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giovedì 21 maggio 2020

“Così Lotti, Unicost e Mi volevano dirigere il Csm”. - Antonio Massari.

“Così Lotti, Unicost e Mi volevano dirigere il Csm”

David Ermini - Il vicepresidente ricostruisce le manovre, respinte: “Puntavano ad avere una maggioranza fissa”.
Le prime nomine di peso, nel Csm a guida David Ermini sarebbero state quelle per le Procure di Roma e Torino. E su quella di Roma, nella primavera del 2019, si consuma lo strappo con il suo sponsor politico, Luca Lotti, gran cerimoniere della cena a casa di Giuseppe Fanfani, membro uscente del Csm e parlamentare Pd, alla quale partecipano gli uomini più influenti di Unicost e Magistratura indipendente, Luca Palamara e Cosimo Ferri. Fu in quella cena del 25 settembre 2018, come ha ricostruito il Fatto Quotidiano, che Ermini riceve l’investitura che lo porta, due giorni dopo, alla vicepresidenza del Csm. Nessuno scandalo, commenta Ermini in un’intervista al Corriere della Sera, perché la nomina del numero due del Csm dev’essere frutto di una mediazione tra magistratura e politica. Poi aggiunge di “essersi sottratto alle richieste di chi voleva eterodirigere il Consiglio”. “Ho dimostrato fin dall’inizio – aggiunge – di ricoprire il mio ruolo in autonomia al servizio dell’istituzione consiliare. Lo testimoniano – conclude – le intercettazioni” dell’inchiesta perugina su Palamara.
Ma se il vicepresidente del Csm ritiene che esistano forze e persone che tentano di “eterodirigere” il Csm, quindi ingerenze esterne, dovrebbe anche fare i nomi ed elencarne le richieste. Nell’intervista al Corriere non ve n’è traccia. “Solo percezioni”, esordisce Errani interpellato dal Fatto. Le percezioni devono però essere collegate a qualcosa di concreto. E qualcuno deve pur averle innescate. In realtà, poco prima che ci si avvicinasse alla nomina del procuratore di Roma, per la quale, in quel momento, il favorito era il magistrato fiorentino Marcello Viola, spinto proprio da Palamara, Ferri e Lotti, s’erano discusse altre nomine, per sedi meno importanti e incarichi direttivi e semi direttivi, quindi da procuratore capo o procuratore aggiunto. È in quell’occasione, spiega Ermini, che arriva il primo segnale: “Mi viene chiesto di votare”. Da chi? “Da Luigi Spina”.
Spina è uno dei consiglieri Unicost, dimessosi lo scorso anno in seguito allo scandalo sul Csm, in stretto contatto con Palamara, Ferri e Lotti. Ma Spina, obiettiamo, era comunque un consigliere del Csm, l’eterodirezione si riferisce a qualcuno che intendeva influire sul Csm dall’esterno, non dall’interno. Non a caso Luca Lotti sostiene, intercettato, che gli va “dato un messaggio forte”. E legge un sms con il quale ricorda a Ermini che lui non è “un senatore qualunque” e che senza di lui non sarebbe stato al Csm. “Lotti l’ho incontrato alla Camera dei deputati”, risponde Ermini, “ma prima che m’inviasse quel messaggio sul telefono. Mi disse che le correnti di Mi e Unicost erano irritate con me. Io feci cadere la cosa. Non gli risposi neanche”. Ermini quindi, stando alla sua versione, non chiede a Lotti perché Unicost e Mi siano irritate con lui. Lascia cadere lì. E non doveva essere un grande sforzo di immaginazione: proprio a Lotti, Ferri e Palamara, Ermini doveva la sua nomina. Da qui, par di capire, le “percezioni”. Ma le richieste? Ritorniamo all’unico nome fatto da Ermini, quello di Spina, che gli chiede di partecipare al voto sul capo di una Procura minore. Ermini non accetta. È il suo voto, la richiesta latente. È questo il tentativo di eterodirezioneHo capito che si aspettava il mio voto sulle nomine. E non soltanto su quelle nomine. In questo modo si sarebbe creata una maggioranza fissa e costante”. A quel punto, il gruppo che spingeva in questa direzione avrebbe avuto il controllo totale della situazione. “E – riflette Ermini – in questo modo avrebbe avuto anche il potere di fare delle concessioni a chi era in minoranza”.

domenica 17 maggio 2020

Chi può e chi non può. - Marco Travaglio

Csm, le trame tra Lotti e Palamara su Ielo: «Il dossier va spinto ...
Siamo tutti distratti da problemi di sopravvivenza (anche se ormai ci siamo mitridatizzati a ingoiare 250 morti al giorno). Dunque certe notizie cadono nel vuoto. Perciò questa merita di essere sottolineata: l’altroieri i nostri Marco Lillo e Antonio Massari, che stanno leggendo le intercettazioni dell’inchiesta sul pm Luca Palamara, hanno fatto due scoop. Il primo sono gli imbarazzanti colloqui di un anno fa tra il pm indagato e il suo collega Fulvio Baldi, capo di gabinetto di Alfonso Bonafede al ministero della Giustizia, su come sistemare lì due magistrate vicine a Palamara, potente capocorrente di Unicost (che però restarono dov’erano). Nulla di illegale o di inusuale: ma imbarazzante sì, almeno per il braccio destro del ministro che voleva scardinare le correnti togate col sorteggio alle elezioni del Csm.
Il secondo riguarda la cena segreta organizzata il 25 settembre 2018 nella propria casa romana da Giuseppe Fanfani, avvocato aretino, allora consigliere uscente del Csm in quota Pd, molto legato a Renzi&Boschi, col solito Palamara e tre parlamentari turborenziani Pd: Luca Lotti (indagato per Consip), Cosimo Ferri (magistrato in aspettativa, già potente capocorrente di MI) e David Ermini (allora candidato alla vicepresidenza del Csm). Due giorni dopo l’allegro convivio, il deputato uscente Ermini viene eletto a sorpresa alla carica elettiva più alta dell’autogoverno dei magistrati (sopra di lui c’è solo il presidente di diritto Mattarella), grazie ai 13 voti delle correnti conservatrici MI (quella di Ferri) e Unicost (quella di Palamara), a quelli dei due capi della Cassazione, al suo e all’astensione di FI. Il tutto in barba alle raccomandazioni del capo dello Stato sull’indipendenza richiesta per quella carica, che avrebbero consigliato di eleggere l’altro candidato: il prof. Alberto M. Benedetti, giurista apolitico e apartitico indicato come laico dal M5S e sostenuto anche dai togati di Area, dai davighiani di AeI e dai leghisti (11 voti). Lo stesso giorno il Fatto rivela che la Procura di Perugia indaga su Palamara (ancora non iscritto), il quale si consola esultando su Whatsapp con Fanfani per aver piazzato Ermini con un sobrio “Godo!!!!!!! Insieme a te!!!!” (11 punti esclamativi).
Risultato dei due scoop. Ermini è sempre vicepresidente del Csm. Lotti è sempre deputato (ex?) renziano del Pd. Ferri è sempre magistrato in aspettativa e senatore renziano di Italia Viva. Baldi non è più capo di gabinetto di Bonafede, che l’ha dimissionato ieri. Dunque il 20 maggio i renziani minacciano di votare in Parlamento una mozione del centrodestra. Contro Lotti? Contro Ferri? Contro Ermini? No, contro Bonafede.

venerdì 22 febbraio 2019

Ve ne andate o no? - Marco Travaglio

In Edicola sul Fatto del 22 Febbraio: Ermini e i pasdaran Pd, la rimpatriata a pranzo

In un Paese serio, il presidente della Repubblica e del Csm Sergio Mattarella convocherebbe il vicepresidente del Csm David Ermini e gli chiederebbe le dimissioni. A meno che non riesca a smentire le notizie pubblicate ieri dall’Huffington Post sul suo pellegrinaggio mattutino alla Camera (dov’è stato eletto un anno fa in quota Renzi) per confabulare con gli ayatollah renziani, impegnati a fucilare i giudici di Firenze che hanno osato arrestare i genitori del loro capo. Gli stessi giudici che Ermini dovrebbe difendere dagli attacchi, come si usava quando l’attaccante era B. e ancora si usa quando lo è Salvini. Invece Ermini tace e anzi acconsente, incontrando gli aggressori. Secondo l’Huffington, ha fatto “due chiacchiere con Maria Elena Boschi”, che ieri sul Foglio tuonava contro “l’uso politico della giustizia”. Poi, a pranzo, si è “attovagliato con Alessia Morani, Stefano Ceccanti e Carmelo Miceli, avvocato siciliano di granitico garantismo”. Garantismo si fa per dire, visto il forsennato giustizialismo della combriccola contro le toghe fiorentine, già condannate per leso Tiziano. Quale imparzialità potrà avere d’ora in poi questo Ermini nel tutelare, come sarebbe suo dovere, i magistrati aggrediti dai politici suoi amici? Già ne aveva poca prima, viste le sue sparate contro altri pm sgraditi a Renzi, quelli di Consip. Ma da ieri la sua terzietà è pari a zero. E mai come oggi il Csm ha bisogno di un vertice al di sopra delle parti e dei sospetti.
Anche perché finalmente sta per chiudere l’inaudito processo disciplinare contro i pm napoletani Woodcock e Carrano, rei di avere scoperchiato la fogna Consip. Chi gridava al complotto (Ermini compreso) sosteneva che l’inchiesta era mirata a infangare il Giglio Magico tramite quel giglio di campo di Tiziano, ora agli arresti, con “prove false” taroccate dal capitano Scafarto. L’ufficiale del Noe fu indagato, perquisito e financo destituito dalla Procura e dal gip di Roma. Ma, come dice Renzi, “il tempo è galantuomo e basta solo aspettare”. Infatti Scafarto fu scagionato e reintegrato nell’Arma dal Tribunale del Riesame, che attestò la buona fede dei suoi errori (per i quali i pm di Roma vogliono pervicacemente processarlo, dopo aver chiesto l’archiviazione di babbo Tiziano). La Procura ricorse in Cassazione e fu respinta con perdite: rigettati tutti i suoi ricorsi. Ieri sono uscite le motivazioni: nessun reato di falso per incastrare Tiziano e screditare Matteo, solo errori involontari. Il punto centrale dell’accusa è la famosa telefonata in cui Italo Bocchino, ex deputato di Fli e consulente di Alfredo Romeo, diceva di aver “incontrato Renzi”.
Nell’informativa Scafarto attribuiva erroneamente quella frase a Romeo e individuava quel “Renzi” non in Matteo, ma in Tiziano (a riprova di un incontro fra i due sempre negato da entrambi, ma ora ritenuto probabilissimo dagli stessi pm). Anche la Cassazione smentisce la Procura, ritenendo quell’errore una svista e non una congiura con prove false per incastrare i Renzis. Per tre motivi. 
1) Tiziano era già coinvolto nell’affaire Consip da ben altri e più solidi indizi e non c’era bisogno di inventarne di nuovi: “Dalle intercettazioni e dai primi riscontri… risultava che Romeo stesse stipulando con il Russo, che affermava di parlare anche a nome di Tiziano Renzi…, un ‘accordo quadro’, che prevedeva il versamento periodico di denaro da parte sua al Russo ed al Renzi in cambio di un intervento di quest’ultimo sull’Ad di Consip Luigi Marroni”. E, appena partirono le indagini babbo Renzi fu avvisato da una fuga di notizie che lo indusse a non parlare più al telefono. 
2) Se davvero Scafarto voleva screditare i Renzi, “non si comprende perché (come risulta dalle chat, ndr) chiese a tutti i suoi collaboratori un riscontro di verifica diretta” sulla telefonata Bocchino-Romeo, sollecitandoli a “riascoltarla” e a controllare meglio chi diceva cosa e poi “a controllare che la sua informativa non contenesse inesattezze”. 
3) “Scafarto – aggiunge la Cassazione confermando il Riesame – invitò il maresciallo Chiaravalle a controllare meglio un’intercettazione e soprattutto l’identificazione di uno dei soggetti che si era incontrato con Marroni in Marco Carrai. Chiaravalle ha dichiarato che fu Scafarto a fargli notare che la persona identificata in Carrai, in realtà, era Marco Canale, presidente di Manutencoop. La vicenda è decisamente rilevante perché smentisce la volontà dell’indagato (Scafarto) di voler coinvolgere nella vicenda Consip, anche mediante la commissione di reati di falso, l’allora presidente del Consiglio. Carrai infatti è un imprenditore molto vicino a Matteo Renzi”. Anche in quella occasione, insomma, per i giudici di Cassazione ha ragione il Riesame: Scafarto “perseguì l’accertamento della verità”, anche se scomoda per l’accusa. Senza preconcetti né complotti.
Ora che del golpe Consip non resta più nulla, nemmeno la cenere, e nessuna persona sana di mente si beve la storia del golpe contro papà Tiziano e mamma Lalla, è paradossale che il renzismo sopravviva proprio ai vertici del Csm. E pure del Pd alla vigilia del congresso. Lì le sole voci udibili sono quelle contro i giudici, mentre chi dovrebbe difenderli tace. L’on. avv. berlusconiano Francesco Paolo Sisto annuncia di aver appena “presentato un ddl sulla separazione delle carriere dei magistrati. A parte i 5Stelle, il clima non è ostile, neanche dal Pd. Perché non è un provvedimento in quota opposizione, ma in quota Costituzione”. Per la verità, è sempre stato in quota P2. Ora è nel programma della mozione Martina (“Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”) e nelle interviste di Giachetti. Molto più comodo separare i giudici dai pm che i politici dai delinquenti.


qui l'articolo del Huffingtonpost: