Immaginatevi un giudice che andasse a casa di un suo imputato potente (non dico Totò Riina, anche un condannato, per dire, di frode fiscale) e, per ingraziarselo, gli dicesse: “Io non ero d’accordo, sa, con la sentenza, ma il presidente della Corte ha tanto insistito, è stato un verdetto guidato dall’alto…”. Sarebbe inaccettabile anche per i garantisti alle vongole: un giudice non deve andare a casa di un suo condannato, non deve parlare delle sue sentenze, se non era d’accordo doveva opporsi fieramente durante la camera di consiglio, se avesse constatato una manovra illegale avrebbe dovuto denunciarla immediatamente. Ma siamo in Italia. Così succede che un giudice, Amedeo Franco, vada da Silvio Berlusconi e gli dica – registrato di nascosto – che lui non era d’accordo sulla sua condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale emessa dalla Cassazione nel 2013. Un talk-show a corto d’argomenti in un’estate post Covid (Quarta Repubblica di Nicola Porro) tira fuori questa vecchia vicenda per tentare l’impossibile: ribaltare la storia. Silvio Berlusconi fu processato e condannato per aver organizzato un sistema per frodare il fisco italiano e creare fondi neri per le sue “operazioni riservate” (tipo pagare tangenti e comprarsi giudici e sentenze).
Così un film, comprato negli Stati Uniti a 10, passava attraverso intermediari e prestanome, e arrivava in Italia nelle tv di Berlusconi a 100: tasse abbattute e 90 messi da parte all’estero. Con questo sistema – provano i giudici, carte alla mano – “le maggiorazioni di costo realizzate negli anni” sono state di ben “368 milioni di dollari”, nascosti al fisco e infrattati all’estero. Prove solide, testimonianze, ma soprattutto documenti bancari. Condanna in primo grado, condanna in appello, conferma in Cassazione. Dodici giudici si sono pronunciati in modo univoco. Le motivazioni delle sentenze sono di fuoco. Ma ai garantisti alle vongole – specie se sono stipendiati dal condannato o da altri pregiudicati – non basta. Si dicono contro i “processi mediatici”, ma poi celebrano in tv (e su giornali senza lettori, tipo il Riformista) per anni lo stesso processo, per difendere il padrone, ripetendo gli stessi argomenti già puntualmente smentiti da testimoni, prove, documenti, sentenze, buon senso, ragionevolezza.
“Adesso ci sono le prove che la sentenza che condannò Silvio Berlusconi al carcere, nel 2013, era una sentenza assolutamente sbagliata e faziosa. Addirittura orchestrata dall’alto”, scrive il Giornale di famiglia. Che aggiunge una perla giuridica: c’è “una sentenza del Tribunale civile di Milano che ribalta la sentenza penale”. Non è vero, la sentenza civile non “ribalta” un bel niente, e anche un bambino capisce che un reato penale è altro da un addebito civile e che le pere sono altro dalle angurie. Da dove viene, dunque, questo scoop stagionato come una forma di gorgonzola lasciato al caldo? Dagli “audio choc” mandati in onda lunedì sera da Quarta Repubblica in cui parla Amedeo Franco, deceduto un anno fa, giudice del collegio della Cassazione presieduto da Antonio Esposito. Dice: “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà, a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto. In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero. Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo”. In una seconda conversazione registrata da Berlusconi, Amedeo Franco aggiunge, riferendosi al presidente Esposito: “Sussiste una malafede del presidente del consiglio, sicuramente, lui sa che è una porcheria”. Poi butta lì che Esposito era “pressato” per il fatto che il figlio, anch’egli magistrato, era “stato beccato con droga a casa di…”. Ferdinando Esposito, allora pm presso la Procura di Milano, non ha avuto alcuna denuncia per droga, è stato indagato dalla Procura di Brescia per tutt’altro (e poi ha lasciato la magistratura), ma per una vicenda iniziata un anno dopo la sentenza del padre, che non aveva dunque alcun motivo di temere le (inesistenti) “pressioni” della Procura di Milano.
Se “pressioni” – o comunque soavi sollecitazioni – ci furono, furono nella direzione opposta: per far assolvere Berlusconi. Cosimo Ferri, leader storico di Magistratura indipendente e allora sottosegretario alla Giustizia nel governo Letta, sostenuto anche da Berlusconi con la benedizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, avvicinò il giudice Esposito e a luglio lo invitò a Pontremoli, al premio Bancarella. Esposito, per motivi d’opportunità, a due settimane dalla sentenza, ringraziò e declinò l’invito. Poi l’intercettazione di Amedeo Franco è tutto un inconcludente balbettare: “I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare… si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare… Questo mi ha deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io… allora facevo il concorso universitario, vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversari politici”. Se avessi saputo di questa “porcheria mi sarei dimesso, mi sarei dato malato. Non volevo essere coinvolto in questa cosa… È destino che Berlusconi debba essere condannato a priori. Purtroppo c’è una situazione che è veramente vergognosa… è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… Tutti i miei colleghi e anche i suoi che pure non la supportano sono convinti che questa cosa sia stata guidata dal- l’alto”. Contestazioni precise, argomenti solidi, come ognuno può vedere.
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