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giovedì 3 ottobre 2024

Come potete riconoscere un presuntuoso? - Guendalina Middei

 

Lo sapevate che… Socrate aveva una tecnica per smascherare la presunzione.
Come potete riconoscere un presuntuoso? Semplice, è sempre convinto di avere ragione. E i presuntuosi ad Atene non mancavano. Socrate però avvicinava il suo interlocutore, confessando la sua ignoranza. Il famoso detto socratico «so di non sapere» è il presupposto di ogni confronto. Se sei convinto di sapere qualcosa, perché mai dovresti metterti in discussione?
Socrate lasciava parlare il suo interlocutore, lo ascoltava con attenzione e poi gli poneva una semplice domanda: «ti esti?» Che cos’è? Questa domanda, questa semplicissima domanda, apparentemente innocua, inoffensiva, riusciva a far crollare qualsiasi retorica. Va bene parlare di giustizia, bene, ricchezza, onore, morte, ma cosa sono? Grazie a questa domanda venivano fuori uno a uno pregiudizi, supponenza, vanità.
Ma ciò che davvero interessava a Socrate era la ricerca, tramite il dialogo, di una verità a cui il suo interlocutore doveva giungere da solo. «Io non sono stato maestro mai di nessuno; ma se c’è una persona che quando parlo, desidera ascoltarmi, non mi sono mai rifiutato.» Cosa vi sta dicendo Socrate? Non sono un maestro, non mi sento superiore a nessuno, accetto il confronto con chiunque, non importa chi sia il mio interlocutore: ricco o povero, ignorante o istruito. Credo nel dialogo e il dialogo era per Socrate l’essenza della filosofia, del pensiero.
È la parola stessa a dirvelo: dialogo viene da dia che significa “in mezzo a” e logos che significa “pensiero/ragione.” Dialogo significa che la ragione non sta mai solo da una parte, non è monopolio di questa o quella fazione, se qualcuno è convinto a priori di essere in possesso di una qualche verità assoluta, quella persona semplicemente non sta dialogando con voi e non sta pensando. Socrate invece voleva far pensare la gente, per questo era odiato dalla classe governante. Stimolava nei suoi interlocutori il dubbio e il senso critico, li spingeva a porsi continue domande. Tutto qui. Era pericoloso? A quanto pare sì, perché hanno voluto ammazzarlo per questo.

mercoledì 11 ottobre 2023

“È il pensiero che genera la materia” - LIDIA MARIA GIANNINI


“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia” asserisce il filosofo Giordano Bruno in pieno ‘500.  

Siamo in un momento alquanto critico per la storia umana, si assiste d’un tratto all’inesorabile crollo di quelle certezze universali sulle quali si erano fondati e consolidati nel corso del medioevo la conoscenza ed il sapere: l’Europa non è più il centro del mondo, il mondo non è più al centro dell’universo, tutto è nuovamente messo in discussione. La scoperta dell’America prima ha posto definitivamente fine all’Eurocentrismo, molteplici sono i popoli e molteplici le culture, e il “De revolutionibus” di Copernico irrompe infine sulla scena a incrementare confusione e disorientamento. “Maledetto sia Copernico!”, dirà Mattia Pascal, celebre protagonista del romanzo pirandelliano Il fu Mattia Pascal, “siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino impazzito che gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino (…)? (…) Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo”.  

È il 1900 e un autore quale Pirandello ha ancora ben presente una questione sorta secoli e secoli prima, c’è solo da immaginarsi quale fosse stata la portata della scoperta, o meglio dell’intuizione copernicana, nel 1400. È infatti un’intuizione quella di Copernico, il quale, analizzando i calcoli dei matematici e dei naturales, degli aristotelici, ravvede in essi un sì gran numero di discrepanze da tentare di operare una “sostituzione” ideale della terra con il sole, osservando, sgomento, come quelli stessi calcoli andassero in tal modo a convergere, come per magia. Egli stesso comprende la portata rivoluzionaria delle proprie teorie, bisognoso di trovare conforto interroga gli antichi pensatori, va alla ricerca di possibili riflessioni simili maturate, appellandosi con parziale sollievo ai pitagorici, i quali avevano individuato la presenza di un fuoco luminoso centrale intorno a cui dovevano muoversi vari corpi e dal quale sarebbero andati a dipendere vari fenomeni, e ad Eraclito, sostenitore della creazione dell’universo a partire da un grande fuoco primordiale.  

Fatto sta che – altro che maledetto Copernico – è proprio grazie a lui che gli uomini hanno potuto finalmente aprire gli occhi, abbandonare il dogmatismo, proiettarsi verso una nuova era. L’era della rivoluzione scientifica sarà quella che seguirà, era di filosofi e scienziati, che si porranno l’obiettivo di analizzare mondo e universo in maniera obiettiva e veritiera, che si metteranno alla prova nel tentativo di disvelare le leggi di natura così estremamente affascinanti e allo stesso tempo misteriose. Come giungere a conoscere le leggi intrinseche dei fenomeni? Come coglierne l’essenza? Quale metodo dovrà adottare la nuova scienza? 

Certo è che, passato lo sgomento iniziale, la terra non può essere di certo ritenuta un “granellino impazzito” privo di leggi, che ruolo avrebbe in tal modo la scienza? Gli interrogativi umani risulterebbero del tutto vani. Bernardino Telesio con il suo De rerum natura iuxta proria principia analizzerà l’aspetto finalistico della natura, le cui norme risulterebbero, a suo parere, da ricercare nella natura stessa. Nessun dio né demone a influenzare l’universo, la ragione perde con Telesio ruolo conoscitivo, al pari dell’anima, a favore della percezione sensoriale, unica capace di entrare in diretto contatto con il reale.  

Ma nulla si genera dal nulla, il mondo, gli uomini, la natura, è tutto così perfetto, così magico e razionalmente impeccabile. Ecco il motivo per cui il contemporaneo Bruno individuerà un “pensiero” generatore della materia, un’intelligenza superiore causa e principio dell’intero universo. La materia è materia animata, l’universo un grande organismo vivente al pari dei pianeti: Dio è in tutto, posizione panteistica, e tutto è espressione di Dio, secondo la visione panenteistica. Vero e proprio ilozoismo quello di Bruno nel considerare la natura dotata di un principio vitale intrinseco, coglibile tramite l'”eroico furore”, passione umana volta alla conoscenza, al superamento dei propri limiti, alla contemplazione del divino nel reale. Pur se i protagonisti della rivoluzione scientifica abbandoneranno del tutto eroici furori e vitalità, Bruno è considerato tra essi per la convinzione rivoluzionaria dell’esistenza di una pluralità di mondi e di un universo infinito, privo di centro o periferia. In realtà egli non sarà metodologico, non sarà neppure scienziato, ma sarà proprio la magia di Bruno la sua reale grandezza… 

Nel tentativo di stabilire un efficace metodo d’indagine, non affrontato concretamente da Bruno, Bacone nel 1620 pubblicherà il suo Novum Organum. Intento del pensatore, poiché anch’esso non sarà mai realmente scienziato, è operare una demolizione della logica aristotelica, puramente speculativa e astratta, contrapponendosi all’Organon di Aristotele. Necessario è “distruggere” gli idola, i pregiudizi propri della mente umana, per poi passare alla “costruzione” del sapere, adottando un metodo induttivo scientifico che, dall’esperienza particolare, giunga gradatamente a ipotesi universali, verificabili tramite esperimenti e un’accorta osservazione del reale. “Scientia est potentia”, “la scienza è potenza”: Bacone è fiducioso, è convinto che la scienza fornirà all’uomo la capacità di cogliere le essenze dei fenomeni, le loro cause prime, permettendogli di soggiogare la Natura e influenzarne il corso, perciò tralascerà il sapere matematico, esercitando la continua esperienza. Ciò che il filosofo non giungerà a comprendere è quanto, pur nella sua grandezza e pluralità di doti, l’uomo non potrà mai e poi mai avere una certezza delle cause originarie, fonte dei vari fenomeni, potrà formularne solo ipotesi, astrazioni, ma come sperimentarle?  

Inseguire l’essenza è cosa vana per la scienza, ce lo ricorda Galileo Galilei: l’uomo può unicamente limitarsi a indagare il “come” avviene un dato fenomeno, a analizzarlo a fondo, a stabilirne leggi fisiche, ma la sua causa prima resterà necessariamente un mistero. Galileo sarà il vero fondatore del sapere scientifico moderno: tutto ciò che si può affermare con certezza, sulla base di prove di verità. “Bruno credeva, Galilei sapeva”, dirà Karl Jaspers, filosofo e psichiatra del ‘900. Per Bruno le tesi copernicane sono una sorta di verità di fede, teme di ritrattarle, poiché asserirne la validità è la sua unica certezza: morrà, da martire. Galileo abiurerà, terminando il suo discorso con la celebre sentenza “Eppur si muove”. “La verità che io posso dimostrare può sussistere anche senza di me, essa è universalmente valida, non è storica, non dipende dal tempo”, continua Jaspers. Ed è proprio dimostrando che Galileo compirà il lento “funerale” della fisica aristotelica.  

“La natura è un libro scritto in caratteri matematici”, sostiene Galileo. La matematica riacquisisce quel ruolo di primaria importanza sottrattole in precedenza da Bacone. Potenziati strumenti quali il cannocchiale, lo scienziato giungerà a compiere osservazioni inaudite, abbattendo definitivamente le differenze qualitative tra mondo terrestre e mondo celeste e trovando giustificazione e spiegazione fisica alle intuizioni copernicane. La luna presenta avvallamenti e monti proprio come la terra, vi è una sostanziale unità tra mondo sub e sovra lunare; implausibile sarebbe pensare a un universo che si muova, in tempo diurno, con la sua immensa mole, intorno alla Terra; ben più plausibile sarebbe pensare a una terra che ruoti su se stessa, un moto rotatorio, combinato con quello traslatorio, considerando che “qualunque moto venga attribuito alla terra, è necessario che a noi, come abitatori di quella e in conseguenza partecipi del medesimo, ei resti del tutto impercettibile e come s’e’ non fusse”. Nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo Galileo esporrà principi fondamentali della fisica, il principio di inerzia, il principio di composizione del moto, il famoso principio di relatività, principi che permetterebbero agli esseri viventi di non avvertire alcun moto terrestre.  

Siamo giunti qui alla maturazione del sapere scientifico: la natura è movimento, le leggi della natura altro non sono che leggi del moto. “Un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme”: Newton consegnerà dignità di status anche al moto, scardinando la tendenza aristotelica a ritenere i corpi tendenti unicamente alla quiete. Sono condizioni, queste, sperimentali, verificabili unicamente in presenza di determinate condizioni specifiche, ma fondamentali per spiegare l’evolversi dei fenomeni contingenti. Newton opererà consapevolmente una perfetta sintesi tra considerazioni galileiane e osservazioni di Keplero: il mondo di Newton è un mondo in cui vige la legge di gravitazione universale, un modo fatto di numeri e atomi, particelle con molta probabilità indivisibili, che si muovono nel vuoto secondo meccanismi ben precisi. Una visione meccanicistico-materialistica del reale che sarà abbracciata all’unanimità dagli scienziati nei secoli successivi.  

Ma proprio quando un sapere sembra una certezza, proprio come accaduto per la fisica aristotelica, ecco il sopraggiungere di nuove scoperte: all’interno dell’atomo vi sono una serie di particelle subatomiche, protoni, neutroni, elettroni, composte non di materia, bensì di energia! Heisenberg, De Broglie, Schrodinger, indagando la natura ondulatoria degli elettroni, daranno vita, nel corso del XX secolo, alla meccanica quantistica, basata sullo studio di quanti, discreti quantitativi energetici presenti in ogni singola particella della materia. La materia, dunque non sarebbe più materia, bensì energia? E da dove proverrebbe tale energia? Non possiamo qui ricorrere a alcun tipo di leggi. “L’universo comincia a sembrare più simile a un grande pensiero che non a una grande macchina”, dirà James Jeans, fisico e astronomo del ‘900. Ecco il magico della natura, quel principio vitale intrinseco in tutto presente, quella forza inesauribile che Bruno, nel lontano ‘500, aveva già individuato e con umiltà contemplato, grazie al proprio “eroico furore”. 

Lidia Maria Giannini

Foto di WikiImages, a cui vanno i nostri ringraziamenti, attinta da Pixabay

http://www.educationduepuntozero.it/racconti-ed-esperienze/04-40217313733.shtml

“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia” Giordano Bruno. - Stefano Scaccianoce

 

Guida pratica per la realizzazione del futuro.

Ben trovati, ci siamo lasciati con un semplice quesito matematico per calcolare approssimativamente il numero di pensieri che fino ad oggi abbiamo generato. Se avete fatto questa semplice moltiplicazione vi sarete resi conto dell’enorme quantità di pensieri finora prodotta.

Quindi noi pensiamo ogni giorno e se il pensiero è energia, possiamo renderci conto di quanta potenza potremmo gestire? Quanto bene potremmo fare alla nostra vita e a quella delle persone a noi collegate?

Producendo pensieri tristi, pessimisti, pensieri di sfiducia e di paura invece che cosa generiamo?

Il pensiero disciplinato, indirizzato al meglio con la nostra forza di volontà, produce gioia ed entusiasmo, genera nell’organismo una chimica che spinge ad azioni costruttive, coraggiose.

Conosciamo gli esercizi da mettere in pratica, uno su tutti la meditazione, discipliniamo quindi i nostri pensieri. Cogliamo le opportunità che ci si presentano per migliorare la nostra vita.

A volte, troppo spesso, entriamo in un circolo vizioso: i pensieri vanno in profondità a cercare conferme, pescano nel passato ricordi di situazioni che ci hanno visti tristi, abbattuti e iniziano a rafforzare questo tipo di energia. Questo come già detto è dovuto all’errato modo di percepire il tempo in 3ªD, come un loop.

I nostri pensieri producono vibrazioni energetiche che hanno una determinata frequenza. Sono una forza energetica capace di agire sul quotidiano, di innestarsi nella realtà. Tutta la realtà è una vibrazione.

Deve essere chiaro che il nostro pensiero condiziona il nostro sentire, l’umore, le azioni che siamo disposti a compiere.

Se voglio generare per me un buon futuro sarà determinante sganciare tutto il potenziale energetico di bassa frequenza che il loop temporale (i ricordi) genera in continuazione.

Per esempio, se ci focalizziamo sul pensiero costante che a noi le cose vanno sempre male, che siamo vittime di ingiustizie, emaniamo una certa frequenza energetica che si assesterà su frequenze simili. Questo farà sì che la realtà ci darà ragione e sarà facile che le cose continuino ad andare male.

Ma il passato esiste nel nostro vissuto e quindi nella nostra realtà, come facciamo a lasciar andare? Dobbiamo comprendere che ciò che ricordiamo è solamente la nostra interpretazione della realtà e sapere che le emozioni negative e le promiscue bloccanti hanno formato il pensiero negativo che cresce per anni, decenni fino a condizionare il nostro presente. Generiamo così sempre lo stesso futuro auto avverante ma se è una nostra interpretazione è possibile cambiarla, bonificarla, pulirla.

Concentrazione, disciplina, volontà, pazienza, fiducia, umiltà, amore verso il prossimo, assenza di giudizio, responsabilità sono alcuni dei più importanti strumenti per la gestione dei pensieri.

Quando il pensiero si disciplina, si potenzia la capacità di gestirlo, ci si concentra sulla nostra capacità di cambiare, cominciamo a essere consapevoli della possibilità di essere sereni. Se poi lo sosteniamo con la visualizzazione, le emozioni positive e le promiscue attivanti (seguirà a brevissimo un articolo che farà chiarezza sulle emozioni), la vibrazione prodotta sarà di alto livello e richiamerà vibrazioni della stessa tipologia.

Il pensiero determina il nostro agire questo è: dalle azioni nasce il destino e non il contrario.

Sul pensiero dobbiamo essere sempre attenti, mai abbassare la guardia.

Non permettiamo alla mente di tracciare il cammino, diventiamo noi i registi della nostra vita. Si tratta, come già detto, di creare buone abitudini.

Prendiamoci il nostro tempo, certo ma agiamo, non chiudiamo con la paura il cuore: da lì nasce il desiderio, i sogni sul futuro, la speranza. 

Dal prossimo articolo parleremo dei possibili futuri “planetari”.

Nel frattempo vi chiedo di applicarvi senza avere in mente nessun obiettivo, nessun traguardo. Spostate i vostri pensieri da negativi a positivi ogni qual volta ve ne rendete conto.

Solamente così si potrà diventare artefici del nostro futuro. Generare il nostro futuro agendo sul presente, semplicemente diventando consapevoli dei nostri pensieri.


https://uniupe.it/blog/pensiero-genera-materia

martedì 10 ottobre 2023

La Materia è Pensiero: Giordano Bruno anticipò la Scienza.

 

“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia”, scrive l’astrofisica Giuliana Conforto. “La Forza è la Vita Cosmica”. Giordano Bruno? “Non esprime filosofia, ma una scienza del futuro e una saggezza antica. Testimonia l’eterno presente e, con l’Arte della Memoria, indica il modo per viverlo”.


Di fatto, il grande pensatore rinascimentale bruciato vivo a Roma il 17 febbraio 1600, “anticipa la scoperta della Forza, la Vita Cosmica, e rivela il grande segreto della materia nucleare che la scienza non ha ancora compreso: la comunione diretta e quindi l’etica naturale di ogni essere umano con la Forza”. Fu questo, aggiunge la Conforto, il motivo vero della sua condanna, “perché rende vano il ruolo delle chiese come presunte rappresentanti di Dio”. Infatti, “la comunione diretta rivela la centralità dell’uomo e spiega il faticoso preludio al grande evento: la nascita dell’uomo nuovo che, per il fatto di ‘aver mutato intento’, diverrà cosciente, responsabile di sé e capace di creare un nuovo mondo”.

Da sempre, sulla Terra, sottolinea una studiosa come Manuela Racci, esistono esseri che indicano la via per edificare un ‘nuovo mondo’, per aprire il cammino all’umanità verso una nuova aurora: sono esseri di luce, accomunati dalla stessa forza ed energia, marchiati dalla stessa solitudine”. Forse “venuti troppo presto, nati postumi con la mente dinamite”, come direbbe Nietzsche.

Giordano Bruno potrebbe davvero considerarsi un nobile antesignano di questa specie chiamata “indaco”, giunta a edificare un nuovo mondoun mondo di luce per esseri di luce che vedono e sentono con gli stessi occhi e la stessa mente sia gli universi visibili che quelli invisibili”, scrive Manuela Racci, in una riflessione ripresa dal blog Visione Alchemica“Un grande pensatore, arso vivo per il vizio di pensare; un filosofo di una modernità quasi inquietante, ma soprattutto un uomo fuori del comune, uno spirito folletto, fantasioso, originale”. Quello che trasmetteva “non era solo un’immagine della vita, ma un’emozione del mondo”.

Giordano Bruno “era un grande: in lui albergava la conoscenza dei mondi paralleli, della metempsicosi, delle energie sottili”. Straordinario, per quei tempi. La sua profondità “non è quella che connota il pensiero tecnico-scientifico da secoli imperante in Occidente”. Va ricercata nell’inconscio della scienza stessa, “che è a un tempo ciò da cui la scienza scaturisce e ciò che la scienza rimuove”. Innegabili sono i miglioramenti che la scienza ha apportato alla vita dell’uomo occidentale. “Ma sotto l’aspetto della felicità, della ricerca di una pace interiore, di una quiete dell’anima in piena armonia con la natura e più ampiamente con il Tutto, risulta più difficile parlare di progresso”.

Per la professoressa Racci, sembra quasi che la scienza abbia sradicato l’uomo dal suo habitat naturale, la fusione con la natura, “facendolo sentire meno alienato di fronte a un computer che al cospetto di un tramonto”. Allo stesso modo, la religione, “per quanto antiscientifica possa sembrare”, ha sovente “cercato il connubio con la ragione, con l’evidenza e la chiarezza del “lumen” naturale, perdendo in realtà la sua vera ‘quidditas’, la sua dimensione sacrale”. Per questo Giordano Bruno fu messo al rogo: La sua ‘nova filosofia’ non era né scientifica, né strettamente religiosa, in quanto si fondava sulla ‘magia naturale’, sulla ‘prisca Aegiptorum sapientia’ “, l’antica sapienza egizia.

Bruno è infatti il vero sensitivo immerso nella ‘fusis’, convinto che si possano abbattere le barriere tra l’umano e il divino“. E attenzione: “Niente è più positivo dello sfondamento dei limiti, dello spostare le pietre di confine per arrivare alla comprensione che l’uomo, la Natura e Dio sono la stessa cosa. Nell’universo tutto è Vita, tutto è animato da uno stesso spirito vivificatore“. Letteralmente: “Tutte le cose sono nell’universo e l’universo è in tutte le cose”, in perfetta armonia.

È un’innegabile forma di animismo: per Bruno, tra le piante, gli animali, gli uomini non c’è differenza se non di grado. La differenza è nel “Dorso della Forma”, sono fenomeni di un’unica sostanza universale. Pensare che il mondo sia là solo per l’uomo è un grave errore: “Il filosofo esce così dalla cultura occidentale cristiana e modula il suo sentire sul registro affine a quello buddista”. Con l’ammirazione dovuta a chi sacrifica la vita per le proprie idee, “Bruno andrebbe inserito in una sfera iniziatica, riferendosi non tanto alla sua laicità, bensì alla sua sacralità, al suo vedere la presenza divina in ogni cosa, alla sua ansia di ricerca che trascende il raziocinio nel suo identificarsi nella natura, che è per lui un vero e proprio ‘indiamento’ cioè un’unione estatica tra l’umano e il divino. Si tratta di varcare il limite dell’homo sapiens per avviarsi ‘verso altra natura, altri corsi, altri mondi’ “.

La materia dunque non è inerte, ma viva, animata (pampsichismo) e costituisce uno dei centri archimedei del pensiero di Bruno: infatti, continua Manuela Racci, il filosofo perviene ad una concezione della materia universale come fonte dell’infinito prodursi di tutta la realtà: come la gestante che riscuote da sé la sua prole, la materia contiene in sé tutte le forme, è “cosa divina e ottima parente, genitrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza”; è “fonte de l’attualità” di ogni cosa.

Per Bruno la materia è Vita, materia infinita, e tra l’anima dell’uomo e quella delle bestie non c’è alcuna differenza sostanziale. “Potremmo dire che la ‘magia naturale’ di Bruno si colloca in quella sotterranea corrente che prende il nome di ‘pensiero per immagini’ che, pur perdente in Occidente, costituisce la fonte segreta del sapere, fonte a cui si accede non per via logico-architettonica ma per pratica amorosa”. La concezione che Bruno ha della forza dell’Amore ribadisce la pregnanza e l’attualità di tale concetto in campo metafisico e metempirico: la forza “che move il sole e l’altre stelle”, di cui parla Dante, è “l’unica che muove infiniti mondi e li rende vivi”. E quella “magia naturale” che solo il vero saggio da sempre sente.

“L’amore, dice il filosofo, sa ‘comprendere’ ciò che la ragione non sa ‘spiegare’, là dove la scienza può spiegare tutto, senza nulla comprendere”. L’astrofisica Giuliana Conforto, in uno studio irrinunciabile sulla futura scienza di Giordano Bruno, evidenzia come il pianeta si sta trasformando e come il filosofo nolano sia uno dei grandi saggi che l’aveva previsto. “Quella di Bruno è scienza del futuro, coscienza delle infinite potenzialità dell’essere umano e soprattutto della sua immortalità. Egli annuncia la nascita dell’uomo nuovo, libero da tabù e paure, capace di ricevere e di riflettere nelle sue opere l’intero messaggio vitale, oggi noto come Dna, quindi di creare un nuovo mondo di pace e vera giustizia”.

In altre parole, “Bruno rivela il grande segreto, la magia della natura: la comunione naturale di ogni corpo con il messaggio genetico, che fu poi il motivo vero della sua condanna, perché vanifica il ruolo della Chiesa come intermediaria tra l’uomo e Dio: Bruno rivela il ruolo centrale di protagonista dell’uomo nel progetto cosmico, prevede i tempi attuali e l’evento che ristabilirà l’antico volto: il risveglio dell’uomo alla coscienza dell’infinita e vera realtà, l’Amore“.

Quella forza cosmica prende il nome, in Bruno, di “eroico furore”: L’uomo nuovo è il furioso, l’ebbro di Dio e arso d’amore che, con uno sforzo eroico (da eros) e appassionato, giunge a una sorta di sovrumana immedesimazione con il processo cosmico per cui l’Universo si dispiega nelle cose e le cose si risolvono nell’Universo, generando una sorta di copula d’amore tra lui e la Natura. Solo il fuoco dell’esperienza dell’Amore è in grado di aprire la strada alla visione di Dio, del Tutto, dell’unità. Scorrendo in particolare i suoi sette scritti magici, tra cui esemplare risulta essere la “Lampas triginta statuarum”, testo di eccezionale bellezza poetica e immaginativa, il lettore non può non cogliere questo moderno senso del divino nell’uomo come appartenenza al Tutto, scintilla perfetta di un Tutto unico e animato. Per Manuela Racci, è una affascinante concezione della metempsicosi di ascendenza orfico-pitagorica: la morte non è altro che una dissoluzione di legami, ma nessun spirito o nessun corpo celeste perisce; è solo un continuo mutare di complessione e combinazioni. Affiora un “senso etico di giustizia cosmica”, che spinge le anime “a comunicarsi a corpi sempre diversi, in una sorprendente affinità con il Karma delle religioni orientali, nella commossa intuizione che l’anima possa istituire innumerevoli legami tra piani dell’universo”.

Prima ancora dello stesso movimento romantico, Giordano Bruno ha quindi riportato l’attenzione sull’intima connessione del Tutto rispetto all’analitica scansione delle parti, in cui il pensiero logico-razionale per natura trattiene se stesso, smarrendo i vincoli che legano tra loro tutte le cose. Dunque, “non essendoci nell’universo parte più importante dell’altra, non è concesso all’uomo quel primato che lo prevede possessore e dominatore del mondo, ma semplice cooperatore dell’operante natura”.

All’enfatizzazione del soggetto, Bruno contrappone un percorso opposto: non il primato dell’uomo, ma “il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra soggetto e oggetto, tra uomo e natura”. La sua “magia”? “Non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell’invisibile armonia”. Ed è la proposta filosofica di Bruno, “antitetica sia alla matematica sia alla religione”. Alla legge dell’uomo occidentale sul Tutto, la “magia” bruniana si volge alla legge del Tutto: siamo parte della natura, non i suoi dominatori. E la nostra possibilità di felicità risiede nella complementarità attraverso cui possiamo combaciare con altri esseri, al tempo stesso naturali e divini.

Tra le idee straordinarie che Bruno ha consegnato alla modernità, aggiunge la Racci, è impossibile non citare le due opere in chiave ermetica che si presentano come veri trattati di arte della memoria, la mnemotecnica (“De umbris idearum” e “Cantus circaeus”). Ne sviluppa un’analisi sottile Gabriele La Porta, nel suo libro “Giordano Bruno. Vita e avventure di un pericoloso maestro del pensiero”: le immagini descritte dal filosofo non avrebbero solo il compito di potenziare e raffinare la memoria visiva, ma rivestirebbero anche un significato propriamente “magico”. “Infatti la loro contemplazione e la loro rammemorazione porterebbero in contatto con energie cosmiche primordiali, con la vera ‘quidditas’ delle cose, con le realtà supreme e archetipiche, infondendo nell’animo pace, quiete, serenità“. Secondo La Porta, Bruno si propone di suscitare una sorta di rivoluzione spirituale: “Seguendo le vie di un sapere esoterico, che ha tutti i caratteri di un’illuminazione, l’uomo si libera dai pregiudizi, dalle passioni negative, dagli egoismi, per diventare saggio, cioè in grado di percorrere la via della Forza, quella Forza che è trasparenza, libertà, verità”.

Una vera e propria scienza futura, che i saggi come Bruno già conoscevano: “Una coscienza che comprende interamente il messaggio della Vita e soprattutto il ruolo cosmico, immortale dell’essere umano”Come non ricordare poi la sua vulcanica intuizione cosmologica? Giordano Bruno, aggiunge la Racci, fu il primo a dedurre che la vita intelligente è distribuita un po’ dappertutto nell’universo, “ponendo così le basi alla giustificazione dei trasferimenti di essa da pianeti in estinzione ma ad alto livello di tecnologia a pianeti non abitati ma tali da consentire la vita”. A ragione, Bruno viene visto come il primo ufologo“Oggi le sue osservazioni sono considerate il punto di partenza per la ricerca di altre forme di vita nell’universo”. Superando la rivoluzione copernicana, Bruno immaginava un universo infinito, popolato da un’infinità di stelle che, abbattute le muraglie del cielo fisso e finito, corrono per ogni dove. “Stelle come il nostro sole, ciascuna circondata da pianeti, su taluni dei quali prosperano altre intelligenze, creature viventi senzienti e razionali”.

“Apri la porta attraverso la quale possiamo osservare il firmamento senza limiti”, era il suo motto. “Così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza de l’imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli, non in una terra, un mondo, ma in duecentomila, dico in infiniti”. Un universo dunque senza limiti, dai caratteri divini: infinito lo spazio, infiniti i mondi, infinite le creature, infinita la vita e le sue forme. Per Manuela Racci si potrebbe chiudere questa riflessione, meramente propedeutica alla necessità di far risorgere le intuizioni bruniane, con un’asserzione efficace del geniale filosofo che più volte sostiene di essere la reincarnazione di Ermes, il messaggero degli dei, sceso per aprire gli occhi agli uomini. “L’umanità ha bisogno di persone che testimonino la possibilità della fratellanza, in nome della conoscenza e della ricerca”. Obiettivo: “Gettare i semi per piante che faranno frutti nel futuro”. Non è possibile dire quando, “ma è importante lasciare un segno, dire parole, formulare pensieri, viver in una dimensione di segno opposto a quella dell’attuale imbecillità. E soprattutto, non scoraggiarsi”.

Fonte: http://www.libreidee.org/2017/07/la-materia-e-pensiero-giordano-bruno-anticipo-la-scienza/

https://www.fisicaquantistica.it/scienza-di-confine/la-materia-e-pensiero-giordano-bruno-anticipo-la-scienza

domenica 13 agosto 2023

ProfessorX - G.Maddei

 

«Se istruisci un bambino, avrai un uomo istruito. Se istruisci una bambina, avrai una una donna, una famiglia, una società istruita.»

Rita Levi Montalcini aveva ragione. Però oggi in nome dell’istruzione e del femminismo si vuole riscrivere la nostra cultura, perché i classici e le fiabe del passato sono «maschilisti, medievali, anti femministi». Ma sapete una cosa? Nei classici e nelle fiabe del passato, se li leggete con attenzione, scoprirete una cosa che a questi progressisti di oggi è sfuggita: sono le donne le vere eroine di queste storie, le donne salvano gli uomini e non il contrario!

Ricordate la Divina Commedia? Parla di un uomo che compie un viaggio nell’inferno, nel purgatorio e nel paradiso. Di un uomo che si trova, nel mezzo del cammin della vita, ad attraversare una «selva oscura». Ma il vero protagonista della Divina Commedia non è Dante ma Beatrice. Beatrice salva Dante; è lei che che lo conduce in Paradiso, perché per quest’autore che vi hanno descritto come antiquato, è la donna a salvare l’umanità intera.

Lo stesso vi dirà Dostoevskij: Sonja salva Raskolnikov in Delitto e castigo, ricordandogli cioè che la vera forza dell’uomo è una soltanto: l’amore. Se prendete in mano un classico o un libro di fiabe, troverete sempre la figura di una donna, di una confidente, di una madrina che sostiene l’eroe e lo salva. Com’è possibile allora che questi luminari della cancel culture non lo abbiano capito?

Vedete, leggere e saper leggere non sono la stessa cosa. Guardare e vedere non sono la stessa cosa! Se non sai interpretare, se proietti sul passato i tuoi preconcetti, tu non stai leggendo. Non stai guardando. A me fanno ridere coloro che dicono: «non è moderno!» Il libro più antico di tutti, l’Epopea di Gilgamesh, risale a quattromila anni fa! Vi troverete usanze, costumi e modi di parlare lontanissimi dai nostri, però quando Gilgamesh piange la morte del suo amico Enkidu, quando si domanda «perché c’è la morte?», il suo dolore è identico al nostro. Oggi il vero problema è che la gente non sa guardare: nella società della superficialità vedono soltanto le apparenze e non la sostanza.

G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X (Cari amici, con un senso di commozione vi comunico che il mio romanzo Clodio è alla sua ultima ristampa. Se vi piacciono la storia e la filosofia, vi lascio il link per leggerne un estratto gratuito: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848

#cultura #letteratura #scuola #istruzione

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martedì 20 giugno 2023

La filosofia. - Peofessor X

 

Quando qualcuno chiede a cosa serve la filosofia, la risposta deve essere aggressiva, poiché la domanda è ironica e pungente. La filosofia non serve né allo Stato né alla Chiesa, che hanno altre preoccupazioni. Non serve a nessun potere stabilito. La filosofia serve a turbare. Una filosofia che non turba nessuno e non fa arrabbiare nessuno non è una filosofia. Essa serve a nuocere alla stupidità, fa della stupidità qualcosa di vergognoso. Non ha altro uso che questo: denunciare la bassezza del pensiero in tutte le sue forme.

Dovrà inoltre formare uomini liberi, che non confondano cioè i fini della cultura con gli interessi dello Stato, della morale o della religione, combattere la cattiva coscienza che hanno usurpato in noi il pensiero. (...) È vero che stupidità e bassezza continuano a esistere; ma non è un buon pretesto per decretare lo scacco della filosofia, giacché, se non fosse per quel po’ di filosofia che in ogni epoca ha impedito loro di spingersi sin dove volevano, esse avrebbero oggi proporzioni ancora maggiori.

Gilles Deleuze, “Nietzsche e la filosofia”.

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domenica 30 aprile 2023

Un articolo di oggi del «New York Times» - Francesco Esparmer

Un articolo di oggi del «New York Times» racconta l’ascesa e caduta di un avvocato di grido dell’Oregon (uno degli stati americani più ricchi e in impetuosa crescita), eletto sindaco della sua città prima di precipitare nella miseria assoluta sino a morire di freddo e stenti un paio di mesi fa. La sua caduta è così sintetizzata dal giornalista: «Era stato risucchiato in un vortice consueto in tante ricche città del West degli Stati Uniti: malattie mentali, tossicodipendenza diffusa, rapido aumento dei costi delle case e scomparsa di un senso di comunità».

In realtà non succede solo sulla costa del Pacifico; in tutta l’America, Boston inclusa, le patologie sociali sono evidenti e spesso epidemiche: i giornali (le televisioni e i social molto meno) ne parlano e le descrivono. Ma solo come effetti collaterali e inevitabili di un progresso, quello verso il consumismo fine a se stesso (caro ai liberisti della nuova destra) e verso la piena realizzazione dell’individualismo fine a se stesso (caro ai liberal della nuova sinistra), che non solo non si può fermare me neppure mettere in discussione.
Non c’è bisogno di fare riferimento al bispensiero orwelliano; molto più semplicemente si tratta di utilitarismo (tipico della mentalità anglosassone ma prossimamente planetaria), ossia della convinzione che la realtà sia totalmente determinata dalla mano invisibile del Mercato, non solo a livello economico ma anche culturale (nelle scuole e università si insegna ciò che piace agli studenti/clienti, non ciò che si consideri educativo; e non parliamo dei media), contro qualsiasi tentativo, anzi, qualsiasi ipotesi di pianificazione. Una specie di divina Provvidenza, il Mercato; con la significativa differenza che la prima agiva, almeno in teoria, a fini di bene (e dunque se il bene non accadeva c’era un problema), mentre il secondo considera bene qualunque risultato ottenga e pertanto è inattaccabile.
La depressione di massa, l’abuso di oppiacei e di droghe pesanti, l’obesità epidemica, le paranoie che sfociano in quotidiane sparatorie in scuole o uffici, l'alcolismo, il disfacimento delle famiglie e il disinteresse dei genitori per i figli e viceversa, i conseguenti disturbi da iperattività e insufficienza di attenzione che affliggono bambini e ragazzi che passano metà della giornata interagendo con uno schermo; in sostanza l’incapacità di distinguere realtà e virtualità e il rifiuto di qualsiasi forma di disciplinamento, sono tutt’al più problemi da risolvere (possibilmente con medicine prodotte dalle multinazionali farmaceutiche) ma in nessun caso da eliminare alla radice. Perché il disfacimento delle comunità e la mobilità compulsiva sono le condizioni necessarie e sufficienti del neoliberismo.
L’ho dichiarato altre volte ma giustamente non tanti leggono tutti i miei interventi per cui mi ripeto: vivo negli Stati Uniti da parecchi anni ma mi considero un ospite; per cui non mi sognerei di criticarli per quello che avviene nel loro territorio: sono fatti loro e se gli piace il tipo di vita che conducono non so a che titolo potrei sostenere che sbagliano. Li critico perché il loro modo di vivere lo vogliono esportare ovunque e a me, invece, piace la diversità. Non quella fasulla dei globalisti e dei multiculturalisti, ampia ma limitata e identica ovunque, in sostanza una opulenta omologazione da centro commerciale, meglio se in rete; la diversità che intendo difendere è conflittuale, una diversità che divide, separa, rivela reciproche incompatibilità e va dunque accettata con tolleranza, non con un’imperialistica ambizione all’universalità. Se mi occupo dell’America (rigorosamente in italiano) è perché tanti italiani, pur sospettosi nei confronti del mito americano (quelli che non lo sono li considero irrecuperabili), lo subiscono come un destino manifesto o come una necessità storica. Ecco, lo scopo di questo mio breve articolo è mostrare che tale attitudine rinunciataria (spacciata come pragmatica) è già una forma di americanizzazione, la più subdola in quanto esprime una rinuncia preventiva a quella graduale costruzione di valori condivisi (non necessariamente realizzata) che ha caratterizzato in profondità, nei secoli e sino a tempi recenti, la cultura italiana (e non solo italiana ma non quella americana). Se non ci si comincia a opporre adesso, si diventa come l'Oregon.
Francesco Esparmer

https://www.facebook.com/frerspamer


Non si pensa più e, se lo si fa, non si comunica con gli altri per paura di essere contestati. Il dividi et impera si è ampliato con i mezzi di informazione pilotati dal potere economico. Questo mezzo di comunicazione, fb, dovrebbe essere, invece, tra i pochi mezzi che abbiamo a nostra disposizione per contestare il pensiero unico che vogliono imporci, continuando a contestare come fai tu, senza tregua e remore, da eroe di nuova generazione, quello che non combatte con le armi, ma con il pensiero libero.
Grazie, Francesco, io sono con te.

cetta. 

sabato 25 marzo 2023

Quando l'uomo...

 

Quando l'uomo decise di non pensare più con la propria testa, perché era inutile e, in alcuni casi, doloroso, cedette e fece sue tutte le teorie dettate da esimi imbonitori di cacchiate;
la politica mondiale insegna: se imparasse a governare decentemente non ci sarebbero problemi, tutto funzionerebbe alla perfezione e saremmo tutti felici. Ma ciò che ho descritto è solo un sogno che non si realizzerà mai perché, di solito, chi si assume l'onere di governare non lo fa per pura abnegazione o con spirito di sacrificio, ma solo per interesse personale.
Noi popolo, ci illudiamo, ogni volta che andiamo a votare, di aver fatto la scelta giusta, ma il risultato è sempre lo stesso: se abbiamo fatto la celta giusta ci sarà chi la invaliderà, se non l'abbiamo fatta la colpa ricade su di noi, perché sia chiaro, LORO non hanno colpe, e se le hanno non pagano, sono intoccabili; si fanno leggi ad personam, decidono quanto debbono guadagnare senza curarsi di legiferare per obbligare i datori di lavoro a corrispondere un'equa retribuzione a tutti i lavoratori, creando, al contempo, disuguaglianze tra cittadini; non si curano della salute dei loro amministrati perché LORO non pagano le cure mediche, hanno la precedenza in ogni dove, sono i tanti RE che noi stessi abbiamo scelto per eliminare un solo RE abolendo la monarchia.
Albert Einstein diceva: ”Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai delinquenti, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e se ne stanno lì a guardare”.

cetta

domenica 30 agosto 2020

Fàmolo strano. - Marco Travaglio

Verdone matrimonio film - Famolo strano - Cesare Lanza
Posto che, secondo Flaiano, in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco, resta da capire che forma abbia il cervello di Prodi. Che ne abbia in abbondanza lo si desume, tra l’altro, dalle dimensioni della testa che lo contiene. Ma ciò che affascina, alla luce dei motivi da lui addotti per votare No al taglio dei parlamentari, è la conformazione. Il quesito referendario è semplicissimo, così come la riforma in ballo: siete favorevoli alla legge costituzionale votata quattro volte dalle due Camere con maggioranza oceaniche che riduce i deputati da 645 a 400 e i senatori da 315 a 200? Chi vota Sì ritiene che i parlamentari siano troppi e chi vota No che siano troppo pochi o perfetti. I partiti, i giornali e il mondo giuridico sono affollatissimi di voltagabbana in malafede che predicavano il taglio fino all’istante in cui non l’hanno ottenuto i 5Stelle: poi son diventati contrarissimi, regalando agli odiati “grillini” l’esclusiva della probabile vittoria del Sì e un’ottima copertura per la sicura sconfitta alle Regionali. Ma Prodi è di un’altra categoria, ancor più bizzarra e indecifrabile: quella dei coerenti nell’incoerenza. Spiega infatti sul Messaggero: “Pur riconoscendo che, dal punto di vista funzionale, il numero dei parlamentari sia eccessivo, penso che sarebbe più utile al Paese un voto negativo, per evitare che si pensi che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire altre ben più decisive”. Cioè: gli eletti sono troppi, ma lui vota No perché se vince il Sì, che condivide, qualcuno penserà (chi? perché? maddeché?) che questa riforma meno importante sia così importante da impedirne altre più importanti.
Lo sragionamento ricorda il “famolo strano” di Verdone e fa il paio con quello che nel 2016 portò Prodi a dire Sì alla schiforma Renzi anche se non la condivideva: “Le riforme proposte non hanno la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’esterno, sento di dovere rendere pubblico il mio Sì, nella speranza che giovi al rafforzamento delle regole democratiche soprattutto attraverso la riforma elettorale” (non oggetto del referendum). La riforma era una “modesta” ciofeca, ma bisognava accontentarsi: “Meglio succhiare un osso che un bastone”. Quindi: quattro anni fa Prodi votò Sì a una legge che non gli piaceva perché ne avrebbe innescate altre che gli sarebbero piaciute; oggi vota No a una legge che gli piace perché ne impedirebbe altre che gli piacerebbero. Fila, no? Sì, se si esclude un cervello a linea retta. Restano l’ondulata, la spezzata e l’intrecciata. Ma, in attesa di una bella Tac, propenderei per la spirale. O la serpentina.