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martedì 14 aprile 2020

Coronavirus, in Lombardia gli ospiti delle residenze per anziani non vengono portati in pronto soccorso per delibera della giunta. - Gaia Scacciavillani

Coronavirus, in Lombardia gli ospiti delle residenze per anziani non vengono portati in pronto soccorso per delibera della giunta

L'obiettivo di un alleggerimento del peso sugli ospedali difeso a spada tratta dalla Regione, non è avvenuto solo agendo sui flussi in uscita, ma anche su quelli in entrata. E il mezzo, in entrambe le direzioni, sono sempre le Rsa. Leggere delibere per credere. Inclusi gli allegati dove si relegano le "buone prassi" per il fine vita.

“Le cose le abbiamo scritte in atti ufficiali che non possono essere travisati”. Dice bene l’assessore lombardo alla Sanità, Giulio Gallera, quando parla delle decisioni prese dalla Giunta regionale in merito all’invio di pazienti covid nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Cioè le strutture per anziani malati cronici che erogano assistenza sanitaria condivisa tra più persone, prevalentemente in convenzione con il pubblico, sulla base di parametri che vengono definiti dalle regioni stesse. Quegli stessi parametri, come già sottolineato da ilfattoquotidiano.it, però, rendono davvero difficile, se non impossibile, reperire le strutture che secondo la regione sarebbero titolate ad accogliere i pazienti covid. Almeno in base alla definizione della deliberazione di giunta dell’8 marzo scorso ricordata da Gallera lunedì 6 aprile nel suo punto quotidiano.

Le residenze sanitarie non hanno personale in più, anzi – L’assessore ricorda: “Abbiamo detto che le Rsa che avevano strutture autonome dal punto di vista strutturale, cioè padiglioni separati o strutture fisicamente indipendenti, cioè con aree che non entravano in contatto con altri pazienti e autonome anche dal punto di vista organizzativo, cioè con personale da dedicare esclusivamente a questi pazienti, cioè con luoghi totalmente separati e personale dedicato, se potevano e volevano”…ospitare i pazienti covid meno gravi. Peccato che in base ai cosiddetti minutaggi, cioè il tempo minimo che una struttura per convenzione con il pubblico, deve dedicare a un ospite, le Rsa abbiano delle enormi difficoltà a coprire il normale carico di lavoro (che non prevede la gestione di epidemie, ma neanche di polmoniti delle quali normalmente si occupano gli ospedali).
Non a caso non appena ci sono dei concorsi pubblici, il personale delle strutture private corre attratto dall’idea che per lo Stato si lavora molto meno e si prende di più. Figuriamoci avere personale doppio. Quindi, anche senza entrare nel merito delle strutture fisiche separate, resta il nodo del personale e non si capisce quali siano le Rsa lombarde che sono state ritenute idonee a sgravare gli ospedali dai pazienti covid senza mettere a rischio i propri ospiti, com’era nei desiderata di chi ha scritto la delibera. Ilfattoquotidiano.it ha provato a chiederlo a più riprese, quotidianamente all’assessore nelle ultime tre settimane, ma non ha mai avuto risposta.
La decisione della Lombardia del 30 marzo – Il comprensibile obiettivo di un alleggerimento del peso sugli ospedali, in ogni caso, non è avvenuto solo agendo sui flussi in uscita, ma anche su quelli in entrata. E il mezzo, che giustifica il fine, sono sempre le Rsa. Lo si legge neanche troppo tra le righe di un’altra deliberazione della Giunta di Palazzo Lombardia, la numero XI/3018 del 30 marzo scorso, che è stata presa poche ore dopo il primo incontro dall’inizio dell’emergenza tra l’assessorato di Gallera e gli operatori del settore, i gestori delle Rsa, che hanno chiesto di essere almeno posti nelle condizioni di gestire i pazienti covid. Detto fatto.
Nel testo della deliberazione che è seguita all’incontro, è scritto che visto che “per gli ospiti delle Rsa e delle Rsd, in quanto pazienti fragili, l’emergenza da Covid-19 può rappresentare problematica particolarmente significativa”, e che grazie alla delibera di giunta dell’8 marzo scorso, “le Rsa possono accogliere pazienti dimessi da strutture ospedaliere inviati dalla centrale unica regionale dimissione post ospedaliera”, la giunta Fontana ha ritenuto “opportuno fornire alle Rsa e Rsd indicazioni per la gestione operativa degli ospiti e del personale, al fine di contenere le infezioni correlate all’assistenza nell’ambito dell’emergenza da Covid-19”. Seguono quindi “indicazioni per la gestione clinica di eventuali casi di Covid 19. Con particolare riguardo all’ossigenoterapia e alla sedazione palliativa”.
Così la giunta non manda in ospedale gli ospiti delle Rsa – La delibera include vari allegati. Uno dei quali contiene le indicazioni operative per la gestione degli ospiti che presentano sintomi “similinfluenzali” o covid positivi. Con una distinzione. I maggiori di 75 anni che presentano dei valori anomali di saturazione dell’ossigeno e sono in “discrete condizioni di salute”, vengono dirottati sul circuito ospedaliero tramite il 112. Per gli ultrasettantacinquenni che hanno una “situazione di precedente fragilità nonché più comorbilità”, invece, “è opportuno che le cure vengano prestate presso la stessa struttura per evitare ulteriori rischi di peggioramento dovuti al trasporto e all’attesa in Pronto Soccorso”.
In altre parole, considerato che le Residenze sanitarie assistite per definizione ospitano persone di età media superiore ai 75 anni con malattie croniche e, quindi, situazioni di fragilità, come per altro si ammette in testa alla delibera, la giunta Fontana esclude a priori dall’accesso ospedaliero gli ospiti delle Residenze sanitarie che pure fino a un mese e mezzo erano in grado di tollerare il trasporto in ospedale in caso di necessità. A loro, secondo le istruzioni dello stesso allegato, viene misurata la saturazione periferica dell’ossigeno e, in caso di necessità, somministrata l’ossigenoterapia. La terza strada è indicata in meno di due righe dallo stesso allegato dove si legge che “se il paziente è terminale si allegano le linee guida per ‘protocollo di sedazione terminale/sedazione palliativa“.
Le istruzioni sul fine vita in un allegato – Quest’ultimo capitolo è trattato in un ulteriore allegato che definisce asetticamente scopi della sedazione terminale, ambiti di applicazione e modalità di gestione della stessa, raccomandando come “un’attenta e corretta gestione dell’intero processo, decisionale ed attuativo, è importante per realizzare un efficace controllo dei sintomi e per minimizzare lo stress emozionale dei parenti (lutto patologico) e dei sanitari (burn-out dell’equipe)”. La decisione, sottolinea quindi l’allegato, “deve arrivare al termine di un processo decisionale che vede coinvolti l’equipe curante, il malato (se possibile) e i familiari o le persone a lui care”. Resta da capire al termine di quale processo sono invece state prese delle decisioni così importanti e delicate, che riguardano l’etica, l’universalità della sanità e il fine vita e che pure, in Lombardia nel 2020, vengono relegate all’interno di una serie di allegati in coda a una delibera varata in silenzio.

lunedì 7 marzo 2016

L’estensione dei telomeri allunga la vita delle cellule.

Telomeri


Una nuova procedura può rapidamente ed efficacemente aumentare la lunghezza dei telomeri umani, i cappucci di protezione alle estremità dei cromosomi che sono direttamente collegati all’ invecchiamento e a numerose malattie, secondo gli scienziati della Stanford University School of Medicine.
Le cellule trattate si sono comportate come se fossero molto più giovani di quelle non trattate, sbalordendo l’equipe di studiosi che si sono occupati di portare avanti questo genere di sperimentazioni.
Nei giovani esseri umani, i telomeri sono lunghi circa 8.000-10.000 nucleotidi ma si accorciano ad ogni divisione cellulare. Abbiamo a tutti gli effetti un orologio biologico che inesorabilmente avanza col progredire dei mesi. Con queste nuove ricerche, i medici hanno trovato il modo di allungare i telomeri umani di ben 1000 nucleotidi e questo equivale al tornare indietro di diversi anni nella vita umana.
Questo nuovo approccio apre la strada verso la prevenzione o il trattamento di malattie tipiche dell’invecchiamento. Sono davvero eccitato da quest’ultimi progressi e ci stiamo sempre più avvicinando al momento del raggiungimento dell’estensione indefinita della vita umana. È questione di tempo.

sabato 6 febbraio 2016

Scoperto il 'grilletto' che fa partire l'invecchiamento.



E' nella centralina che dà energia alle cellule.


Si nasconde nelle centraline energetiche delle cellule, i mitocondri, il 'grilletto' molecolare che fa partire la serie di eventi che porta un organismo a invecchiare. La scoperta, pubblicata sulla rivista del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare, l'Embo Journal, fornisce così un nuovo bersaglio alla lunga caccia dell'elisir della giovinezza. Diventa cioè possibile mettere a punto una nuova generazione di terapie capaci di contrastare l'invecchiamento delle cellule.

Il gruppo di ricerca dell'università britannica di Newcastle, guidato da Joo Passos, ha condotto esperimenti su colture di cellule umane che cominciavano a mostrare i segni dell'età, accumulando danni e mostrando segni di infiammazione. Quando i ricercatori le hanno private dei mitocondri, le cellule hanno cominciato a 'ringiovanire'.

In questo modo è stato riprodotto in modo artificiale un fenomeno che accade normalmente in natura, quando i mitocondri che hanno dei difetti vengono eliminati spontaneamente dalle cellule. Con un trucco molecolare i ricercatori, guidati da Clara Correia-Melo, hanno 'convinto' le cellule anziane a distruggere i loro mitocondri su larga scala. "Questa scoperta - ha rilevato Passos - conferma definitivamente che i mitocondri giocano un ruolo di primo piano nell'invecchiamento".

domenica 5 maggio 2013

Fonte dell'invecchiamento: è nascosta nel cervello. - Silvia Soligon


Cervello_e_invecchiamento

E' l'infiammazione dell'ipotalamo a determinare quando si invecchia.

La fonte dell'invecchiamento è nascosta in un'area del cervello già nota per il ruolo fondamentale svolto nella crecsita, nello sviluppo, nella riproduzione e nel metabolismo: l'ipotalamo. Ad indentificarla sono stati i ricercatori dell'Albert Einstein College of Medicine della Yeshiva University (New York) in uno studio condotto sui topi e pubblicato su Nature “Ciò che è entusiasmante – ha sottolineato Dongsheng Cai, responsabile della ricerca – è che è possibile, almeno nei topi, alterare i segnali all'interno dell'ipotalamo per rallentare il processo si invecchiamento e aumentare la longevità”.

La scoperta si è basata sull'osservazione che durante l'invecchiamento dei tessuti si sviluppano fenomeni infiammatori e che uno dei principali regolatori di questa infiammazione è la proteina NF-kB. Cai e colleghi hanno dimostrato che nei topi l'attivazione di questa proteina nell'ipotalamo accelera significativamente i processi di invecchiamento, riducendo, ad esempio, la forza muscolare, lo spessore dell'epidermide e le capacità cognitive e accorciando la vita. Viceversa, bloccare NF-kB rallenta l'invecchiamento e aumenta l'aspettativa di vita del 20% circa.

Le scoperte dei ricercatori vanno però oltre questi dettagli e hanno svelato che l'attivazione di NF-kB nell'ipotalamo riduce i livelli dell'ormone GnRH, importante per la riproduzione, mentre l'iniezione di questo ormone nell'ipotalamo di topi anziani li protegge dalla difficoltà di produrre neuroni tipica dell'invecchiamento e dal declino cognitivo ad essa associato.


Secondo Cai prevenire l'infiammazione a livello dell'ipotalamo e aumentare la produzione di ormoni tramite iniezioni di GnRH rappresentano due potenziali strategie per aumentare l'apsettativa di vita e trattare disturbi associati all'invecchiamento.