Visualizzazione post con etichetta regressione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta regressione. Mostra tutti i post

venerdì 17 ottobre 2025

Un nuovo farmaco fa regredire i tumori. Successo su modelli animali, ecco lo studio. Arianna Bordi

 

Una notizia che scuote il panorama oncologico: un farmaco di ultimissima generazione, concepito per agire come un cecchino, colpendo unicamente le cellule malate, ha conseguito successi clamorosi nei saggi preclinici.

Scopriamo di più.


I dettagli dello studio.

L'eccezionale scoperta è il risultato di una sinergia globale che ha visto uniti giganti della ricerca come il Children’s Hospital di Philadelphia, l’Università di Pittsburgh e l'eccellenza italiana rappresentata dall’Università di Bologna e l’Irccs Policlinico di Sant’Orsola.

risultati della ricerca sono sbalorditivi: si parla di una completa regressione del tumore in modelli animali e non solo per rari tumori pediatrici come il neuroblastoma e il rabdomiosarcoma, ma anche per il tumore del colon, una delle neoplasie più diffuse.

Il cuore di questa innovazione risiede in un trattamento appartenente alla categoria degli anticorpi-coniugati, i veri "farmaci intelligenti" perché combinano la mira laser di un anticorpo, capace di riconoscere il bersaglio, con la forza distruttiva di molecole chemioterapiche; in pratica la "bomba" chimica viene veicolata esclusivamente verso le cellule cancerose, garantendo l'integrità dei tessuti sani.


Un approfondimento sul farmaco.

L'architettura del farmaco, denominato Cdx0239-Pbd, è stata studiata per intercettare un recettore chiave,  ossia Alk (Anaplastic lymphoma kinase), una bandiera rossa sulla superficie di molte cellule tumorali, mentre risulta praticamente invisibile nei tessuti normali.

La storia di questa scoperta parte da lontano: “Nel 2020, quando insieme a Martina Mazzeschi, ricercatrice all'Irccs Policlinico Sant’Orsola, abbiamo iniziato a concentrarci sull’identificazione dell’Alk (Anaplastic Lymphoma Kinase)”, racconta Lauriola.

Dunque, un recettore che si è rivelato il "tallone d'Achille" ideale: si trova in abbondanza sulle cellule di tumori pediatrici rari e in alcuni sottotipi di tumore del colon, ma è quasi assente nei tessuti sani.

“Le nostre analisi confermano che Alk è un target molto promettente anche nel tumore del colon”, aggiunge Martina Mazzeschi, ricercatrice all’Irccs Policlinico di Sant’Orsola. “Se nel neuroblastoma era già noto, ora vediamo un’espressione significativa anche in alcuni sottotipi di carcinoma colorettale”.

Il meccanismo è implacabile: l'anticorpo-coniugato si aggancia ad Alk, scarica la sua molecola tossica all'interno della cellula maligna, decretandone la morte: nei modelli testati, infatti, il tumore non solo è scomparso totalmente, ma non ha mostrato segni di recidiva dopo la fine della cura.


Dalla ricerca alla speranza clinica.

Dalla collaborazione con il laboratorio del Children’s Hospital di Philadelphia, che aveva già sviluppato un anticorpo-coniugato per le neoplasie infantili, il team italiano ha portato la sua competenza: “Il nostro contributo è stato proprio quello di utilizzare lo stesso farmaco ma su modelli di cancro al colon”, una neoplasia con circa 50.000 nuovi casi annui, la seconda per incidenza in Italia.

I risultati ottenuti sono risolutivi: “Nei modelli animali la totalità dei tumori è scomparsa dopo il trattamento”. Ora, dunque, l’impegno è focalizzato sull'ottimizzazione per avviare la sperimentazione clinica sull'uomo, un passaggio che Lauriola auspica possa avvenire rapidamente, soprattutto negli Stati Uniti.

La soddisfazione è grande: “Il farmaco rappresenta un passo avanti significativo verso terapie personalizzate: siamo al lavoro per ampliare il numero di tumori solidi che possono essere trattati, mitigando allo stesso tempo i meccanismi di resistenza all’azione del farmaco.”

“Questi risultati aprono la strada a terapie di nuova generazione, più efficaci e meno tossiche”, spiega con entusiasmo Mattia Lauriola, professoressa di Istologia all'Alma Mater e coautrice dello studio. “L’obiettivo è sostituire, quando possibile, la chemioterapia tradizionale con una “chemioterapia di precisione”.

L'ottimismo è palpabile tra i ricercatori: questa strategia mira a diventare una risorsa fondamentale contro una vasta gamma di neoplasie, inclusi i devastanti tumori pediatrici e il colon-retto, prospettando un futuro di terapie mirate, finalmente meno invasive e significativamente più risolutive.

https://www.pazienti.it/news-di-salute/un-nuovo-farmaco-fa-regredire-i-tumori-successo-su-modelli-animali-ecco-lo-studio-16102025

lunedì 2 marzo 2015

“Le cellule possono tornare indietro nel tempo” conquista il Nobel per la medicina 2012.

Il Nobel per la Medicina 2012 premia la scoperta sulla riprogrammazione cellulare dell’inglese John B. Gurdon e il giapponese Shinya Yamanaka. I due scienziati hanno dimostrato come le cellule mature e specializzate possono essere riprogrammate per trasformarsi e regredire allo stato di cellule indifferenziate capaci di “ritrasformarsi” in qualsiasi altra cellula dell’organismo.
Tornare indietro nel tempo: si può. Almeno per le cellule. Questo è il senso della scoperta di John Gurdon e Shinya Yamanaka, che gli è valsa il premio Nobel per la Medicina 2012. I due scienziati hanno scoperto che le cellule mature e con funzioni ben definite possono essere riprogrammate e fatte regredire a cellule immature, capaci di differenziarsi in qualsiasi altra cellula dell’organismo. «I loro studi – come si legge sul comunicato stampa del Karolinska Institutet, prestigioso centro di ricerca svedese che ogni anno dal 1901 assegna il premio Nobel per la Fisiologia o Medicina – hanno rivoluzionato la nostra conoscenza sullo sviluppo delle cellule e dell’organismo».
Il professore e ricercatore britannico e il collega giapponese sono stati premiati per aver scoperto che le cellule adulte e specializzate possono essere riprogrammate per diventare immature e pluripotenticapaci cioè di trasformarsi per sviluppare qualunque tessuto del corpo umano. Una scoperta, questa, che ha completamente rivoluzionato le teorie preesistenti sulla specializzazione cellulare. Ora sappiamo che le cellule adulte non devono necessariamente essere confinate per sempre alla specializzazione raggiunta, ma possono essere riprogrammate, con enormi benefici per lo studio e lo sviluppo di nuovi metodi diagnostici e terapeutici di moltissime patologie.
Tutti noi ci sviluppiamo a partire da una cellula uovo fecondata. Durante i primi giorni dal concepimento, l’embrione è costituito da un gruppo di cellule immature, ciascuna delle quali è in grado di svilupparsi in potenzialmente tutti i tipi di cellule che formano un organismo adulto. Queste cellule sono chiamate cellule staminali pluripotenti.
Mano a mano che l’embrione si sviluppa, queste cellule danno origine per esempio, alle cellule nervose, muscolari, del fegato, e a tutti gli altri tipi di cellule specializzati per assolvere a un determinato compito all’interno di un organismo adulto.
Il viaggio che porta una cellula immatura a specializzarsi era finora considerato unidirezionale: si pensava cioè che non fosse più possibile, per una cellula adulta ritornare allo stadio di cellula immatura e pluripotente.
Prima di questa scoperta si sapeva che l’embrione, nato dalla fecondazione, era formato da cellule indifferenziate e immature, in grado di “trasformarsi” in qualsiasi cellula dell’organismo maturo. Queste cellule, chiamate totipotenti, man mano che l’embrione si sviluppa, acquistano delle funzioni definite e si specializzano, diventando cellule muscolari, neuroni, cellule dell’epidermide e così via, fino a coprire tutte le funzioni necessarie all’organismo adulto. La scoperta di Gurdon e Yamanaka ha dimostrato che la differenziazione che avviene nel corso dello sviluppo in realtà non è unidirezionale, come si pensava, ma reversibile. Il che significa che una qualsiasi cellula matura del nostro organismo può essere fatta regredire a cellula totipotente, e trasformata in qualsiasi altra cellula matura e differenziata.
Il primo passo avanti fu fatto da Gurdon nel 1962 con un esperimento sulla rana, con cui spezzò il dogma per cui una cellula specializzata ha un solo destino e può diventare un solo tipo di cellula. Al contrario, anche quando diventa matura, una cellula conserva al suo interno tutte le informazioni necessarie per differenziarsi in qualsiasi altra cellula dell’organismo. Gurdon lo verificò sostituendo il nucleo di una cellula uovo di una rana con quello di una cellula matura, intestinale, prelevata da un girino. L’uovo si sarebbe poi sviluppato in un girino sano nonostante il nucleo introdotto fosse già differenziato. Dimostrazione del fatto che il nucleo della cellula matura non aveva perso la sua capacità di guidare lo sviluppo di un organismo funzionale. La scoperta in seguito fu studiata e sviluppata fino a portare alla tecnica di clonazione dei mammiferi, anche criticata in passato.
Quarant’anni dopo, Yamanaka completò la scoperta lavorando sulle cellule staminali embrionali (cellule staminali pluripotenti che sono isolate dall’embrione e coltivate in laboratorio), isolate per la prima volta dai topi grazie a Martin Evans (Premio Nobel 2007). Yamanaka cercò, infatti, di trovare i geni responsabili dello stato di indifferenziazione della cellula, e una volta individuati li testò introducendoli con varie combinazioni all’interno delle cellule mature, fintanto che non riuscì a ottenere una cellula staminale pluripotente. La scoperta fu pubblicata nel 2006 e fu subito considerato un importante passo avanti. Yamanaka, a differenza di Gurdon, aveva direttamente fatto regredire una cellula pluripotente, senza dover rimuovere il nucleo cellulare, trasferendolo in un’altra cellula.
Inutile dire che la scoperta ha importanti conseguenze sulla ricerca scientifica in campo medico, sia perché ha fornito dei nuovi e utili strumenti per la ricerca di base sia perché ha portato a notevoli progressi in molti settori della medicina. Le cellule staminali pluripotenti indotte (induced pluripotent stem cells o iPS cells) possono anche essere preparate da cellule umane e potrebbero rivelarsi degli strumenti preziosi per la comprensione dei meccanismi delle malattie. Le cellule ottenute da pazienti con determinate malattie, infatti, possono essere fatte regredire e il loro sviluppo confrontato con quello delle cellule di individui sani, in modo da capire il meccanismo che determina la malattia e sulla base di questo individuare nuove terapie mediche.