Oggi è il grande giorno per Ottaviano Del Turco: il massimo organo politico del Senato, il Consiglio di Presidenza è convocato poco dopo mezzogiorno per decidere del suo destino. O meglio per decidere se continuare a mantenergli il vitalizio, nonostante la sua condanna per le tangenti ricevute nell’ambito della Sanitopoli abruzzese sia ormai definitiva dal 2018: da allora non ha mai smesso di percepire l’assegno nonostante la delibera che dal 2015 prevede che venga sospeso agli ex parlamentari incappati nelle maglie della giustizia per reati di non poco conto. “È gravemente ammalato” si sperticano in molti a partire dal Pd che ha invocato in suo favore ragioni umanitarie. Ché togliergli i 5.500 euro al mese del Senato (che somma alla pensione da sindacalista) significherebbe privarlo dei mezzi necessari che però lo Stato non riconosce a tutti gli altri pazienti affetti come lui dall’Alzheimer benché con la fedina penale pulita.
Senato Leghisti complici.
Ma per Del Turco non sarà nemmeno necessario fare uno strappo alle regole, perché le regole nel frattempo al Senato sono state strappate. La decisione sull’ex sindacalista, di rinvio in rinvio, con un pretesto o un altro, arriverà proprio ora che si è sbloccata la pratica di Roberto Formigoni che ha avuto la sua rivincita: poche ore fa la Commissione contenziosa di Palazzo Madama, presieduta da Giacomo Caliendo di Forza Italia ha accolto il suo ricorso per riavere il malloppo: il collegio composto oltre che da Caliendo dai due leghisti Alessandra Riccardi e Simone Pillon (affiancati dai due laici, l’avvocato Alessandro Mattoni e l’ex magistrato Cesare Martellino) gli ha restituito il diritto al vitalizio che gli era stato solo parzialmente congelato dopo la condanna per aver asservito la sua funzione di presidente della regione Lombardia agli interessi economici della Fondazione Maugeri e del San Raffaele. Ora invece tutto è perdonato, ovviamente con beffa. Perché per decidere pro Formigoni Caliendo ha invocato la legge sul reddito di cittadinanza che consente la sospensione dei trattamenti previdenziali solo ai condannati per i casi di mafia, terrorismo o per chi si sia dato alla macchia. Non il caso del Celeste che dunque può riavere l’assegno (originariamente da 7.700 euro poi ridotti per via del taglio che si applica a tutti gli ex parlamentari dal 1 gennaio 2019) perché non risponde per questi reati. E che importa se al Senato le regole erano finora tutt’altre (il congelamento dell’assegno scattava per condanne anche per reati contro la pubblica amministrazione con pene superiori ai due anni di reclusione). E che importa pure se il vitalizio non è una pensione come ha stabilito la Corte dei Conti della Lombardia che invece al Celeste ha pignorato senza colpo ferire, il vitalizio regionale che percepiva fino alla condanna.
Benefici Silvio & C.
Al Senato invece se ne sono infischiati. Facendo godere Formigoni, ma pure tutti gli altri ex con un conto aperto con la giustizia. Perché la Commissione contenziosa ha disposto l’annullamento della delibera del 2015 “erga omnes in quanto cagionante una evidente disparità di trattamento (tra gli ex senatori condannati e i cittadini che beneficiano del reddito di cittadinanza, ndr) in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione”.
E così ora attendono “giustizia” anche tutti glia altri ex inquilini di Palazzo dopo che il Celeste è riuscito a spuntarla contro “l’infamante ablazione della sua rendita pensionistica” che rischiava di ridurlo alla fame dopo i fasti da governatore. E così, tanto per restare al Senato, spera di rientrare il possesso del vitalizio l’ex patron della Fiorentina Vittorio Cecchi Gori (nei guai per una serie di reati finanziari, tra cui una bancarotta fraudolenta) e pure Franco Righetti (ex Margherita con la passione per gli affari immobiliari), Ferdinando di Orio (già rettore dell’Università di L’Aquila eletto con l’Ulivo e condannato per induzione indebita): non che ne abbia bisogno ma l’assegno senatoriale ritoccherebbe pure a Silvio Berlusconi (frode fiscale). A tener conto dei reati indicati da Caliendo come causa ostativa, a bocca asciutta dovrebbero dunque rimanere l’altro padrino fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, e Enzo Inzerillo (ex Dc) che si danna per la sospensione dell’assegno da tempo in ogni sede, pure alla Corte europea di Strasburgo ché, si lamenta, è stato privato del necessario sostentamento. Con i nuovi parametri non è escluso invece che il Senato debba restituire il vitalizio anche agli eredi dei condannati come Antonio Girfatti (FI), Giorgio Moschetti (Dc), Giuseppe Ciarrapico (già senatore del Popolo della Libertà) e Pasquale Squitieri (Alleanza Nazionale), nel frattempo deceduti.
Camera C’è pure Previti.
E alla Camera? Montecitorio, dopo la delibera del 2015, aveva chiuso i rubinetti a una serie di ex deputati condannati come Massimo Abbatangelo (ex deputato Msi), Robinio Costi (ex Psdi), Massimo De Carolis e Gianmario Pellizzari (ex Dc), Pietro Longo (Psdi) e Gianstefano Milani (ex Psi). Ma pure a Toni Negri e Cesare Previti, Giuseppe Astone, Giuseppe Del Barone, Luigi Farace e Luigi Sidoti. I socialisti Giulio Di Donato e Raffaele Mastrantuono hanno invece fatto in tempo a ottenere la riabilitazione e dunque a riavere il vitalizio. Che invece ancora fa penare l’ex ministro della sanità Francesco De Lorenzo e l’ex sindaco di Taranto Giancarlo Cito con ricorsi agguerritissimi, stile coltello tra i denti, ancora sub iudice.
Ma a Palazzo la vera posta è un’altra: i condannati con il vitalizio sospeso sono una esigua minoranza mentre c’è un vero esercito di ex (700 senatori e 1400 deputati, da Ilona Staller a Antonio Razzi) che attende di riavere gli assegni pieno che nel 2018 sono stati tagliati da Montecitorio e Palazzo Madama per ragioni di equità sociale date le difficoltà degli italiani comuni. Ovviamente Lorsignori hanno fatto ricorso e sono in attesa di vedere come va a finire. Alla Camera non è ancora giunto il momento della decisione neppure in primo grado. E al Senato? Tutt’altra musica. Sempre la commissione Caliendo ha ridato speranza a tutti impallinando la delibera adottata nel segno dell’austerity. Ora a Palazzo Madama deciderà in via definitiva la commissione di appello presieduta dall’altro forzista Luigi Vitali che ha concluso l’istruttoria lo scorso 31 marzo.
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