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giovedì 16 aprile 2020

Andrea Scanzi

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Giusto e forte come un Dio greco, quest’allegro ometto qua spopola nei sondaggi (non raggiunge il 2%). Domina le classifiche di gradimento tra i politici (è ultimo dietro qualsivoglia “statista” contemporaneo, compreso Tabacci, Scaramacai e Gino del bar di Montione). Furoreggia nelle dirette Facebook (ha smesso di farle perché aveva meno pubblico del falco che covava le uova sopra il Pirellone) e in quelle Instagram (dove ha cifre tipo qua sotto). Si fa accompagnare da una classe dirigente straordinaria (i nomi fateli voi, a me vien da ridere). Si atteggia a “leader” della “sinistra”, sebbene con entrambe le cose non c’entri poi granché. E da anni, nonostante una stampa colpevolmente benevola, colleziona più sconfitte dell’ispettore Ginko con Diabolik.

Eppure uno così, che nel paese reale ha meno peso (politico) di un glicine irrisolto, può far cadere da un momento all’altro il governo. E secondo me lo farà, magari sul Mes, non appena sarà cominciata la (terribile) fase 2. Qualora accadesse, e la cosa mi stupirebbe come una carognata di Gemma in Sons of Anarchy, ricordatevi bene la faccia di chi avrà permesso alla destra (questa destra) di prendersi il potere.


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martedì 8 ottobre 2019

Geppetto e Pinocchio. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano dell'8 Ottobre.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono

La condanna di babbo e mamma Renzi a 1 anno e 9 mesi ciascuno per false fatture, cioè per frode fiscale, potrebbe essere una questione privata del signor Tiziano e della signora Laura. Non c’è alcun elemento che dimostri un qualunque ruolo del figlio Matteo nella vicenda. E il fatto che il loro amico Luigi Dagostino, imprenditore del ramo outlet, condannato (anche per truffa) a 2 anni, abbia dichiarato al processo di aver pagato nel 2015 quelle due fatture esorbitanti da 160 mila euro per “sudditanza psicologica” verso i “genitori del presidente del Consiglio”, non significa che Matteo ne sapesse qualcosa (anche se dovrebbe astenersi, per pudore, dal parlare di evasione fiscale). Ma solo che i genitori approfittavano della posizione del figlio per fare affari, per così dire, border line.

Come del resto il babbo nel caso Consip e nelle avance del fido Carlo Russo al governatore Emiliano per un business in Puglia parlano da sé. Purtroppo per Matteo Renzi, è stato lui a trasformare le indagini sui genitori da questione privata a questione pubblica, cioè politica. Perché non s’è limitato a esprimere solidarietà ai congiunti, ma ha messo la mano sul fuoco sulla loro assoluta estraneità; non contento, ha accusato i magistrati di indagare su di loro per colpire lui con finalità politiche; e, non bastando, ha minacciato e addirittura firmato in pubblico raffiche di denunce ai (pochi) giornalisti che osavano raccontare gli scandali della sua famiglia, mescolando la sua figura pubblica a quelle private di babbo e mamma col noi maiestatico.


Il 22 febbraio scorso disse: “Sono fiero e orgoglioso di esser figlio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli perché conosco i fatti e perché mio padre e mia madre vogliono difendersi nel processo…


Noi non vogliamo impunità, immunità, scambi per non andare a processo. Noi non scappiamo come gli altri, vogliamo andare in quell’aula. Lì vedremo chi ha ragione e chi torto”. Ecco: fermo restando che non è prevista alcun’immunità per i parenti dei politici, dunque è ridicolo vantarsi di rinunciare a qualcosa che non esiste, ieri in quell’aula è arrivata la condanna.


Il 13 febbraio aveva dichiarato: “Quando tuo padre viene intercettato, pedinato, seguito quasi fosse un camorrista per quattro anni, la sua vita scandagliata come mai era accaduto a un libero cittadino che fino a 63 anni aveva commesso forse quale unica infrazione un eccesso di velocità, è evidente che qualcosa non torna. Non voglio far leva su un elemento soggettivo, ovvero… come muta il clima al pranzo di Natale quando i tuoi familiari… ti considerano responsabile della crisi cardiaca che ha colpito tuo padre”.


Ora, la sentenza di ieri conferma che i genitori non sono stati indagati perché avevano quel figlio, ma perché facevano pasticci con le loro società: sennò non ci sarebbe stata alcuna indagine.


“Chi ha letto le carte – sostenne Renzi il 18 febbraio appena i suoi finirono ai domiciliari – mi garantisce di non aver mai visto un provvedimento così assurdo e sproporzionato. Mai. Da figlio, sono dispiaciuto per aver costretto le persone che mi hanno messo al mondo a vivere questa umiliazione immeritata e ingiustificata. Se io non avessi fatto politica, la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango. Se io non avessi cercato di cambiare questo Paese, i miei sarebbero tranquillamente in pensione”. Invece chi ha letto le carte sa che le sue presunte riforme, con le indagini sui familiari, non c’entrano una mazza.


A proposito di Consip, Renzi rincarò: “È indegno il tentativo di tacere sullo scandalo di un premier contro il quale elementi della magistratura, delle forze dell’ordine, dell’intelligence agiscono di concerto con qualche servitore dello Stato che arriva a falsificare prove e a meritarsi l’accusa di depistaggio”. Giusto il 3 ottobre il gup ha stabilito che nessun servitore dello Stato falsificò prove né depistò le indagini Consip, a parte il Giglio magico renziano: l’errore del capitano Scafarto nel riportare una delle migliaia di intercettazioni fu “sicuramente involontario” e ininfluente sul quadro accusatorio; e gli unici depistaggi “volti a impedire il regolare corso delle indagini” furono di “ambienti istituzionali vicini all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi”. Il quale ora dovrebbe scusarsi con Woodcock e Scafarto per averli calunniati e con gli italiani per averli buggerati con montagne di fake news.


Una volta però ne disse una giusta persino lui: “Il tempo è galantuomo. Mentre scrivo, mio padre non è stato condannato per nessuno dei reati contestati. E le uniche condanne sono arrivate a chi, come il direttore del Fatto Marco Travaglio, ha diffamato mio padre”.


Ecco, il tempo è talmente galantuomo che suo padre e sua madre sono stati condannati per frode fiscale, mentre noi abbiamo scritto solo cose vere, ma purtroppo le nostre sentenze di primo grado sono arrivate prima di quelle sui suoi genitori: ergo ci vediamo in appello.


Intanto apprezziamo l’improvvisa sete di verità che ha colto Renzi nell’intimare a Conte di fare ciò che ha già detto che farà: spiegare al Copasir il suo ruolo negli incontri fra i nostri 007 e un ministro Usa.


Mentre ci auguriamo che il premier lo faccia al più presto, rammentiamo (a pag. 7) alcune questioncine che Renzi si scorda da anni di chiarire: le sue spese “istituzionali” da sindaco di Firenze; la soffiata a De Benedetti sul DL Banche; gli spifferi nel suo entourage sull’inchiesta Consip e il famoso incontro fra Tiziano-Romeo, sempre negato dai due e anche da lui, ma alla fine accertato; lo strano leasing dell’Air Force Renzi a un prezzo 26 volte superiore a quello speso da Etihad per acquistarlo; e altre cosette così. Ci fa sapere?


https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/photos/a.438282739515247/2811982065478624/?type=3&theater

venerdì 30 marzo 2018

Putin è davvero colpevole? Qualcosa proprio non torna nel caso Skripal. - Marcello Foà

caso Skripal

Siamo sicuri che ad avvelenare l’ex spia Skripal e sua figlia siano stati i russi? Ecco i dubbi dall'esame attento delle notizie uscite finora. Tanti punti che non tornano.

Siamo proprio sicuri che ad avvelenare l’ex spia Skripal e sua figlia siano stati i russi? Permettetemi di avanzare più di un dubbio esaminando con attenzione le notizie uscite finora. I punti che non tornano sono questi:

Primo. Qual è il movente? Quale l’interesse per Putin? Mi spiego: tutti riconoscono al presidente russo grande sagacia nel calibrare le sue mosse. Eccelle sia nella strategia che nella tattica. Da tempo sappiamo che gli Stati Uniti (i quali trainano l’Europa) sono impegnati in un’operazione di logoramento del Cremlino volto a ottenerne un riallinamento su posizioni filoamericane, che potrà essere ottenuto con certezza solo attraverso un cambio di regime ovvero con l’uscita di scena di Putin. Siccome una rivolta colorata è inattuabile, lo scenario è quello di rendere insostenibile il peso delle sanzioni e dell’isolamento internazionale, inducendo le élite russe a ribellarsi al presidente appena rieletto.

In questo contesto, ogni pretesto viene sfruttato per innervosire o indebolire Putin. Conoscendo l’obiettivo finale, bisogna chiedersi: ma che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso. Diplomaticamente sarebbe stato un suicidio, perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata, fino all’ultimo atto, l’espulsione coordinata dei diplomatici, a cui l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè  avrebbe potuto – e proceduralmente dovuto – astenersi. No, Putin non è leader da commettere questi errori.

E veniamo al secondo punto, che riguarda il rumore mediatico e il furore delle accuse.  Non dimentichiamolo, la comunicazione è uno strumento fondamentale nell’ambito delle guerre asimmetriche (tra l’altro è il tema che tratto nel mio ultimo saggio “Gli stregoni della notizia. Atto secondo“). Quando il rumore mediatico è assordante, univoco, esasperato, le possibilità sono due: le prove sono incontrovertibili (ad esempio l’invasione irachena del Kuwait) o non lo sono ma chi accusa ha interesse a sfruttarle politicamente, il che può avvenire solo se le fonti supreme – ovvero i governi – affermano la stessa cosa e con toni talmente urlati e assoluti da inibire qualunque riflessione critica, pena il rischio di esporsi all’accusa di essere “amici del dittatore Putin”.

Se analizziamo attentamente le dichiarazioni del governo britannico, notiamo come la stessa premier May continui a dire che “è altamente probabile” che l’attentato sia stato sponsorizzato dal Cremlino. Altamente probabile non significa sicuro, perché per esserne certi bisognerebbe provare l’origine del gas, cosa che è impossibile in tempi brevi. E nel comunicato congiunto diffuso ieri da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si ribadisce che si tratta di «agente nervino di tipo militare sviluppato dalla Russia», che farebbe parte di un gruppo di gas noto come Novichok concepito dai sovietici negli anni Settanta. Ma sviluppato non significa prodotto in Russia. Se non è stato usato questo verbo – o un sinonimo, come fabbricato – significa che gli stessi esperti britannici non hanno prove concrete a sostegno della tesi della responsabilità russa, che pertanto andrebbe considerata come un’ipotesi investigativa. Non come un verdetto. Anche la semantica, in frammenti ad alta emotività come questi, è indicatrice e dovrebbe allertare la stampa, che invece non mostra esitazioni.

Eppure di ragioni per mostrarsi più cauti ce ne sono molte. Vogliamo ricordare le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein? Ma esempi in tempi recenti non mancano.  L’isteria accusatoria di queste ore ricorda quella delle “prove incontrovertibili” del 2013, secondo cui Assad aveva sterminato col gas 1300 civili, fra cui molti bambini. Scoprimmo in seguito che a usare il gas furono i ribelli per provocare un intervento della Nato. O, sempre in Siria, nel 2017 quando Amnesty e il Dipartimento di Stato denunciarono l’esistenza di un forno crematorio in cui venivano bruciati i ribelli, rivelazione che indignò giustamente il mondo ma che venne smentita dopo un paio di settimane dallo stesso governo americano.

Sia chiaro: nessuno sa chi abbia attentato alla vita di Skipal e di sua figlia e nessuna ipotesi può essere esclusa. Ma la propaganda è davvero assordante e i precedenti, nonché l’esperienza, suggeriscono maggior cautela. E un sano scetticismo: perché Putin sarà, per la grande stampa, “cattivo” ma di certo stupido non è.