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domenica 18 giugno 2023

Il Governo è in ritardo sull’indicazione delle fonti energetiche alternative...


Pubblichiamo il comunicato stampa dell'Osservatorio sulla Transizione Ecologica-PNRR - promosso da Laudato Sì, Coordinamento Democrazia Costituzionale, Nostra, Ambiente e lavoro - dal titolo: "Il Governo è in ritardo sull’indicazione delle fonti energetiche alternative e non prevede nessuna consultazione con i portatori di interesse né la necessaria partecipazione alle scelte".


Il Governo ancora non indica, se non nel vago, quali siano le riforme e i progetti che intende sostenere e incentivare sia nel PNRR che nel nuovo capitolo del REPowerEU, un fondo di integrazione con l’obiettivo di assicurare la diversificazione delle forniture e accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili, ricordando l’obiettivo della riduzione del 55% entro il 2030 delle emissioni climalteranti. Su questo argomento strategico per i comparti produttivi del nostro Paese il Governo non prevede la necessaria partecipazione alle scelte, nemmeno la consultazione dei portatori di interesse prevista dalla UE.

I progetti vanno realizzati entro agosto 2026: ritardare ancora può comprometterne la realizzazione, indispensabile per rafforzare la disponibilità energetica del Paese, ridurne i costi e decarbonizzare le attività produttive, in coerenza con il contrasto al cambiamento climatico.

I segnali della maggioranza, del Governo e dei Ministri responsabili delle scelte sono inquietanti. Il sequestro del carbonio nel sottosuolo (CCS) con soldi pubblici, bocciato dal Consiglio regionale dell’Emilia Romagna e da una call dell’UE, escluso dal PNRR rientra dalla finestra con il REPowerEU; il carbone forse uscirà prima del previsto, ma il governo vuole reintrodurre il nucleare in Italia stracciando i risultati di ben due referendum popolari.

Il Ministro Pichetto Fratin ha anticipato l’aggiornamento del Pniec ma senza la prevista consultazione dei portatori di interesse, ipotizzando un mix energetico al 2030, con due terzi di rinnovabili e un terzo di fossili, ma non perde occasione per dichiararsi per il ritorno al nucleare, senza alcun rispetto per il voto della maggioranza dei cittadini.

Facile intravvedere nel terzo di fossili il mantenimento, se non l’aumento, del metano, nella prospettiva di diventare un hub per l’Europa, che non dovrebbe esistere nella transizione energetica di alcun paese dell’UE. Il Governo sta preparando la reintroduzione dell’azzardo del nucleare da fissione. Si parla di fusione solo per confondere le idee, perché comunque non sarà disponibile prima di molte decine di anni.

Gli interessi che vogliono il nucleare da fissione non vanno sottovalutati, hanno lavorato da anni per la sua riabilitazione. Il nucleare da fissione sarebbe una scelta grave e sprezzante della volontà popolare e non potrebbe che trovare risposta in un nuovo referendum abrogativo, perché nulla è sostanzialmente cambiato - a cominciare dal problema irrisolto della sicurezza e delle scorie - da quando l’Italia ne è uscita per prima, per di più ora anche la Germania ha chiuso le sue centrali.

Gran parte delle centrali nucleari sono invecchiate e la terza generazione avanzata, la cosiddetta III+ (AP 1000, reattore PWR della Westinghouse, EPR PWR di Areva) sono un clamoroso fallimento senza dimenticare che l’EPR che Sarkozy voleva appioppare al Governo Berlusconi, respinto dal referendum del 2011, è passato a Flamanville da 3,2 miliardi di Euro a 19 come ha denunciato la Corte dei Conti francese.

Solo il salvataggio dello stato francese tramite EDF ha evitato il clamoroso fallimento di Areva. Miliardi di quella rovinosa avventura saranno recuperati dalla Francia tramite l’inserimento del nucleare, insieme al gas, nella “tassonomia verde”, a carico quindi di tutti i Paesi della UE. Un esito fortemente voluto e determinato al Parlamento di Strasburgo da tutta la Destra europea.

La IV generazione del nucleare da fissione è di là da venire, e, in ogni caso, sarà a carico dello stato, visto che da quando i sei progetti di reattori sono stati presentati nel 1999 dal Generation International Forum (GIF), nessun privato da 20 anni si è fatto avanti per produrre un prototipo industriale di potenza.

E’ auspicabile che la Destra al governo cominci a dubitare del nucleare. Le grandi centrali di potenza invecchiano prima di essere allacciate alla rete, i loro costi si moltiplicano per sei, la Generation IV che doveva subentrare resta sulla carta, né si può ripiegare sui reattori (Small Modular Reactor), “piccoli e sicuri” che semplicemente non lo sono ma moltiplicano i problemi. Per di più il numero di SMR per ottenere una potenza pari a quella di un EPR (1.600 MW) configura una disseminazione radioattiva di decine di piccoli impianti di 70-100 MW, come i due attualmente in esercizio sui 50 progettati. Questa filiera è militare, come la costruttrice Rolls Royce ha rivendicato dal Governo inglese.

Il nucleare è più vecchio del transistor, ha sottolineato il Nobel Giorgio Parisi, infatti i Reattori III+, Generazione IV, SMR sono tutti basati sugli stessi principi di funzionamento. Da quando la fissione nucleare è diventata impianto per la generazione elettrica le migliorie sono solo ingegneristiche, nessuno ha ripensato alla Fisica del Reattore per garantire la sicurezza della fissione in termini non solo di componenti e loro modifiche o di sala di controllo.

Il Governo è paralizzato nella realizzazione del Deposito nazionale per la bassa e media attività radioattiva. Si è tentato di aggirare il problema delle scorie ad “alta attività” stoccando tutto nella stessa area, allarmando ancora di più le popolazioni e facendoci così restare sotto infrazione della Commissione UE. La credibilità del governo sul nucleare è pari alla sua incapacità di dare attuazione ai Depositi per le scorie.

Mario AgostinelliAlfiero GrandiJacopo RicciMassimo SerafiniMassimo Scalia

Foto: https://it.freepik.com/foto-premium/mano-che-tiene-l-energia-solare-del-

sistema-ecologico-in-citta_3896415.htm

https://www.adista.it/articolo/70173

venerdì 12 marzo 2021

“Fate presto!”, ma ora non più I Ristori spariti pure dai media. - Giacomo Salvini

 

Adesso si può - Gli aiuti slittano di nuovo, ma gli allarmi svaniscono. Appelli, ristoratori disperati e rivolte su stampa e tv sono solo un ricordo.

I collegamenti strappalacrime di Barbara D’Urso con i ristoratori “senza aiuti”, “lasciati soli” e con “solo le mance per pagare le bollette” da Milano a Palermo, da Bari a Trento, sono improvvisamente spariti. La marcetta su Roma dello chef stellato Gianfranco Vissani con ristoratori al seguito per protestare contro il governo Conte che sta “uccidendo i ristoratori” e le sue “mancette” è solo un lontano ricordo. Per non parlare dei giornali che, durante la crisi aperta da Matteo Renzi, prendevano in prestito l’allarme del Mattino del 1980 durante il terremoto dell’Irpinia per chiedere alla politica di “fare presto” e approvare subito il decreto Ristori 5 per aiutare le attività – dai ristoranti ai bar agli impianti sciistici – che avevano dovuto chiudere a gennaio. Adesso però tutti gli allarmi, gli sos e le manifestazioni dei ristoratori (con tanto di assembramenti in piazza Montecitorio con l’hashtag #ioapro sostenuto da Matteo Salvini) sono scomparsi dai giornali e dalle televisioni. Ora non c’è più il governo Conte ma, da quattro settimane, a Palazzo Chigi siedono “i migliori” di Mario Draghi. E quindi l’urgenza per approvare il decreto, ribattezzato “Sostegno”, da 32 miliardi, tutto d’un colpo non c’è più: il provvedimento è slittato di un’altra settimana mentre i tecnici del Tesoro stanno ancora cercando una quadra su fisco, sanità, vaccini e lavoro. I ristori alle attività valgono circa 5 miliardi ma non arriveranno subito: gli imprenditori dovranno aspettare almeno un mese. E allora è utile ricordare tutti coloro che fino a poche settimane fa attaccavano il governo per aver “lasciato soli” i lavoratori e oggi, invece, tacciono.

Il primo a lanciare l’allarme a inizio gennaio era stato proprio Matteo Renzi che dopo aver fatto dimettere le due ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti dal governo Conte, aveva dichiarato: “Votiamo subito lo scostamento di Bilancio e il decreto Ristori” (17 gennaio). Lo scostamento da 32 miliardi era stato approvato il 20 gennaio dal Senato ma del decreto Ristori non s’è più saputo niente. Stesse parole, a metà gennaio, della ormai ex ministra Teresa Bellanova: “Approviamo subito Ristori e Recovery”. Niente di fatto ancora: un governo dimissionario non poteva certo approvare un decreto politicamente così importante come quello degli aiuti alle attività economiche rimaste chiuse. Per non parlare di Salvini e della Lega che dall’opposizione bombardavano tutti i giorni i giallorosa per il mancato arrivo degli aiuti: “Conte, sui ristori non prendere per i fondelli gli italiani” diceva in un video su Facebook il leader del Carroccio dopo aver ascoltato le comunicazioni dell’ex premier alla Camera in piena crisi di governo. E ancora “rimborsi siano certi” (16 gennaio) e “subito rimborsi proporzionati alle perdite subite” (18 gennaio). Anche Silvio Berlusconi l’11 gennaio sul Giornale chiedeva al governo di “fare presto”: “Mentre ci sono vergognosi giochi di palazzo, il Paese è bloccato”. La prima grana del governo Draghi, sostenuto anche da Lega e Forza Italia, è stata proprio la mancata riapertura degli impianti sciistici prevista per il 15 febbraio e poi rimandata a data da destinarsi. Dopo quella decisione, la Lega era tornata a bomba: “Subito i ristori” chiedevano in coro i ministri del Carroccio, Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia. Il 22 febbraio, poi, Salvini non poteva mancare alla manifestazione #Ioapro dei ristoratori in protesta con la decisione di non riaprire i locali anche la sera e il giorno dopo andava dicendo: “Ristori subito e accelerazione sul piano vaccinale”. Niente da fare.

Anche i giornali per mesi hanno usato fiumi di inchiostro sul blocco dei Ristori mentre oggi che il governo Draghi sta ritardando nell’approvare il decreto, il tema è scomparso. Basta recuperare i giornali di un mese e mezzo fa: “Le chiusure accelerano ma i ristori frenano” (Sole 24 Ore, 9.1), “Ristori e fondi Ue al palo. Mancano i soldi per ripartire e i pochi rimasti li butta Conte” (Libero, 20.1), “Ristori, Recovery, sfratti. Dieci giorni di stallo e il Paese resta al buio” (Il Giornale, 24.1), “Ristori a rischio per la crisi” (Il Messaggero, 25.1), “Fate presto. Dal Recovery Plan ai ristori l’agenda economica è appesa alla crisi” (Linkiesta, 27.1), “L’Italia non ce la fa più. L’urlo delle imprese: ‘fate presto!’ (La Stampa, 28.1). Oggi Aldo Cursano, vicepresidente di Fipe, attacca: “Tra crisi di governo e ritardi sul decreto si sono buttati due mesi – dice al Fatto – è così che si rompe il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/11/fate-presto-ma-ora-non-piu-i-ristori-spariti-pure-dai-media/6129509/

venerdì 5 marzo 2021

I ristori? Nessuna fretta, il governo rimanda ancora: fino a un mese per la piattaforma, dopo le richieste. Per le aziende ferme altre settimane senza soldi.

 

INDENNIZZI A RILENTO - Secondo le bozze del cosiddetto decreto Sostegno, a partire dall'approvazione (che arriverà la prossima settimana ma non si sa quando) ci saranno 30 giorni di tempo per Sogei per elaborare un nuovo sistema informatico per le procedure di rimborso. Dopo altri 10 giorni partiranno i pagamenti. Insomma: il rischio è che i soldi arrivino dopo Pasqua.

Oltre un mese fa, quando la crisi politica che ha portato Mario Draghi a Palazzo Chigi non si era ancora conclusa, l’erogazione degli indennizzi alle attività chiuse causa Covid sembrava la priorità assoluta di tutti i partiti. Tanto che il governo Conte, in carica solo per gli affari correnti, era al lavoro per approvare comunque il decreto Ristori 5 dopo l’ok unanime dell’Aula allo scostamento di bilancio. Ma ora che il nuovo esecutivo è pienamente operativo e sono passati 20 giorni dal giuramento dei ministri, il nuovo provvedimento ancora non si vede. Il lavoro si preannuncia lungo: il testo sarà oggetto di riunioni continue in settimana per arrivare a uno schema condiviso entro 7-10 giorni. Non solo. Stando all’ultima bozza anticipata dall’Ansa, gli esercenti potrebbero vedere i primi soldi solo dopo Pasqua. Il motivo è che, per bonificare gli aiuti, il ministero dell’Economia vuole una nuova piattaforma gestita da Sogei. La tabella di marcia prevede che la società abbia 30 giorni di tempo, a partire dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto, per costruirla. Poi si aprirà una finestra temporale per le richieste. L’Ansa calcola quindi altri 10 giorni per i primi contributi – verosimilmente inizio aprile – e la chiusura di tutta la partita entro il 30. In pratica ci saranno aziende che vedranno i soldi a oltre tre mesi dall’ultimo bonifico.

Il provvedimento, ribattezzato decreto Sostegno, prevede però anche diverse novità. A partire dalla scomparsa, ampiamente annunciata, dei codici Ateco. Il meccanismo, stando a questa bozza, non sarebbe quello del rimborso dei soli costi fissi che si ipotizzava da settimane. Ma rimarrebbe legato al calo di fatturato: non più quello del solo aprile 2020 a cui finora sono stati ancorati i precedenti ristori bensì la media mensile dell’intero anno rispetto al 2019, a patto di aver perso nel complesso almeno il 33% (ma la percentuale è ancora da confermare). Nel decreto sono previsti poi altri due miliardi di euro per il Piano vaccini, compreso il trasporto, la somministrazione e il coinvolgimento dei medici di famiglia, e le terapie anti-Covid. I licenziamenti vengono bloccati fino a fine giugno, mentre la Cassa integrazione Covid potrebbe essere prorogata fino a fine anno. Il governo lavora anche alla sospensione dell’invio di nuove cartelle per altri due mesi, cioè fino a fine aprile.

Per imprese, esercenti e partite Iva cambiano inoltre le fasce di indennizzo. La bozza attuale ne prevede quattro: il 30% per le attività con ricavi fino a 100mila euro, 25% fino a 400mila euro, 20% fino a un milione e 15% per quelle con fatturato più alto, mentre si starebbe ancora valutando come intervenire per sostenere le start up. I decreti ristori del governo Conte riconoscevano invece cifre parametrate al 20% della differenza di fatturato tra aprile 2020 e aprile 2019 per chi avesse avuto ricavi 2019 sotto i 400mila euro15% in caso di ricavi tra 400mila euro e 1 milione e 10% con ricavi tra 1 e 5 milioni. Questi aiuti dovrebbero coinvolgere 2,7 milioni tra imprese e professionisti con fatturato fino a 5 milioni. L’intenzione di prevedere tetti più alti di fatturato è confermata a Radio24 dalla viceministra all’Economia Laura Castelli.

“Gli uffici tecnici preposti sono al lavoro per individuare un pacchetto di misure normative di sostegno ispirato all’equità, alla celerità, alla semplificazione e alla immediatezza”, ha aggiunto il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti durante il question time alla Camera. Il provvedimento, sostiene , “è ispirato ad una radicale semplificazione delle attuali procedure, superando lo schema normativo improntato sulla base del codice Ateco e favorendo l’automatismo dell’erogazione in tutti i casi in cui ciò risulta possibile, ed eventualmente prevedendo anche in modo opzionale la possibilità di compensazione in sede di dichiarazione“. Per quanto riguarda le tempistiche di approvazione, Giorgetti fa sapere che il decreto “vedrà la luce, auspicabilmente, entro la prossima settimana“.

Nel provvedimento sarebbero previsti anche 600 milioni da aggiungere ai contributi a fondo perduto per la filiera della neve, visto lo stop definitivo della stagione per lo sci, da ripartire in Conferenza Stato-Regioni. Per la filiera della montagna, però, si starebbe ragionando su come modulare in modo diverso l’intervento. Così come si valuta se rafforzare ulteriormente il finanziamento per il piano vaccinale e sarebbe ancora in discussione la modalità con cui fare ripartire la riscossione delle cartelle. Al momento si pensa a un nuovo stop generalizzato fino al 30 aprile sia per l’invio di nuovi atti sia per il pagamento delle rate della cosiddetta ‘pace fiscale’ cioè la rottamazione ter e il saldo e stralcio. Il capitolo fiscale, peraltro, potrebbe anche contenere un nuovo stralcio delle cartelle ferme da anni nel magazzino: si ipotizza di cancellare quelle tra il 2000 e il 2015 per importi massimi fino a 5mila euro comprese sanzioni e interessi. L’intervento riguarderebbe 60 milioni di cartelle e avrebbe un costo di due miliardi tra 2021 e 2022.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/03/i-ristori-nessuna-fretta-il-governo-rimanda-ancora-fino-a-un-mese-per-la-piattaforma-dopo-le-richieste-per-le-aziende-ferme-altre-settimane-senza-soldi/6120471/