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venerdì 12 luglio 2024

Sviluppati sensori quantistici che “viaggiano nel tempo”

Un team di scienziati ha sviluppato nuovi tipi di sensori quantistici che sfruttano l'entanglement quantistico per realizzare rilevatori che viaggiano nel tempo

Kater Murch, Professoressa di fisica Charles M. Hohenberg e direttrice del Center for Quantum Leaps presso la Washington University di St. Louis, e i colleghi Nicole Yunger Halpern del NIST e David Arvidsson-Shukur dell’Università di Cambridge hanno sviluppato nuovi tipi di sensori quantistici che sfruttano l’entanglement quantistico per realizzare rilevatori che viaggiano nel tempo.


Entanglement: utilizzato come combustibile per i motori quantistici, sensori quantistici

Sensori quantistici che sfruttano l’entanglement per viaggiare nel tempo

L’idea del viaggio nel tempo ha affascinato gli appassionati di fantascienza per anni. La scienza ci dice che viaggiare nel futuro è tecnicamente fattibile, almeno se si è disposti ad andare vicino alla velocità della luce, ma tornare indietro nel tempo è un no-go. Cosa succederebbe però se gli scienziati potessero sfruttare i vantaggi della fisica quantistica per scoprire dati su sistemi complessi accaduti in passato?

Murch ha descritto questo concetto come analogo alla possibilità di inviare un  telescopio indietro nel tempo per catturare una stella cadente osservata con la coda dell’occhio. Nel mondo di tutti i giorni, questa idea non è fattibile. Nella terra misteriosa ed enigmatica della fisica quantistica, potrebbe esserci però un modo per aggirare le regole. Questo grazie a una proprietà dei sensori quantistici aggrovigliati che Murch ha denominato “hindsight”.

La ricerca è stata pubblicata su Physical Review Letters.

Lo studio sui sensori quantistici.

Il processo inizia con l’intreccio di due particelle quantistiche in uno stato di singoletto quantistico, in altre parole due qubit con spin opposto, in modo che, indipendentemente dalla direzione presa in considerazione, gli spin puntino in direzioni opposte. Da lì, uno dei qubit, la “sonda”, come la chiama Murch, è sottoposto a un campo magnetico che ne provoca la rotazione.

Il passo successivo è dove avviene la proverbiale magia. Quando il qubit ausiliario (quello non utilizzato come sonda nell’esperimento) viene misurato, le proprietà dell’entanglement inviano effettivamente il suo stato quantico (cioè lo spin) “indietro nel tempo” all’altro qubit nella coppia. Questo ci riporta al secondo passo del processo, dove il campo magnetico ha fatto ruotare il “qubit sonda“, ed è qui che entra in gioco il vero vantaggio dei sensori quantistici.

In circostanze normali per questo tipo di esperimento, in cui la rotazione di uno spin viene utilizzata per misurare la dimensione di un campo magnetico, c’è una probabilità su tre che la misurazione fallisca. Questo perché quando il campo magnetico interagisce con il qubit lungo l’asse x, y o z, se è parallelo o antiparallelo alla direzione dello spin, i risultati saranno annullati: non ci sarà alcuna rotazione da misurare.

In condizioni normali, quando il campo magnetico è sconosciuto, gli scienziati dovrebbero indovinare lungo quale direzione preparare lo spin, portando a un terzo di possibilità di fallimento. La bellezza dei sensori quantistici è che consentono agli sperimentatori di stabilire la direzione migliore per lo spin, col senno di poi, attraverso il viaggio nel tempo.

Einstein una volta ha definito l’entanglement quantistico come “azione spettrale a distanza“. Forse la parte più spettrale dell’entanglement è che possiamo considerare le coppie di particelle entangled come la stessa identica particella, che si muove sia avanti che indietro nel tempo.

Questo offre agli scienziati nuovi modi creativi per costruire sensori quantistici migliori, in particolare quelli che è possibile inviare efficacemente indietro nel tempo. Esistono numerose potenziali applicazioni per questi tipi di sensori, dal rilevamento di fenomeni astronomici al suddetto vantaggio ottenuto nello studio dei campi magnetici, e sicuramente ne emergeranno altre man mano che il concetto verrà ulteriormente sviluppato.

Conclusioni.

L’obiettivo della metrologia quantistica è migliorare la sensibilità delle misurazioni sfruttando le risorse quantistiche. I metrologi spesso mirano a massimizzare le informazioni quantistiche di Fisher, che limitano la sensibilità dell’impostazione di misurazione.

Negli studi sui limiti fondamentali della metrologia, un’impostazione paradigmatica presenta un qubit (sistema spin-half) soggetto a una rotazione sconosciuta. Si ottengono le massime informazioni quantistiche di Fisher sulla rotazione se lo spin inizia in uno stato che massimizza la varianza dell’operatore che induce la rotazione.

Se l’asse di rotazione è sconosciuto, tuttavia, non è possibile sviluppare sensori quantistici a singolo qubit ottimale.

Ispirati dalle simulazioni di curve chiuse di tipo tempo, gli studiosi che hanno sviluppato i sensori quantistici hanno aggirato questa limitazione e hanno ottenuto le massime informazioni quantistiche di Fisher su un angolo di rotazione, indipendentemente dall’asse di rotazione sconosciuto.

Per ottenere questo risultato, inizialmente hanno aggrovigliato il qubit di sonda con un qubit ancilla. Quindi, hanno misurato la coppia in una base aggrovigliata, ottenendo più informazioni sull’angolo di rotazione di quante ne possa ottenere qualsiasi sensore a singolo qubit.

Gli studiosi che hanno sviluppato i sensori quantistici hanno ottenuto questo vantaggio metrologico utilizzando un processore quantistico superconduttore a due qubit. Il loro approccio di misurazione ha ottenuto un vantaggio quantistico, superando ogni strategia priva di entanglement.

https://reccom.org/sviluppati-sensori-quantistici-viaggiano-nel-tempo/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR1Wx-nh0NrwbeqHAuX5bag84eUArZekXBMIDUKgoJmZJw6INSLs_i-Csjg_aem_ONH3--hFV4qc94V-0CwCZQ

venerdì 22 luglio 2016

Cellule trasformate in computer viventi.

Rappresentazione grafica della cellula trasformata in un computer vivente, al suo interno il circuito fatto di enzimi e geni (fonte: Lu et al, MIT)
Rappresentazione grafica della cellula trasformata in un computer vivente, al suo interno il circuito fatto di enzimi e geni (fonte: Lu et al, MIT)

Programmate per 'ricordare' e reagire, aiuteranno ambiente e medicina.


Le cellule viventi diventano come computer, capaci di 'ricordare' e reagire agli stimoli: le hanno programmate così gli ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (Mit), sfruttando complessi circuiti biologici fatti con geni ed enzimi. Presentate sulla rivista Science, potranno essere utilizzate come sensori ambientali, oppure come 'cimici' per studiare il differenziamento delle cellule o per monitorare l'evoluzione delle malattie come il cancro.

''La possibilità di registrare e rispondere non solo a una combinazione di eventi biologici, ma anche al loro ordine temporale, apre a numerose applicazioni'', spiega il coordinatore dello studio, Nathaniel Roquet. ''Conosciamo molto bene i fattori che regolano il differenziamento di specifici tipi di cellule o la progressione di certe malattie - sottolinea il ricercatore - ma sappiamo ben poco della loro tempistica: questa è una nuova area di indagine in cui adesso possiamo tuffarci grazie a questi dispositivi''.

Le nuove cellule-computer sono semplici batteri Escherichia coli programmati per ricordare, nel giusto ordine, fino ad un massimo di tre stimoli esterni (ma in futuro potrebbero diventare molti di più). Una volta che la cellula viene risvegliata dall'input, al suo interno si genera una serie di reazioni a catena che coinvolgono due enzimi (chiamati ricombinasi) che agiscono sul Dna memorizzando l'evento e scatenando l'eventuale risposta. 

La versione più semplice del sistema, quella che risponde a due input, è dotata di un circuito biologico che può assumere cinque configurazioni: nessun segnale, segnale A, segnale B, segnale A seguito da B e segnale B seguito da A. I ricercatori hanno realizzato anche circuiti biologici più complessi che ricordano e reagiscono a tre input assumendo 16 possibili configurazioni, tutte facilmente riconoscibili se nel Dna si inseriscono geni per la produzione di proteine fluorescenti che fanno illuminare le cellule come dei semafori.