Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 1 maggio 2025
Stefano Cucchi - Cassazione condanna i due carabinieri.
lunedì 9 ottobre 2023
Cassazione: va garantito un salario minimo costituzionale. - Giuseppe Bulgarini d'Elci
La Suprema corte, chiarisce che il salario minimo fissato per legge non è esente da una verifica del giudice sulla congruità rispetto ai parametri costituzionali della giusta retribuzione.
La presenza di una legge sul salario legale non può realizzarsi operando un rinvio in bianco alla contrattazione collettiva, in quanto anche in questo caso occorre muoversi nella cornice dei parametri costituzionali di sufficienza e adeguatezza della retribuzione.
Il nostro ordinamento è ispirato a una nozione della remunerazione non come prezzo di mercato in rapporto alla prestazione di lavoro, ma come retribuzione adeguata e sufficiente per assicurare un tenore di vita dignitoso .
La circostanza che la retribuzione minima sia determinata sulla scorta del contratto collettivo comparativamente più rappresentativo nell’ambito del settore di attività non impedisce, laddove sia dedotto un contrasto con l’articolo 36 della Costituzione, di allargare l’analisi ad altri parametri concorrenti.
Questa regola si applica, ad avviso della Cassazione (sentenza 27711/ 2023, depositata ieri,) anche nel caso del «salario minimo legale» , quando la determinazione del trattamento economico sia devoluta per legge a uno specifico contratto collettivo.
Il rispetto dei parametri costituzionali opera anche in presenza di una disciplina legale del salario minimo dove, come avviene per il settore del lavoro in cooperativa (articolo 3, legge 142/2001), è previsto che il lavoratore abbia diritto a un trattamento economico complessivo non inferiore ai livelli minimi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale “leader” di settore.
La Cassazione perviene a questa soluzione osservando che l’assetto costituzionale vigente impedisce «una riserva normativa o contrattuale a favore della contrattazione collettiva nella determinazione del salario».
Se, in prima battuta, il rispetto dei parametri costituzionali sulla giusta retribuzione richiede di sottoporli a una verifica di conformità sulla base del contratto nazionale di lavoro firmato dalle associazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative, come prevede la legge 142/2001, l’eventuale esito negativo impone di allargare l’indagine ad altri parametri concorrenti.
In questo passaggio ritroviamo un elemento di grande interesse perché viene chiarito che il parametro di valutazione non sono solo gli altri contratti collettivi di settori affini, ma anche fonti esterne come gli indicatori economici e statistici utilizzati per misurare la soglia di povertà (indice Istat) o la soglia di reddito per accedere alla pensione di inabilità.
La Corte di legittimità non fornisce un elenco analitico di parametri alternativi e richiama, tuttavia, alcuni istituti di immediata lettura, tra cui spiccano i dati Uniemens censiti dall’Inps per il salario medio, i valori dell’indennità Naspi, i trattamenti di integrazione salariale in presenza di riduzione o sospensione dell’attività e altre forme di sostegno al reddito.
Un elemento di forte richiamo è agli indicatori statistici individuati dalla Direttiva Ue sui salari minimi adeguati (2022/2041), di cui la Cassazione sottolinea l’obiettivo di perseguire la dignità del lavoro, l’inclusione sociale e il contrasto alla povertà.
In un contesto sociale influenzato da severe dinamiche inflazionistiche e da cronici ritardi nei rinnovi dei contratti collettivi emerge una situazione di lavoro povero, declinato dalla Cassazione come «povertà nonostante il lavoro», che i Ccnl non sono sempre in grado di intercettare.
È su questo piano che agisce la Suprema corte, prevedendo che il salario minimo fissato per legge non è esente da una verifica di congruità rispetto ai parametri costituzionali della giusta retribuzione.
venerdì 16 giugno 2023
Sentenza della Cassazione. - Berlusconi
A questo personaggio sono stati attribuiti i "Funerali di Stato", quindi, a spese mie e di noi tutti.
Poiché non accetto che mi si impongano decisioni del genere, anche perché non intendo essere complice di nessuno che sia anche lontanamente invischiato con "cosa nostra" dico :
"Non in mio nome!"
sabato 9 aprile 2022
Coglione sì, bimbominkia no. Ecco il tariffario degli insulti. - Ilaria Proietti
LE SENTENZE, I POLITICI E I POVERI CRISTI - Dire o non dire. “Rompiballe” va bene, che Salvini non abbia mai lavorato pure. Renzi “ebetino” invece no.
“Rompiballe” si può dire, per quanto sia assai “inurbano”. E pure “coglione”, ma sempre che si sia voluto dare alla parola il significato bonario di “sprovveduto”. “Talebano” non è lesivo della onorabilità, ma a patto “che rimanga nell’ambito di un dibattito politico”. Con “Bimbominkia” scatta la diffamazione aggravata, come ha invece stabilito l’altro giorno la Cassazione decidendo sul caso di Mavie Cattoi, colpevole di aver offeso la reputazione di Enrico Rizzi, segretario del Partito animalista europeo. Altro che fallo di reazione, per il Rizzi in questione neppur lui un amante del tiro al fioretto: quando è morto Diego Moltrer, presidente del consiglio regionale della Regione Trentino-Alto Adige e appassionato di caccia, dalla sua bocca non erano esattamente usciti petali di rosa, ma tant’è: non meritava di essere comunque “additato come mentalmente ipodotato”, ossia come un “bimbominkia”. Ancorché sull’insulto c’è dottrina: anche per i giudici, per dire, ormai un “vaffanculo” non si nega a nessuno, anche se esistono pronunce di segno opposte a quella del 2007 per la quale l’espressione è sì ingiuriosa, ma ormai entrata nell’uso comune, e quindi pace. Sulle offese a sfondo razziale sono stati scritti fiumi di inchiostro: “Sporco negro” si può dire più o meno impunemente o è solo un’aggravante razziale che scatta in presenza di un altro reato come in quel caso di Palermo in cui ci fu un’aggressione col cric? Sul termine “frocio” e/o “frocio schifoso” invece si va a sbattere di sicuro: ne sa qualcosa Bal Efe “transessuale esercente la prostituzione”, come scrivono gli Ermellini, che si è beccata una condanna per diffamazione per aver sostenuto su Facebook l’omosessualità di un suo presunto amante, apostrofato appunto “frocio” e “schifoso”. A scorrere le sentenze, “cornuto” resta un grande classico che fa il paio con “fedifraga” – pardon – “mignotta”: per i giudici specie se riferito a donna e moglie è tabù e integra il reato di diffamazione attribuire una storia extraconiugale con un altro uomo che non sia il legittimo consorte, perché “elemento intrinsecamente idoneo a vulnerare non l’opinione che la persona offesa ha di sé, bensì, oggettivamente, l’apprezzamento da parte della storicizzata comunità di riferimento del complesso dei valori e delle qualità che la vittima esprime, quale dinamica sintesi della sua dignità personale, apprezzamento cui si correla la lesione dell’altrui reputazione”.
E quando c’è di mezzo la politica? Nel 2006 la Cassazione stabilì per esempio che era diffamazione dire dell’avversario “Giuda Escariota” in un comizio elettorale. O descrivere nei volantini il tal candidato come “gaglioffo” e “azzeccagarbugli”. Il che fa ben sperare chi querela a tutto spiano anche per le intemperanze via social: nel 2014 Ilda Iadanza, una signora friulana, raccontò di esser stata denunciata da Matteo Renzi per diffamazione per un “ebetino” che le era scappato sul blog di Grillo. Matteo Salvini ha di recente avuto soddisfazione contro Oliviero Toscani che lo aveva dileggiato per il servizio fotografico apparso sul settimanale Oggi, in cui il Capitano leghista si era fatto ritrarre a letto, coperto da un piumino e rivestito della sola cravatta verde: “Una pompinara da due soldi” lo aveva apostrofato, salvo poi precisare che non aveva voluto gettare discredito sulla sua persona, ma stigmatizzarne i comportamenti politici e l’inclinazione a offrire in vendita persino il suo corpo agli ingenui elettori del suo partito. Ma niente: la Cassazione ha stabilito nel 2021 che la fellatio sarà stata pure una metafora politica, ma il fotografo aveva esagerato assai. Ma in altri casi gli è andata peggio: nel 2016 ad esempio il Tribunale di Bergamo ha stabilito che dire che Salvini non ha mai lavorato non è reato perché nonostante la querela al Fatto Quotidiano che lo ha definito “politico di professione” effettivamente “non svolge e non ha mai svolto nessuna attività civile”.
Sempre nel 2016, il Tribunale di Milano aveva archiviato una sua querela nei confronti dell’ex sindacalista Marco Bentivogli, che lo aveva preso di petto in tv: “Ma lei ha l’autoblu pagata dallo Stato, di cosa parla? Lei gira in autoblu. È andato una volta a Bruxelles. È il più grande assenteista di Bruxelles e parla delle condizioni delle persone. È andato a Bruxelles l’altro giorno e gli uscieri neanche si ricordavano di lei. Sono sicuro che da 25 anni mantengo lei con le mie tasse. Di questo sono sicuro. Lei fa politica da 25 anni mantenuto dai contribuenti italiani”. Gli è andata male anche con Carlo De Benedetti, che durante il Festival di Dogliani non era stato tenero: “Salvini? È il peggio. Antisemita, xenofobo e antieuropeo e finanziato da Putin”. Il Tribunale di Cuneo pochi giorni fa ha assolto De Benedetti con tanti saluti ai 100 mila euro di risarcimento chiesti dal leghista anche se ancora non sono note le motivazioni. Certe invece quelle del Tribunale di Milano che nel 2021 ha archiviato la querela di Salvini contro Ilaria Cucchi che lo ha aveva definito uno “sciacallo che fa politica di basso livello sulla morte di mio fratello”: è diritto di critica.
cetta
lunedì 16 agosto 2021
L’uso del cellulare alla guida è sanzionato anche se si è fermi al semaforo. - luisa Marraffino
La giurisprudenza ha precisato che è vietato utilizzare il telefonino nella circostanza: anzi, il conducente dovrebbe prestare particolare attenzione, essendo un momento di pericolo che non ammette distrazioni.
Domanda. Sono stato multato perché tenevo il cellulare con la mano destra, allo scopo di inviare un messaggio vocale, mentre ero fermo al semaforo. Posso impugnare il verbale?
B.G. Sondrio
Risposta. Si ritiene che la risposta sia negativa. L’articolo 173, secondo comma, del Codice della strada (Dlgs 285/1992) vieta al conducente di fare uso del cellulare durante la marcia, a meno che non utilizzi il viva voce o gli auricolari. La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che è vietato fare uso del cellulare (inviando sms, mail, messaggi audio eccetera) anche quando si è fermi al semaforo: anzi, il conducente dovrebbe prestare particolare attenzione proprio durante l’arresto al semaforo, essendo un momento di pericolo che non ammette distrazioni (si veda Corte di cassazione, sezione II, sentenza 23331 del 23 ottobre 2020).
Inoltre è vietata la guida con una sola mano, mentre l’altra è impegnata a tenere il cellulare. In questo comportamento si ravvisa infatti una condotta pericolosa, visto che entrambe le mani devono rimanere libere per le operazioni che la guida comporta, prima fra tutte il cambio di marcia, in caso di necessità (Tribunale di Arezzo, sentenza 106 dell’8 febbraio 2021).
Il quesito è tratto dall'inserto L'Esperto risponde uscito in edicola con Il Sole 24 Ore di lunedì 9 agosto, un numero speciale dedicato alle domande e alle risposte sul tema “Liti, multe, famiglia ed eredità”.
Consulta L'Esperto risponde per avere accesso a un archivio con oltre 200mila quesiti, con relativi pareri. Non trovi la risposta al tuo caso? Invia una nuova domanda agli esperti.
IlSole24Ore
venerdì 9 luglio 2021
Mini-prescrizione, tempi più lunghi per la corruzione. - Lorenzo Attianese
Su secondo-terzo grado ipotesi improcedibilità, reato non estinto.
TEMPI PIÙ LUNGHI SULLA CORRUZIONE - I tempi processuali vengono allungati per quanto riguarda i reati contro la Pubblica amministrazione, come la corruzione e la concussione: oltre ai tempi già stabiliti, la proroga è di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione. In ogni caso sulla corruzione non ci sarebbe alcun automatismo sull'allungamento dei termini per appello e Cassazione, di un anno o meno, perché ciò sarebbe subordinato alla particolare complessità del procedimento, dovuta al numero delle parti o delle imputazioni.
CRITERI DI PRIORITÀ - Gli uffici del pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, nell'ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento, dovranno individuare priorità trasparenti e predeterminate, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure e da sottoporre all'approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura.
APPELLABILITÀ - Si conferma in via generale la possibilità - tanto del pubblico ministero, quanto dell'imputato - di presentare appello contro le sentenze di condanna e proscioglimento. L'inammissibilità dell'appello avviene invece per "aspecificità dei motivi".
MENO UDIENZE PRELIMINARI - L'udienza preliminare è limitata a reati di particolare gravità e, parallelamente, si estendono le ipotesi di citazione diretta a giudizio. Il giudice dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentano una ragionevole previsione di condanna.
CASSAZIONE E CORTE STRASBURGO - Si introduce un nuovo mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Cassazione, per dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.
DIGITALIZZAZIONE - Per risparmiare tempo, si prevede che il deposito degli atti e le notifiche possano essere effettuati per via telematica.
PATTEGGIAMENTO - Quando la pena detentiva da applicare supera i due anni (il cosiddetto patteggiamento allargato), l'accordo tra imputato e pubblico ministero si può estendere alle pene accessorie e alla loro durata, oppure alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e ammontare.
QUERELE - La procedibilità a querela è estesa a specifici reati contro la persona e contro il patrimonio con pena non superiore a due anni.
PENE SOSTITUTIVE - Le pene sostitutive come detenzione domiciliare, semilibertà, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria - attualmente di competenza del Tribunale di sorveglianza - saranno direttamente irrogabili dal giudice entro il limite di quattro anni di pena inflitta. E' esclusa la sospensione condizionale.
TENUITÀ DEL FATTO - Per evitare processi per reati minimi, si delega il Governo a estendere l'ambito di applicazione della causa di non punibilità a quei reati puniti con pena non superiore a due anni.
martedì 3 novembre 2020
Denis Verdini condannato in Cassazione per il crack del Credito fiorentino: 6 anni e mezzo. Adesso dovrà andare in carcere.
La suprema corte ha confermato la condanna di secondo grado, scontandola di quattro mesi dichiarati prescritti. L’ex parlamentare può andare in cella almeno per i prossimi mesi. Colpa dell’età: l’8 maggio 2021, infatti, compie 70 anni e solo da quel momento potrà chiedere di scontare la condanna agli arresti domiciliari. L'avvocato Coppi: "E' un uomo molto forte e molto coraggioso e quindi pensiamo che saprà affrontare virilmente questa prova".
Denis Verdini andrà in carcere. Almeno per qualche mese. La Cassazione infatti ha confermato la condanna d’appello per l’ex senatore di Forza Italia, che dunque è stato dichiarato colpevole in via definitiva per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino. I 6 anni e 10 mesi del secondo grado sono diventati sei anni e mezzo visto che quattro mesi sono andati in fumo a causa della prescrizione.
La sentenza della Cassazione – La quinta sezione penale della Cassazione, presieduta da Paolo Antonio Bruno, non ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale, Pasquale Fimiani, che, nell’udienza di ieri, aveva chiesto per Verdini un nuovo processo d’Appello sollecitando l’annullamento con rinvio per numerosi episodi relativi alla bancarotta. Dichiarata la prescrizione, come richiesto anche dalla Procura Generale, per i reati di truffa relativi ai contributi all’editori degli anni 2010-11. Per questa vicenda Verdini è stato condannato sia in primo che in secondo grado insieme ad altri 15 imputati: il 3 luglio 2018 la Corte d’Appello di Firenze lo aveva condannato a sei anni e dieci mesi di reclusione, riducendo la pena inflitta in primo grado che era stata di nove anni. Una sentenza che arriva dopo due rinvii dell’udienza davanti alla suprema Corte a causa dell’emergenza coronavirus: inizialmente prevista per lo scorso marzo, l’udienza era slittata prima al 17 luglio e con un nuovo rinvio disposto per poter discutere, che ha trascinato la sentenza fino a oggi.
L’avvocato Coppi: “Andrà in carcere, è un uomo coraggioso” – Adesso per l’inventore di Ala, il gruppo parlamentare nato al Senato per sostenere il governo Renzi, si apriranno le porte del carcere. Colpa dell’età: sarà solo l’8 maggio del 2021, infatti, che Verdini comprirà 70 anni, limite d’età che gli consentirebbe di scontare la pena agli arresti domiciliari. L’ex senatore, dunque, finirà in prigione almeno fino a maggio: i sei anni e mezzo di condanna, tra l’altro, lo escludono dalle norme per abbassare la pressione nelle carceri e combattere il contagio del coronavirus. Possono chiedere di andare ai domiciliari, infatti, solo i detenuti con un residuo di pena da scontare inferiore ai 18 mesi. Ora la Cassazione dovrà notificare il dispositivo della sentenza dei giudici della quinta sezione penale alla Procura Generale di Firenze competente per l’esecuzione della pena. “Siamo profondamente delusi, sia perché il ricorso che avevamo proposto a noi sembrava fondato, sia soprattutto perché ieri il procuratore generale in un intervento molto motivato e molto persuasivo aveva chiesto l’accoglimento in larga parte dei nostri motivi di ricorso”, ha detto l’avvocato Franco Coppi, difensore di Verdini. Che ha confermato la detenzione penitenziaria per il suo assistito. “Purtroppo – dice Coppi – a questo punto mi pare che non ci siano esiti diversi. Per fortuna è un uomo molto forte e molto coraggioso e quindi pensiamo che saprà affrontare virilmente questa prova”.
La vicenda della banca – Per la vicenda del crack del Credito fiorentino, Verdini è accusato in pratica di aver concesso finanziamenti e crediti milionari senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie. Soldi che, per la procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”. In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros fiorentino, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal cda del Credito i cui membri, secondo quanto ricostruito nell’avviso di chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”. A dare il via all’indagine, la relazione dei commissari di Bankitalia che in 1.500 pagine avevano riassunto lo stato di salute del Credito fiorentino e le anomalie riscontrate.
Tutti gli altri guai giudiziari – Con la sentenza di oggi si mette un punto solo a una delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Verdini. L’ex coordinatore del Popolo della Libertà, infatti, ha anche un’altra condanna, al momento solo in primo grado: quella a cinque anni per la bancarotta della Società toscana di Edizioni, che pubblicava il Giornale di Toscana. Rischia inoltre un altro processo, per turbativa d’asta e concussione: poche settimane fa la procura di Roma ha chiuso le indagini sul suo conto, nell’ambito di uno dei filoni del processo Consip. In altre vicende è uscito assolto, come nel caso dell’inchiesta romana sulla compravendita del palazzo di via della Stamperia, per la quale era accusato di finanziamento illecito. E’ stato riconcosciuto non colpevole anche dall’accusa di far parte della cosiddetta P3, ritenuta dai pm romani un’organizzazione segreta in grado di condizionare il funzionamento degli organi costituzionali. Nello stesso processo era accusato anche di finanziamento illecito, reato per il quale in primo grado è stato condannato a un anno e tre mesi di reclusione. Ma solo per una parte del denaro incassato. Il restante è stato dichiarato prescritto, come pure l’abuso d’ufficio. Il processo è in corso in Appello, ma anche l’unica ipotesi di reato rimasta in piedi è ormai prescritta. Sempre grazie alla prescrizione si è salvato per il caso del processo sulla Scuola dei marescialli, un filone dell’indagine Grandi eventi della Procura di Firenze.
mercoledì 1 luglio 2020
Berlusconi e la sentenza definitiva per frode. Il giudice Esposito: “Non sanno di cosa parlano. E il collega controfirmò tutto”. - Gianni Barbacetto

giovedì 14 novembre 2019
Troupe aggredita a Ostia, Cassazione conferma condanna a Spada. - Assunta Cassiano

Diventa definitiva la condanna a sei anni con il riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso per Roberto Spada. I giudici della V sezione penale della Cassazione, rigettando il ricorso della difesa di Spada, hanno confermato per l’esponente del clan la sentenza d’Appello per la testata al giornalista della trasmissione Rai 'Nemo' Daniele Piervincenzi e l’aggressione dell’operatore Edoardo Anselmi avvenuta il 7 novembre 2017 durante un servizio a Ostia.
Alla lettura della sentenza era presente la sindaca della Capitale Virginia Raggi. "Questa sentenza - ha commentato - riconosce l'aggravante mafiosa, è sicuramente una vittoria giuridica ed è un segnale molto forte per la criminalità: a Roma non c'è spazio per la criminalità e la mafia. Idealmente mando un abbraccio a Daniele Piervincenzi e Edoardo Anselmi. Roma e il sindaco sono dalla parte di tutti i cittadini onesti''.
Fimiani nella requisitoria di questa mattina, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso della difesa di Spada, ha sottolineato come siano presenti tutti gli indici sintomatici per la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso. Piervincenzi e il suo operatore Edoardo Anselmi vennero aggrediti di fronte alla palestra di Roberto Spada, a Ostia, durante un'intervista sulla campagna elettorale nel X Municipio.
Avvicinato per alcune domande sui presunti rapporti con Casapound nel municipio di Ostia, sciolto dopo l'inchiesta su Mafia Capitale, Spada colpì Piervincenzi con una violenta testata che venne immortalata dalla telecamera. Per l’aggressione il 18 giugno 2018, dopo l’inchiesta portata avanti dal pm Giovanni Musaro’, Roberto Spada e Ruben Nelson Del Puerto sono stati condannati in primo grado a sei anni di reclusione per violenza privata e lesioni aggravate con il riconoscimento dell'aggravante mafiosa. Condanna confermata poi il 7 dicembre scorso in Appello per Spada. Stralciata, invece, la posizione del braccio destro, Ruben Nelson Del Puerto, il cui processo è ancora in corso in Appello. Spada lo scorso 24 settembre in un altro procedimento, il maxi processo al clan, nato dall’operazione ‘Eclissi’ della Dda di Roma, e’ stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise.
"Questa non è una sentenza solo per me ma per tutti i cittadini di Ostia, spero sia un nuovo inizio", afferma Daniele Pievincenzi all’Adnkronos. "Importante -sottolinea Piervincenzi - è proprio che sia stato riconosciuto il metodo mafioso".
"E’ una sentenza importante, perché quella testata c’è stata, è stata una testata mafiosa, non solo contro Piervincenzi e Anselmi ma contro il diritto dei cittadini a essere informati. Noi ci attendiamo che il Parlamento vari finalmente una legge contro chi ‘molesta’ l’articolo 21 della Costituzione", ha detto Beppe Giulietti presidente Fnsi. "Ci vuole un’aggravante, perché è un attentato permanente al diritto dei cittadini a conoscere", ha sottolineato.
https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/11/13/aggravante-mafiosa-cassazione-conferma-condanna-spada_624z7aEp4hwFu4kUeCIUzO.html
martedì 9 luglio 2019
Vitalizi, la Cassazione boccia il ricorso sui tagli. Di Maio: "Bellissima notizia"
Il palazzo della Corte di Cassazione.
Prevale autodichia Camere, bellissima notizia.




