domenica 17 maggio 2020

Ezio Bosso: Musica, maestro! (insegnare le note dalla più tenera età). - Ezio Bosso


Morto Ezio Bosso | Il pianista che faceva commuovere malato da tempo

Ricordiamo il grande direttore d'orchestra ripubblicando questa sua testimonianza nella quale, partendo dalla propria esperienza – quella di chi da bambino ha imparato a leggere prima le note che le parole – spiega perché la musica è un elemento formativo indispensabile e, quindi, da insegnare fin dalla scuola materna: suonare uno strumento è importantissimo per lo sviluppo dei bambini e può essere significativo fattore di inclusione sociale. Fino a una proposta: “Renderei obbligatorio in tutte le scuole lo studio di 'Pierino e il lupo' di Prokof’ev, un testo determinante per la crescita di un bambino”.

di Ezio Bosso, da MicroMega 5/2019
Ho iniziato lo studio della disciplina musicale all’età di quattro anni, ma alla musica mi sono avvicinato anche prima. Praticamente, ho imparato a leggere le note prima delle parole. E questo studio è la base di quello che sono oggi. È la conferma di come quella disciplina, che a volte può essere complessa e faticosa per un bambino, sia stata per me un’esperienza fondante, meravigliosa. La musica è stata di fatto tutta la mia vita. E devo ringraziare quella zia che mi vietava di suonare il pianoforte prima di studiare le note: «Se non impari a leggere la musica», mi diceva, «non lo tocchi». Perché educazione è anche questo: ottenere qualcosa con il lavoro e non per capriccio. E la musica è una forma educativa molto ampia, sempre basata sul merito. Un concetto importante, da non sottovalutare.

Strumento di benessere.
Data anche la mia esperienza personale, ritengo che la musica sia un elemento formativo indispensabile fin dalla scuola materna. E questo perché noi siamo naturalmente composti della materia dei suoni: abbiamo il senso del ritmo fin da quando siamo molto piccoli, fin dall’età di uno o due anni. E l’aspetto ludico del ritmo, per i bambini, è di fondamentale importanza, fa la differenza anche dal punto di vista fisico. Come dimostrano studi scientifici, la capacità di convogliare il ritmo aiuta anche a camminare meglio. Nell’età evolutiva è un aspetto fondamentale per l’equilibrio della crescita. E ugualmente importante è coltivare l’ascolto e lo stupore.

L’associazione Diamo il La di Milano, di cui sostengo l’attività, ha il merito di portare tutto questo nelle periferie urbane. Perché, a differenza delle scuole dei ricchi, che possono contare anche sulla presenza di musicoterapeuti, nelle periferie mancano spesso gli strumenti per realizzare questo lavoro. Tuttavia, che si utilizzi un registratore o uno xilofono, l’accesso al suono, alla produzione del suono associata all’ascolto complesso, è un aspetto fondamentale della formazione e della cultura, lungo tutta la nostra esistenza.

Del resto io sostengo tutti i progetti miranti a promuovere l’accesso alla musica come strumento di benessere sociale, come valore fondante di una società migliore. In particolare, sono il testimonial dell’associazione Mozart 14, fondata da Claudio Abbado, impegnata a portare il canto corale e la musicoterapia nei reparti di terapia intensiva, tra i bambini che hanno problemi di salute, e nelle carceri, tra i detenuti. È la dimostrazione di come la musica possa e debba essere un modo per migliorare la vita, per cambiarla e anche per salvarla.

Il potere della vibrazione, non a caso, è ben noto alle neuroscienze, essendo noi fatti proprio di vibrazioni. E non mi riferisco a teorie come quella della frequenza a 432 Hz 1, ma proprio al fatto che la musica, al di là del benessere consolatorio che produce, svolge una funzione vera e propria nell’attivazione delle cellule neuronali.

A scuola di musica.

La prima fase dell’insegnamento della musica nelle scuole dovrebbe consistere nell’accesso all’ascolto e poi nella produzione del suono e del ritmo. È come insegnare una lingua: è per questo che i bambini e i ragazzi devono apprendere come sono le note e come funzionano. Dovrebbe essere più facile insegnare la musica che le parole ed esistono anche alcuni esperimenti in tal senso. E invece mi capita di sentire cose aberranti, tipo l’idea di far cantare al saggio musicale l’ultima canzone di Sanremo. Questa, in realtà, è diseducazione alla musica, perché la musica esige sempre la meritocrazia, la capacità di impegnarsi per sentirsi felici, non per soddisfare le voglie della zia.

Ben venga il flautino, allora – malgrado le polemiche sollevate da grandi musicisti – perché mette tutti sullo stesso piano, annulla le differenze sociali, consentendo anche a chi non ha i soldi di ricevere una prima educazione al suono. Non tutte le famiglie, infatti, possono permettersi di comprare un pianoforte.


L’ho suonato anch’io il flautino, proprio perché avevo bisogno di uno strumento a portata di mano e a basso costo. E penso che il fatto che tutti possano avere nelle proprie mani uno strumento musicale sia meraviglioso. E non impedisce a un bravo maestro di suggerire alla famiglia di un bambino particolarmente dotato di fargli continuare lo studio della musica.

Prima di pontificare sui flautini, peraltro, bisognerebbe riflettere sul ruolo fondamentale che dovrebbe avere la formazione degli insegnanti… Io poi introdurrei per legge l’educazione musicale perlomeno in tutta la scuola dell’obbligo, dunque fino ai 16 anni. Penso che dovrebbe essere vista come una materia che collega in un unico percorso qualunque indirizzo si voglia poi seguire. Una costante che potrebbe anche far sì che non ci si perda di vista nei cambi di istituto.

Del resto, poiché la musica, essendo un grande collante sociale, è associabile a tutto, persino al cibo, potrebbe rappresentare un collegamento tra una materia e l’altra, rendendole meno avulse ed evitando il rischio di cadere in nozionismi privi di senso. Rischio che oggi, peraltro, riguarda l’educazione nel suo complesso perché, nel momento in cui metto una crocetta sulla base del 33,3ˉ per cento di possibilità di indovinare la risposta giusta, l’educazione è morta. Io sono un umanista, continuo a sognare un mondo che guarda alle cose, non che tenta la sorte.

Riscoprire la musica classica.
Anche se è solo da un paio d’anni che passo un po’ più di tempo in Italia, sono convinto che, in questo paese, il principale ruolo educativo in materia, a partire dagli anni Cinquanta, lo abbia svolto la televisione. E certo, se per musica si intende soltanto un genere, è evidente che non potremo fare molta strada.

Ritengo invece che, nell’insegnamento musicale, la priorità vada assegnata alla musica classica, che è quella in cui affondano le nostre radici, il fondamento della nostra identità. È soprattutto attraverso di essa che si sviluppa quell’insieme di curiosità e di approfondimento che può valere poi per qualsiasi altro genere, impedendoci di restare schiavi dell’ultima moda o dei gusti di pochi. Ecco, l’educazione non è questione di gusto, ma è sviluppo della curiosità.

Le note le abbiamo inventate in questo paese grazie a un signore che si chiamava Guido d’Arezzo. Ed è da qui che possiamo partire, considerando che da quelle note è nata tutta la musica a cui ci riferiamo. Certo, noi pecchiamo sempre un po’ di egocentrismo, perché in realtà siamo solo una parte del mondo: in India, in Pakistan, per esempio, il sistema di notazione è completamente diverso. Ed è importante che ciò venga detto, perché chi lo sa che poi un bambino non ci si appassioni… Penso che utilizzare la storia insieme alla musica, e la musica insieme alla storia, possa costituire un percorso formativo fondamentale per la formazione di un adolescente. E in questo percorso renderei obbligatorio in tutte le scuole lo studio di Pierino e il lupo di Prokof’ev, un testo determinante per la crescita di un bambino. E anche di un adulto.

Rispetto al metodo di insegnamento, penso sarebbe presuntuoso da parte mia dare indicazioni, non essendo un pedagogista e non occupandomi di educazione musicale in senso stretto. L’Italia, però, vanta una pedagogia musicale avanzatissima. Torino, per esempio, è all’avanguardia in questo campo. In ogni caso, esistono metodi assai efficaci, come il meraviglioso e inclusivo metodo Orff, grazie a cui qualsiasi bambino può imparare le note attraverso una partecipazione attiva, anche solo con un piattino, e condivisa con gli altri. Perché lo stare insieme è di fondamentale importanza. E tutto ciò serve anche a superare le proprie difficoltà, le proprie paure. Ma questo, per quel che mi riguarda, vale a qualsiasi età.


Ai miei studi aperti vengono anche bambini dai tre-quattro anni ai dieci, che spesso la sanno più lunga dei trentenni, mostrando una maggiore capacità di risolvere i problemi. Alla fine quello che ha luogo è uno scambio tra bambini, adolescenti, professionisti. Si tratta in fondo di una questione di linguaggio, di vocabolario. Io sono attento a non trattare i bambini da deficienti. Sono piccole persone, che imparano anche in fretta, ed è così che mi rapporto con loro.

Continuo a vedere la società come una multiformità di differenti età, di differenti esistenze, di differenti singolarità. È ovvio che a un bambino piccolo non farò ascoltare tutto Wagner. Di musica ce n’è tanta: Bach, Monteverdi, Palestrina… Se io fossi un bambino, per esempio, vorrei che mi raccontassero storie. Una cosa che peraltro mi piace anche oggi.

La musica classica è una forma oggettivamente meritocratica nel senso più alto del termine: se uno non arriva significa che non è ancora arrivato. Spinge alla cooperazione, non all’esclusione, e spesso cura anche il dolore e riappiana le differenze sociali. Più ancora che uno strumento di inclusione, è uno strumento di parificazione. E invece è stata resa qualcosa di elitario. È sbagliato. È una cosa con cui mi scontro ancora oggi. La musica è fondamentale, perché elimina pregiudizi e difetti (persino fisici), cancella le età e lenisce i dolori di qualsiasi forma siano. Lo dico per esperienza personale: malgrado le mie debolezze, fragilità, stranezze non venivo denigrato, ma suscitavo curiosità perché emettevo un suono che affascinava chi mi stava intorno. E di fronte al potere così grande della musica, è evidente che ci voglia una grande responsabilità. La musica non è un linguaggio universale, ma un patrimonio universale. Non un bene comune, ma una necessità comune. E dunque se ne deve garantire l’accesso a tutti.

(testo raccolto da Giacomo Russo Spena e curato da Claudia Fanti)


http://temi.repubblica.it/micromega-online/ezio-bosso-musica-maestro-insegnare-le-note-dalla-piu-tenera-eta/

Nessun commento:

Posta un commento