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sabato 4 giugno 2022

Il direttore dell’Agenzia delle Entrate: “Ci sono 19 milioni di evasori. Devono lavorare fino a ripagare la collettività”.

 

A tanto ammonta il numero dei cittadini con almeno una cartella esattoriale, ha spiegato Ernesto Maria Ruffini: "Hanno fatto i maramaldi per tanti anni, usiamo strumenti che li facciano rientrare in carreggiata. Li abbiamo individuati". E sul "sistema ideale" per combattere l'evasione: "Il mio è quello in cui i cittadini sanno che chi non paga viene intercettato e l'azione viene punita. La pena detentiva non mi convince".

Diciannove milioni di italiani con almeno una cartella esattoriale: 16 milioni di persone fisiche e 3 milioni di società, ditte, partite iva. Evasori, cittadini che devono dei soldi allo Stato per tasse, contributi e multe non pagate. Persone che dovrebbero lavorare “fino a ripagare la collettività”. Numeri (e soluzione) sono detti a chiare lettere dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. “Li abbiamo individuati”, ha spiegato al Festival internazionale dell’Economia il numero uno dell’agenzia fiscale ragionando attorno agli strumenti per portarli a saldare il debito e al suo “sistema ideale” per la lotta all’evasione. “Il mio è quello in cui i cittadini sanno che chi non paga viene intercettato e l’azione viene punita. Chi è poi così autolesionista da evadere?”, si è chiesto.

“La pena detentiva per chi non paga le tasse non mi ha mai convinto – ha detto – Preferisco mettere in carcere l’evasore così poi fallisce l’attività o farlo lavorare finché non ripaga la collettività? Sono 19 milioni le persone che non pagano le tasse. Li abbiamo individuati, ma a chi conviene metterli tutti in cella?”. Nel conteggio di Ruffini rientrano tutti coloro che hanno una cartella esattoriale, quindi anche persone con multe non pagate. “Hanno fatto i maramaldi per tanti anni, usiamo strumenti che li facciano rientrare in carreggiata. Li abbiamo individuati”, ha spiegato Ruffini.

“Le tasse sono uno strumento per avere uno stato democratico. Pagare le tasse non fa piacere a nessuno e farle pagare fa ancora meno piacere, ma – ha aggiunto Ruffini in un’intervista a La Stampa – è la cartina di tornasole dell’inciviltà di un Paese perché si fanno pagare le tasse ad esempio per retribuire gli stipendi ai medici che ci salvano la vita”. Lo Stato, ha detto ancora, “ha ha dovuto tagliare la spesa sanitaria perché non ci sono abbastanza risorse”. In questa situazione, “dobbiamo essere consapevoli delle nostre scelte, invece si fa finta di nulla, negli anni con la complicità della politica”, avverte.

Già negli scorsi giorni, Ruffini aveva spiegato che nel cosiddetto “magazzino” ci sono circa 1.100 miliardi di euro fra tasse, imposte e contributi da riscuotere. Una cifra monstre solo in parte davvero recuperabile: “Qualche decina di miliardi, o comunque sotto i cento. La stragrande maggioranza dei crediti in magazzino non è riscuotibile”, aveva detto a SkyTg24 specificando che tra quei 19 milioni di soggetti iscritti a ruolo “solo 3 milioni hanno aderito alle diverse rottamazioni e al saldo e stralcio da cui si sono ricavati 20 milioni di euro”.

Una lotta che negli ultimi anni, complice il Covid e il rallentamento della riscossione, ha subito un rallentamento. Ma adesso, aggiunge il numero uno delle Entrate, “la macchina fiscale è tornata alla normalità” e “siamo pienamente operativi perché il legislatore così ci ha chiesto di essere”. Nel 2020 e 2021 “abbiamo sospeso la nostra attività”, quindi “ci è stato detto di ricominciare, abbiamo rimodulato l’attività dividendo nel 2022 il pregresso, abbiamo decine di milioni di atti e stiamo procedendo”. Ora in programma “c’è l’attuazione degli istituti della rateizzazione, c’è il completamento della rottamazione in corso”.

Ruffini è soddisfatto dell’andamento delle dichiarazioni dei redditi precompilate, per l’anno fiscale 2021 ‘attive’ dagli scorsi giorni: “Procedono bene, i cittadini acquisiscono familiarità con questo strumento”. Le prossime tappe? “Stiamo già precompilando i registri dei soggetti commerciali, l’anno prossimo partirà la precompilata Iva”. Quanto alla riforma fiscale “la cosa che mi aspetto – afferma – è la riorganizzazione delle norme. La confusione è enorme”. La priorità è “fare ordine, poi si può vedere quali regole si possono cambiare”, altrimenti “si fa altra confusione”. Sul punto Ruffini era stato chiaro in autunno, quando aveva spiegato che “con 800 leggi il sistema è giungla in cui l’evasore si nasconde” e aveva quindi chiesto al governo un intervento sulla privacy.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/06/03/il-direttore-dellagenzia-delle-entrate-ci-sono-19-milioni-di-evasori-devono-lavorare-fino-a-ripagare-la-collettivita/6614273/?fbclid=IwAR1xWHCBHvlZzERdbJq7oBnM8vm2m7zXZCxZJ8VlQcRU1LiXn7cwSPrmOKI#

domenica 31 ottobre 2021

Frode sui dividendi, così si è aperto un buco da 150 miliardi nelle casse pubbliche europee. - Giulio Rubino e Angelo Mincuzzi

 

Il costo di 20 anni di “dividend washing”, tra elusione ed evasione fiscale. Inchiesta internazionale di giornalisti di 15 paesi e dell’Università di Mannheim

Le frodi sui dividendi azionari hanno causato un ammanco fiscale di 150 miliardi di euro in 20 anni in dieci paesi dell’Unione europea, più la Svizzera e gli Stati Uniti, 13 miliardi dei quali solo in Italia. Messi in fila uno dietro l’altro 150 miliardi di euro in biglietti da cento fanno il giro della terra più di cinque volte. Sono più della spesa sanitaria italiana del 2021 (127 miliardi). Sono pari ai soldi che gli Stati riusciranno a recuperare grazie all'introduzione della tassa minima globale del 15% sulle multinazionali. E sono uguali ai fondi che i paesi dell’Unione europea hanno destinato alle politiche sociali nei loro Piani nazionali per la ripresa e la resilienza. 

Il danno globale delle frodi.

CumEx Files 2.0, un’indagine congiunta di 15 media di 15 paesi europei (per l’Italia Il Sole 24 Ore), americani, australiani, asiatici e africani, coordinati dalla redazione tedesca no-profit CORRECTIV, ha provato a stimare per la prima volta il danno globale causato alle amministrazioni fiscali di dodici paesi dalle operazioni di dividend washing negli ultimi vent'anni (transazioni chiamate tecnicamente “cum-cum” e “cum-ex”). 

La stima è stata realizzata grazie alle analisi svolte dagli esperti dell’università di Mannheim, in Germania, proprio mentre nei tribunali di mezza Europa sono in pieno svolgimento i processi contro alcune delle più importanti frodi sui dividendi degli ultimi anni. 

Inchiesta internazionale.

I CumExFiles, alla base dell'inchiesta alla quale ha lavorato un consorzio di 30 giornalisti, contengono circa 200mila pagine di documenti. Includono rapporti di indagine di varie autorità, verbali di interrogatori di testimoni chiave e di indagati, documenti bancari interni, email, trascrizioni di telefonate intercettate. I documenti provengono da varie fughe di notizie. Le testate che hanno partecipato all’indagine sono Profil (Austria), De Tidj (Belgio), Le Monde (Francia), Ndr e CORRECTIV (Germania), Il Sole 24 Ore (Italia), Reporter (Lussemburgo), Follow the Money (Olanda), El Confidencial (Spagna), Svt (Svezia), Bbc (Regno Unito), Nbc (Usa), Irish Times (Irlanda), Abc (Australia), amaBhugane (Sud Africa) e Tansa (Giappone). 

Grazie al supporto del team del professor Christoph Spengel, docente di diritto tributario all’università di Mannheim, il consorzio di giornalisti ha potuto realizzare almeno una stima parziale dei danni causati da questo tipo di operazioni al fisco europeo (e in parte degli Stati Uniti). La cifra totale è impressionante: oltre 150 miliardi di euro in un periodo di vent’anni, dal 2000 al 2020. Il numero tiene conto sia di operazioni di tipo “cum-cum” che di tipo “cum-ex”, e per l’Italia la valutazione dei soldi che mancano all’appello del fisco arriva a poco più di 13 miliardi di euro. 

Simili perdite di entrate fiscali hanno conseguenze difficili da comprendere, come difficili sono da immaginare 13 miliardi di euro e tutto quello che possono significare in termini sociali e politici. Basti pensare all’aspro dibattito politico sul rifinanziamento al reddito di cittadinanza, che, nel 2021, è di circa 200 milioni di euro. Con le tasse perdute per operazioni di dividend washing lo si potrebbe rifinanziare per 65 anni.

Le magie dell’ottimizzazione fiscale.

“Ottimizzazione fiscale” è un modo elegante, usato dai professionisti del settore, per dire “come pagare meno tasse”. Il concetto, più che legittimo anche se forse piuttosto alieno alla maggior parte dei cittadini comuni, va via via complicandosi man mano che il soggetto da “ottimizzare” diventa più grande, ricco e attivo economicamente sul piano internazionale. Per i grandi studi di diritto tributario internazionale, oltre ad essere una delle principali fonti di reddito, è diventato qualcosa fra un rompicapo e un’ossessione, un puzzle da risolvere nel modo migliore possibile stirando ogni legge e convenzione fin quasi al punto di rottura per ridurre le tasse dei propri clienti, a volte arrivando al di là dei limiti della legge stessa. 

Infatti la complessità delle leggi fiscali, ma soprattutto il modo in cui queste interagiscono fra loro in ambito internazionale, tra convenzioni e accordi bilaterali fra Stati, dà vita ad un amplissima zona grigia, dove le regole sono spesso tutt’altro che chiare. 

Non c’è da stupirsi quindi se una delle più grandi frodi fiscali mai scoperte, il cosiddetto scandalo ”cum-ex” che permette di eludere, e in alcuni casi anche di farsi rimborsare illecitamente, le tasse sui dividendi azionari, sia ancora nella fase del dibattimento in molteplici procedimenti penali aperti nei tribunali di mezza Europa, in particolare in Germania, Danimarca e Olanda. 

I sistemi di dividend washing.

Il sistema “cum-ex” è infatti stato scoperto dalle autorità già dal 2012 in Germania, anche se le operazioni di questo tipo sarebbero cominciate fin dal 2001. Questo schema fiscale, fra l'altro, è solo un tipo, il più aggressivo, di una grande varietà di meccanismi di dividend washing, la cui tipologia più semplice, definita “cum-cum” dagli investigatori tedeschi, è stata praticata e, a detta di diversi attori del mondo finanziario, è ancora praticata, in tutto il mondo con profitti eccezionali. 

Il meccanismo base delle operazioni di dividend washing è abbastanza semplice, anche se può apparire molto complesso. Invece di incassare un dividendo, un’azienda, un trader o un investitore, può vendere le azioni di sua proprietà a un soggetto terzo calcolando nel prezzo di vendita il dividendo ancora “in maturazione” dentro quelle azioni. 

Per chi vende si genera quindi una plusvalenza, che è esente da tassazione, mentre chi compra (e incassa il dividendo), può rivendere le azioni a chi le ha originariamente cedute a un prezzo inferiore a quello di acquisto, cioè al valore delle azioni vuote del dividendo, subendo una perdita, una minusvalenza che però è fiscalmente deducibile. 

Una legge del 2005 dovrebbe arginare queste operazioni, dato che la minusvalenza non è più integralmente deducibile, ma deve essere ridotta della quota non imponibile del dividendo incassato (che per le società di capitali è del 95%). 

Questo cambiamento però non ha arginato il problema, tanto che a seguito della pubblicazione della prima inchiesta “CumEx Files”, realizzata nel 2018 da questo stesso team, l’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) ha inviato un questionario a tutti gli Stati membri per valutare i potenziali rischi a cui è esposta l’Unione europea a causa di operazioni di questo tipo. 

Per l’Italia ha risposto la Consob (la Commissione nazionale per le società e la Borsa), che pur segnalando che non dovrebbero esistere scappatoie legali che permettano le forme più aggressive di dividend washing (del tipo “cum-ex”), ha aggiunto che le azioni di aziende italiane potrebbero essere bersaglio di sistemi del tipo “cum-cum”. 

Infatti, essendo la tassazione sui dividendi molto diversa a seconda del soggetto che le possiede (se è una società di capitali, se è residente in Italia o all’estero) e grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni, c’è sempre modo di spostare i pacchetti azionari da un soggetto A che dovrebbe pagare una tassa più alta a un soggetto B che è esente, o che paga una somma significativamente minore. 

I trasferimenti di azioni.

Se il trasferimento è fatto poco prima del giorno dello stacco del dividendo, il soggetto B incassa il dividendo, e ritrasferisce poi al soggetto A le stesse azioni. B viene compensato da A per il “servizio” e il gioco è fatto. Consob, nella sua risposta a Esma, non nega neanche la possibilità che banche o altri tipi di intermediari italiani si prestino a realizzare simili operazioni (anche dei tipi più aggressivi) in altri paesi europei e non. 

Per quanto possa già sembrare una cifra colossale - si tratta dell’equivalente di un quinto dell’intero fondo Next Generation Ue messo in campo per contrastare la crisi dovuta alla pandemia - i 150 miliardi di euro di danni erariali sono una stima estremamente conservativa. 

La somma infatti comprende solo i paesi per i quali è stato possibile accertare, grazie alle ricerche dei giornalisti che hanno collaborato all’inchiesta, che effettivamente operazioni di questo tipo sono tecnicamente possibili. 

Per il periodo dal 2000 al 2020 si sono considerate Italia, Germania, Austria, Spagna, Olanda, Belgio, Francia e Lussemburgo. La Svizzera e gli Stati Uniti sono stati conteggiati solo fino al 2008, quando secondo le ricerche il fenomeno dovrebbe essere stato bloccato dalle autorità. 

Considerando che secondo gli attuali sistemi di tassazione i soggetti più incentivati a iniziare operazioni di tipo “cum-cum” sono quelli residenti all’estero, che non possono teoricamente beneficiare della tassazione estremamente bassa prevista per le società di capitali italiane (è tassato solo il 5% del dividendo, per una tassa totale intorno al 1,2%), l’università di Mannheim ha voluto mantenersi su cifre conservative. Ha così stimato che solo il 50% delle azioni possedute all’estero passino per un processo di dividend washing anche se, almeno per Francia e Germania, ci sono ragioni di credere che quasi il 100% delle azioni possedute da soggetti esteri passino per un processo del tipo “cum-cum”. 

Con queste premesse, e analizzando tutti i dividendi pagati sui principali indici dei 12 paesi in esame, si arriva alla cifra di 150 miliardi di euro. Nel dettaglio: per le operazioni di tipo “cum-cum” le perdite di gettito arrivano a quasi 141 miliardi di euro, i paesi più colpiti sono Francia (33 miliardi persi), Germania (28) e Olanda (26). L'Italia è al quinto posto, con 13,2 miliardi mancanti. I restanti dieci miliardi vengono dalle operazioni di tipo “cum-ex”, che sono state finora accertate solo in alcuni paesi: Germania, Francia, Belgio e Danimarca. 

La “corsa all’oro”.

La differenza fondamentale fra le operazioni dette “cum-cum” e le “cum-ex” sta nel fatto che le prime si configurano come una sorta di elusione (o evasione, anche qui diversi paesi interpretano la legge in modo diverso) mentre le seconde, fin dalla loro scoperta, sono sempre state percepite come delle frodi vere e proprie, nonostante le accorate difese dei principali indagati. 

Le operazioni “cum-ex”, fino al 2012, si basavano sul fatto che, in alcuni sistemi fiscali europei, la tassa sui dividendi è trattenuta all’origine, ma assieme al dividendo netto il proprietario delle azioni riceve, se ne ha diritto, anche un certificato che dà diritto al rimborso della tassa stessa. 

I trader però hanno scoperto che, se le azioni in questione si trovavano sotto un contratto di opzione o “short sale” durante il giorno del pagamento del dividendo, il certificato di rimborso arrivava sia al proprietario originale delle azioni sia a quello che le aveva opzionate. 

Di fatto, a un singolo dividendo pagato con una singola imposta trattenuta corrispondevano due certificati di rimborso, entrambi esigibili. La scoperta deve aver fatto aprire parecchie bottiglie di champagne, perché molto rapidamente la vicenda si è complicata sempre di più. I trader hanno testato il sistema e accertato che non dovevano limitarsi a soli due certificati ottenuti per ogni azione, perché le opzioni sul singolo pacchetto azionario possono essere multiple, e in alcuni casi la stessa tassa è stata “rimborsata” fino a dieci volte a dieci soggetti diversi. 

«Era un po’ come cercare l’oro - aveva dichiarato al giornale investigativo italiano Irpi il whistleblower Benjamin Frey, che aveva collaborato nel 2018 alla prima inchiesta “cum-ex” files -, a volte funziona, a volte no». 

Il paradosso è che nonostante l’idea di vedersi la stessa tassa rimborsata più volte sia intuitivamente palesemente illegale, i principali accusati ai vari processi in corso in Europa continuano a difendere il loro operato, e solo nel 2020 sono arrivate le prime, timide, condanne. 

I processi in Germania e nel Nord Europa.

In Germania ci sono almeno tre processi in corso, presso i tribunali di Colonia, Francoforte e Monaco. Solo a Colonia ci sono oltre 700 indagati. Altri importanti processi sono aperti in Danimarca, Olanda, Belgio. 

Uno dei principali accusati, indagato sia in Germania che in Danimarca, Belgio e Lussemburgo, è il trader britannico, basato a Dubai, Sanjay Shah. Il “cowboy” lo chiamavano, per l’aggressività delle operazioni che metteva in piedi e i grandi rischi che era disposto a correre. Shah, tramite il fondo Solo Capital da lui creato, ha gestito enormi operazioni di “cum-ex” in Danimarca, rastrellando 800 milioni di euro a ogni passaggio. In pochissimo tempo è diventato miliardario e oggi vive sulla Palm Island di Dubai. I giornalisti di Panorama, programma investigativo della tv pubblica tedesca Adr e partner di questa inchiesta, l'hanno raggiunto nella sua casa degli Emirati Arabi e hanno potuto parlare con lui della sua situazione legale. 

Shah è ricercato in diverse giurisdizioni e non può lasciare gli Emirati per paura di essere messo in custodia cautelare ma, almeno dalle sue parole, non sembra troppo preoccupato: «Non credo di aver fatto nulla di sbagliato - dice -, sono convinto che in un anno o due sarò fuori da questa situazione, e ho intenzione di rimettermi in affari appena possibile». 

Dal suo punto di vista, ha solo tratto vantaggio da un loophole, una scappatoia legale, che non sta a lui chiudere. «Contribuenti tedeschi e danesi sono infuriati che i loro soldi siano finiti a me? Perché non pretendono che il loro governo cambi la legge allora? Per come la vedo io si, è un peccato, ma non prendetevela con me. Le mie operazioni erano perfettamente legali e legittime. Parlando della Danimarca [la giurisdizione che lo cerca più aggressivamente, ndr] perché mai altrimenti il fisco danese avrebbe pagato rimborsi [a Shah e agli altri trader coinvolti, ndr] per anni e anni? Solo dalla mia azienda hanno ricevuto oltre tremila richieste di rimborso, e mai se ne sono preoccupati». 

Secondo Shah non sarebbe stato difficile impedire le operazioni di tipo “cum-ex” con semplici cambi di leggi, e a dire il vero l'associazione delle banche tedesche già nel 2007 aveva segnalato il rischio dei doppi rimborsi fiscali al suo ministero delle Finanze, ma il Governo aveva scelto di ignorare l’avvertimento. 

Le prime condanne.

La procuratrice di Colonia, Anne Brorhilker, che guida il principale processo in Germania contro queste operazioni, ha un punto di vista molto diverso però: «Certo, possono [gli imputati, ndr] razionalizzare la cosa quanto vogliono, convincersi che era tutto legittimo se li fa sentire meglio quando si svegliano al mattino per andare al lavoro - dice in un’intervista a Panorama - ma il loro obiettivo era sempre quello di rastrellare più denaro possibile da queste operazioni fiscali». 

Brorhilker sottolinea che, considerando che diversi paesi hanno posto un freno a queste operazioni in tempi diversi, i trader hanno semplicemente continuato a farle dove era possibile e dove il rischio di essere scoperti era più basso. «La mentalità non è troppo diversa da quella di un taccheggiatore - spiega -. Perché fermarsi se non mi notano? E dove non ci sono telecamere, la è dove agire». 

Nel frattempo a partire dal 2020, sono cominciate ad arrivare le prime sentenze, tutte a favore dell’accusa. A marzo 2020 Martin Shields e Nicholas Diable, due ex banchieri inglesi accusati in Germania, sono stati condannati a una pena sospesa solo perché il tribunale ha riconosciuto la loro intensa collaborazione con la procura, e nello stesso procedimento la banca di Amburgo Mm Warburg ha subito un sequestro di 176 milioni di euro. 

Lo scorso giugno, un ex impiegato della stessa banca Warburg non è stato così fortunato. È stato infatti il primo banchiere a essere mandato in galera per operazioni di tipo “cum-ex”, ben cinque anni e mezzo di carcere. Ancor più importante per l’andamento di tutti i processi ancora in corso, sempre lo scorso giugno la Corte suprema federale tedesca, analizzando l’appello di Shields e Diable, ha dichiarato che le operazioni di tipo “cum-ex” sono “una sfacciata frode fiscale” e un palese furto dalle casse dello Stato. 

Qualcosa si muove, dunque, in Europa. E anche in Italia le autorità fiscali investigative potrebbero già aver acceso un faro sul turbolento mondo delle frodi “cum-ex”. 

*****

Le parole chiave.

Dividendo: quella parte di utile che viene distribuito (normalmente una volta all’anno, ma ci sono eccezioni) da una società ai suoi azionisti. 

Dividend Washing: operazioni di “lavaggio” che consentono di ridurre o eludere del tutto la tassazione sui dividendi azionari. Sono anche dette operazioni di “dividend arbitrage” o “dividend trading”. 

Cum-Ex: una categoria particolare di dividend washing. Prende il nome dal latino “con” (cum) e “senza” (ex), ad indicare il trading di azioni con e senza il dividendo connesso. Sono operazioni molto complesse che permettono di farsi rimborsare più volte la stessa tassa pagata una volta sola. 

Cum-Cum: è un termine più generico che racchiude diversi tipi di operazioni di dividend washing, caratterizzate da un meccanismo simile a quello di cum-ex, ma che porta solo a un elusione (totale o parziale) della tassa sui dividendi senza rimborsi multipli. 

Plusvalenza: è il profitto derivato dalla vendita di un bene il cui valore è cresciuto durante il periodo per il quale è stato posseduto. Può riferirsi a beni tangibili (una casa, un attività) o intangibili, come appunto azioni di società quotate in borsa. 

Minusvalenza: è la differenza fra un prezzo di acquisto più alto e uno di vendita più basso per un bene, differenza che normalmente rappresenta una perdita per chi vende. Al contrario di altri tipi di perdite, sono a volte deducibili. 

https://24plus.ilsole24ore.com/art/frode-dividendi-cosi-si-e-aperto-buco-150-miliardi-casse-pubbliche-europee-AEJ0SJr

giovedì 7 ottobre 2021

Perché la pressione fiscale resta alta nonostante il Pil in crescita? - Dino Pesole

 

(Illustrazione di Andrea Marson)

Il Governo vuole procedere a tappe: un primo intervento nella prossima legge di Bilancio, poi decreti legislativi nel corso del 2022 con effetti non prima del 2023.

Il Pil cresce e dovrebbe consolidare l’attuale rimbalzo congiunturale così da assicurare un percorso di crescita strutturale nei prossimi anni, ma la pressione fiscale resta sostanzialmente ferma tra il livello stimato per il 2021 (41,2% del Pil, contro il 42,1% del 2020) e il 41,5% del 2024. Stando a quel che prevede la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, al netto della misura che riguardano l’erogazione del beneficio dei 100 euro mensili (che viene conteggiata tra le maggiori spese), la pressione fiscale passerebbe dal 41,2% del 2021 al 40,9% nel 2024.

Al momento si può contare sul “fondo potenziale” da destinare alla riduzione della pressione fiscale pari a 4,3 miliardi nel 2021 e sull’intenzione - ribadita dal Governo - di ridurre la pressione fiscale «utilizzando prioritariamente le risorse derivanti dal contrasto all'evasione nell'ambito della sessione di bilancio».

L’urgenza della riduzione delle tasse.

La pressione fiscale fotografa l’insieme delle tasse e dei contributi incassati dallo Stato in rapporto al Pil. È un indicatore importante da valutare nella sua dinamica anno dopo anno, che tuttavia non fotografa il peso reale del complesso delle entrate fiscali e contributi sui singoli contribuenti. In molti casi, il livello effettivo del prelievo si attesta su valori decisamente superiori rispetto all’indice ufficiale, a causa del permanere di un’alta evasione (la stima varia dai 110 ai 130 miliardi l’anno). Va dunque senz’altro accolta con favore l’intenzione del Governo di agire sul fronte del contrasto all’evasione (intendimento che peraltro è agevole individuare in tutti i programmi di governo degli ultimi decenni).

Certamente passi in avanti sono stati compiuti verso quello che i tecnici definiscono «l’adempimento spontaneo al pagamento delle imposte» (la cosiddetta tax compliance), ma l’evasione resta uno dei problemi principali da affrontare attraverso un mix di misure di contrasto, il pieno utilizzo degli incroci con le banche dati, una drastica opera di semplificazione degli adempimenti tributari e il potenziamento dei pagamenti digitali. Sono linee di indirizzo che dovrebbero tra breve essere inserite nel disegno di legge delega che il Governo si appresta a presentare in Parlamento.

Razionalizzazione della spesa e contrasto all’evasione.

Per ridurre la pressione fiscale occorre un giusto dosaggio, in termini di corrette coperture finanziarie, tra un programma pluriennale di razionalizzazione della spesa corrente - come peraltro annunciato dal ministro dell’Economia, Daniele Franco nel corso dell’audizione parlamentare dello scorso 21 luglio - e di aumento del gettito per effetto dell’azione di contrasto all'evasione.
Per quel che riguarda questa seconda fonte di finanziamento della riforma fiscale, va tuttavia precisato che le maggiori entrate che si ipotizza di incassare grazie alla lotta all’evasione dovrebbero essere correttamente contabilizzate solo ex post, una volta che siano state effettivamente incassate. Utilizzarle come fonte di copertura ex ante (lo si è già fatto in passato) pare una strada non del tutto coerente con i dettami di finanza pubblica, oltre a presentare margini di aleatorietà.

Si dovrebbe agire anche intervenendo sul complesso universo delle agevolazioni fiscali (oltre 600 per un costo di 68 miliardi), ma si tratta di un’operazione che richiede un ampio consenso in sede politica, perché comunque si tratta di decidere quali categorie andare a “colpire”, e tutto ciò può avere un costo in termini di consenso, e dunque di riscontro a breve dal punto di vista elettorale.

Il Pil e il fisco.

La nuova previsione tendenziale del Governo indica tassi di crescita del Pil reale dal 6% del 2021 al 4,2% del 2022, per poi attestarsi al 2,6% nel 2023 e all'1,9% nel 2024. Previsioni già validate dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che porterebbero il Pil al di sopra del trend pre-crisi nel 2024. Il quadro macroeconomico programmatico, che incorpora l’effetto della politica economica “espansiva” indicata nella Nadef, vede il Pil di quest’anno al 6%, al 4,7% nel 2022, che passa al 2,8% nel 2023 e all'1,9% nel 2024.

La politica fiscale dovrà rafforzare l’incremento del “denominatore” (il Pil), favorendo in tal modo il percorso di graduale riduzione della pressione fiscale. Ma la riforma dovrà puntare prima di tutto all’equità e alla corretta distribuzione del carico tributario, intervenendo sull’Irpef, ma anche sul cuneo fiscale, sull’Iva e sull’Irap. Il tema delle risorse è decisivo, e l’intendimento del Governo è di procedere a tappe, con un primo intervento (con ogni probabilità sul cuneo fiscale) da inserire nella prossima legge di Bilancio, per poi affidare il percorso di taglio delle tasse ai decreti legislativi che dovrebbero vedere la luce nel corso del 2022, con effetti tangibili dunque non prima del 2023.

Quanto al fondo da 4,3 miliardi indicato nella Nadef, si tratta di un insieme di risorse “potenziali” che emergono da quello che il Governo definisce il miglioramento della propensione di imprese e cittadini a pagare le imposte. Ora la quantificazione del maggior gettito dovrà essere ratificato e indicato nel Fondo speciale con un ulteriore provvedimento del ministro dell’Economia.

IlSole24Ore

mercoledì 22 maggio 2013

Ilva: perquisizioni e sequestri a carico dei Riva. Per reati fiscali e di riciclaggio


La Guardia di Finanza sta eseguendo un provvedimento di sequestro preventivo a carico della famiglia Riva. Secondo quanto si apprende il provvedimento sarebbe relativo a reati fiscali e riciclaggio. Sono in corso una serie di perquisizioni. Il provvedimento è stato firmato dal Gip del tribunale di Milano ed è stato eseguito dagli uomini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza del capoluogo lombardo e di Varese. Le accuse nei confronti della famiglia Riva sono di frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato. Gli immobili, i titoli e le disponibilità finanziarie per un valore totale di oltre un miliardo sequestrati alla famiglia Riva, sarebbero stati ottenuti sottraendo soldi all'Ilva. E' quanto avrebbero accertato le indagini della Gdf che hanno portato all'emissione del decreto di perquisizione e sequestro
GIP CONCEDE DOMICILIARI A PRESIDENTE PROVINCIA - Il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha concesso gli arresti domiciliari al presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, arrestato il 15 maggio scorso per concussione nell'ambito dell'inchiesta sull'Ilva 'Ambiente svenduto'. Resta in carcere invece l'ex assessore provinciale all'Ambiente Michele Conserva. Florido si era dimesso da presidente della Provincia subito dopo l'arresto. Conserva, che risponde degli stessi reati contestati a Florido (tentata concussione per costrizione e concussione per induzione ai danni di due funzionari della Provincia), si era invece dimesso nel settembre dello scorso anno, due mesi prima di essere arrestato ai domiciliari per altri presunti episodi di concussione con l'aggravante di aver fatto parte di un'associazione per delinquere. L'indagine che ha portato agli arresti del 15 maggio scorso riguarda l'autorizzazione per l'utilizzo della discarica di rifiuti speciali pericolosi Mater Gratiae, all'interno dello stabilimento siderurgico e gestita dall'Ilva. Gli altri due arrestati una settimana fa nella stessa operazione sono l'ex dirigente dell'Ilva Girolamo Archinà, finito prima in carcere e ora ai domiciliari per motivi di salute, e l'ex direttore generale della Provincia di Taranto Vincenzo Specchia, che prima dell'arresto ai domiciliari era segretario generale del Comune di Lecce. Domani il Tribunale del Riesame esaminerà il ricorso presentato dai legali di Conserva (gli avvocati Michele Rossetti e Laura Palomba) contro l'ordinanza di custodia cautelare del 15 maggio. Analogo ricorso è stato presentato dai difensori di Archinà (i legali Gianluca Pierotti e Giandomenico Caiazza), ma probabilmente domani vi rinunceranno.