Si chiama Ottima Mediazione. È controllata da una società anonima lussemburghese, la 2404 SA. Ed è amministrata da Pietro Greco, 41 anni, promotore finanziario di Lamezia Terme, candidato alla Camera nel 2013 per “Fare per fermare il declino”, il partito di cui è stato leader Oscar Giannino. È questo il profilo pubblico dell’azienda alla radice dell’inchiesta del Financial Times: obbligazioni garantite dalla ’ndrangheta e vendute a investitori internazionali. Con pagatore ultimo il sistema sanitario nazionale.
Per capire qualcosa di più di questo intrigo finanziario bisogna partire proprio dalla Ottima Mediazione, otto dipendenti e un fatturato di 9,6 milioni di euro (nel 2018), sempre in crescita finora. Specialità? “Smobilizzo di crediti commerciali nei confronti della pubblica amministrazione, con la cessione di crediti pro soluto tramite operazioni di cartolarizzazione”, per dirla con le parole dell’azienda. Più semplicemente, una società che compra crediti dai fornitori delle Asl italiane, soprattutto al Sud, e punta a rivenderli sul mercato sotto forma di obbligazioni.
Il business ha già dato parecchie soddisfazioni a Pietro Greco e compagni. “Nel triennio 2016-2018 abbiamo intermediato operazioni per circa un miliardo di euro”, si legge sul sito della società, che ha sedi a Bologna, Napoli, Milano e Lamezia Terme. Il motivo del successo è che le aziende sanitarie pagano a rilento i propri fornitori, e questi sono ben contenti di trovare qualcuno disposto a comprarli in cambio di liquidità immediata. Di più. I crediti ospedalieri negli ultimi anni sono diventati un vero affare, soprattutto per banche e finanziarie capaci di trasformarli in bond e venderli sui mercati. Perché più i tempi di pagamento della pubblica amministrazione si allungano – l’Italia impiega in media il doppio della media dei Paesi Ue – e più crescono i guadagni. Spiega Angelo Drusiani, gestore obbligazionario di Banca Albertini Syz: “È una nicchia di mercato cresciuta molto negli ultimi 5-6 anni. I titoli legati a questi crediti sono considerati sicuri, perché alla fine sul pagamento garantiscono le Asl italiane, cioè in ultima istanza lo Stato. Al contempo però garantiscono rendimenti relativamente alti, visto che i tempi di pagamento della pubblica amministrazione italiana sono lunghi. Dopo il Covid la situazione è un po’ cambiata, ma fino a poco tempo fa – per dare una proporzione – un titolo del genere poteva rendere tra il 4 e il 4,5%, contro un titolo di Stato italiano che garantiva il 3%”. Ci sono buttati dentro un po’ tutti, anche grandi banche e fondi pensione internazionali. E infatti i crediti comprati dalla Ottima Mediazione sono arrivati fino a Banca Generali, l’istituto di private banking del gruppo Generali, oltre che a fondi pensione ed hedge fund internazionali. Secondo il Financial Times, però, alcune di questi crediti erano legati ad aziende sospettate dalla magistratura italiana di essere controllate dalla ’ndrangheta. Il quotidiano londinese non ha per ora pubblicato i nomi delle imprese, né quelli delle aziende sanitarie italiane indebitate con queste ultime. Ha citato solo genericamente un grande centro per rifugiati in Calabria finito nelle mani del crimine organizzato. Di certo i crediti messi sotto la lente dall’inchiesta giornalistica hanno fatto un lungo giro prima di essere venduti sotto forma di bond. Sono saliti fino in Lussemburgo, patria europea delle obbligazioni a tassazione leggerissima. A creare il veicolo necessario per vendere i bond (cioè crediti cartolarizzati) a investitori come Banca Generali è stata infatti la finanziaria Cfe, sede principale in Lussemburgo, filiali a Ginevra, Londra e Principato di Monaco. Presente nei Panama Papers come intermediaria di sette scatole offshore sparpagliate tra Panama e le Isole Vergini Britanniche, la società finanziaria batte in realtà bandiera italiana. È stata fondata nel 2001 nel Granducato da due finanzieri nostrani – Mario Cordoni ed Enrico Brignone – e dalla Banca Lombarda e Piemontese, oggi parte del gruppo Ubi Banca. La lussemburghese è amministrata ancora oggi dal fondatore Mario Cordoni e dal manager Massimiliano Piunti: due uomini di finanza che lavorano da anni tra l’Italia, la Svizzera e Londra. Sono stati loro a creare il veicolo Chiron Spv, quello attraverso il quale i crediti delle Asl italiane sono stati trasformati in titoli finanziari, impacchettati fra loro e sottoscritti da Banca Generali, con la consulenza di Ernst & Young, per poi essere venduti ai clienti finali. In totale sono 47,4 milioni di euro, dovuti da quasi tutta la Sanità del Mezzogiorno: Asp Cosenza, Asp Vibo Valentia, Asp Reggio Calabria, Asp Catanzaro, Asp Crotone, Asl Avellino, Asl Benevento, Asl Caserta, Asl Salerno, Asl Bari, Asl Foggia, Asl Napoli 1 Centro, Asl Napoli 2 Nord, Asl Napoli 3 Sud, Azienda Ospedaliera Mater Domini. Possibile che nessuno si sia accorto di niente? L’operazione finanziaria è iniziata nella primavera del 2017 ed è stata chiusa nell’estate del 2019. Tutto è filato liscio: aziende rientrare in anticipo dei propri crediti, investitori rimborsati e contenti. Solo che dei quasi 50 milioni di euro di crediti della sanità italiana, circa 800 mila euro facevano capo ad aziende sospettate di essere sotto controllo mafioso. I responsabili di Cfe hanno dichiarato al Financial Times di non aver mai acquistato consapevolmente crediti legati ad attività criminali, e di aver fatto la necessaria due diligence prima di comprarli. Anche Ottima Mediazione, interpellata dal Fatto, ha fatto sapere che tutti i controlli necessari sono stati fatti. Possibile davvero che nessuno se ne sia accorto? Secondo un portavoce di Banca Generali la spiegazione è semplice: “Le notizie delle indagini giudiziarie sulle aziende sono emerse nell’autunno del 2019, quando ormai gli investitori erano già stati rimborsati e l’operazione era finita”. Come dire: quando abbiamo comprato quei crediti sottoforma di bond, nessuno poteva immaginare dei legami con la ’ndrangheta.
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