Ministra apre a idea Malagò. Letta apprezza, non lucrare sul tema.
Accelerare sullo ius soli? La ministra dell'Interno Luciana Lamorgese apre alla proposta lanciata dal presidente del Coni Giovanni Malagò per gli sportivi, auspicando che sull'argomento si arrivi ad "una sintesi politica". "E' un tema che si pone e di cui dobbiamo ricordarci non solo quando i nostri atleti vincono delle medaglie - afferma la titolare del Viminale -.
Dobbiamo aiutare le seconde generazioni a sentirsi parte integrante della società". Parole che accendono l'ira di Matteo Salvini ed innescano l'ennesimo scontro nella maggioranza. "Invece di vaneggiare di Ius Soli, il ministro dell'Interno dovrebbe controllare chi entra illegalmente in Italia", tuona il leader leghista. A lui replica a tono il segretario dem Enrico Letta: "Chi gioca e lucra sullo Ius soli semplicemente è fuori dalla realtà. E' un tema che non c'entra nulla con la sicurezza e la gestione dei migranti. C'entra con l'equità, l'integrazione, la vitalità di una società che è cambiata a dispetto della lettura faziosa che ne fanno i populisti".
La querelle tra Salvini e la ministra dell'Interno prosegue su un altro tema caldo: quello dei migranti. "I numeri sono aumentati, certamente, ma non parlerei di invasione...Salvini evidentemente non ha ben chiare quelle che sono le difficoltà che stiamo vivendo quotidianamente, ma se ci sono iniziative che non abbiamo adottato e lui ci può suggerire per bloccare gli arrivi via mare io le raccolgo volentieri", lo incalza Lamorgese. "Annuncia 'controlli a campione' nei bar e nei ristoranti. Quanto dobbiamo aspettare per 'controlli a campione' anche nei porti e ai confini?", ribatte il suo predecessore. A cavalcare l'argomento arrivano anche gli 'alleati' del centrodestra. "Ormai sbarcano quasi 1000 migranti al giorno.
Chiediamo un'azione Ue condivisa nella gestione dei flussi e dei rimpatri - afferma il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani -. E poi un piano per l'Africa. Fermiamo questa tratta di esseri umani". Mentre Giorgia Meloni rilancia l'idea del blocco navale per fermare subito "l'immigrazione illegale di massa".
Il sottosegretario all'Interno, il leghista Nicola Molteni, intanto, critica esplicitamente l'uscita del numero uno del Coni definito un "maldestro": "La cittadinanza è uno status non un diritto. La legge sulla cittadinanza non si cambia. Lo Ius soli non passerà mai - promette -. E la Lega è la garanzia di ciò".
Per il Nazareno, che incassa l'apertura di Lamorgese, "le Olimpiadi non hanno fatto altro che confermare quanto il Pd ripete da tempo: lo Ius soli è già nei fatti, è nella società, è nelle scuole, è tra i nostri ragazzi. Adesso la politica e le istituzioni hanno il dovere di adeguarsi a queste trasformazioni". Cerca di smorzare i toni l'azzurra Deborah Bergamini, secondo cui "più che pensare ad introdurre nuove forme di ius soli" servirebbe "far funzionare al meglio il sistema di regole attualmente in vigore. Ad ogni modo, complimenti al Presidente Malagó e a tutto lo sport italiano per questa Italia da record".
Plaude, invece, alla responsabile del Viminale il co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli: "Questi ragazzi devono sentirsi parte integrante della societa'. Ed è paradossale che Salvini parli di 'vaneggiamenti' mentre gioiva delle medaglie olimpiche vinte da atleti non nati in Italia".
In Senato aveva programmato da giorni un incontro con la candidata giallorosa in Calabria, Maria Antonietta Ventura. Ma Giuseppe Conte ha “colto l’occasione” per incontrare anche i senatori dei 5 Stelle, divisi per commissione, e per confrontarsi con loro sulla faticosa gestazione del nuovo Movimento, che – dopo il divorzio da Davide Casaleggio – ora sta cercando la strada della convivenza pacifica con l’ingombrante fondatore in partenza da Genova. Ha voluto giocare d’anticipo, l’ex premier aspirante capo: perché oggi, a Roma, arriverà Beppe Grillo per incontrare tutti gli eletti M5S. Ha scelto di venire di persona, non di scrivere un post sul blog. E se l’incontro “in presenza”, da una parte, garantisce di essere meno tranchant di qualunque messaggio dato in pasto alla Rete, dall’altro – per il leader in pectore – sarebbe stato un rischio troppo alto lasciare solo a lui la possibilità di “arringare” i gruppi sulle novità dello Statuto. Perché va bene che i rapporti sono “cordiali” e che “nessuna guerra è in corso” – come ha ripetuto ieri Conte ai senatori – ma è pur sempre un rapporto impari quello che vede contrapposti lui, arrivato al vertice del Movimento soltanto tre anni fa, e “Beppe” che di fatto è colui che tutti devono sempre ringraziare se stanno dove stanno.
Il richiamo della foresta, insomma, Conte ha provato a fermarlo sul nascere, anche incontrando un ristretto gruppo di deputati, ieri sera. E ha chiarito per prima cosa a tutti che non ha intenzione di mettere in piedi liste, che non ha nessun partito nel cassetto, consapevole che la “minaccia” che era circolata nei giorni scorsi poteva finire solo per irritare gli eletti che stanno aspettando il suo arrivo. “Il mio progetto è qui – ha spiegato a Palazzo Madama – non ci penso proprio a fare altro: ma io sono venuto per cambiare e il garante deve essere convinto, altrimenti faccio un passo indietro”. E cambiamento significa, nello specifico, rivedere il rapporto tra capo politico e garante, ovvero tra lui e Grillo. Una convivenza “senza accavallamenti”, ha spiegato, “altrimenti non potrei accettare”. Torna a ventilare il passo indietro, l’ex premier, per chiarire a tutti qual è la posta in gioco. “È necessaria una separazione delle filiere – è il senso del suo ragionamento – Al capo politico spetta la titolarità della linea politica, il garante sarà invece il custode dei valori”. Tutti, nel Movimento, sono consapevoli che il “totem” di Grillo non si possa toccare e che sia necessario preservare “una collocazione che lo rappresenti”: “È la nostra storia – ripetono – Giuseppe deve capirlo”. Ma è lo stesso Conte, raccontano, ad avere ben chiaro il concetto. Al punto che, nel nuovo statuto, sarebbe mantenuto intatto il potere di revoca del capo politico che è attualmente nelle mani del garante. Ma ammette pure che “i desideri sono tanti”, che è un modo per dire che – nella trattativa – Grillo avrebbe alzato la posta un po’ troppo in alto, a partire dai poteri sulla comunicazione che avrebbe voluto avocare a sé.
La mediazione, secondo Conte e i suoi fedelissimi, si troverà. Già ieri, i due si sono sentiti al telefono. Ma molto dipenderà dai toni del faccia a faccia che “Beppe” avrà con deputati e senatori oggi pomeriggio. “Se viene, ci vedremo sicuramente”, ha detto l’ex premier: vada come vada, comunque oggi qualcosa si chiude.
La pandemia morde senza pause e Regioni e governo litigano sui colori che fanno rima con chiusure e divieti. Eppure è ancora sul Mes che si scaricano le tensioni nella maggioranza. Al punto che la capidelegazione di ieri, dove si sarebbe dovuto discutere anche delle misure contro il Covid, diventa uno scontro che si dilata sino al pomeriggio, tutto sul fondo salva-Stati. Una battaglia, sostengono fonti trasversali, più a uso interno che sul merito. Su cui peserebbero anche le resistenze di parte del M5S sul dl Sicurezza, che hanno irritato il Pd.
In mattinata il premier Giuseppe Conte riunisce i capidelegazione (Alfonso Bonafede, Dario Franceschini e Teresa Bellanova), ma con loro ci sono anche il ministro degli Affari europei, Enzo Amendola e quello dell’Economia, Roberto Gualtieri. Perché all’ordine del giorno non c’è il ricorso ai 37 miliardi della nuova linea di credito sanitario, ma la riforma del Mes di cui si discuterà lunedì all’Ecofin: congelata dal dicembre 2019 per le resistenze dei Cinque Stelle, ma alla quale il ministro dell’Economia si è deciso a dire sì. Però le risorse del Mes restano una faglia che divide i giallorosa. Con i dem e Italia Viva che ripropongono l’esigenza di utilizzarle. Mentre Bonafede e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio fanno muro: “La nostra posizione non cambia, rimaniamo contrari”. E si mostrano freddi anche sulla riforma del fondo. “La linea del governo – sostengono – era sempre stata un’altra, ossia che la riforma del Mes dovesse essere collegata all’Unione bancaria e al Bicc (uno strumento di bilancio per finanziare riforme e investimenti, ndr)”. Dal Mef ricordano una risoluzione dell’ 11 dicembre 2019, con la quale il Parlamento impegnava il governo a iscrivere le riforme dell’Unione in una revisione della governance economica europea. Cosa, sostengono, di fatto avvenuta con le novità introdotte per contrastare l’emergenza Covid-19. Attraverso una logica di pacchetto: la funzione del Bicc sarebbe stata assorbita dal Next Generation Ue, mentre è stato creato lo strumento di un titolo obbligazionario sicuro (ad esempio gli Eurobond, che hanno preso la forma dei prestiti Sure), ed è stato escluso qualsiasi meccanismo che implichi la ristrutturazione automatico del debito pubblico.
Ma dietro alle obiezioni dei grillini c’è soprattutto il sospetto che il sì alla riforma del Mes sia un cavallo di Troia per spingere poi l’Italia a farvi ricorso. Così Bonafede chiede e ottiene l’audizione del titolare del Tesoro davanti ai presidenti delle Commissioni Finanze e Bilancio. E Gualtieri fa sapere che l’avrebbe fatta comunque. Mediatore obbligato in mezzo al fuoco incrociato, Conte ci tiene a chiarire che per passare dall’ok politico alla firma (a fine gennaio) occorre che il Recovery Fund sia sbloccato. Prova a smussare, il premier. Ma un paio di grillini di governo sbuffano: “Rispetto a qualche settimana fa Conte pare più ambiguo sul tema”. E sussurrano un aneddoto curioso, ossia che alla riunione avrebbe fatto capolino l’eurodeputato di En Marche Sandro Gozi, ex dem.
Sul tavolo, Gualtieri mette l’accordo che prevede l’anticipazione al 2021 del cosiddetto “backstop”, il paracadute per il Fondo unico di salvataggio bancario, strumento caro all’Italia, da dove prendere le risorse necessarie per “salvare” banche di interesse per l’intera Ue. Questo punto dovrebbe aiutare a far ingoiare l’altra parte della riforma che prevede il salvataggio di interi paesi: i critici sostengono che renderebbe più facile la ristrutturazione del debito. I Paesi frugali chiedono delle condizioni sulle regole bancarie che l’Italia rifiuta. Per cui, può essere che lunedì non ci sarà alcun accordo. Ma Gualtieri alle Commissioni dirà che sarebbe suicida ora porre un veto come quello dell’Ungheria di Orban, dopo che l’Europa ha messo in campo un nutrito pacchetto di aiuti, che l’early backstop è vantaggioso per l’Italia, che se si chiude lunedì verrà approvato un documento secondo cui quasi tutte le banche europee e tutte quelle italiane hanno passato il test e sono sicurissime.
Ma mentre Gualtieri continua a cercare di abbassare i toni, dal Nazareno fino a sera parlano dell’ennesima grana che il governo non è in grado di risolvere.
Rappresentazione artistica dello scontro tra due buchi neri (Mark Myers, ARC Centre of Excellence for Gravitational Wave Discovery - OzGrav)
Il loro turbolento incontro 7 miliardi di anni fa produsse un buco nero ancora più grande, ma non è la parte più strana e sorprendente di questa storia.
Sette miliardi di anni fa, due buchi neri entrarono in collisione tra loro producendo un gigantesco scontro. Le tracce di quell’evento, avvenuto a miliardi di chilometri di distanza dalla Terra, sono state rivelate di recente da un gruppo di ricercatori e offrono nuovi spunti e interrogativi sui buchi neri, gli oggetti più affascinanti e per molti versi misteriosi dell’Universo.
Uno dei due buchi neri aveva una massa circa 66 volte quella del nostro Sole, mentre l’altro era ancora più massiccio e si stima avesse circa 85 volte la massa della nostra stella. Si avvicinarono inesorabili avvitandosi l’uno sull’altro, fino a fondersi insieme liberando una colossale quantità di energia che iniziò ad attraversare l’Universo e che sarebbe stata poi rivelata dagli astrofisici dei nostri giorni. Da quell’immenso incidente nacque un nuovo buco nero, ancora più grande e con una massa stimata in circa 142 volte quella del nostro Sole. Nel caso in cui a questo punto ve lo stiate chiedendo: il Sole ha una massa di 2mila miliardi di miliardi di miliardi di chilogrammi, da sola costituisce il 99,9 per cento circa di quella complessiva del nostro sistema solare.
Gli astrofisici sanno da tempo che i buchi neri si possono scontrare tra loro, e infatti la scoperta del nuovo scontro è importante per un altro motivo: ha offerto una prima chiara occasione per rivelare la nascita di un buco nero di massa intermedia, una classe di questi oggetti piuttosto sfuggente. Grazie ai progressi ottenuti negli ultimi decenni, gli astrofisici hanno migliorato le loro capacità per scovare gli indizi sull’esistenza dei buchi neri di piccole dimensioni (con una massa tra le 5 e le 100 volte quella del Sole) e dei buchi neri supermassicci (che si trovano di solito al centro delle galassie e con masse milioni o miliardi di volte quella del Sole), mentre finora avevano avuto meno fortuna con i buchi neri intermedi, e che hanno una massa tra 100 e 100.000 volte quella del Sole.
In passato alcune misure avevano consentito di indicare la probabile esistenza di alcuni buchi neri intermedi, ma senza successive conferme per fugare i dubbi. Trovarli e studiarli è però molto importante, perché le loro caratteristiche potrebbero aiutare gli astrofisici a comprendere in generale le qualità e il comportamento dei buchi neri.
La scoperta del grande scontro, e della nascita del nuovo buco nero intermedio, è stata pubblicata questa settimana sulle riviste scientifiche The Astrophysical Journal Letters e su Physical Review Letters ed è stata resa possibile dall’osservazione delle onde prodotte dalla fusione dei due buchi neri. Questi scontri sono infatti talmente energetici da creare scossoni nello spazio-tempo, producendo increspature che si diffondono alla velocità della luce nell’Universo. Queste “onde gravitazionali” (qui le avevamo raccontate più estesamente, se siete confusi) ci arrivano quando sono ormai estremamente deboli, al punto da essere molto difficili da rilevare.
Dalla prima volta in cui sono riusciti a farlo nel 2015, gli astrofisici sono diventati abili cacciatori di onde gravitazionali grazie agli osservatori LIGO negli Stati Uniti e Virgo in Italia, registrando circa 70 eventi distinti. Quello dell’attuale ricerca, chiamato GW190521, era stato osservato il 21 maggio dello scorso anno, debole al punto da rischiare di passare inosservato. Utilizzando alcuni modelli al computer, i ricercatori sono riusciti a ricostruire le masse coinvolte nell’evento e la quantità di energia prodotta. Nello scontro, scrivono nella loro analisi, una massa pari a più di 7 volte quella del Sole fu rilasciata sotto forma di energia in poche frazioni di secondo.
La pubblicazione della ricerca ha attirato grande interesse tra gli studiosi di buchi neri, ma ha anche fatto sollevare qualche perplessità. Secondo alcuni, le onde gravitazionali rivelate sarebbero state prodotte dal collasso di una stella o da un altro evento cosmico di dimensioni contenute, considerata la loro debolezza. Gli autori della ricerca non escludono questa circostanza, ma ritengono che comunque la spiegazione dello scontro tra due buchi neri sia la più logica, sulla base dei dati in loro possesso.
Il nuovo studio potrebbe aiutare a spiegare alcune caratteristiche dell’Universo in relazione ai buchi neri: ce ne sono molti di piccoli e sparpagliati – che si sono formati in seguito al collasso gravitazionale di una stella massiccia alla fine della propria evoluzione (durante un’esplosione come supernovae) – e una quantità più contenuta di supermassicci al centro delle galassie. Una delle ipotesi più condivise è che questi ultimi si formino man mano che collidono e si fondono tra loro i buchi neri di dimensioni più piccole. Se così fosse, però, dovrebbero allora esserci buchi neri di dimensioni intermedie, cioè quelli in fase di accrescimento e che infine diventeranno supermassicci: trovarli si era rivelato finora estremamente difficile.
I ricercatori confidano di poter trovare presto nuove tracce della fusione di buchi neri che porta alla produzione di quelli intermedi. Nei prossimi mesi LIGO e Virgo saranno riavviati, dopo essere stati sottoposti ad alcune attività di manutenzione e potenziamento che hanno reso i loro sistemi ancora più sensibili. Una volta attivi, potrebbero aiutarci a capire qualcosa di più su tutto quello che ci sta intorno, anche a miliardi di anni luce da qui.
Uno dei leader No Tav, Alberto Perino, continua a ripetere che i 5Stelle sono traditori e la loro mozione in Senato contro il Tav “è una presa per i fondelli”. Attaccare i più vicini anziché i più ostili è un vecchio vizio, tipico dell’estremismo settario. In realtà quella di oggi, per il movimento No Tav, è una giornata storica: per la prima volta dopo 30 anni, un partito mette ai voti in Parlamento la cancellazione del cosiddetto Tav Torino-Lione, cioè l’opera pubblica più inutile, costosa, dannosa e demenziale della storia d’Europa. Più ancora del Ponte sullo Stretto, che almeno avrebbe il pregio dell’unicità, mentre il Tav non è un Tav, non andrebbe né a Torino né a Lione, e soprattutto è un assurdo doppione di un treno merci già esistente (il Torino-Modane), senza contare il Tgv Parigi-Milano per i passeggeri. A questo passaggio parlamentare, trattandosi di un’opera decisa da un trattato internazionale fra Italia, Francia e Ue, prima o poi bisognava arrivare. E questa legislatura è la più propizia per votare, visto che mai si era avuto né più si avrà in Parlamento un numero così alto di senatori contrari alla boiata: più di un terzo (circa 115 su 315: i 107 del M5S, 3 dei 4 di LeU, 3 o 4 ex grillini passati al gruppo misto). Certo, è pur sempre una minoranza: ma la più ampia che i No Tav abbiano mai avuto e mai avranno.
Se le mozioni fossero due, una pro Tav e l’altra anti Tav, i giochi sarebbero fatti: passerebbe la seconda. Ma oggi ciascun gruppo (tranne la Lega) presenterà la propria e i 5Stelle sono quello di gran lunga più numeroso. Ecco le formazioni in campo: M5S 107, FI 62, Lega 58, Pd 51, FdI 18, Misto 15, Autonomie 8, più 2 senatori sciolti. In una situazione normale, ciascun gruppo voterebbe la propria mozione e boccerebbe quelle altrui: così verrebbero tutte respinte, perchè nessuna raggiungerebbe la metà più uno dei votanti. Ma questa non è una situazione normale. La maggioranza è un ircocervo di due forze spaccate, diverse, spesso incompatibili fra loro: e proprio sul Tav stanno agli antipodi. Le opposizioni, quando vogliono fare un complimento al governo Conte, l’accusano di “distruggere l’Italia”. Il Pd ci aggiunge il fascismo, il razzismo, l’autoritarismo, l’emergenza democratica, l’invasione delle cavallette, l’Apocalisse: mai visto niente di peggio nella storia repubblicana. Tant’è che Zingaretti annuncia una “mobilitazione” per tutta l’estate e “una grande manifestazione nazionale in autunno” per abbattere il mostro e tornare “subito al voto”. Bene: se fosse vero che il Pd pensa questo e vuole questo, non ha bisogno di attendere l’autunno.
Oggi ha l’occasione d’oro, unica e irripetibile, per incunearsi tra i gialli e i verdi e allargarne la spaccatura fino a mandare in pezzi la maggioranza. Come? Trasformando il voto sul Tav nella tomba del governo Conte e nello smacco mai visto per il nemico principale, cioè Salvini. Il sistema è semplice. I 5Stelle e LeU hanno presentato due mozioni No Tav e se le approveranno a vicenda. Il Pd, FI, FdI e la Bonino (con Monti, Nencini, il LeU dissidente Errani e quel monumento di coerenza dell’ex pentastellato De Falco) ne hanno presentate quattro Sì Tav. La Lega non ha presentato mozioni, ma voterà per le quattro altrui, compresa quella del Pd, e contro quelle dei 5 Stelle (così violando platealmente il Contratto di governo, che impegna a ridiscutere integralmente il Tav e rende nullo il patto di governo se uno dei due contraenti vota contro l’altro su un tema previsto dal testo) e di Leu. L’unico sistema per far esplodere la maggioranza, è dunque fare in modo che venga approvata la mozione dei 5Stelle e la linea della Lega venga sconfitta. Il che può avvenire solo se le opposizioni lasciano soli i due soci di maggioranza ed escono dall’aula quando si vota la mozione dei 5Stelle, così da abbassare il quorum e trasformare i grillini da maggioranza relativa in maggioranza assoluta. I senatori al completo sono 315: se sono tutti presenti quando si vota la mozione dei 5Stelle, il quorum è 158 e i senatori M5S+LeU anti-Tav arrivano a stento a 115. Se escono Pd e FI, i presenti sono al massimo 202, il numero legale è garantito, ma il quorum scende a 102 e i 115 anti-Tav diventano maggioranza assoluta. Dunque la mozione No Tav viene approvata. A quel punto Salvini finisce al tappeto per il cazzottone in pieno grugno ed è capace di tutto: dalla crisi di governo alla lotta armata (di cazzate). E anche Conte esce malconcio, avendo annunciato che, fallita la mediazione con Macron e Juncker, il Tav va fatto (anche se poi ha aperto una porticina alla revoca in caso di voto parlamentare). Ricapitolando: se davvero il Pd ritiene che questo governo sia un “regime” pericoloso e che vada abbattuto a ogni costo, oggi o mai più: per centrare il suo obiettivo, non gli resta che uscire dall’aula con gli amici di FI quando si vota la mozione M5S, liberarsi dell’abbraccio mortale di Salvini e scatenare l’inferno. Se lo farà, si dimostrerà coerente, oltre che abile nell’arte della politica. E potrà vantarsi davanti agli elettori superstiti, e anche a qualcuno di ritorno, di aver liberato l’Italia dal pericolo pubblico numero uno.
In caso contrario, vorrà dire che Zinga&C. facevano ancora una volta ammuina, sceneggiata, teatrino dell’assurdo, ma in realtà sono i principali fan del governo e sarebbero disposti a tutto, anche di iscriversi alla Lega, pur di salvare gli affaristi del Tav ed evitare le elezioni. Quindi siano gentili: d’ora in poi ci risparmino gli allarmi democratici, gli stracciamenti di vesti, la militanza antifascista, i proclami tonitruanti contro il Duce redivivo, le mobilitazioni estive, le manifestazioni autunnali e altre esche per gonzi. E dicano una volta per tutte la verità: Partito degli Affari comanda e picciotto risponde.
Per la prima volta nella storia è stata rivelata un'onda prodotta dalla fusione di due stelle di neutroni e captata, dalle onde radio fino ai raggi gamma, la radiazione elettromagnetica associata. Il traguardo apre a numerose nuove scoperte.
L’astronomia sta per essere rivoluzionata. Per la prima volta nella storia, infatti, è stato catturato il segnale generato dalla fusione di due stelle di neutroni, così dense da costituire uno stato estremo della materia. Un traguardo reso possibile dai rivelatori a onde gravitazionali Ligo e Virgo e da 70 telescopi da Terra e spaziali, che aprono le porte a una vera e propria cascata di scoperte scientifiche. Grazie a queste rivelazioni, ad esempio, potrà essere confermata la teoria della relatività di Einstein che, oltre un secolo fa, sosteneva che le onde gravitazionali viaggiassero alla velocità della luce. Ma sarà anche possibile svelare il processo che porta alla formazione di metalli pesanti come oro, platino e uranio.
Astronomia "multimessaggero".
Nello specifico è stata rilevata un'onda gravitazionale prodotta dalla fusione di due stelle di neutroni ed è stata captata, dalle onde radio fino ai raggi gamma, la radiazione elettromagnetica associata alla poderosa esplosione avvenuta durante il fenomeno. Quello registrato è il primo evento cosmico nel quale vengono osservate sia onde gravitazionali che elettromagnetiche, avviando così l'era dell'astronomia "multimessaggero". Di fatto di una "nuova" disciplina che sfrutta osservazioni basate su segnali di tipo diverso e che estende notevolmente il nostro modo di "vedere" e "ascoltare" il cosmo. La scoperta è stata realizzata grazie alla sinergia tra le osservazioni nella banda elettromagnetica, realizzate da 70 telescopi a terra e nello spazio, e due osservatori: il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory(Ligo) negli Stati Uniti e il rilevatore europeo Virgo, che si trova nel nostro Paese e al quale l'Italia partecipa con l'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).
L’esplosione.
La fusione delle stelle di neutroni è avvenuta alla distanza di 130 milioni di anni luce dalla Terra, nella periferia della galassia NGC 4993, nella costellazione dell'Idra.Dall'esplosione è cominciata la corsa dei due segnali, che fisici e astrofisici sono riusciti a captare anche grazie a un lampo gamma avvistato dal satellite Fermi della Nasa, al quale l'Italia partecipa con l'Agenzia spaziale italiana (Asi). Un'avvistamento che ha consetito di fare una grande scoperta: la luce del lampo, stando alle rilevazioni, sarebbe arrivata 1,7 secondi dopo la registrazione dell'onda gravitazionale. Una differenza "calcolata in un numero estremamente piccolo" che confermerebbe che le due velocità sostanzialmente si equivalgono, dando ragione ai calcoli di Einstein nella sua teoria della relatività.
Svelato il mistero della genesi dei metalli pesanti.
L'osservazione della fusione della coppia di stelle di neutroni ha permesso agli astrofisici di cominciare a comprendere anche come si formano nell'universo i metalli più pesanti, come oro e platino. Dopo aver captato le onde gravitazionali e il lampo gamma, gli astrofisici sono riusciti ad individuare la posizione e puntare i telescopi spaziali in direzione delle due entità che sono così dense da essere considerate l'anticamera dei buchi neri. In questo modo sono riusciti a registrare la fusione della coppia di stelle nella luce visibile osservando i segnali spia della formazione dei metalli pesanti.
L'annuncio in contemporanea in Italia,
Europa e Usa. L'annuncio della nuova fondamentale scoperta, in cui l'Italia ha giocato un ruolo fondamentale, è stato dato in contemporanea nel corso di tre conferenze stampa simultanee organizzate a Washington dalla National Science Foundation, in Germania dall'Osservatorio Europeo Australe (Eso), e a Roma dal Miur in collaborazione con l'Infn, l'Istituto nazionale di Astrofisica e Asi, e alla presenza della ministra dell'Istruzione, Valeria Fedeli.
Risultati senza precedenti.
Secondo Gianluca Gemme, coordinatore nazionale del rivelatore Virgo per l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), quelli presentati il 16 ottobre sono risultati "senza precedenti". Per il fisico, infatti, la scoperta delle onde gravitazionali "è stata un momento storico, ma la ricchezza delle osservazioni venute in seguito è ancora superiore perché il numero di strumenti e di comunità scientifiche coinvolti in questa nuova osservazione non ha precedenti. Credo sia un fatto unico".
Il prof Cerulli Irelli all'HuffPost: "Andava interpretata diversamente, ma le leggi siano scritte in modo più chiaro."
"Non ho parole, ed è meglio...". È con il tweet delle 9.37 di Dario Franceschini che iniziano le tensioni tra il Governo e giudici amministrativi. Ed è con il post su Facebook a mezzogiorno del segretario Pd Matteo Renzi che le tensioni si trasformano in uno scontro tra politica e magistratura. Dopo la decisione del Tar del Lazio di bocciare le nomine di cinque direttori di musei avvenute per effetto della riforma targata Franceschini è partito, puntuale, il treno delle dichiarazioni politiche. Con il segretario dem Matteo Renzi che ha di fatto indossato l'elmetto: "Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei: abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar". Tar nel mirino, tanto che il ministro della Giustizia Andrea Orlando ne chiede una 'riforma'. "Andrebbero cambiati, senza demonizzarli, precisando meglio qual è l'ambito di competenza della politica e quello del tribunale amministrativo che spesso entra nel merito di scelte che dovrebbero essere della politica", ha dichiarato a L'Aria che Tira.
Con due sentenze, la 6170/2017 e la 6171/2017, i giudici laziali hanno bocciato cinque nomine di direttori di musei avvenute sulla base della riforma dei voluta da Dario Franceschini, sotto il governo Renzi, con il decreto legge 83/2014. Tre le motivazioni: criteri "magmatici" di valutazione dei candidati con riduzione a sole tre classi di merito (A, B e C), prove orali di una selezione pubblica svolte a porte chiuse, in alcuni casi via Skype. E un pasticcio, più lessicale che meramente giuridico, sull'assegnazione di incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione a candidati di origine straniera.
Un duro colpo per il Governo e, di riflesso, per il Pd di Matteo Renzi che proprio sul tema della cultura ha impostato larga parte della sua narrazione e che rivendica, non da oggi, la crescita di visitatori nei musei italiani degli ultimi anni. "Il fatto che il Tar del Lazio annulli la nostra decisione merita il rispetto istituzionale che si deve alla giustizia amministrativa ma conferma - una volta di più - che non possiamo più essere una repubblica fondata sul cavillo e sul ricorso", ha attaccato il segretario dem.
Gli attacchi serrati del Pd alla magistratura amministrativa non potevano passare sotto silenzio dei diretti interessati. "Le istituzioni rispettino i magistrati, chiamati semplicemente ad applicare le leggi, spesso poco chiare se non incomprensibili. La nomina di dirigenti pubblici stranieri (chiamati a esercitare poteri) è vietata nel nostro ordinamento. Se si vogliono aprire la porte all'Europa - e noi siamo d'accordo - bisogna cambiare le norme, non i Tar", ha dichiarato il presidente dell'Associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma) Fabio Mattei.
"I concorsi - ha aggiunto Luca Cestaro, segretario generale Anma - per definizione sono pubblici. Un concorso il cui colloquio avviene via skype con candidati collegati magari dall'Australia e senza possibilita' di assistervi - com'è capitato ad alcuni candidati alla direzione dei musei - semplicemente non è un concorso. E' una conversazione privata, senza alcuna garanzia sulla trasparenza della procedura".
Posizione più cauta quella assunta dal professore Vincenzo Cerulli Irelli, esperto di diritto amministrativo: "È evidente che il decreto era volto a favorire l'adeguamento a standard internazionali nella gestione dei musei, in questo senso credo che il Tar abbia interpretato male la riforma Franceschini. L'intento era proprio quello di svecchiare questo Paese", ha commentato all'HuffPost. "Quanto alla questione degli orali a porte chiuse, qui è evidente l'errore procedurale: i concorsi si fanno a porte aperte. Tuttavia mi sembra esagerato che venga chiesto di riformare i Tar: come tutti i giudici a volte fanno bene, a volte male. Anzi, a me sembra che i Tar funzionino meglio di altri giudici. Di certo le norme vanno interpretate in base alla ratio e agli obiettivi che si danno. Certo, il decreto poteva essere scritto in maniera più chiara, ma io l'avrei interpretata diversamente dal Tar", ha concluso Cerulli Irelli.
Secondo i giudici del Lazio l'assegnazione della direzione dei musei, che si configura come incarico di livello dirigenziale, a cittadini stranieri non è esplicitata nel testo del decreto. In altre parole, la riforma Franceschini, per come è scritta, non deroga al divieto di assegnazione di incarichi dirigenziali a cittadini non italiani come regolato dal decreto legislativo 165/2001: "Le disposizioni speciali introdotte dall'art. 14, comma 2-bis, del d.l. 84/2014, convertito in l. 106/2014, non si sono spinte fino a modificare o derogare l'art. 38 d.lgs. 165/2001", si legge nella sentenza. Tradotto: se nel decreto fosse stato chiaramente superato il divieto stabilito dalla legge che regola le modalità di assegnazione di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, quali sono le figure di direttori di museo come stabilito dalla riforma Franceschini, le nomine in oggetto sarebbero state valide a tutti gli effetti.
"Deve quindi affermarsi che il bando della selezione qui oggetto di contenzioso non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani in quanto nessuna norma derogatoria consentiva al MIBACT di reclutare dirigenti pubblici al di fuori delle indicazioni, tassative, espresse dall'art. 38 d.lgs. 165/2001", scrive sempre il Tar. E questo perché, si legge, "l'articolo 38 [..] non è citato". E l'entità e la portata della deroga in questione "va circoscritta al numero dei conferimenti di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione", in quanto è chiaro, "anche sotto il profilo di semplice analisi lessicale", che la riforma dei musei impatta esclusivamente sull'articolo 19 della norma di riferimento che regola la percentuale di personale di livello dirigenziale nelle pubbliche amministrazioni.
Quanto al fatto che alcune prove orali si siano svolte a porte chiuse, il giudice amministrativo rileva che "secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, al fine di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento tra i candidati di una selezione pubblica [...]) occorre che durante le prove orali sia assicurato il libero ingresso al locale, ove esse si tengono, a chiunque voglia assistervi e, quindi, non soltanto a terzi estranei, ma anche e soprattutto ai candidati, sia che abbiano già sostenuto il colloquio, sia che non vi siano stati ancora sottoposti [...] al fine di verificare di persona il corretto operare della commissione". Tradotto: i concorsi pubblici sono tutti a porte aperte per motivi di ovvia trasparenza. E non su Skype, come invece è accaduto per i candidati Stefano Carboni e Flaminia Gennari Santori, residenti in Australia il primo e in Usa la seconda.
Infine il Tar del Lazio contesta le tre classi di giudizio dei candidati ammessi al colloquio con la Commissione: valutazione contraddistinta con tre lettere (A per i punteggi da 15 a 20 punti, B per i punteggi da 11 a 14 e C per i candidati meritevoli di 10 punti). "Come è noto, in punto di diritto, il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti", scrive il Tar. E infatti, nel caso in questione la "magmatica riconduzione" dei 20 punti alle tre classi di valutazione "non consente di comprendere il reale punteggio attribuito a ciascun candidato, anche in ordine al criterio di graduazione di ogni singolo punto dei 20 da assegnare all'andamento della prova orale, a conclusione del colloquio sostenuto".
Non è un incidente, è un crimine con molti colpevoli. Quei poveri viaggiatori uccisi sul binario unico sono vittime dell'immondo comitato di affari e tangenti che rovescia tonnellate di miliardi di euro su linee ad alta velocità inutili e sovradimensionate (fra Milano e Torino è stata progettata per merci e passeggeri, solo per far salire i costi, e per esser "economica" dovrebbero correrci almeno 400 treni al giorno; invece ne passano una quarantina e nemmeno uno merci); mentre al Sud si lasciano città senza treno, come Matera, altre ne vengono private, perché "non conviene"; e nel 2016 si sta ancora a binario unico su lunghi tratti, in regioni in pieno boom turistico, come la Puglia, la Calabria, la Sicilia, costringendo venti milioni di persone a collegamenti con velocità medie inferiori a quelle di un secolo fa, ma a prezzi, di fatto, più alti che nel resto del Paese e con vere e proprie truffe (frecciargento-fecciaschifo dismesse dal Nord, che percorrono gli stessi tratti dei regionali, ma a prezzi 7 volte maggiori e impiegandoci più tempo). Siete (voi che questo avete costruito) assassini. Non possiamo portarvi dinanzi a un tribunale, perché avete fatto in modo da rendervi assolti; ma di fronte alla coscienza del mondo (esclusa la vostra, si capisce, della cui esistenza non abbiamo prove) siete condannati per omicidio plurimo, strage. Signor Renzi Matteo, spieghi ai parenti di quei morti perché su 4560 milioni per le ferrovie ne ha destinati 4500 da Firenze in su e 60 da Firenze in giù(se sono arrivati sotto Firenze...). Signor Delrio Graziano, informi chi sta piangendo per aver perso la ragione della sua vita che i suoi geologi stanno analizzando le rocce per capire se si può fare il treno fra Napoli e Bari. Poi, magari, spieghi ai suoi figli cos'è l'equità, il rispetto degli altri (valuti se è il caso di raccontare come ha fatto a non accorgersi che la sua Reggio Emilia, con lei sindaco, diventava "il bancomat della 'ndrangheta", mentre lei faceva visita ufficiale, per la festa del patrono, a Cutro, patria del boss Grande Arachi); Signor Mauro Moretti, lei che, da capo di Trenitalia, pare cambiasse discorso quando si parlava di Sud (e se no, come ci diventava, da sindacalista, numero uno dell'azienda) vada dai sopravvissuti, a dire che ha fatto solo il suo dovere spendendo i soldi di tutto il Paese, solo in una parte del Paese; venda anche a loro la favola dell'azienda privata con i soldi nostri.
Non veniteci a parlare di errore umano; non veniteci a dire che i lavori per raddoppiare la linea erano in corso; non diteci che quelle sono le Ferrovie del nord Barese e voi siete altro... Lo sappiamo cosa siete. Non cercate i colpevoli, cercate uno specchio. Fra lacrime di rabbia e di dolore, vi maledico; auguro ai vostri figli di non somigliarvi, per essere, come meritano, migliori. Voi che, come quanti vi hanno preceduto, avete spezzato un Paese in due aumentando i privilegi per alcuni e sottraendo diritti ad altri, siete colpevoli per esservi adeguati ai voleri di quelli cui dovete obbedienza e dei quali dovete garantire gli interessi; colpevoli come i nostri rappresentanti (si fa per dire: li scegliete e ce li imponete) che vi vendono la propria gente, per essere i primi degli ultimi; colpevoli come noi, per non essere stati capaci di tirarvi giù dai luridi seggi da cui vi illudete di contare qualcosa. Quando il mondo era civile, i responsabili di disastri come questo ne vivevano il tormento a vita. Questi sono omicidi: l'iniquità è un'arma che colpisce a distanza, anche di tempo e il delitto non si rende manifesto. È vero che gli scontri possono avvenire anche dove il binario è doppio, ma è più facile che accadano dove è unico. Quindi, lasciandolo unico al Sud e doppio altrove, avete decretato chi deve morire prima. Che è l'essenza del potere. E della vostra colpa.