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venerdì 3 ottobre 2025

Per la prima volta sono stati creati ovuli fecondabili da cellule della pelle: “Pensavamo fosse impossibile” - Maria Teresa Gasbarrone

In uno studio dalla portata potenzialmente rivoluzionaria, un gruppo di ricercatori dell’Oregon Health & Science University è riuscito a creare in laboratorio ovuli umani fecondabili a partire dal DNA di cellule cutanee. Lo studio è ancora soltanto una dimostrazione teorica e presenta molti limiti, ma per gli autori è una “pietra miliare” verso il trattamento dell’infertilità.

Per la prima volta nella storia sono stati creati in laboratorio ovuli umani usando il DNA di cellule della pelle. Ovuli che poi sono stati fecondati con spermatozoi e di cui una piccola parte è riuscita a svilupparsi fino allo stadio embrionale iniziale, quello che nella fecondazione in vitro tradizionale (IVF) è il momento in cui l'embrione viene impiantato nell'utero della donna.

"Abbiamo raggiunto un risultato che si pensava fosse impossibile". Con queste parole Shoukhrat Mitalipov, uno dei ricercatori dell'Oregon Health & Science University che hanno condotto lo studio, ha commentato i risultati a cui sono giunti, da poco pubblicati sulla rivista Nature Communications. Sebbene infatti si tratti – come precisano gli stessi autori – di una "proof of concept", ovvero una prova ancora a livello teorico, questo studio mostra per la prima volta che è possibile prendere il patrimonio genetico da una cellula non riproduttiva e trasferirlo in un ovulo che può essere fecondato in laboratorio.

Pur con tutti i limiti del caso, per i ricercatori questo risultato rappresenta comunque una "pietra miliare" verso una nuova tecnica per affrontare l'infertilità, in quanto apre una potenziale strada verso la gametogenesi in vitro, ovvero la creazione di cellule riproduttive, ma in laboratorio.

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Come sono stati creati gli ovuli

Riprendendo la stessa tecnica che è stata utilizzata già in passato per la clonazione animale, ovviamente in via sperimentale, i ricercatori hanno preso ovuli umani donati e li hanno privati del loro nucleo, dove si trova il materiale genetico. Di pari passo hanno prelevato cellule di pelle e da queste hanno estratto il nucleo, con tutto il suo corredo genetico. A questo punto hanno trasferito il nucleo della cellula della pelle nell'ovulo privato del suo nucleo. Con questa tecnica nel 1997 è stata clonata la famosa pecora Dolly.

A quel punto però i ricercatori dovevano affrontare la vera sfida: le cellule della pelle, così come tutte le altre del corpo, hanno 46 cromosomi (due set completi), tranne i gameti, ovvero le cellule riproduttive (gli spermatozoi negli uomini e gli ovuli nelle donne): questi infatti hanno metà esatta dei cromosomi, 23. Le cellule con 46 cromosomi sono dette "diploidi", quelle con 23 "aploidi". Questo è fondamentale perché nel momento della fecondazione i due set da 23 cromosomi si uniscono formando una cellula con il numero completo di cromosomi (cellula diploide).

"Un terzo processo di divisione cellulare"

Per risolvere questo problema i ricercatori hanno studiato i metodi di riproduzione cellulare: "La natura ci ha fornito due metodi di divisione cellulare e noi ne abbiamo appena sviluppato un terzo", ha detto Mitalipov. Il nome stesso anticipa il suo funzionamento. I ricercatori l'hanno chiamato "mitomeiosi" in quanto è una combinazione tra mitosi e meiosi. La prima è il processo attraverso cui si generano due cellule geneticamente identiche da una singola cellula, il secondo invece permette la riproduzione sessuale, in quanto consente il dimezzamento del numero di cromosomi in ciascuna cellula riproduttiva.

Con una buona dose di semplificazione possiamo dire che i ricercatori hanno combinato i due processi: quando hanno impiantato il nucleo della cellula di pelle nell'ovulo privato del suo nucleo, hanno visto che il citoplasma riusciva a influenzare il nucleo. Il citoplasma, la parte che circonda l'ovulo, svolge infatti un importante ruolo di regia nei processi di divisione cellulare.

In sostanza, il citoplasma dell'ovulo ha stimolato il nucleo della cellula cutanea, inducendolo a scartare metà dei suoi cromosomi in un processo simile alla meiosi. In questo modo i ricercatori hanno creato 82 ovuli funzionali, che sono stati poi fecondati tramite fecondazione in vitro con spermatozoi donati.

Hanno poi osservato in provetta come si comportavano questi embrioni. Di questi, circa il 9% si sono sviluppati fino allo stadio di blastocisti (sei giorni dopo la fecondazione), ovvero lo stadio in cui nell'IVF tradizionale l’embrione sarebbe trasferito nell’utero. Molti embrioni presentavano però anomalie cromosomiche e in ogni caso nessun embrione è stato impiantato in un utero perché lo studio è stato condotto esclusivamente in laboratorio.

Prospettive e possibili limiti.

Il potenziale sviluppo di una tecnica di gametogenesi in vitro sicura, ovvero una tecnica che a partire dal nucleo di altre cellule permette di creare dei gameti fecondabili potrebbe fare la differenza per le donne che desiderano una gravidanza ma che non sono più fertili per l'età avanzata o perché non sono più in grado di produrre ovuli funzionali dopo cure contro il cancro o altri motivi.

"Oltre a offrire speranza a milioni di persone con infertilità dovuta alla mancanza di ovuli o spermatozoi, questo metodo – ha aggiunto la professoressa Paula Amato, coautrice dello studio – consentirebbe alle coppie dello stesso sesso di avere un figlio geneticamente imparentato con entrambi i partner".

Ma allo stesso tempo sono molto cauti sull'eventuale applicazione di questa tecnica nella realtà: perché per prima cosa – ribadiscono – serve tempo, almeno dieci anni, di ricerca prima che l'approccio possa essere ritenuto sufficientemente sicuro o efficace da poter essere sottoposto a sperimentazione clinica. Inoltre, quest'ultima non è scontata, perché qualsiasi sperimentazione clinica, per poter partire, ha bisogno dell'autorizzazione degli organi di sicurezza e regolamentazione del paese in cui dovrebbe essere condotta, in questo caso gli Stati Uniti. Ovviamente il punto interrogativo, in questo studio più che in altri, è d'obbligo perché fa riferimento a un argomento che già oggi rappresenta un terreno di dibattito, spesso di scontro, molto accidentato.

continua su: https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/per-la-prima-volta-sono-stati-creati-ovuli-fecondabili-da-cellule-della-pelle-pensavamo-fosse-impossibile/

https://www.fanpage.it/

lunedì 30 giugno 2025

Renato Dulbecco, nato a Catanzaro, che, nel 1975, vinse il Premio Nobel per la Medicina.

 

1975: mentre il mondo guardava altrove, dalla Calabria arrivava una scoperta che avrebbe cambiato per sempre la lotta contro il cancro.

Il protagonista? Renato Dulbecco, nato a Catanzaro, che quell'anno vinse il Premio Nobel per la Medicina. Ma cosa aveva scoperto di così rivoluzionario?

Dulbecco riuscì a svelare uno dei segreti più oscuri della medicina: come alcuni virus riescono a causare i tumori. La sua ricerca dimostrò che certi virus sono capaci di inserire il proprio DNA direttamente nelle cellule che infettano, trasformandole in cellule tumorali.

Pensate: questa scoperta ha aperto la strada alla comprensione moderna del cancro e ha gettato le basi per terapie innovative che ancora oggi salvano milioni di vite.

Un figlio della Calabria che ha conquistato il mondo della scienza, dimostrando ancora una volta che il genio italiano non conosce confini geografici. Dalla piccola Catanzaro al riconoscimento più prestigioso della medicina mondiale.

Incredibile come una scoperta nata nel Sud Italia abbia illuminato laboratori di ricerca in tutto il pianeta, vero? 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=1162487932575219&set=a.447499420740744

Leggi anche: https://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Dulbecco

venerdì 27 giugno 2025

Tecnica rivoluzionaria converte le cellule del cancro in cellule sane: speranze per terapie innovative. - Andrea Centini

Mettendo mano alla complessa rete di geni che regola la differenziazione cellulare, scienziati sudcoreani sono riusciti a riconvertire le cellule del cancro al colon retto in cellule intestinali sane. La tecnica potrebbe sfociare in terapie antitumorali rivoluzionarie, prive dei rischi di tossicità e resistenza della chemioterapia.

I ricercatori hanno creato una tecnica rivoluzionaria grazie alla quale è possibile riconvertire le cellule del cancro (cancerose) in cellule normali e dunque sane. L'approccio potrebbe essere alla base di innovative terapie antitumorali che invece di uccidere le cellule malate le trasforma in comuni cellule del nostro organismo, con tutti i vantaggi che ciò garantirebbe. Basti pensare agli effetti delle aggressive chemioterapie e radioterapie, che possono essere molto tossiche ed eliminare anche le cellule sane, oppure al fatto che le cellule tumorali sono in grado di sviluppare resistenza ai trattamenti, catalizzando il rischio di recidiva e tumori secondari a causa delle metastasi. Al momento la tecnica è ancora sperimentale, ma è stata testata con successo sia su cellule in coltura che su modelli animali, pertanto gli scienziati sono fiduciosi che in futuro questo approccio possa essere trasferito nella pratica clinica, cioè nel trattamento dell'essere umano.

A mettere a punto la tecnica in grado di trasformare le cellule cancerose in cellule normali è stato un team di ricerca sudcoreano del Dipartimento di Ingegneria Biologica e del Cervello del Korea Advanced Institute of Science and Technology (KAIST), guidato dal professor Kwang-Hyun Cho. I ricercatori si sono concentrati sul processo di regressione delle cellule tumorali, che durante l'oncogenesi perdono le tappe della loro differenziazione (in pratica, da cellule specializzate diventano “indifferenziate”). La differenziazione delle cellule normali è guidata da una serie di geni che si attivano e disattivano all'occorrenza; il professor Kwang-Hyun Cho e colleghi hanno creato dei cosiddetti gemelli digitali della rete genica coinvolta nel meccanismo di differenziazione e hanno identificato i master molecular switch, cioè i regolatori molecolari che controllano questo processo. Per farlo si sono avvalsi di una simulazione al computer chiamata single-cell Boolean network inference and control (BENEIN).

Poiché i geni di controllo risultano mutati o spenti nelle cellule tumorali, l'obiettivo degli scienziati era sfruttare i master switch identificati nei gemelli digitali cellulari per riattivare la rete di regolazione genica e innescare nuovamente la differenziazione nelle cellule malate, permettendone la trasformazione in cellule sane. Ed è esattamente quello che sono riusciti a fare, sia attraverso esperimenti molecolari in vitro che in test su modelli animali (in vivo). Per quanto concerne le cellule in coltura, gli scienziati sudcoreani si sono concentrati sulle cellule del cancro all'intestino, uno dei più comuni e mortali al mondo (in Italia ogni anno si registrano circa 50.000 nuove diagnosi e 20.000 decessi, in base ai dati del registro tumori AIRTUM). Applicando il sistema BENEIN a queste cellule, sono stati identificati tre specifici master switch chiamati MYB, HDAC2 e FOXA2. Quando vengono inibiti contemporaneamente si induce la differenziazione delle cellule intestinali ed è possibile trasformare le cellule del cancro al colon retto in cellule intestinali (enterociti) normali, un processo che “sopprime la malignità”, come spiegato dagli autori dello studio.

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Scoperto il tallone d'Achille delle cellule dei tumori resistenti alla chemio: "Potrebbe eliminarle tutte"

“Il fatto che le cellule cancerose possano essere riconvertite in cellule normali è un fenomeno sorprendente. Questo studio dimostra che tale inversione può essere indotta sistematicamente”, ha dichiarato il professor Kwang-Hyun Cho in un comunicato stampa. “Questa ricerca introduce il nuovo concetto di terapia reversibile del cancro mediante la conversione delle cellule cancerose in cellule normali. Sviluppa inoltre una tecnologia fondamentale per identificare i target per la reversione del cancro attraverso l'analisi sistematica delle traiettorie di differenziazione delle cellule normali”, ha chiosato lo scienziato.

La speranza è che i promettenti risultati di questi esperimenti preclinici possano in futuro sfociare in terapie anticancro rivoluzionarie, dove le cellule tumorali invece di essere bombardate e distrutte con tecniche aggressive vengono “semplicemente” riconvertite in cellule buone, mettendo mano al complesso della regolazione genica. I dettagli della ricerca “Control of Cellular Differentiation Trajectories for Cancer Reversion” sono stati pubblicati su Advanced Science.

continua su: https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/tecnica-rivoluzionaria-converte-le-cellule-del-cancro-in-cellule-sane-speranze-per-terapie-innovative/p1/

giovedì 28 gennaio 2021

Scoperto il 'tallone d'Achille' delle cellule tumorali.

Cellule metastatiche di melanoma (fonte: Julio C. Valencia, NCI Center for Cancer Research, National Cancer Institute, NIH)

 

E' in una modifica a livello genetico, può essere usata come bersaglio per colpire il cancro.


Individuato il tallone d'Achille del cancro: si tratta di una modifica che subiscono a livello genetico le cellule tumorali, detta aneuploidia, che può essere usata come bersaglio per colpire il tumore attraverso alcune molecole.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, si deve ad un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall'università di Tel Aviv, a cui hanno partecipato anche l'Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) e l'Università Statale di Milano.

L'aneuploidia è un cambiamento nel numero delle copie di cromosomi: tutte le cellule umane hanno 46 cromosomi, mentre quelle tumorali ne hanno spesso di più o di meno. Finora però questo segno distintivo del cancro non era mai stato sfruttato come bersaglio di cura, perché mancavano gli strumenti per creare dei modelli in vitro di cellule aneuploidi.

"Abbiamo dimostrato che l'aneuploidia, che si trova nel 90% dei tumori solidi e nel 75% di quelli ematologici, può essere di per sé un bersaglio - chiarisce Stefano Santaguida, uno dei ricercatori - Non solo: abbiamo trovato delle molecole, gli inibitori del cosiddetto Sac (spindle assembly checkpoint), capaci di interferire con l'aneuploidia e sfruttarla per mirare e colpire le cellule cancerose".

I ricercatori dello Ieo hanno creato "delle librerie di linee cellulari aneuploidi - spiega Marica Ippolito, del gruppo di ricerca- e dimostrato un'alta dipendenza delle cellule aneuploidi dai geni coinvolti nel corretto funzionamento del Sac, il macchinario cellulare deputato alla divisione cellulare, attraverso cui ogni cellula genera due cellule figlie.

Inibendo il Sac, le cellule aneuploidi muoiono.

Si apre quindi la prospettiva di usare questi inibitori come terapia anticancro". I ricercatori stanno anche cercando di capire se l'aneuploidia c'entri in qualche modo con lo sviluppo di resistenze alla chemioterapia. 

https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2021/01/28/scoperto-il-tallone-dachille-delle-cellule-tumorali_8341968d-42cd-44e4-8a9c-391ef30d541c.html

martedì 8 ottobre 2019

Nobel per la Medicina a Kailin, Ratcliffe e Semenza.


Il premio è per la scoperta del modo in cui le cellule utilizzano l'ossigeno. Questo meccanismo ha un'importanza cruciale per mantenere le cellule in buona salute e averlo scoperto ha aperto la strada alla comprensione di molte malattie, prime fra anemia e tumori.


Il processo che permette alle cellule di adattarsi al livello di ossigeno è fondamentale sia per capire molti processi fisiologici (a sinistra) sia per affrontare molte malattie (fonte: Fondazione Nobel)

CHI SONO I PREMIATI
Sir Peter J. Ratcliffe, ha 65 anni, nato in Gran Bretagna, a Lancashire nel 1954, ha studiato a Cambridge e poi si è specializzato in nefrologia a Oxford. In questa università ha dato vita a un gruppo di ricerca ed ha avuto una cattedra nel 1996. Attualmente dirige il Centro per la ricerca clinica dell'Istituto Francis Crick di Londra ed è membro dell'Istituto Ludwig per la ricerca sul cancro.
L'americano Gregg L. Semenza, 63 anni, è nato a New York nel 1956 e ha studiato biologia ad Harvard e poi nell'Università della Pennsylvania. Si è specializzato in pediatria nella Duke University e dal 1999 insegna nella Johns Hopkins University, dove dal 2003 dirige il programma sulla ricerca vascolare.
William G. Kaelin, 62 anni, è nato a New York nel 1957 e, dopo gli studi nelle Duke University, si è specializzato in Medicina interna e oncologia nella Johns Hopkins University. Dal 2002 insegna a Harvard.
LA SCOPERTA
Il merito di Kaelin, Ratcliffe e Semenza è nell'avere scoperto il meccanismo molecolare che, all'interno delle cellule, regola l'attività dei geni in risposta al variare dei livelli di ossigeno. Il loro è stato un traguardo inseguito per decenni. La posta in gioco era infatti altissima perché l'ossigeno è l'elemento fondamentale che permette a ogni essere vivente di convertire il cibo in energia, e che è alla base di processi fisiologici fondamentali, dallo sviluppo embrionale alle difese immunitarie.
E' infatti nella capacità delle cellule di 'dialogare' con l'ambiente uno dei segreti della loro capacità di adattarsi, regolando il loro metabolismo e ogni loro funzione fisiologica. Il primo passo in questa direzione risale a 88 anni fa, quando il fisiologo tedesco Otto Warburg dimostrò che la conversione dell'ossigeno in energia dipende da un processo enzimatico, aggiudicandosi il Nobel per la Medicina nel 1931. Un altro passo in avanti è stato fatto dal fisiologo belga Corneille Heymans, Nobel per la Medicina nel 1938, con la scoperta che nella carotide esistono cellule che si comportano come sensori dell'ossigeno.
Le ricerche sono andate avanti negli anni, finché Semenza non ha individuato un altro sensore dei livelli di ossigeno nel gene chiamato Epo e ha dimostrato il suo legame con la carenza di questo elemento (ipossia) con esperimenti su topi geneticamente modificati. Parallelamente il gruppo di Ratcliffe studiava i meccanismi che regolano l'attività del gene Epo ed entrambe le linee di ricerca hanno finito per dimostrare che il gene è presente in tutti i tessuti dell'organismo. E' cominciata così la caccia agli altri protagonisti che aiutano le cellule ad adattarsi a diversi livelli di ossigeno e, nel 1995, studiando le cellule del fegato, Semenza ha scoperto il fattore che induce l'ipossia (Hif).
A trovare una risposta ulteriore è stato William Kaelin, che studiando una malattia ereditaria ha scoperto il ruolo di un altro gene, chiamato Vhl, capace di aiutare le cellule tumorali a superare l'ipossia. Ricerche successive hanno permesso di ricostruire l'intero processo che regola la risposta delle cellule all'ossigeno, e contemporaneamente hanno lasciato intravedere l'importanza che poter controllare questo meccanismo può avere per capire molti processi fisiologici, come metabolismo, sistema immunitario, sviluppo embrionale, respirazione e adattamento all'alta quota, e per affrontare molte malattie, come anemia, tumori, infarto, ictus, riparazione delle ferite.
L'incontro con ricerca italiana sulle piante
Non solo cellule animali: le piante percepiscono l'ossigeno con un meccanismo molto simile a quello che ha valso il Nobel per la Medicina al britannico Peter Ratcliffe e agli americani William Kaelin e Gregg Semenza. "Abbiamo voluto collaborare con Ratcliffe per verificare se il meccanismo con cui le piante percepiscono l'ossigeno, da noi scoperto, è simile a quello al quale stava lavorando sulle cellule animali lo studioso premiato oggi con il Nobel", ha osservato il ricercatore che ha coordinato lo studio nella Scuola Sant'Anna di Pisa, Pierdomenico Perata, in collaborazione con Francesco Licausi e Beatrice Giuntoli, ora entrambi nell'Università di Pisa.
Pubblicata sulla rivista Science nel luglio 2019, la ricerca è stata condotta negli ultimi tre anni in collaborazione fra il PlantLab dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant'Anna, del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e il gruppo di Ratcliffe a Oxford. "Da sempre - ha detto Perata - il meccanismo di percezione dell'ossigeno negli animali e nelle piante era considerato diverso, così come da sempre si è guardato a piante e animali come a due mondi diversi". Oggi, ha aggiunto, "sappiamo che il meccanismo è molto simile e che è condiviso da piante e animali: é un esempio esempio molto bello di come la ricerca di base nelle piante può essere tradotta in applicazioni importanti, anche nell'uomo"

lunedì 27 agosto 2018

Cancro, arriva in Europa terapia antitumorale con cellule del paziente.

Coltura di cellule in laboratorio (Ansa)

Via libera all'immunoterapia Car-T tisagenlecleucel che utilizza i linfociti T per combattere le neoplasie. Potrà essere usata per il trattamento di due forme di leucemia e linfoma, nel caso non funzionino le terapie tradizionali.

Roma, 27 agosto 2018 - Novità importante nel campo della cura di leucemie linfomi. La Commissione europea ha dato l'ok all'uso dell'immunoterapia Car-T tisagenlecleucel per il trattamento di bambini e giovani adulti fino ai 25 anni con leucemia linfoblastica acuta (Lla) a cellule B e per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (Dlbcl) nei casi in cui la patologia non risponda alle tradizionali terapie (neoplasie recidivanti o refrattarie). E' la prima volta che la cura per i tumori chiamata 'Car T', che prevede l'uso delle cellule del paziente 'addestrate' a riconoscere quelle tumorali, arriva in Europa. Ad annunciarlo è la svizzera Novartis, che "continua a collaborare con le autorità competenti di tutta Europa - si legge in una nota - per definire un approccio economico equo e basato sul valore, ma che sia al contempo sostenibile per i servizi sanitari nazionali".
IN COSA CONSISTE LA CAR-T THERAPY- E' la stessa azienda a spiegare le potenzialià del nuovo farmaco sviluppato in collaborazione con l'università della Pennsylvania: "Tisagenlecleucel è un trattamento rivoluzionario cheutilizza i linfociti T del paziente per combattere il cancro". La Cart-t therapy consiste infatti nel prelevare i linfociti T del paziente, un tipo di cellule del sistema immunitario, modificandoli perché riconoscano le cellule tumorali e poi reinfondendoli dopo averli fatti replicare. E' anche "l'unica terapia con recettore antigenico chimerico delle cellule T (Car-T) che ha ricevuto l'approvazione regolatoria nella Ue per due distinte neoplasie a cellule B", nonché "è stato anche la prima terapia cellulare Car-T mai approvata dalla Fda statunitense".
IL SI' DELL'EMA - L'autorizzazione della Commissione è arrivata dopo il parere positivo del Chmp, il comitato dell'Ema (Agenzia europea per i medicinali) che si occupa dell'approvazione dei farmaci, a fine giugno. Per Liz Barrett, Ceo di Novartis Oncology, il via libera dell'Emarappresenta "una svolta trasformativa per i pazienti in Europa che hanno bisogno di nuove opzioni terapeutiche. Perseguendo tenacemente il suo obiettivo di ridisegnare la cura del cancro - aggiunge - Novartis sta realizzando un'infrastruttura globale per la fornitura di terapie cellulari Car-T, laddove prima non ne esisteva alcuna".

Peter Bader, capo della Divisione immunologia e trapianti di cellule staminali dell'University Hospital for Children and Adolescents di Francoforte, principal investigator dello studio 'Eliana' sul tisagenlecleucel, parla di "progresso senza precedenti del paradigma terapeutico". Il farmaco, evidenzia in particolare l'esperto, "costituisce una terapia salvavita per i giovani pazienti con Lla che non sono stati trattati con successo con le terapie esistenti e per i quali sono rimaste poche opzioni terapeutiche".

venerdì 22 luglio 2016

Cellule trasformate in computer viventi.

Rappresentazione grafica della cellula trasformata in un computer vivente, al suo interno il circuito fatto di enzimi e geni (fonte: Lu et al, MIT)
Rappresentazione grafica della cellula trasformata in un computer vivente, al suo interno il circuito fatto di enzimi e geni (fonte: Lu et al, MIT)

Programmate per 'ricordare' e reagire, aiuteranno ambiente e medicina.


Le cellule viventi diventano come computer, capaci di 'ricordare' e reagire agli stimoli: le hanno programmate così gli ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (Mit), sfruttando complessi circuiti biologici fatti con geni ed enzimi. Presentate sulla rivista Science, potranno essere utilizzate come sensori ambientali, oppure come 'cimici' per studiare il differenziamento delle cellule o per monitorare l'evoluzione delle malattie come il cancro.

''La possibilità di registrare e rispondere non solo a una combinazione di eventi biologici, ma anche al loro ordine temporale, apre a numerose applicazioni'', spiega il coordinatore dello studio, Nathaniel Roquet. ''Conosciamo molto bene i fattori che regolano il differenziamento di specifici tipi di cellule o la progressione di certe malattie - sottolinea il ricercatore - ma sappiamo ben poco della loro tempistica: questa è una nuova area di indagine in cui adesso possiamo tuffarci grazie a questi dispositivi''.

Le nuove cellule-computer sono semplici batteri Escherichia coli programmati per ricordare, nel giusto ordine, fino ad un massimo di tre stimoli esterni (ma in futuro potrebbero diventare molti di più). Una volta che la cellula viene risvegliata dall'input, al suo interno si genera una serie di reazioni a catena che coinvolgono due enzimi (chiamati ricombinasi) che agiscono sul Dna memorizzando l'evento e scatenando l'eventuale risposta. 

La versione più semplice del sistema, quella che risponde a due input, è dotata di un circuito biologico che può assumere cinque configurazioni: nessun segnale, segnale A, segnale B, segnale A seguito da B e segnale B seguito da A. I ricercatori hanno realizzato anche circuiti biologici più complessi che ricordano e reagiscono a tre input assumendo 16 possibili configurazioni, tutte facilmente riconoscibili se nel Dna si inseriscono geni per la produzione di proteine fluorescenti che fanno illuminare le cellule come dei semafori.

sabato 6 febbraio 2016

Scoperto il 'grilletto' che fa partire l'invecchiamento.



E' nella centralina che dà energia alle cellule.


Si nasconde nelle centraline energetiche delle cellule, i mitocondri, il 'grilletto' molecolare che fa partire la serie di eventi che porta un organismo a invecchiare. La scoperta, pubblicata sulla rivista del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare, l'Embo Journal, fornisce così un nuovo bersaglio alla lunga caccia dell'elisir della giovinezza. Diventa cioè possibile mettere a punto una nuova generazione di terapie capaci di contrastare l'invecchiamento delle cellule.

Il gruppo di ricerca dell'università britannica di Newcastle, guidato da Joo Passos, ha condotto esperimenti su colture di cellule umane che cominciavano a mostrare i segni dell'età, accumulando danni e mostrando segni di infiammazione. Quando i ricercatori le hanno private dei mitocondri, le cellule hanno cominciato a 'ringiovanire'.

In questo modo è stato riprodotto in modo artificiale un fenomeno che accade normalmente in natura, quando i mitocondri che hanno dei difetti vengono eliminati spontaneamente dalle cellule. Con un trucco molecolare i ricercatori, guidati da Clara Correia-Melo, hanno 'convinto' le cellule anziane a distruggere i loro mitocondri su larga scala. "Questa scoperta - ha rilevato Passos - conferma definitivamente che i mitocondri giocano un ruolo di primo piano nell'invecchiamento".

lunedì 2 marzo 2015

“Le cellule possono tornare indietro nel tempo” conquista il Nobel per la medicina 2012.

Il Nobel per la Medicina 2012 premia la scoperta sulla riprogrammazione cellulare dell’inglese John B. Gurdon e il giapponese Shinya Yamanaka. I due scienziati hanno dimostrato come le cellule mature e specializzate possono essere riprogrammate per trasformarsi e regredire allo stato di cellule indifferenziate capaci di “ritrasformarsi” in qualsiasi altra cellula dell’organismo.
Tornare indietro nel tempo: si può. Almeno per le cellule. Questo è il senso della scoperta di John Gurdon e Shinya Yamanaka, che gli è valsa il premio Nobel per la Medicina 2012. I due scienziati hanno scoperto che le cellule mature e con funzioni ben definite possono essere riprogrammate e fatte regredire a cellule immature, capaci di differenziarsi in qualsiasi altra cellula dell’organismo. «I loro studi – come si legge sul comunicato stampa del Karolinska Institutet, prestigioso centro di ricerca svedese che ogni anno dal 1901 assegna il premio Nobel per la Fisiologia o Medicina – hanno rivoluzionato la nostra conoscenza sullo sviluppo delle cellule e dell’organismo».
Il professore e ricercatore britannico e il collega giapponese sono stati premiati per aver scoperto che le cellule adulte e specializzate possono essere riprogrammate per diventare immature e pluripotenticapaci cioè di trasformarsi per sviluppare qualunque tessuto del corpo umano. Una scoperta, questa, che ha completamente rivoluzionato le teorie preesistenti sulla specializzazione cellulare. Ora sappiamo che le cellule adulte non devono necessariamente essere confinate per sempre alla specializzazione raggiunta, ma possono essere riprogrammate, con enormi benefici per lo studio e lo sviluppo di nuovi metodi diagnostici e terapeutici di moltissime patologie.
Tutti noi ci sviluppiamo a partire da una cellula uovo fecondata. Durante i primi giorni dal concepimento, l’embrione è costituito da un gruppo di cellule immature, ciascuna delle quali è in grado di svilupparsi in potenzialmente tutti i tipi di cellule che formano un organismo adulto. Queste cellule sono chiamate cellule staminali pluripotenti.
Mano a mano che l’embrione si sviluppa, queste cellule danno origine per esempio, alle cellule nervose, muscolari, del fegato, e a tutti gli altri tipi di cellule specializzati per assolvere a un determinato compito all’interno di un organismo adulto.
Il viaggio che porta una cellula immatura a specializzarsi era finora considerato unidirezionale: si pensava cioè che non fosse più possibile, per una cellula adulta ritornare allo stadio di cellula immatura e pluripotente.
Prima di questa scoperta si sapeva che l’embrione, nato dalla fecondazione, era formato da cellule indifferenziate e immature, in grado di “trasformarsi” in qualsiasi cellula dell’organismo maturo. Queste cellule, chiamate totipotenti, man mano che l’embrione si sviluppa, acquistano delle funzioni definite e si specializzano, diventando cellule muscolari, neuroni, cellule dell’epidermide e così via, fino a coprire tutte le funzioni necessarie all’organismo adulto. La scoperta di Gurdon e Yamanaka ha dimostrato che la differenziazione che avviene nel corso dello sviluppo in realtà non è unidirezionale, come si pensava, ma reversibile. Il che significa che una qualsiasi cellula matura del nostro organismo può essere fatta regredire a cellula totipotente, e trasformata in qualsiasi altra cellula matura e differenziata.
Il primo passo avanti fu fatto da Gurdon nel 1962 con un esperimento sulla rana, con cui spezzò il dogma per cui una cellula specializzata ha un solo destino e può diventare un solo tipo di cellula. Al contrario, anche quando diventa matura, una cellula conserva al suo interno tutte le informazioni necessarie per differenziarsi in qualsiasi altra cellula dell’organismo. Gurdon lo verificò sostituendo il nucleo di una cellula uovo di una rana con quello di una cellula matura, intestinale, prelevata da un girino. L’uovo si sarebbe poi sviluppato in un girino sano nonostante il nucleo introdotto fosse già differenziato. Dimostrazione del fatto che il nucleo della cellula matura non aveva perso la sua capacità di guidare lo sviluppo di un organismo funzionale. La scoperta in seguito fu studiata e sviluppata fino a portare alla tecnica di clonazione dei mammiferi, anche criticata in passato.
Quarant’anni dopo, Yamanaka completò la scoperta lavorando sulle cellule staminali embrionali (cellule staminali pluripotenti che sono isolate dall’embrione e coltivate in laboratorio), isolate per la prima volta dai topi grazie a Martin Evans (Premio Nobel 2007). Yamanaka cercò, infatti, di trovare i geni responsabili dello stato di indifferenziazione della cellula, e una volta individuati li testò introducendoli con varie combinazioni all’interno delle cellule mature, fintanto che non riuscì a ottenere una cellula staminale pluripotente. La scoperta fu pubblicata nel 2006 e fu subito considerato un importante passo avanti. Yamanaka, a differenza di Gurdon, aveva direttamente fatto regredire una cellula pluripotente, senza dover rimuovere il nucleo cellulare, trasferendolo in un’altra cellula.
Inutile dire che la scoperta ha importanti conseguenze sulla ricerca scientifica in campo medico, sia perché ha fornito dei nuovi e utili strumenti per la ricerca di base sia perché ha portato a notevoli progressi in molti settori della medicina. Le cellule staminali pluripotenti indotte (induced pluripotent stem cells o iPS cells) possono anche essere preparate da cellule umane e potrebbero rivelarsi degli strumenti preziosi per la comprensione dei meccanismi delle malattie. Le cellule ottenute da pazienti con determinate malattie, infatti, possono essere fatte regredire e il loro sviluppo confrontato con quello delle cellule di individui sani, in modo da capire il meccanismo che determina la malattia e sulla base di questo individuare nuove terapie mediche.