

𝗟𝗲 𝗲̀ 𝗮𝗻𝗱𝗮𝘁𝗮 𝗺𝗲𝗴𝗹𝗶𝗼.

La mia formazione è quella cattolico-democratica, vengo dal centro moderato, che guarda a sinistra. La Lega non era una prospettiva che mi affascinava, ma era l'unica soluzione possibile, dopo il rifiuto del Pd e tre mesi di stallo.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗦𝘂𝗹 𝘃𝗶𝗱𝗲𝗼 𝗱𝗶 𝗕𝗲𝗽𝗽𝗲 𝗚𝗿𝗶𝗹𝗹𝗼 𝗹𝗲𝗶 𝗵𝗮 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝘂𝗻𝗮 𝗱𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗺𝗼𝗹𝘁𝗼, 𝗳𝗼𝗿𝘀𝗲 𝘁𝗿𝗼𝗽𝗽𝗼, 𝗽𝗿𝘂𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲. 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗮 𝗶𝗹 𝗿𝘂𝗼𝗹𝗼 𝗳𝘂𝘁𝘂𝗿𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗳𝗼𝗻𝗱𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲, 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗶𝗻𝘂𝗲𝗿𝗮̀ 𝗮𝗱 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗴𝗿𝗮𝘃𝗮𝘁𝗼 𝗱𝗮 𝗾𝘂𝗲𝗹 𝘃𝗶𝗱𝗲𝗼?

Rispetto la sua sofferenza, così come rispetto quella di chi si sente vittima di questa vicenda. Mi sento spesso con lui, ma è chiaro che nel dna del Movimento ci sono due pilastri: il rispetto dell'indipendenza della magistratura e il rispetto delle donne e della parità di genere. Non ci può essere alcuna commistione tra una vicenda personale – ancorché di Beppe Grillo – rispetto alle linee politiche del Movimento.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗦𝗲 𝗹𝗲𝗶 𝗳𝗼𝘀𝘀𝗲 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗹'𝗮𝘃𝘃𝗼𝗰𝗮𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗕𝗲𝗽𝗽𝗲 𝗚𝗿𝗶𝗹𝗹𝗼 𝗮𝘃𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗶𝗴𝗹𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗾𝘂𝗲𝗹 𝘃𝗶𝗱𝗲𝗼?

No, per un motivo. Le trasmissioni tv ne hanno approfittato per dire: “siccome ne ha parlato Grillo, possiamo parlarne anche noi”. Un processo parallelo, una degenerazione che non permetterei mai.

𝗖’𝗲̀ 𝗶𝗹 𝘀𝘂𝗼 𝗻𝗼𝗺𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗰𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗿𝗼𝗴𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗶 𝗣𝗶𝗲𝗿𝗼 𝗔𝗺𝗮𝗿𝗮. 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝘀𝗽𝗶𝗲𝗴𝗮 𝗶𝗹 𝗰𝗮𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝗽𝗮𝗿𝗰𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗱𝗮 𝟰𝟬𝟬 𝗺𝗶𝗹𝗮 𝗲𝘂𝗿𝗼?

Non ho nulla a che fare con i loschi traffici del signor Amara, non lo chiamo avvocato e non l'ho mai conosciuto. Il mio nome sarebbe stato fatto da Vietti, con il quale pure non ho mai avuto rapporti personali e professionali. Trecento pareri legali mi hanno occupato per quasi un anno, quindi quel compenso era il minimo, credo: tutte quelle parcelle, tra l'altro, hanno passato il vaglio del tribunali e dei commissari giudiziali nominati dai giudici fallimentari.

𝗖𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗲𝘃𝗮 𝗶𝗻𝘃𝗲𝗰𝗲 𝗖𝗲𝗻𝘁𝗼𝗳𝗮𝗻𝘁𝗶?

Quando Bellavista Caltagirone – patron del gruppo Acqua Marcia, che nemmeno ho mai conosciuto – è stato arrestato, il gruppo era in dissesto: hanno deciso di fare un concordato preventivo per evitare il fallimento. Occorreva fare pareri legali per certificare attivi e passivi: Centofanti gestiva in quel momento la società insieme ad altri dirigenti ecl credo fu lui a firmare il mio incarico.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗲𝘀𝗰𝗲 𝗹'𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗺𝗮𝗴𝗶𝘀𝘁𝗿𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗼 𝘀𝗰𝗮𝗻𝗱𝗮𝗹𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗖𝘀𝗺?

Malconcia. Nessun magistrato si deve permettere di avere atteggiamenti subalterni nei confronti della politica, perché fa un danno a tutta la categoria. Detto questo, nessuna forza politica in Parlamento deve approfittarne per mettere sotto schiaffo la magistratura. Prima di parlare di commissioni d'inchiesta, riformiamo il Csm: la polvere si deve sedimentare.

(𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿): 𝗦𝗼𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗮𝗻𝗶𝗺𝗼𝘀𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗠𝗮𝘁𝘁𝗲𝗼 𝗥𝗲𝗻𝘇𝗶 𝗻𝗲𝗶 𝘀𝘂𝗼𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗿𝗼𝗻𝘁𝗶, 𝗱𝗲𝗿𝗶𝘃𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝘃𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗲𝗻𝗱𝗲𝘁𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝘁𝗲𝘀𝘀𝗮 𝗮𝗿𝗲𝗮 𝗲𝗹𝗲𝘁𝘁𝗼𝗿𝗮𝗹𝗲.

Spero non con i loro risultati loro attuali.

(𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿): 𝗜𝗹 𝗠𝟱𝗦 𝘀𝗮𝗿𝗮̀ 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗰𝗹𝗮𝘀𝘀𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗲𝗿𝗮 𝗹𝗮 𝗗𝗰? 𝗗𝗼𝘃𝗲 𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲𝘁𝗲 𝗶 𝘃𝗼𝘁𝗶?

Sarà un movimento intriso di cultura ecologica, saremo all'avanguardia in questo. Saremo dalla parte dell’inclusione e della giustizia sociale. Siamo di sinistra? Classificateci come volete, ma la realtà è che guarderemo anche alle esigenze dell’elettorato moderato. A me interessa abbassare le tasse: sono di destra? Va benissimo.

𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿: 𝗳𝗼𝗿𝘀𝗲 𝘃𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗲 𝗽𝗮𝗴𝗮𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗮 𝗰𝗵𝗶 𝗲𝘃𝗮𝗱𝗲 𝗼 𝗮 𝗰𝗵𝗶 𝗵𝗮 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗶 𝗽𝗮𝘁𝗿𝗶𝗺𝗼𝗻𝗶...

La soglia dell'imposizione fiscale è già elevata. I pagamenti digitalizzati consentono emersione del sommerso, è lì che si annidano i problemi. dobbiamo riformare il fisco per renderlo semplice, equo e trasparente.

𝗕𝗮𝘀𝘁𝗲𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗲𝘃𝗶𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗼𝗻𝗶...

Non sono la soluzione: abituano il cittadino alle sanatorie e possono renderlo molto pigro con i pagamenti. Noi dobbiamo evitare i condoni, questo senz’altro. Però attenzione: per far partire la nuova riforma fiscale possiamo anche agevolare la regolarizzazione delle posizioni, ma una volta per tutte. Poi, chi sgarra paga.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗟’𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗮𝗹𝗹’𝗮𝘂𝘁𝗼𝗴𝗿𝗶𝗹𝗹 𝘁𝗿𝗮 𝗠𝗮𝘁𝘁𝗲𝗼 𝗥𝗲𝗻𝘇𝗶 𝗲 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗼 𝗠𝗮𝗻𝗰𝗶𝗻𝗶 𝗮𝘃𝘃𝗶𝗲𝗻𝗲 𝗺𝗲𝗻𝘁𝗿𝗲 𝗰𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗳𝗼𝗿𝘁𝗶𝘀𝘀𝗶𝗺𝗲 𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝘀𝘂 𝗱𝗶 𝗹𝗲𝗶 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́ 𝗰𝗲𝗱𝗮 𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗲𝗴𝗵𝗲 𝘀𝘂𝗶 𝘀𝗲𝗿𝘃𝗶𝘇𝗶. 𝗛𝗮 𝗺𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗶𝗻 𝗿𝗲𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹'𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶?

Qualsiasi rappresentante delle istituzioni deve rispondere del proprio operato con trasparenza: Renzi fa gli incontri che ritiene, ma deve spiegare perchè si trovava in un area di sosta con un uomo dei servizi con il quale non aveva motivi istituzionali per incontrarsi. Quanto alle pressioni di quei mesi, non ho voluto far polemiche, ero concentrato sulle priorità per gli italiani. Vedo invece che il senatore Renzi è molto più versatile di me: la mattina è in Arabia a decantare il neo-Rinascimento, spazzando via con un sol colpo tutta la tradizione rinascimentale italiana, peraltro fiorentina; il pomeriggio si ferma in autogrill, la sera è in tv. io sono molto meno versatile: so solo rimanere concentrato per lavorare per gli interessi degli italiani.

𝗟𝗼 𝗵𝗮 𝗺𝗮𝗶 𝗽𝗶𝘂̀ 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗼?

No, ma non escludo in futuro di incrociarlo in qualche autogrill.

(𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿): 𝗖’𝗲̀ 𝘂𝗻’𝗮𝗹𝗮 𝗠𝟱S 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗶 𝗲̀ 𝗿𝗶𝗳𝗶𝘂𝘁𝗮𝘁𝗮 𝗱𝗶 𝘃𝗼𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗴𝗼𝘃𝗲𝗿𝗻𝗼 𝗗𝗿𝗮𝗴𝗵𝗶 𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝗼𝗹𝗹𝗲𝗰𝗶𝘁𝗮: 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗲𝗮𝗱𝗲𝗿 𝘀𝗶𝗴𝗻𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮 𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗼 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗹𝘂𝗻𝗴𝗵𝗶 𝗽𝗲𝗿𝗶𝗼𝗱𝗶 𝗳𝘂𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗲 𝘀𝘁𝗮𝗻𝘇𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗼𝘁𝗲𝗿𝗲.

Quando è finita quell’esperienza abbiamo fatto un appello pubblico: ci hanno descritto come quelli dei Ciampolillo, ma c'era Liliana Segre che, nonostante il parere contrario del suo medico, è venuta a votare per non far cadere il governo Conte. Siamo stati tutti dispiaciuti per la fine di quell'esperienza, ma per rispetto delle istituzioni mi sono fatto subito da parte e ho favorito la nascita del governo Draghi. Alcuni non si sono fatti convincere, mi dispiace, ma questo non significa che l'opposizione mi spaventa.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗾𝘂𝗮𝗹 𝗲̀ 𝘀𝗲𝗰𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗹𝗲𝗶 𝗹𝗮 𝗱𝗶𝗿𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗰𝗼𝗿𝗿𝗲𝘁𝘁𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗹 𝗣𝗮𝗲𝘀𝗲: 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗶 𝘃𝗮𝗱𝗮 𝗮 𝗲𝗹𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗮 𝗳𝗶𝗻𝗲 𝗹𝗲𝗴𝗶𝘀𝗹𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗲 𝗾𝘂𝗶𝗻𝗱𝗶 𝗿𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗠𝗮𝘁𝘁𝗮𝗿𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗮𝗹 𝗤𝘂𝗶𝗿𝗶𝗻𝗮𝗹𝗲?

L'approccio migliore è sostenere il governo e augurarci tutti che possa proseguire il suo percorso. Chi oggi dice: vedo bene Draghi al Quirinale sembra quasi voglia liberare una casella al governo. Non è responsabile nei confronti dei cittadini dire in questo momento, con tutti i problemi in corso, Draghi deve andare al Quirinale.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗾𝘂𝗶𝗻𝗱𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗲𝗶 𝗹𝗮 𝘀𝗼𝗹𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗺𝗶𝗴𝗹𝗶𝗼𝗿𝗲 𝗲̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗗𝗿𝗮𝗴𝗵𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗶𝗻𝘂𝗶 𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗴𝗼𝘃𝗲𝗿𝗻𝗼 𝗲 𝗹𝗲 𝗳𝗼𝗿𝘇𝗲 𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝗱𝗮𝗻𝗼 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲 𝗶𝗹 𝗻𝗼𝗺𝗲 𝗺𝗶𝗴𝗹𝗶𝗼𝗿𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗹 𝗖𝗼𝗹𝗹𝗲?

Non possiamo certo augurarci che questa esperienza di governo si interrompa e metterci a giocare al toto-Quirinale. quando sarà il momento ci ritroveremo insieme con le altre forze politiche a ragionare sulla personalità migliore nell’interesse del Paese

𝗟𝗲𝗶 𝗿𝗶𝘃𝗲𝗻𝗱𝗶𝗰𝗮 𝗶𝗹 𝘀𝗼𝘀𝘁𝗲𝗴𝗻𝗼 𝗮𝗹 𝗴𝗼𝘃𝗲𝗿𝗻𝗼, 𝗺𝗮 𝗲̀ 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝘀𝗶𝗰𝘂𝗿𝗼 𝗱𝗶 𝗮𝘃𝗲𝗿 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝗹𝗮 𝘀𝗰𝗲𝗹𝘁𝗮 𝗴𝗶𝘂𝘀𝘁𝗮? 𝗣𝗲𝗻𝘀𝗶 𝗮𝗱 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗲 𝘀𝗰𝗲𝗹𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗺𝗶𝗻𝗶𝘀𝘁𝗿𝗼 𝗖𝗶𝗻𝗴𝗼𝗹𝗮𝗻𝗶 𝗼 𝗮𝗹 𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗻𝗴 𝗽𝗲𝗿 𝗰𝗮𝗺𝗯𝗶𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗰𝗿𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲...

Quando dico che dobbiamo sostenere lealmente questo governo non significa che rinunciamo a fare politica. Sulla transizione ecologica, per esempio, ho sempre parlato di idrogeno verde e non blu; sulla giustizia noi stessi ci siamo predisposti ad articolare meglio la norma sulla prescrizione, distinguendo tra i casi di assoluzione e condanna in primo grado: ma l'unica cosa da fare è sedersi al tavolo e approvare le riforme per accelerare i tempi dei processi civili e penali che già sono allo studio del Parlamento.

𝗖𝗼𝘀𝗮 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗣𝗼𝗻𝘁𝗲 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗼 𝗦𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗱𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗽𝗶𝗮𝗰𝗲 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗶 𝟱 𝗦𝘁𝗲𝗹𝗹𝗲?

Dico di studiare bene le carte, serve una istruttoria tecnica di supporto alla valutazione politica: non ci infiammiamo ideologicamente Ponte sì, Ponte no. E comunque bisogna ragionare sempre in termini di progetto complessivo, pensando al Ponte come infrastruttura finale che va a completare le gravi carenze infrastrutturali di Calabria e Sicilia.

(𝗣𝗮𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮𝗿𝗼): 𝗦𝗶 𝗲𝗿𝗮 𝗽𝗮𝗿𝗹𝗮𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝘂𝗻 𝗮𝗰𝗰𝗼𝗿𝗱𝗼 𝘁𝗿𝗮 𝗹𝗲𝗶 𝗲 𝗟𝗲𝘁𝘁𝗮 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗲 𝗮𝗺𝗺𝗶𝗻𝗶𝘀𝘁𝗿𝗮𝘁𝗶𝘃𝗲. 𝗔 𝗥𝗼𝗺𝗮 𝘃𝗼𝗶 𝗮𝘃𝗲𝘁𝗲 𝘀𝗰𝗲𝗹𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗮𝗽𝗽𝗼𝗴𝗴𝗶𝗮𝗿𝗲 𝗩𝗶𝗿𝗴𝗶𝗻𝗶𝗮 𝗥𝗮𝗴𝗴𝗶, 𝗰𝗼𝗹 𝗿𝗶𝘀𝗰𝗵𝗶𝗼 𝗱𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗿𝗶𝗻𝗮𝗿𝗲 𝗶 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗶 𝗰𝗼𝗹 𝗣𝗱. 𝗖𝗶 𝘀𝗽𝗶𝗲𝗴𝗮 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗲̀ 𝘀𝘂𝗰𝗰𝗲𝘀𝘀𝗼?

Sono impegnato nel rapporto con il Pd in un dialogo alla pari, senza alcuna subalternità. Io parlo tanto con i romani: anche chi aveva un atteggiamento prevenuto nei confronti dell'amministrazione Raggi ora inizia a capire che i risultati hanno richiesto tempo, perché è stato necessario operare una cesura con il passato. Io non ho mai avuto dubbi sul sostegno alla sindaca. Recentemente mi è stato prospettata la possibilità che il Pd potesse candidare Nicola Zingaretti, persona che ha la mia stima e la mia amicizia: li ho avvertiti che questa candidatura avrebbe potuto avere ripercussioni serie sulla tenuta del governo regionale, dove da due mesi siedono due assessore M5S, e loro hanno fatto la loro scelta. Ma non ci stracciamo le vesti se non proponiamo una soluzione congiunta: è successo anche al Pd in passato - con De Luca, con Emiliano - che decidesse di ricandidare un amministratore uscente. Auspico che al secondo turno il candidato che avrà la meglio verrà sostenuto da tutti. Anche a Torino: cerchiamo di trovare sinergie, c’è un candidato della società civile che può mettere insieme tutti ed essere molto competitivo.

(𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿): 𝗜𝗹 𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗣𝗼𝗹𝗶𝘁𝗲𝗰𝗻𝗶𝗰𝗼 𝗱𝗶 𝗧𝗼𝗿𝗶𝗻𝗼?

Il nome non lo dico, ma il Pd lo conosce bene.

(𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿): 𝗟𝗲𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗶𝗱𝗮 𝗶𝗻 𝘂𝗻 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗶𝗹 𝗣𝗱 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝘂𝗯𝗮𝗹𝘁𝗲𝗿𝗻𝗼: 𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗮 𝗶𝗹 𝗰𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼𝘀𝗶𝗻𝗶𝘀𝘁𝗿𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗳𝘂𝘁𝘂𝗿𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗼𝗮𝗹𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗣𝗱, 𝗠𝟱𝗦 𝗲 𝗟𝗲𝘂 𝗼 𝗰𝗶 𝘃𝗼𝗿𝗿𝗮̀ 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗶𝗮?

Io in questi due mesi ho preparato un programma con tante riforme economiche e sociali: andrà condiviso, dovrà crescere col contributo della società civile e dei territori. Questo ci consentirà di avere un progetto per l'Italia dei prossimi 5 anni, e vedrà che saremo molto competitivi.

(𝗟𝗲𝗿𝗻𝗲𝗿): 𝗤𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗰𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲𝗺𝗼 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗴𝗿𝗮𝗺𝗺𝗮 𝗲 𝗶𝗹 𝗻𝘂𝗼𝘃𝗼 𝗠𝗼𝘃𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝟱 𝗦𝘁𝗲𝗹𝗹𝗲?

Entro questo mese. 

IlFQ

lunedì 29 marzo 2021

Le sue costose missioni estere non sono affari privati. - Gad Lerner

 

Negli ambienti finanziari milanesi gira da un po’ la voce che Matteo Renzi sia prossimo a cambiar mestiere. La carriera politica fungerebbe da trampolino per incarichi più remunerativi, già testimoniati dal repentino incremento dei suoi redditi. Ma finché Renzi è senatore, e in particolare membro della Commissione Difesa, cui spetta di occuparsi di interessi vitali della nazione, s’impone a lui di adempiere “con disciplina e onore” alla funzione pubblica assegnatagli (articolo 54 della Costituzione).

In democrazia ciò comprende anche il dovere della trasparenza: le sue costose missioni all’estero, che siano retribuite o solo rimborsate da terzi, non possono essere considerate un affare privato. Renzi è un ex presidente del Consiglio, tuttora segretario di un partito che fa parte del governo in carica. Anziché querelare i giornalisti, deve ancora spiegarci cos’è andato a fare a Dubai non più tardi di tre settimane fa in compagnia di Marco Carrai, console onorario d’Israele per il Nord Italia. Né può giustificare il suo ossequioso dialogo pubblico col principe saudita Muhammad bin Salman del gennaio scorso falsificando il rapporto Cia che ne indicava le responsabilità di mandante dell’omicidio Khashoggi. Che si tratti di viaggi d’affari o di un non meglio precisato ruolo nell’ambito dei cosiddetti Accordi di Abramo, la faccenda ci riguarda.

La presenza di Renzi ieri ai box del Gp di Formula 1 in Bahrein si configura come uno sberleffo oltraggioso di fronte a un paese chiuso per lockdown. Trincerarsi dietro al rispetto formale delle regole equivale solo a un’ostentazione di privilegio.

Ci aspettiamo che la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, voglia chiedergliene conto nella seduta di martedì prossimo.

IlFattoQuotidiano

sabato 30 gennaio 2021

Il senatore, il principe e il patto di Abramo. - Gad Lerner

 

Anche la settimana scorsa al Senato, nella sua requisitoria anti-Conte, Matteo Renzi non aveva mancato di esaltare gli “accordi impressionanti nel mondo arabo” conseguiti nel summit di Al-Ula da Mohammed bin Salman. Un omaggio preventivo al “grande principe ereditario” saudita che si apprestava a vezzeggiare di persona a Riyad, con toni apologetici. In effetti quel raduno delle petromonarchie sunnite del Golfo, revocando l’embargo imposto al Qatar, chiudeva felicemente il triangolo delle amicizie mediorientali di Renzi: l’israeliano Netanyahu, l’emiro qatarino Al-Thani e la dinastia regnante sulla Mecca. Un accordo propiziato da Trump demolendo la politica distensiva di Obama, garantito dal riarmo di regimi ferocemente reazionari e fondato sulla supremazia della finanza. Ma questo per Renzi e i suoi consiglieri è solo un dettaglio trascurabile. Conta di più la propensione agli affari sviluppata al tempo del suo governo, spaziando dalle compagnie aeree all’esportazione di armi, dai giacimenti di gas alla cybersecurity in cui gli ha fatto da battistrada il fido Marco Carrai.

“Gli 80 mila euro percepiti per sedere nel board della Future Investment Initiative? Sono spiccioli rispetto a ciò che Renzi potrebbe guadagnare se anteponesse il denaro al potere”, mi spiega un uomo della finanza milanese. Nel cosiddetto Patto di Abramo sottoscritto da Israele con gli Emirati e incoraggiato dall’Arabia Saudita, Renzi aspira a ritagliarsi il suo piccolo spazio. Ci lavora fin da quando era primo ministro e instaurò un solido rapporto col leader della destra israeliana, facendo tesoro delle entrature dell’allora corrispondente de La Stampa

a Gerusalemme, Maurizio Molinari. Una politica estera “in proprio” che lo ha portato sempre più spesso anche nel Golfo, dove cercava ristoro anche per le sorti di Monte dei Paschi e della Roma.

Il record di condanne a morte per decapitazione? La legislazione che sottomette le donne? I diritti umani calpestati? Bazzecole di fronte all’opportunità di sedere tra i vincenti. Meglio Trump di Obama, quando si tratta di investimenti. E del resto, come si è visto, qualche spicciolo in tasca da lì te ne verrà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/30/il-senatore-il-principe-e-il-patto-di-abramo/6083765/




martedì 18 agosto 2020

I “furbetti”politici? Son molto peggio le imprese… - Gad Lerner

Imprese e Partite IVA: prestiti con garanzia Fondo PMI - PMI.it

Ora che va placandosi la (sacrosanta) furia nei confronti dei tre (o cinque) parlamentari e della quindicina di consiglieri regionali che hanno richiesto il bonus per le partite Iva in difficoltà, mi arrischierò a far notare che i politici furbetti sono risultati essere davvero pochi in proporzione al numero degli eletti.
Non fraintendete. Nei loro confronti non provo alcuna forma di indulgenza. Ma non vorrei che sfogandoci su costoro ci formassimo un’immagine assai deformata del tasso di abusivismo/sfacciataggine/disonestà proliferante nella società italiana.
Nei giorni scorsi “Il Fatto” ha pubblicato le testimonianze di numerosi dipendenti di aziende i cui titolari, pur avendo chiesto la cassa integrazione, li hanno fatti lavorare in nero durante il lockdown. Fonti attendibili ipotizzano che il 30% delle imprese richiedenti sostegno pubblico non avrebbero dimostrato significativi cali di fatturato.
Mi sembra evidente che si tratti di comportamenti illeciti ben più rilevanti in termini numerici e percentuali, oltre che di danno per le casse dello Stato, anche se suscitano decisamente meno scandalo. Ma proprio questo è il punto.
Certa televisione (in stile Rete 4) ci ha abituati a dare la caccia al falso invalido coprendo le responsabilità dei grandi evasori; a mettere alla gogna il singolo peones dimenticando le appropriazioni di denaro pubblico occultate dai vertici del suo partito.
Orbene. Qui non si tratta di fare di ogni erba un fascio. Ad esempio, il dipendente che accetta un’integrazione in nero commette un illecito, certo, ma non comparabile a quello del suo datore di lavoro.
Nei mesi scorsi il governo si è giustamente dato la priorità di fornire assistenza ai bisognosi, senza avere il tempo di mettere troppi filtri. Ora è il momento di verificare chi ne ha abusato. Non accontentiamoci del tiro a segno sui politici.

venerdì 24 luglio 2020

Maroni s’arrocca dinanzi al saccheggio leghista. - Gad Lerner

Lombardia - Tangenti sanità: Salvini pronto a scaricare Maroni ...
Politico navigato e figura di cerniera tra diversi ambienti del potere, Roberto Maroni torna a tesserarsi al partito di Salvini, da cui si era ritirato, perché sulla Lombardia leghista si addensano nuvoloni minacciosi; e da qualche parte bisogna pur ripararsi. A sentir lui, la prossima sfida politica in cui varrebbe la pena d’impegnarsi sarebbe quella per riportare la magistratura nei suoi ambiti. Le numerose inchieste per malversazioni in cui sono coinvolti esponenti del sottogoverno leghista, nasconderebbero un disegno persecutorio contro il partito che Maroni lasciò nel gennaio 2018, “sulla base di valutazioni personali”.
Disse proprio così, rinunciando a sorpresa a ricandidarsi presidente della Regione Lombardia tre mesi prima delle elezioni. Salvo aggiungere: “Metto a disposizione la mia esperienza di governo, se sarà necessaria”. All’epoca molti scommettevano sulla prossima nascita di un governissimo fondato sull’alleanza fra Berlusconi e Renzi. Maroni si distanziava dall’estremismo di Salvini, convinto che sarebbe andato a sbattere, mentre lui, il leghista moderato, poteva venir buono finanche a Palazzo Chigi. Come è noto, le cose andarono diversamente. Si consolò facendo il consulente aziendale e il consigliere d’amministrazione. Sembrava che potesse disinteressarsi anche dell’imponente distrazione di milioni del finanziamento pubblico occultati quando, per il solo 2012, era stato lui il segretario della Lega.
Con il senno di poi, la sua mai davvero chiarita rinuncia a un secondo mandato in Lombardia comincia a trovare spiegazioni meno vaghe. Maroni è uomo troppo esperto per non aver colto in tempo gli esiti nefasti del ricambio di classe dirigente da lui stesso propiziato nel dopo Formigoni. Un insieme famelico di nuovi venuti, attratti dal Pirellone come bancomat, che non hanno mai dato vita a un sistema di potere coeso al pari di quello ciellino. Fin dal suo nascere l’intelaiatura territoriale della Lega assegnava un ruolo importante ai commercialisti, spesso portavoce del malcontento dovuto alla pressione fiscale, oltre che praticanti dell’elusione. Ma adesso un’altra generazione di commercialisti poteva introdursi dritta nel sottogoverno, operando al tempo stesso per sé e per i politici che li proteggevano. In sua vece, con il beneplacito di Salvini che doveva saziare la componente varesina della Lega, Maroni promosse Attilio Fontana, rivelatosi debole e maldestro. Il sistema reggeva bene; anzi, la Lega sembrava destinata a completare il suo disegno di partito pigliatutto in Lombardia. Solo che l’estate scorsa Salvini si è dato la zappa sui piedi e, come se non bastasse, nel 2020 è esplosa la pandemia del Covid.
Nel disastro della sanità lombarda, anche Roberto Maroni suo malgrado è tornato a far parlare di sé. Un attacco frontale gli è pervenuto, lo scorso maggio, dal detenuto agli arresti domiciliari Roberto Formigoni. Che ha accusato Maroni di essere stato lui, pochi mesi dopo la sua elezione nel 2013, a smantellare la medicina di territorio. Maroni, stranamente, non gli ha replicato. E anzi il successore Fontana s’è affrettato ad annunciare provvedimenti correttivi, con ciò riconoscendo la validità delle critiche. Per poi riportare un ciellino alla direzione generale della sanità lombarda.
Nel frattempo illegalità e incompetenze di gestione stavano emergendo da tutte le parti. Il responsabile della centrale acquisti della regione ha chiesto di essere spostato ad altro incarico dopo la rivelazione del contratto stipulato per l’acquisto di camici con l’azienda del cognato di Fontana. La gestione della raccolta fondi per l’inutile reparto di terapia intensiva al Portello è finita nel mirino della magistratura. Per non parlare della riapertura frettolosa del pronto soccorso di Alzano Lombardo in piena epidemia. Della circolare che autorizzava a trasferire i pazienti Covid nelle residenze per anziani. E dell’indagine per peculato relativa all’accordo tra Diasorin e ospedale San Matteo di Pavia sui test sierologici, dove tanto per cambiare emerge la regia di esponenti leghisti. Nessuno negli anni scorsi ha avuto da ridire se il commissario politico della Lega di Varese, Andrea Gambini, era contemporaneamente al vertice, come presidente, dell’istituto neurologico Besta di Milano (e di altri enti preposti alla ricerca biotecnologica). L’occupazione del potere avanzava infischiandosene dello spessore dei curriculum. Come già al Pio Albergo Trivulzio, il più grande polo geriatrico italiano, la cui direzione generale è stata affidata a un laureato in Filosofia.
Maroni ora minaccia di querelare chi lo tira in mezzo allo scandalo del capannone della Lombardia Film Commission. Torna militante della Lega e si mette in posizione di arrocco. Ha capito che qui rischia di venire giù tutto. La Lega nazionalista di Salvini ha saccheggiato la sua roccaforte lombarda e ora ne paga le conseguenze.

giovedì 17 ottobre 2019

Viva le manette. - Marco Travaglio 13 ottobre 2019

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La nostra copertina dell’altroieri, sulla bozza del ministro della Giustizia per le manette agli evasori, non è piaciuta a Gad Lerner che è personcina sensibile e l’ha riprodotta su Twitter con un commento affranto: “Manette sbattute così in prima pagina, non c’è buona causa che giustifichi questa perversione. Con tutto quel che succede nel mondo… e ora datemi pure dell’amico degli evasori”. Sotto, comera prevedibile, una raffica di leggiadre contumelie al sottoscritto e al Fatto Quotidiano (i famosi “hater” e “odiatori” che, quando odiano dalla parte giusta, diventano boccioli di rosa). Insulto per insulto, potremmo rispondere che è quantomeno inelegante, per un giornalista di un gruppo edito da due famiglie fiscalmente a dir poco discutibili, dare del pervertito a chi chiede che gli evasori vadano in galera, come in tutto il mondo civile. Ma non ci abbassiamo a tanto, anche perché non pensiamo che sia la sua frequentazione con editori-evasori a suscitare in Lerner cotanta repulsione per le manette a chi le merita. Non è un fatto personale, ma culturale. Che nasce nei due filoni del pensiero purtroppo dominante, molto diversi fra loro, ma accomunati dall’allergia al senso dello Stato e allo Stato di diritto, cioè per il principio di responsabilità: chi sbaglia paga e chi delinque viene punito.
Il primo è quello da cui proviene Gad: quello dei gruppettari di ultrasinistra anni 60 e 70, così abituati a fuggire dalle forze dell’ordine e dai magistrati da non riuscire a liberarsene nemmeno dopo 40-50 anni. L’altro è l’impunitarismo dei ricchi e dei potenti, abituati a una giustizia di classe forte coi deboli e debole coi forti, ai quali Gad è estraneo, ma che nel suo mondo hanno pescato a piene mani per sostenere sui rispettivi giornali le loro battaglie contro la legge uguale per tutti. Queste due culture, che partono dagli antipodi ma si uniscono nella comune avversione alla legalità, si sono saldate negli anni del berlusconismo, quando molti ex-extraparlamentari di sinistra (che già flirtavano con Craxi per la sua guerra ai giudici) si ritrovarono al servizio di B.. Oppure, anche se stavano sulla sponda opposta (come Gad), invocavano continue amnistie e indulti, intimando alla sinistra di guardarsi dalla “via giudiziaria”: pareva brutto che un amico dei mafiosi, un frodatore e un corruttore di giudici, finanzieri, senatori, testimoni e minorenni finisse a processo e poi in galera. Ora, confidando nella smemoratezza sulle stragi politico-mafiose e sulle retrostanti trattative, insigni esponenti di quelle due culture applaudono insieme le sentenze di Cedu e Grande Chambre contro l’ergastolo “ostativo”.
Quelle che regalano agli stragisti insperate aspettative di resurrezione. Naturalmente ciascuno è liberissimo di pensarla come gli pare. Ma è davvero paradossale che chi difende la legalità e lo Stato di diritto sia chiamato continuamente a giustificarsi dai sedicenti “garantisti” per il sol fatto di chiedere l’applicazione della legge. I “pervertiti”, caro Gad, non siamo noi: siete voi. Le manette sono uno strumento previsto dalle norme per assicurare alla giustizia i criminali: quelli di strada e quelli in guanti gialli e colletto bianco. Ti dirò di più: negli Stati Uniti, e non solo là, gli evasori e i frodatori fiscali, come i corrotti, i corruttori, i bancarottieri e i falsificatori di bilanci, vengono condannati a pene detentive molto pesanti, che regolarmente scontano nei penitenziari di Stato accanto ad assassini, stupratori, terroristi e trafficanti di droga, non solo con le manette ai polsi, ma anche con le catene ai piedi. Per evitare che scappino o che commettano altri reati (le manette salvano anche vite umane, come ha appena dimostrato la strage alla Questura di Trieste: i due agenti assassinati, se avessero ammanettato il ladro appena fermato, sarebbero ancora vivi). Ma anche perché servano di lezione a chi sta fuori, affinché gli passi la tentazione di delinquere. Perciò, non di rado, arrestati e detenuti – poveracci e white collar – vengono esibiti in manette e in catene: perché le pene, quando sono certe e vere, non finte come da noi, hanno una funzione deterrente prim’ancora che rieducativa. E quella rieducativa dipende anch’essa dalla certezza della pena: se uno sa di poter delinquere facendola franca, non si rieduca mai. Anzi si diseduca vieppiù.
Quindi no, non penso affatto che Lerner abbia orrore per le manette perché sia un evasore o un amico degli evasori. Penso che Gad e quelli come lui non abbiano senso dello Stato e non abbiano ancora introiettato il principio di responsabilità che regge lo Stato di diritto, cioè l’unica forma di convivenza civile che trattiene i cittadini dal farsi giustizia da soli come nel Far West. Non vorrei beccarmi altri tweet e insulti. Ma confesso che mi prudono le mani quando ogni anno pago fino all’ultimo euro di tasse e poi penso che, grazie al centrosinistra e al centrodestra, milioni di evasori vivono alle mie spalle senza mai rischiare la galera. E neppure un’indagine, se hanno cura di non superare le soglie di impunità gentilmente offerte nel 2015 da Renzi & C.: 250 mila euro di omesso versamento Iva; 1,5 milioni non dichiarati di frode fiscale; 150 mila euro di dichiarazione infedele; 10% di false valutazioni; 50 mila euro di omessa dichiarazione. Ecco, io questi ladri vorrei vederli in manette (e magari pure in catene), come accadrebbe se queste somme, anziché all’erario, le rubassero in un portafogli, in una borsetta, in un’abitazione, in una banca, in un negozio. Solo le manette possono spaventare gli evasori fino a indurli a rinunciare ai loro enormi guadagni per versare il dovuto allo Stato. Quindi continuerò a pubblicare manette in prima pagina finché non troverò un governo che tratta tutti i ladri allo stesso modo. O lascia rubare tutti, o non lascia rubare nessuno.


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