In attesa del ritorno delle pagine estive del Fatto col cruciverba politico e gli altri giochi, ve ne propongo uno irresistibile: tradurre in italiano i titoli dei giornaloni. Per azzeccare la risposta esatta, basta rovesciarli. L’altroieri Repubblica titolava “Draghi e Merkel, intesa sui migranti”. Ovviamente il titolo andava letto così: “Draghi e Merkel, nessuna intesa sui migranti” (a parte gli altri 8 miliardi regalati a Erdogan, che evidentemente ha smesso di essere un “dittatore”). Ieri il Corriere apriva sull’anatema vaticano: “Legge Zan, interviene Draghi”. Ma il titolo andava letto così: “Legge Zan, non interviene Draghi”. Infatti l’altroieri, alla domanda di un giornalista sfuggito al controllo dei suoi portavoce, il premier aveva evitato di rispondere, promettendo che l’avrebbe fatto l’indomani in Parlamento. Cioè ieri (sei giorni dopo aver saputo la cosa). Quindi, al massimo, il titolo avrebbe dovuto essere: “Legge Zan, interverrà Draghi”.
Ieri in effetti Draghi è intervenuto alla Camera. Ma, oltre a dimenticarsi il nome del premier che ha procurato all’Italia i miliardi del Recovery, s’è scordato di rispondere al Vaticano (l’unica carica dello Stato a farlo è stato il presidente della Camera Roberto Fico: “Il Parlamento è sovrano e non accetta ingerenze”). Anche perché tutti i parlamentari, di maggioranza e di cosiddetta opposizione, erano talmente impegnati a leccarlo whatever it takes da dimenticarsi di sollevare la questione. Dimenticarsi si fa per dire, visto che da Palazzo Chigi avevano raccomandato loro di astenersene. Cioè di rinunciare alla loro unica ragione di esistenza in vita: il controllo sul governo. E l’aula sorda e grigia, spontaneamente ridottasi a bivacco di manipoli, anzi di turiboli, ha prontamente obbedito, evitando di disturbare il manovratore. Con la sola eccezione di Fratoianni, che ha stigmatizzato il silenzio del premier. Draghi, non potendolo più fare alla Camera, gli ha replicato al Senato, ma solo per dire che “lo Stato è laico” (ma va?) e “il governo non entra nel merito della discussione, è il momento del Parlamento” (ma il Concordato è fra governi). Resta da capire che le paghiamo a fare, quelle 945 pecore belanti, se non hanno nemmeno il coraggio di fare una domanda al capo del governo. E dire che, fino a cinque mesi fa, strillavano come ossessi su Mes, rimpasto, prescrizione, governance del Pnrr, cybersicurezza, servizi segreti, Reddito di cittadinanza: le stesse questioni su cui ora tacciono e acconsentono. Ieri era il quarto anniversario della morte di Stefano Rodotà e per un attimo abbiamo rimpianto di non poter sentire la sua voce sul ddl Zan, sul Vaticano e su questo bel regimetto. Ma poi abbiamo concluso che è meglio così: almeno lui s’è risparmiato questo spettacolo penoso.
ILFQ