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domenica 18 agosto 2024

LA PIETRA DI PALERMO.

 

Mentre la Stele di Rosetta è famosa per aver decifrato i geroglifici egizi, la Pietra di Palermo è un reperto cruciale per la storia antica dell'Egitto. Questa stele di basalto del V secolo a.C., un frammento della quale si trova nel Museo Archeologico di Palermo in Sicilia, rivela dettagli sui primi re d'Egitto, sovrani mitici, cerimonie di culto, tasse e molto altro.

Originariamente lunga circa 2,1 metri e larga 0,6 metri, oggi restano solo frammenti della Pietra di Palermo, con pezzi più piccoli conservati al Cairo e a Londra. È uno dei più antichi documenti della storia egizia, coprendo il Regno Antico e i periodi predinastici, e elencando i governanti dal dio Horus fino a Menes e oltre.

La pietra contiene informazioni su eventi annuali, probabilmente riferiti a censimenti biennali del bestiame. Inoltre, menziona la costruzione di Men-netjeret, forse il precursore della Piramide a Gradoni di Djoser, e documenta la prima fusione del rame, divinità come Min e Heryshef, e le campagne militari di Sneferu.

Questo antico manufatto offre preziose informazioni sullo sviluppo dell'Egitto, dalle prime imprese architettoniche fino alle estese attività militari.

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mercoledì 31 luglio 2024

LA LISTA DEI RE SUMERI E GILGAMESH DI URUK.


 

Esiste una lista di re, chiamata “lista reale sumerica”, che risale, nella sua ultima compilazione, al 1900 a.C., durante la dinastia di Isin. In questa lista, la storia umana viene divisa in tre parti: un’epoca pre-diluviana e un’epoca post-diluviana.
Nella prima parte della lista troviamo un elenco di re, i cui periodi di reggenza sono conteggiati da una strana unità di misura, denominata “sar”, unità di misura che corrisponde a 3600 anni. I primi dieci re regnarono complessivamente per 240.400 anni. Alla fine di questa prima lista di re “mitici”, è scritto: “Il Diluvio cancellò ogni cosa. Dopo che il Diluvio spazzò via ogni cosa e la regalità fu discesa dal cielo, il regno ebbe dimora in Kish”.
Il Diluvio universale, per le genti sumeriche e per quelle che succedettero loro nei territori mesopotamici, era una realtà.
La Lista Reale continua con i sovrani di epoca post-diluviana, il cui periodo di reggenza non viene più calcolato in quella strana unità di misura, “sar”, ma in anni umani. E notiamo un’altra cosa: i re non regnano più per migliaia di anni, ma per svariate centinaia d’anni.
I sumeri non hanno un mito della creazione. Gli interventi su questo punto sono molteplici, molti studiosi si sono arrovellati sul perché questo popolo non abbia un mito della creazione e alcuni hanno voluto rinvenirlo in alcune righe molto fumose che parlano di “quando il cielo non esisteva e quando la terra non esisteva”; ma il dato incontrovertibile, al di là delle interpretazioni e delle disquisizioni, è che un mito della creazione sumerica non c’è. La ragione è semplice: leggendo i componimenti rinvenuti, ci si avvede immediatamente di trovarsi di fronte a un popolo che non filosofeggia, al quale non interessano le teogonie e tantomeno la teologia. I componimenti sono asciutti, schematici e hanno carattere narrativo. Tutto quanto ivi contenuto è percepito come una realtà – storica o mitica, non sta a noi dirlo – composta fondamentalmente di due temi: il diluvio universale, percepito come la rottura di un’antica alleanza tra uomini e dèi, e la perdita dell’immortalità da parte della razza umana.
Il terzo dato riguarda Gilgamesh di Uruk, che, secondo la nostra lista reale, è l’ultimo re a regnare per più di 100 anni, e sul quale è stata scritta la più antica epopea della storia, risalente – lo sappiamo dai sigilli cilindrici – addirittura a prima della nascita della scrittura. A partire da questi dati, con l’aiuto dei testi, cercheremo di capire qualcosa di più di questa prima civiltà umana conosciuta, che è assolutamente atipica: i testi sumerici sono sempre brevi, distaccati, privi di filosofia e a carattere narrativo. In essi, molto spesso, notiamo ripetizioni simili a litanie, come se per lungo tempo le storie fossero state tramandate da una tradizione orale. Alcuni studiosi, come sir Wooley, che lavorò agli scavi di Ur, hanno provato a teorizzare che il Diluvio non fosse stato, in realtà, che un’esondazione del fiume Eufrate, apparsa come un cataclisma universale dalle genti mesopotamiche. Questa teoria non è mai stata universalmente accettata e la ragione è semplice: chiunque abbia letto i racconti sul Diluvio e dell’importanza che questo ebbe non solo a Ur, ma per tutte le genti mesopotamiche e per altri ben noti e lontani popoli nel corso dei millenni, non potrà mai accettare una tesi del genere.
Gilgamesh è l’ultimo re a regnare per più di 100 anni. Era figlio di una dea: era quindi per 2/3 divino e per 1/3 umano. Perché per 2/3 divino, e non per metà? Perché la madre – non il padre – era divina: in questo dettaglio vediamo l’eco di antiche tradizioni, compresa quella egizia, in cui la matrilinearità del sangue era la garanzia della purezza della stirpe regale: modernamente, potremmo dire che Gilgamesh è per 2/3 divino perché il suo DNA mitocondriale appartiene alla razza divina. Sia come sia, la missione della sua vita è quella di recuperare l’immortalità perduta dalla razza umana che lui ritiene gli spetti di diritto. Per questo, dopo avere superato moltissime prove iniziatiche con l’amico Enkidu, giunge alla fine, da solo, nel luogo in cui si era ritirato Utnapishtim, l’ultimo immortale. Utnapishtim dice al re di Uruk che la sua immortalità è stata decretata dall’assemblea degli dei al completo, ma che ora il destino degli uomini è la morte: “e chi potrà riunire per te, o re, l’assemblea degli dei?”. Così, pur dicendogli che sarebbe stato impossibile raggiungere l’immortalità, Utnapishtim mette alla prova Gilgamesh e gli ordina di non dormire per sette giorni e sette notti, ossia sempre per il tempo mitico legato alla durata del diluvio. Gilgamesh, provato dal lungo viaggio, fallisce la prova. Ma la moglie di Utnapishtim gli confida che nell’Abzu, casa del dio Enki, cresce una pianta della giovinezza, e gli spiega come trovarla. Presa la pianta, il re di Uruk fa per tornare alla città, soddisfatto del suo viaggio, ma fa un errore: sulla via del ritorno, mormora fra sé che non avrebbe mai tenuto quella pianta solo per sé: l’avrebbe condivisa con tutti i vecchi della città, per riportare l’umanità al suo splendore. È allora che dalle acque del fiume esce un serpente, animale sacro a Enki, che divora la pianta e immediatamente cambia pelle, ringiovanendo. Ciò significa che Gilgamesh avrebbe potuto tenere la pianta per sé ma, nel momento in cui sceglie di condividerla con tutti, il dio Enki è costretto a riprendersela, perché Enki aveva giurato davanti all’assemblea che l’umanità non avrebbe potuto tornare a essere immortale. Il singolo, a quanto capiamo, sì, ma dopo prove terribili da superare in prima persona e che possono portare alla morte, come fu per Enkidu.
(Tratto da: La storia inizia a Sumer – dal mito al rito di Anna Bellon)

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venerdì 12 gennaio 2024

I ricercatori scoprono la tomba del ‘dio-re’ Maya del 4° secolo. - Deslok

 

Gli archeologi del Guatemala hanno fatto un’incredibile scoperta in quanto hanno scoperto la tomba di un «dio-re» Maya nel Guatemala.

Dopo aver scavato la tomba, i ricercatori hanno scoperto una stupefacente maschera di giada usta per la sepoltura e un’insieme di manufatti diversi che si credono risalenti tra il 300 e il 350 d.C.

La scoperta la rende la più antica e nota tomba reale che è mai stata scoperta nella regione nord-occidentale del paese di Petén.

Gli archeologi ritengono che questa sepoltura, iscritta come sepoltura 80, potrebbe appartenere al famoso re Te’ Chan Ahk, membro di una delle più antiche dinastie reali Maya, il Wak fondato nel II secolo d.C.

La possibile tomba è stata identificata grazie alla maschera di giada posta sulla testa dell’uomo e destinata a rappresentarlo come dio del grano.

Secondo i ricercatori, i re Maya erano regolarmente ritratti e rappresentati come Dei del Mais. Questa linguetta sulla fronte presenta un simbolo unico la “Croce Greca” che significa negli antichi Maya “Giallo” e “Prezioso”. Questo simbolo è associato anche al Dio del Mais.

Le principali colture degli antichi Maya erano il mais, i fagioli, la squash, l’avocado, il peperoncino, l’ananas, la papaya e il cacao.

“I Maya hanno venerato i loro divini governanti e li hanno trattati come anime viventi dopo la morte”, ha dichiarato il co-regista David Freidel, professore di antropologia nelle arti e delle scienze presso l’Università di Washington a St. Louis.

“La tomba di questo re ha contribuito a rendere l’acropoli e il  palazzo reale terra santa, un luogo di maestosità, all’inizio della storia della dinastia Wak – centopiedi. È come gli antichi re Sassoni in Inghilterra sepolti in Old Minster, l’originale chiesa sotto la cattedrale di Winchester”.

Il sito archeologico di Waka in Perù ‘si trova a circa 70 chilometri a ovest del famoso sito archeologico di Tikal. Si ritiene che durante il periodo classico questa città reale abbia dominato importanti rotte commerciali che si dirigevano verso nord e a sud e da est verso ovest. Era situato in un incrocio commerciale.

I ricercatori hanno scoperto un gran numero di manufatti durante la ricerca della tomba.

Oltre alla maschera del governatore, gli archeologi hanno scoperto 22 vasi di ceramica, conchiglie di spondylus, ornamenti di giada e un ciondolo a conchiglia a forma di coccodrillo.

I resti del re e alcuni ornamenti, come la maschera, vennero verniciati in rosso luminoso.

Negli anni ’60 gli archeologi di Tikal hanno trovato un manufatto simile a quello che hanno scoperto, una maschera di colore verde, la prima tomba reale Maya, risalente al primo secolo d.C.

I primi insediamenti Maya risalgono al 1800 a.C, o all’inizio di quello che si chiama Pre-classico o Periodo Formativo. I centri più piccoli dei Maya coprivano meno di un chilometro quadrato. Tikal, il più grande, copriva 123 chilometri quadrati.

La città isola di Tayasal è considerata l’ultimo Regno indipendente dei Maya esistito fino al 1696.

a cura di Hackthemtrix

https://www.youtube.com/watch?v=HITwxpH0VL0

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