Il leader di Forza Italia non va a Roma e resta a Milano, vede i suoi ministri, poi diserta il vertice del centrodestra e invia una nota per spiegare il passo indietro nella corsa al Colle, nonostante - giura - avesse "verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione". Quindi, consapevole di aver probabilmente sbloccato l'impasse, avanza i suoi veti. Il primo: Draghi deve rimanere a Palazzo Chigi.
Aveva i voti ma ha preferito farsi da parte. Silvio Berlusconi dice di essersi ritirato dalla corsa alla presidenza della Repubblica, nonostante avesse “verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione”. Non è una battuta ma è quello che sostiene il leader di Forza Italia nella nota inviata al vertice del centrodestra. Ovviamente non potrà mai esserci la controprova, visto che l’uomo di Arcore ha deciso di arrendersi. Ma è abbastanza improbabile che, dopo mesi di trattative, Berlusconi abbia rinunciato al sogno del Colle pur avendo i voti. E invece alla fine ha dovuto gettare la spugna. Lo fa nel tardo pomeriggio di una giornata segnata dalla decisione di non recarsi a Roma, proprio per il vertice del centrodestra. Una riunione, quella con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che è stata rinviata di tre ore, visto che nel frattempo Berlusconi ha visto i ministri di Forza Italia. Nessuno, dicono i berlusconiani, gli ha chiesto di ritirarsi. Ma qualcuno ha fatto notare che i numeri per l’elezione al Colle non c’erano. Ecco perché Berlusconi si è arreso: al vertice del centrodestra – pure quello via Zoom – non si è fatto vedere. Ha inviato la fida Licia Ronzulli, con una nota in cui esplicita il passo indietro: si ritira anche se – giura – aveva i voti.
Un documento, quello del leader di Forza Italia, in cui Berlusconi torna a vestire i panni del padre della patria. “Dopo innumerevoli incontri con parlamentari e delegati regionali, anche e soprattutto appartenenti a schieramenti diversi della coalizione di centro-destra, ho verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione“, sostiene l’ex premier che si dice “onorato e commosso: la Presidenza della Repubblica è la più Alta carica delle nostre istituzioni, rappresenta l’Unità della Nazione, del Paese che amo e al servizio del quale mi sono posto da trent’anni, con tutte le mie energie, le mie capacità, le mie competenze”. Tuttavia, sostiene di essersi tirato indietro a seguito di una riflessione compiuta “ponendo sempre l’interesse collettivo al di sopra di qualsiasi considerazione personale” e compiendo “un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare ad indicare il mio nome per la Presidenza della Repubblica”. Un’affermazione che pronunciata dal padre di tante leggi ad personam e ad aziendam rischia di provocare qualche sorriso.
Perché dunque Berlusconi si tira indietro? Per evitare, sostiene lui, che sul suo nome “si consumino polemiche o lacerazioni che non trovano giustificazioni che oggi la Nazione non può permettersi”. Insomma: che la sua candidatura fosse altamente divisiva lo sapeva anche lui. Col suo passo indietro Berlusconi fa un piacere a Matteo Salvini, che ora può provare a vestirsi da kingmaker. E infatti, subito dopo il vertice, il capo della Lega comincia a telefonare agli altri leader e fa sapere – ancora una volta – di essere a lavoro per una “rosa di nomi”. Poi parlano pure Giuseppe Conte ed Enrico Letta: adesso, è il senso degli interventi di entrambi, si può cominciare il confronto per un candidato condiviso. Insomma: il passo indietro di Berlusconi sembra aver sbloccato l’impasse. Il diretto interessato ne è consapevole e infatti avanza subito i suoi veti. Il primo: Mario Draghi non deve andare al Colle ma deve restare a Palazzo Chigi per evitare di tornare alle urne. “Considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al Pnrr, proseguendo il processo riformatore indispensabile che riguarda il fisco, la giustizia, la burocrazia”, scrive nella sua nota Berlusconi, facendo infuriare Fratelli d’Italia. Anche il partito di Giorgia Meloni è contrario a Draghi al Colle, ma – come è noto – non lo vuole neanche a Palazzo Chigi.