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mercoledì 23 giugno 2021

Ex Ilva, Consiglio di Stato annulla sentenza Tar Lecce: a Taranto impianti avanti. - Domenico Palmiotto

 

Ribaltata la decisione del Tar di Lecce sullo spegnimento dell’area a caldo: l’istrutturia sarebbe «contradditoria». Giorgetti: ora piano industriale. 

ll Consiglio di Stato ferma il Tar Lecce e l’ordinanza del sindaco di Taranto sullo spegnimento degli impianti dell’area a caldo del siderurgico ex Ilva di Taranto, ora Acciaierie d'Italia. I giudici di appello (quarta sezione) dopo l'udienza del 13 maggio scorso hanno disposto l'annullamento della sentenza del Tar di Lecce n.249/2021. Per Acciaierie d’Italia, la nuova società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, «vengono dunque a decadere, a quanto si apprende, le ipotesi di spegnimento dell’area a caldo» e di «fermata degli impianti connessi, la cui attività produttiva proseguirà con regolarità».

Istruttoria inadeguata e contradditoria.

Il potere di ordinanza, secondo i giudici amministrativi, «non risulta suffragato da un’adeguata istruttoria e risulta, al contempo, viziato da intrinseca contraddittorietà e difetto di motivazione». Lo dice il Consiglio di Stato, sezione quarta, nelle 60 pagine di motivazione della sentenza con cui ha annullato la sentenza del Tar Lecce dello scorso febbraio che, confermando una precedente ordinanza del sindaco di Taranto di febbraio 2020, aveva ordinato lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva perché inquinanti. Secondo i giudici dell’appello - la sentenza del Tar era stata infatti impugnata al Consiglio di Stato - «va dichiarata l’illegittimità dell’ordinanza impugnata e ne va conseguentemente pronunciato l’annullamento».

Poteri del sindaco «residuali».

La sezione «non ha condiviso la tesi principale delle società appellanti, secondo cui deve escludersi ogni spazio di intervento del sindaco in quanto i rimedi predisposti dall’ordinamento, nell’ambito dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) che assiste l’attività svolta nello stabilimento, sarebbero idonei a far fronte a qualunque possibile inconveniente. Tuttavia, ha ritenuto che quel complesso di rimedi (compresi i poteri d’urgenza già attribuiti al Comune dal T.U. sanitario del 1934, i rimedi connessi all’Aia che prevedono l’intervento del Ministero della transizione ecologica e le norme speciali adottate per l'Ilva dal 2012 in poi) sia tale da limitare il potere di ordinanza del sindaco, già per sua natura «residuale», alle sole situazioni eccezionali in cui sia comprovata l’inadeguatezza di quei rimedi a fronteggiare particolari e imminenti situazioni di pericolo per la salute pubblica». Così il Consiglio di Stato, in una nota, spiega la sentenza che ha portato all’annullamento della sentenza del Tar Lecce.

Giorgetti: «Adesso piano industriale con filosofia Pnrr».

La decisione si porta subito dietro reazioni istituzionali. La prima è quella del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: «Alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’ex Ilva, che chiarisce il quadro operativo e giuridico, il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone. Obiettivo è rispondere alle esigenze dello sviluppo della filiera nazionale dell’acciaio accogliendo la filosofia del Pnrr recentemente approvato», dichiara il titolare del Mise.

IlSole24Ore

martedì 4 ottobre 2016

Consiglio di Stato, magistrati amministrativi contro Renzi: “Forzata la legge per nominare la Manzione”. - Ilaria Proietti


Risultati immagini per Antonella Manzione
Matteo Renzi e Antonella Manzione

L’Associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma) pronta a dare battaglia. Annunciando ricorsi e minacciando dimissioni dal Consiglio di presidenza di Palazzo Spada. Per la designazione della pupilla del presidente del Consiglio, già a capo dei vigili urbani di Firenze e poi nominata ai vertici del dipartimento affari giuridici della presidenza del Consiglio. “E’ la prima volta che dal governo vengono indicati  nominativi così poco qualificati”. Ma anche per l'emendamento varato in commissione Giustizia alla Camera. Che spalanca le porte dell’organo di autogoverno a due membri di diritto. Uno dei quali è l'ex ministro Patroni Griffi.

Ora basta. Il 7 ottobre al direttivo dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma) si minaccia battaglia. Contro la decisione di Matteo Renzi di indicare per un posto al Consiglio di Stato, Antonella Manzione. Già capo dei vigili urbani a Firenze e poi voluta a Roma dal premier al vertice del Dipartimento affari giuridici della Presidenza del Consiglio (Dagl). “Vogliamo verificare se ci siano i presupposti per un ricorso contro questa nomina. Non si tratta di una questione infondata, anche perché già sulla nomina di Manzione al Dagl erano stati fatti rilievi dalla Corte dei Conti”, spiega a ilfattoquotidiano.it Fabio Mattei, segretario generale di Anma che non nasconde l’amarezza. “E’ la prima volta che dal governo vengono indicati per Palazzo Spada nominativi così poco qualificati. E che nella loro funzione saranno chiamati a giudicare affari milionari. O a dare pareri su provvedimenti dello stesso esecutivo che li ha nominati pur essendo privi dei requisiti previsti”.
TODOS CABALLEROS Possibile  che non ci fossero altre professionalità su cui puntare? E’ la domanda che sollevano dall’associazione. “Per fare spazio a nomine come quella della Manzione si è addirittura forzato la legge”, accusa Mattei. Che aggiunge: “La normativa prevede un requisito minimo di  età, 55 anni che lei non ha. Oltre che preparazione e qualifiche che fino ad oggi avevano portato a scegliere professori universitari ordinari, avvocati di lungo corso, magistrati di corte d’Appello o altissimi dirigenti pubblici. Qui invece, con il rispetto dovuto, siamo al todos caballeros”, spiega il presidente dell’Anma a proposito “dell’ultima infornata governativa. Che ha, come mai prima, una fortissima connotazione politica”.
PALAZZO OCCUPATO.  Ma al direttivo del 7 ottobre sarà esaminata al microscopio quella che più d’uno definisce una strategia del governo per  occupare ‘manu militari’ Palazzo Spada, il cuore della giustizia amministrativa. “Si intravvede un unico filo conduttore nelle decisioni dell’esecutivo Renzi. Che parte da quella di mantenere in servizio alcuni magistrati, spostando solo per loro e quindi in maniera assolutamente anomala anche per la scelta di farlo con decreto legge, il termine per la pensione: è un  fatto grave perchè lede l’imparzialità e l’indipendenza della giustizia”, dice Mattei. Che non fatica a definire questa mossa “un blitz del governo”. Non l’unico, peraltro.
GIUSTIZIA ALL’ATTACCO. Malissimo digerito anche l’emendamento infilato ‘alla chetichella’ in commissione Giustizia alla Camera che spalanca le porte dell’organo di autogoverno della magistratura amministrativa, completamente elettivo con la sola eccezione del suo presidente, a due membri di diritto. “Nessuno si è premurato di consultare il Consiglio di presidenza. A noi, che addirittura siamo stati sentiti in Commissione qualche giorno prima, non avevano detto nulla. Neppure un accenno”, si rammarica  il segretario di Anma: “Con questa decisione si altera  il peso dei membri elettivi del Consiglio di presidenza, incidendo sulla rappresentanza. Insomma, un’ulteriore intromissione che consente di fatto al governo di mettere le mani sulla giustizia amministrativa”. Che ora è pronta a reagire.
DIMISSIONI IN VISTA. La Giunta Anma ha chiesto un incontro urgente al presidente della Commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. E a David Ermini, altro esponente del Pd che da relatore del decreto ha proposto l’emendamento incriminato. E che consentirà l’ingresso in Consiglio di Presidenza al presidente aggiunto del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi. E al presidente del tribunale amministrativo regionale con maggiore anzianità di ruolo, il cui identikit sembra corrispondere oggi quello del presidente del tar Toscana Armando Pozzi. “Chiediamo lo stralcio di questa previsione: se dovesse passare anche in aula, i sei membri eletti a Palazzo Spada dai tar si vedrebbero costretti alldimissioni. La loro presenza nell’organo di autogoverno a quel punto, nonostante rappresentino la stragrande maggioranza dei magistrati amministrativi, sarebbe totalmente marginale. Bisogna a tutti i costi impedire questa operazione verticistica dal sapore chiaramente politico”.
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venerdì 19 agosto 2016

Aeroporto di Firenze, il Tar boccia l’ampliamento. - Claudio Bozza e Marzio Fatucchi


La pista dell’aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze, inaugurata nel 2014 (Ansa)


Il potenziamento dello scalo fiorentino risale all’inizio della corsa di Renzi per Palazzo Vecchio. La sentenza è un brutto colpo anche per il consigliere del premier Marco Carrai.


La corsa a Palazzo Vecchio di Matteo Renzi, primo atto della sua scalata verso Palazzo Chigi, era cominciata nel 2008 mettendo mano ad un progetto fermo da venti anni: il potenziamento dell’aeroporto di Firenze, a Peretola, con una pista parallela all’autostrada che lo rendesse più efficiente e lo portasse da 2 a 4 milioni di passeggeri. L’obiettivo era creare un city airport che favorisse le imprese (a due passi c’è il colosso General Electric) e creasse nuovi posti di lavoro: ma in realtà, dietro le quinte, si giocava anche la sfida per limitare lo strapotere del Galilei di Pisa con i voli low cost.

Renzi era riuscito a vincere tutte le opposizioni, a partire da quelle che dagli Anni 90 avevano bloccato tutto, in Toscana, da parte degli ex ds che guidavano all’epoca ancora il Pd. Ma lunedì 8 agosto, a un passo dal traguardo, è arrivata la doccia fredda: il Tar ha annullato in blocco la delibera della Regione guidata da Enrico Rossi, sfidante di Renzi per il rinnovo della segreteria pd (ma che su questo punto aveva trovato un’intesa con l’allora sindaco), che autorizzava il potenziamento dell’aeroporto. I motivi? Troppe lacune nelle soluzioni proposte per limitare l’impatto dell’opera. In altre parole, i giudici del Tar affermano che prima di decidere se costruire o meno la nuova pista bisognava approfondire molto di più i problemi e trovare le soluzioni adeguate.

La sentenza è una brutta tegola anche per Marco Carrai: l’amico e fidatissimo consigliere del premier, dato per mesi in corsa come consulente del governo sulla cyber intelligence, fu nominato presidente di Aeroporto di Firenze (Adf) già nel 2013. Con Renzi sindaco iniziò a gestire politicamente l’iter per lo sviluppo dello scalo, fino a quando entrò in contatto con Eduardo Eurnekian, magnate argentino che ha scommesso sullo scalo di Firenze e relativa fusione con Pisa sotto un’unica società di gestione: Toscana Aeroporti, presieduta dal luglio 2015 dallo stesso Carrai.

Lo stop imposto dai giudici scombina però tutto il maxi piano di investimenti di Corporacion America (braccio operativo di Eurnekian), che si regge su un importante aiuto dello Stato: potenziare Peretola costa infatti circa 320 milioni, di cui la metà dovrebbero arrivare dal governo (per ora ne sono stati erogati solo 50 milioni) ed il resto dai soci privati. Intanto gli oppositori del progetto, dai comitati al M5S passando dal sindaco di Sinistra italiana di Sesto Fiorentino Lorenzo Falchi, che ha sconfitto clamorosamente il Pd due mesi fa, brindano: «Una notizia strepitosa». Ma il governo, per scongiurare uno scivolone nella città del premier, sta già preparando una contromossa: la firma del ministero dell’Ambiente sulla Valutazione d’impatto ambientale, atto che potrebbe aggirare lo stop del Tar.

giovedì 7 aprile 2016

Ztl sospesa, le motivazioni del Tar: "Illogica, non garantisce l'ambiente" - Roberto Immesi

Ztl sospesa, il Tar di Palermo accoglie il ricorso. Il 9 novembre la sentenza di merito

PALERMO - Non c’è una mobilità alternativa, non si dovevano far partire insieme le Ztl e non c’era bisogno di ricorrere ai pass a pagamento

L’ordinanza con cui il Tar congela fino al 9 novembre la Zona a traffico limitato del comune di Palermo è una stroncatura in piena regola per l’amministrazione Orlando: Giovanni Tulumello, Auroira Lento e Lucia Maria Brancatelli non entrano nel merito, fissato fra ben otto mesi (circostanza singolare), ma nell’accettare la richiesta di sospensiva degli avvocati Dagnino e Scimone danno uno schiaffo al primo cittadino.

I giudici hanno considerato fondati alcuni dei profili di censura presentati dai ricorrenti. In poche parole puntano il dito contro l’attivazione contestuale delle due Ztl, che invece dovevano partire in fasi differenti e solo in seguito al consolidamento del sistema di trasporto urbano; contro l’adozione delle tariffe, visto che lo smog si poteva abbattere con misure più efficaci e a costo zero; contro l’insussistenza di un reale potenziamento della mobilità alternativa in grado di far lasciare la macchina a casa ai palermitani.

Il Tar inoltre scrive che le tariffe e la vastità dell’area “costituiscono un serio indizio della natura di sostanziale imposizione fiscale”: insomma, il pass è una tassa a tutti gli effetti, nonostante l’amministrazione dica il contrario. La tariffa invece, scrivono i giudici, deve essere solo un ulteriore disincentivo all’uso del mezzo privato, ma in presenza di concrete alternative che a Palermo però mancano. Il Tar arriva a definire contraddittorio e illogico il provvedimento di Orlando perché, pur avendo l’obiettivo di lottare contro l’inquinamento, di fatto privilegia l’aspetto economico del problema.

Insomma, l’ordinanza sembra più che altro una sentenza già scritta difficilmente ribaltabile. “In quanto avvocato tributarista - dice Alessandro Dagnino - sono soddisfatto che il Tribunale abbia confermato che il pass, per le modalità con cui è stato istituito, è una vera e propria tassa. Il Tar ha inoltre confermato, per la prima volta in Italia, la sussistenza del principio di gradualità: non si poteva istituire una Ztl così grande tutta in una volta. Bisognava procedere per tappe, altrimenti si trasforma tutto in una tassa. Infine i giudici dicono a chiare lettere che, considerata la natura radicale dei vizi riscontrati, non sarà possibile correggere il provvedimento”.


http://livesicilia.it/2016/04/06/ztl-sospesa-le-motivazioni-del-tar-illogica-non-garantisce-lambiente_735377/

Non si limita l'inquinamento facendo pagare il dazio, l'inquinamento va abbattuto prendendo seri e definitivi provvedimenti. Con lo ztl  i comuni battono cassa, senza ottenere alcun beneficio per l'ambiente.

mercoledì 17 giugno 2015

La Cassazione e la vendita di frutta esposta all’aperto ai gas di scarico. - Gianfranco Amendola

La Cassazione e la vendita di frutta esposta all’aperto ai gas di scarico

La messa in commercio di frutta all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti costituisce una violazione dell’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari e rispettare l’osservanza di disposizioni specifiche integrative del precetto”. Lo ha stabilito la Cassazione confermando, con una articolata sentenza (sezione terza, Pres. Teresi, relatore Ramacci, n. 6108 del 2014), la condanna inflitta ad un fruttivendolo dal Tribunale di Nola per aver detenuto per la vendita “tre cassette di verdura esposte all’aperto e, pertanto, a contatto con agenti atmosferici e gas di scarico dei veicoli in transito”.
La legge richiamata dal supremo Collegio è quella alimenti (n. 283/1962) il cui art. 5, lett. b), punisce, con l’arresto o con l’ammenda, l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione.
Il punto di partenza è costituito da una lontana sentenza della Cassazione a sezioni unite (n. 443 del 2002) la quale aveva chiarito che questa disposizione tende a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura; aggiungendo che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza. La giurisprudenza successiva aveva precisato che l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura; e pertanto, non è necessaria la prova di un danno alla salute ma è sufficiente accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze o che vi sia detenzione in condizioni igieniche precarie; escludendo, in proposito la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione.
Per la condanna, quindi, si è ritenuta sufficiente la testimonianza della polizia giudiziaria, la quale ha evidenziato che tre cassette di verdura erano esposte all’aperto e, pertanto, a contatto con agenti atmosferici e gas di scarico dei veicoli in transito.
Conclusione: “Tale diretto accertamento da parte della polizia giudiziaria risulta del tutto sufficiente a giustificare l’affermazione di penale responsabilità, evidenziando una situazione di fatto certamente rilevante a tal fine, la cui sussistenza risulta peraltro confermata dallo stesso ricorrente, laddove, nell’atto di impugnazione, si riconosce che la verdura era esposta per la vendita sul marciapiede antistante l’esercizio commerciale”.
Questo dice la Cassazione e mi è sembrato opportuno ricordarlo all’inizio dell’estate in un paese dove l’esposizione di frutta e verdura all’aperto senza alcuna cautela, a ridosso di strade congestionate dal traffico, è dato di comune esperienza.
Certo, ci sono tante altre cose che contano a tutela della nostra salute, soprattutto per quanto concerne le modalità di coltivazione, l’uso di pesticidi, i mezzi di trasporto ecc., specie in un momento in cui gli organi pubblici di controllo sono in grandi difficoltà per mancanza di mezzi e di personale.
Né intendo sollecitare alcuna denunzia penale. La vera penalizzazione per chi si comporta con disprezzo per l’igiene e la salute pubblica è quella che può derivare dalle nostre scelte.
Cambiare fruttivendolo può essere un primo, piccolo ma importante passo per farci sentire e far comprendere che non tutti sono disposti a subire tutto.

martedì 23 luglio 2013

Cava Grande del Cassibile, fine di un sogno?


Prima l’Isola della Correnti, oggi i “laghetti” di Cava Grande. Una maledizione sembra abbattersi su alcuni dei più bei siti naturalistici della Sicilia, presenti nel siracusano. Diversamente dalle favole, però, in questo caso non ci sono orchi cattivi. Più semplicemente,interessi economici e speculativi sembrano farla da padroni.
Come scrive Giovanni Scalia sul Giornale Siracusa, “la riserva naturale Cava Grande del Cassibile (SIC ITA090007) […] i delicati e unici ecosistemi […] corrono un gravissimo pericolo”. Un pericolo determinato dalla scelta dellaSOAmbiente di “aprire, prosegue Scalia, una discarica a Stallaini in una cava di pietra dismessa ubicata a soli 350 m dalla riserva e a 80 da uno degli affluenti del fiume Manghisi”.
In effetti, il governo regionale aveva revocato tutti i permessi, revoca confermata dal TAR di Palermo, ma il Tribunale di Appello ha dato ragione all’azienda.
Chi è stato almeno una volta nella riserva ricorda tanta fatica, soprattutto nel momento della risalita, ampiamente ricompensata dall’aver passato una giornata in un luogo che non è eccessivo definire ‘magico’, in qualunque direzione si decidesse di andare.
Fortunatamente, tante associazioni(Acquanuvena, Albergatori di Noto, Natura Sicula, Case Sparse nell’Agro Netino, Ente Fauna Siciliana, Noto Ambiente, Paesaggio è Futuro, Sciami, e rischiamo di dimenticarne qualcuna) non sono state disponibili a far finta di nulla.
La discarica, proprio, non la vogliono. Innanzitutto perché in essa possono essere conferiti amianto, rifiuti solidi prodotti da operazioni di bonifica dei terreni, metalli non ferrosi e non meglio identificati, rifiuti non biodegradabili.
Ma, anche, perché il piano paesaggistico nella zona di Stallaini vieta esplicitamente di realizzare discariche. Conseguentemente, fanno appello all’Amministrazione comunale di Noto di fare quanto in suo potere per opporsi a questa operazione che, peraltro, produrrebbe anche gravissimi problemi economici, visto che i “laghetti” rappresentano una grande attrattiva turistica.
Chiedono a tutte le amministrazioni locali cointeresssate di concordare, coinvolgendo anche i parlamentari siciliani, le azioni da intraprendere. E, infine, alla Sovrintendenza di Siracusa di revocare, alla luce del piano paesaggistico, il permesso frettolosamente concesso.
In sostanza, tocca ancora una volta alle associazioni e ai volontari il compito di difendere concretamente la nostra Costituzione che “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (art.9) e il nostro diritto alla bellezza.