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mercoledì 17 aprile 2024

ANUNNAKI - Leslie Moonves

 

Una tavoletta d'argilla che porta un testo filosofico molto profondo dell'Epica di Gilgamesh dalla Mesopotamia, e la traduzione del testo è la seguente:

Dove stai cercando, Gilgamesh?
Non troverai la vita che cerchi, perché quando gli dei crearono gli umani, decretarono la morte su di loro, e presero il controllo della vita. Quanto a te, Gilgamesh, abbi sempre lo stomaco pieno, sii felice giorno e notte, festeggia ogni giorno della tua vita, balla e gioisci giorno e sera. Rendi i tuoi vestiti puliti e luminosi, lavati con acqua, coccola il bambino tenendoti la mano e rendi felice la moglie tra le tue braccia. Questa è la parte dell'umanità.

La tavoletta si trova al museo Pergamon, Germania

giovedì 15 febbraio 2024

«L’ignorante sa molto. L’intelligente sa poco. Il saggio non sa niente, ma l’imbecille sa sempre tutto». - Guendalina Middei

 

Qualche giorno fa avevo scritto un post su Dante e Ulisse, citando la celebre frase: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Al che un signore mi scrive: «Ignorante! Si scrive conoscenza non canoscenza (con la a)!» Non contento mi snocciola l’etimologia della parola conoscenza, seguita da tutta una serie di insulti e dall’invito a tornare sui banchi di scuola.
Ecco, anche i bambini sanno che Dante usò la parola «canoscenza» ma non ci fu verso di convincere il signore che era in errore. E non è la prima volta che mi capitano questi episodi. Una volta usai la parola «scancellare» per rendere omaggio alla Morante, e di di nuovo il saccente di turno con la massima arroganza possibile mi diede dell’ignorante.
Vedete, con il tempo ho notato una cosa. Le persone che magari hanno letto migliaia di libri, ma non hanno un diploma sono sempre umili. E lo stesso vale per i grandi. Ti parlano con semplicità, non si vantano mai di ciò che sanno. «È curioso a vedere» diceva Leopardi, «che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici.» Sono quelli convinti di sapere già tutto che sono presuntuosi. E pericolosi. Con i paladini delle grandi certezze non puoi ragionare. Non puoi dialogare.
Ecco, voi potete potete credere in ciò che volete, potete leggere, studiare, e aumentare di giorno in giorno la vostra conoscenza, ma siate sempre pronti a rimettervi in discussione. Siate umili soprattutto! Non c’è nessuna vergogna nel dire «credo, non so». Chi spara sentenze invece spesso finisce per essere come il signore di cui vi ho parlato prima: uno sciocco presuntuoso.

martedì 10 ottobre 2023

La Materia è Pensiero: Giordano Bruno anticipò la Scienza.

 

“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia”, scrive l’astrofisica Giuliana Conforto. “La Forza è la Vita Cosmica”. Giordano Bruno? “Non esprime filosofia, ma una scienza del futuro e una saggezza antica. Testimonia l’eterno presente e, con l’Arte della Memoria, indica il modo per viverlo”.


Di fatto, il grande pensatore rinascimentale bruciato vivo a Roma il 17 febbraio 1600, “anticipa la scoperta della Forza, la Vita Cosmica, e rivela il grande segreto della materia nucleare che la scienza non ha ancora compreso: la comunione diretta e quindi l’etica naturale di ogni essere umano con la Forza”. Fu questo, aggiunge la Conforto, il motivo vero della sua condanna, “perché rende vano il ruolo delle chiese come presunte rappresentanti di Dio”. Infatti, “la comunione diretta rivela la centralità dell’uomo e spiega il faticoso preludio al grande evento: la nascita dell’uomo nuovo che, per il fatto di ‘aver mutato intento’, diverrà cosciente, responsabile di sé e capace di creare un nuovo mondo”.

Da sempre, sulla Terra, sottolinea una studiosa come Manuela Racci, esistono esseri che indicano la via per edificare un ‘nuovo mondo’, per aprire il cammino all’umanità verso una nuova aurora: sono esseri di luce, accomunati dalla stessa forza ed energia, marchiati dalla stessa solitudine”. Forse “venuti troppo presto, nati postumi con la mente dinamite”, come direbbe Nietzsche.

Giordano Bruno potrebbe davvero considerarsi un nobile antesignano di questa specie chiamata “indaco”, giunta a edificare un nuovo mondoun mondo di luce per esseri di luce che vedono e sentono con gli stessi occhi e la stessa mente sia gli universi visibili che quelli invisibili”, scrive Manuela Racci, in una riflessione ripresa dal blog Visione Alchemica“Un grande pensatore, arso vivo per il vizio di pensare; un filosofo di una modernità quasi inquietante, ma soprattutto un uomo fuori del comune, uno spirito folletto, fantasioso, originale”. Quello che trasmetteva “non era solo un’immagine della vita, ma un’emozione del mondo”.

Giordano Bruno “era un grande: in lui albergava la conoscenza dei mondi paralleli, della metempsicosi, delle energie sottili”. Straordinario, per quei tempi. La sua profondità “non è quella che connota il pensiero tecnico-scientifico da secoli imperante in Occidente”. Va ricercata nell’inconscio della scienza stessa, “che è a un tempo ciò da cui la scienza scaturisce e ciò che la scienza rimuove”. Innegabili sono i miglioramenti che la scienza ha apportato alla vita dell’uomo occidentale. “Ma sotto l’aspetto della felicità, della ricerca di una pace interiore, di una quiete dell’anima in piena armonia con la natura e più ampiamente con il Tutto, risulta più difficile parlare di progresso”.

Per la professoressa Racci, sembra quasi che la scienza abbia sradicato l’uomo dal suo habitat naturale, la fusione con la natura, “facendolo sentire meno alienato di fronte a un computer che al cospetto di un tramonto”. Allo stesso modo, la religione, “per quanto antiscientifica possa sembrare”, ha sovente “cercato il connubio con la ragione, con l’evidenza e la chiarezza del “lumen” naturale, perdendo in realtà la sua vera ‘quidditas’, la sua dimensione sacrale”. Per questo Giordano Bruno fu messo al rogo: La sua ‘nova filosofia’ non era né scientifica, né strettamente religiosa, in quanto si fondava sulla ‘magia naturale’, sulla ‘prisca Aegiptorum sapientia’ “, l’antica sapienza egizia.

Bruno è infatti il vero sensitivo immerso nella ‘fusis’, convinto che si possano abbattere le barriere tra l’umano e il divino“. E attenzione: “Niente è più positivo dello sfondamento dei limiti, dello spostare le pietre di confine per arrivare alla comprensione che l’uomo, la Natura e Dio sono la stessa cosa. Nell’universo tutto è Vita, tutto è animato da uno stesso spirito vivificatore“. Letteralmente: “Tutte le cose sono nell’universo e l’universo è in tutte le cose”, in perfetta armonia.

È un’innegabile forma di animismo: per Bruno, tra le piante, gli animali, gli uomini non c’è differenza se non di grado. La differenza è nel “Dorso della Forma”, sono fenomeni di un’unica sostanza universale. Pensare che il mondo sia là solo per l’uomo è un grave errore: “Il filosofo esce così dalla cultura occidentale cristiana e modula il suo sentire sul registro affine a quello buddista”. Con l’ammirazione dovuta a chi sacrifica la vita per le proprie idee, “Bruno andrebbe inserito in una sfera iniziatica, riferendosi non tanto alla sua laicità, bensì alla sua sacralità, al suo vedere la presenza divina in ogni cosa, alla sua ansia di ricerca che trascende il raziocinio nel suo identificarsi nella natura, che è per lui un vero e proprio ‘indiamento’ cioè un’unione estatica tra l’umano e il divino. Si tratta di varcare il limite dell’homo sapiens per avviarsi ‘verso altra natura, altri corsi, altri mondi’ “.

La materia dunque non è inerte, ma viva, animata (pampsichismo) e costituisce uno dei centri archimedei del pensiero di Bruno: infatti, continua Manuela Racci, il filosofo perviene ad una concezione della materia universale come fonte dell’infinito prodursi di tutta la realtà: come la gestante che riscuote da sé la sua prole, la materia contiene in sé tutte le forme, è “cosa divina e ottima parente, genitrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza”; è “fonte de l’attualità” di ogni cosa.

Per Bruno la materia è Vita, materia infinita, e tra l’anima dell’uomo e quella delle bestie non c’è alcuna differenza sostanziale. “Potremmo dire che la ‘magia naturale’ di Bruno si colloca in quella sotterranea corrente che prende il nome di ‘pensiero per immagini’ che, pur perdente in Occidente, costituisce la fonte segreta del sapere, fonte a cui si accede non per via logico-architettonica ma per pratica amorosa”. La concezione che Bruno ha della forza dell’Amore ribadisce la pregnanza e l’attualità di tale concetto in campo metafisico e metempirico: la forza “che move il sole e l’altre stelle”, di cui parla Dante, è “l’unica che muove infiniti mondi e li rende vivi”. E quella “magia naturale” che solo il vero saggio da sempre sente.

“L’amore, dice il filosofo, sa ‘comprendere’ ciò che la ragione non sa ‘spiegare’, là dove la scienza può spiegare tutto, senza nulla comprendere”. L’astrofisica Giuliana Conforto, in uno studio irrinunciabile sulla futura scienza di Giordano Bruno, evidenzia come il pianeta si sta trasformando e come il filosofo nolano sia uno dei grandi saggi che l’aveva previsto. “Quella di Bruno è scienza del futuro, coscienza delle infinite potenzialità dell’essere umano e soprattutto della sua immortalità. Egli annuncia la nascita dell’uomo nuovo, libero da tabù e paure, capace di ricevere e di riflettere nelle sue opere l’intero messaggio vitale, oggi noto come Dna, quindi di creare un nuovo mondo di pace e vera giustizia”.

In altre parole, “Bruno rivela il grande segreto, la magia della natura: la comunione naturale di ogni corpo con il messaggio genetico, che fu poi il motivo vero della sua condanna, perché vanifica il ruolo della Chiesa come intermediaria tra l’uomo e Dio: Bruno rivela il ruolo centrale di protagonista dell’uomo nel progetto cosmico, prevede i tempi attuali e l’evento che ristabilirà l’antico volto: il risveglio dell’uomo alla coscienza dell’infinita e vera realtà, l’Amore“.

Quella forza cosmica prende il nome, in Bruno, di “eroico furore”: L’uomo nuovo è il furioso, l’ebbro di Dio e arso d’amore che, con uno sforzo eroico (da eros) e appassionato, giunge a una sorta di sovrumana immedesimazione con il processo cosmico per cui l’Universo si dispiega nelle cose e le cose si risolvono nell’Universo, generando una sorta di copula d’amore tra lui e la Natura. Solo il fuoco dell’esperienza dell’Amore è in grado di aprire la strada alla visione di Dio, del Tutto, dell’unità. Scorrendo in particolare i suoi sette scritti magici, tra cui esemplare risulta essere la “Lampas triginta statuarum”, testo di eccezionale bellezza poetica e immaginativa, il lettore non può non cogliere questo moderno senso del divino nell’uomo come appartenenza al Tutto, scintilla perfetta di un Tutto unico e animato. Per Manuela Racci, è una affascinante concezione della metempsicosi di ascendenza orfico-pitagorica: la morte non è altro che una dissoluzione di legami, ma nessun spirito o nessun corpo celeste perisce; è solo un continuo mutare di complessione e combinazioni. Affiora un “senso etico di giustizia cosmica”, che spinge le anime “a comunicarsi a corpi sempre diversi, in una sorprendente affinità con il Karma delle religioni orientali, nella commossa intuizione che l’anima possa istituire innumerevoli legami tra piani dell’universo”.

Prima ancora dello stesso movimento romantico, Giordano Bruno ha quindi riportato l’attenzione sull’intima connessione del Tutto rispetto all’analitica scansione delle parti, in cui il pensiero logico-razionale per natura trattiene se stesso, smarrendo i vincoli che legano tra loro tutte le cose. Dunque, “non essendoci nell’universo parte più importante dell’altra, non è concesso all’uomo quel primato che lo prevede possessore e dominatore del mondo, ma semplice cooperatore dell’operante natura”.

All’enfatizzazione del soggetto, Bruno contrappone un percorso opposto: non il primato dell’uomo, ma “il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra soggetto e oggetto, tra uomo e natura”. La sua “magia”? “Non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell’invisibile armonia”. Ed è la proposta filosofica di Bruno, “antitetica sia alla matematica sia alla religione”. Alla legge dell’uomo occidentale sul Tutto, la “magia” bruniana si volge alla legge del Tutto: siamo parte della natura, non i suoi dominatori. E la nostra possibilità di felicità risiede nella complementarità attraverso cui possiamo combaciare con altri esseri, al tempo stesso naturali e divini.

Tra le idee straordinarie che Bruno ha consegnato alla modernità, aggiunge la Racci, è impossibile non citare le due opere in chiave ermetica che si presentano come veri trattati di arte della memoria, la mnemotecnica (“De umbris idearum” e “Cantus circaeus”). Ne sviluppa un’analisi sottile Gabriele La Porta, nel suo libro “Giordano Bruno. Vita e avventure di un pericoloso maestro del pensiero”: le immagini descritte dal filosofo non avrebbero solo il compito di potenziare e raffinare la memoria visiva, ma rivestirebbero anche un significato propriamente “magico”. “Infatti la loro contemplazione e la loro rammemorazione porterebbero in contatto con energie cosmiche primordiali, con la vera ‘quidditas’ delle cose, con le realtà supreme e archetipiche, infondendo nell’animo pace, quiete, serenità“. Secondo La Porta, Bruno si propone di suscitare una sorta di rivoluzione spirituale: “Seguendo le vie di un sapere esoterico, che ha tutti i caratteri di un’illuminazione, l’uomo si libera dai pregiudizi, dalle passioni negative, dagli egoismi, per diventare saggio, cioè in grado di percorrere la via della Forza, quella Forza che è trasparenza, libertà, verità”.

Una vera e propria scienza futura, che i saggi come Bruno già conoscevano: “Una coscienza che comprende interamente il messaggio della Vita e soprattutto il ruolo cosmico, immortale dell’essere umano”Come non ricordare poi la sua vulcanica intuizione cosmologica? Giordano Bruno, aggiunge la Racci, fu il primo a dedurre che la vita intelligente è distribuita un po’ dappertutto nell’universo, “ponendo così le basi alla giustificazione dei trasferimenti di essa da pianeti in estinzione ma ad alto livello di tecnologia a pianeti non abitati ma tali da consentire la vita”. A ragione, Bruno viene visto come il primo ufologo“Oggi le sue osservazioni sono considerate il punto di partenza per la ricerca di altre forme di vita nell’universo”. Superando la rivoluzione copernicana, Bruno immaginava un universo infinito, popolato da un’infinità di stelle che, abbattute le muraglie del cielo fisso e finito, corrono per ogni dove. “Stelle come il nostro sole, ciascuna circondata da pianeti, su taluni dei quali prosperano altre intelligenze, creature viventi senzienti e razionali”.

“Apri la porta attraverso la quale possiamo osservare il firmamento senza limiti”, era il suo motto. “Così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza de l’imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli, non in una terra, un mondo, ma in duecentomila, dico in infiniti”. Un universo dunque senza limiti, dai caratteri divini: infinito lo spazio, infiniti i mondi, infinite le creature, infinita la vita e le sue forme. Per Manuela Racci si potrebbe chiudere questa riflessione, meramente propedeutica alla necessità di far risorgere le intuizioni bruniane, con un’asserzione efficace del geniale filosofo che più volte sostiene di essere la reincarnazione di Ermes, il messaggero degli dei, sceso per aprire gli occhi agli uomini. “L’umanità ha bisogno di persone che testimonino la possibilità della fratellanza, in nome della conoscenza e della ricerca”. Obiettivo: “Gettare i semi per piante che faranno frutti nel futuro”. Non è possibile dire quando, “ma è importante lasciare un segno, dire parole, formulare pensieri, viver in una dimensione di segno opposto a quella dell’attuale imbecillità. E soprattutto, non scoraggiarsi”.

Fonte: http://www.libreidee.org/2017/07/la-materia-e-pensiero-giordano-bruno-anticipo-la-scienza/

https://www.fisicaquantistica.it/scienza-di-confine/la-materia-e-pensiero-giordano-bruno-anticipo-la-scienza

martedì 20 giugno 2023

La filosofia. - Peofessor X

 

Quando qualcuno chiede a cosa serve la filosofia, la risposta deve essere aggressiva, poiché la domanda è ironica e pungente. La filosofia non serve né allo Stato né alla Chiesa, che hanno altre preoccupazioni. Non serve a nessun potere stabilito. La filosofia serve a turbare. Una filosofia che non turba nessuno e non fa arrabbiare nessuno non è una filosofia. Essa serve a nuocere alla stupidità, fa della stupidità qualcosa di vergognoso. Non ha altro uso che questo: denunciare la bassezza del pensiero in tutte le sue forme.

Dovrà inoltre formare uomini liberi, che non confondano cioè i fini della cultura con gli interessi dello Stato, della morale o della religione, combattere la cattiva coscienza che hanno usurpato in noi il pensiero. (...) È vero che stupidità e bassezza continuano a esistere; ma non è un buon pretesto per decretare lo scacco della filosofia, giacché, se non fosse per quel po’ di filosofia che in ogni epoca ha impedito loro di spingersi sin dove volevano, esse avrebbero oggi proporzioni ancora maggiori.

Gilles Deleuze, “Nietzsche e la filosofia”.

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lunedì 9 gennaio 2023

Manipolazione, informazione. - Giancarlo Selmi

 

"Se un edificio crolla e la televisione non lo dice, non è mai crollato". Lo ha detto Karl Popper, filosofo ferocemente critico con ciò che chiamava "induzione". Sembra un'affermazione banale, ma non lo è assolutamente. Perché il rapporto causa effetto può essere invertito eppure darà lo stesso risultato: "se un edificio è in piedi però la televisione dice che è crollato, la gente crederà e dirà che è crollato".

È di straordinaria attualità e ci fa riflettere su quanto l'informazione possa orientare le coscienze e, soprattutto, come possa formare l'opinione, addirittura prima di orientarla. La manipolazione dell'informazione è un reato grave in tutti i paesi democratici, meno nel nostro. Comunicare notizie inventate o manipolare le vere, è sanzionato dappertutto.
In tutti i paesi democratici, ma non nel nostro, esistono leggi severe che impediscono i conflitti di interesse nell'editoria. Proprio per evitare ciò che sta succedendo in Italia: il consolidamento di un tumore che ha ramificato le metastasi in tutto (o quasi) il sistema informativo italiano. Non è forse un pericolo per la democrazia?
Non solo manipolazione, ma falsificazione, insabbiamento, silenzio sulle notizie scomode.

Il Tg1 ha rifiutato di passare le immagini della protesta con la vernice dei ragazzi di "ultima generazione". È passato sotto silenzio il ricco aumento per "adeguamento all'inflazione" dei già ricchi vitalizi degli ex Consiglieri regionali della Liguria. Che, peraltro, molte regioni stanno imitando. Adeguamento del quale sono a conoscenza i soli lettori del Fatto Quotidiano. Sul "bipolarismo" della Meloni nessuno parla. Nessuno che abbia messo in evidenza la bipolare attitudine del signor PdC riguardo alle accise sui carburanti e fatto vedere il video con il gridolino "paura", della premier, quando si presentò lo stato a ritirare i 35 euro su 50.
Ora che quei 35 euro li ritira lei stessa, non avremmo diritto a gridare, come fece lei nel famoso video, "paura"? E non avremmo il diritto di esserne informati? Può definirsi un paese del primo mondo, quello in cui facciano informazione un solo giornale ed un comico, il geniale Crozza?

(nella foto Karl Popper) 

https://www.facebook.com/photo?fbid=519677203475969&set=a.397391539037870

mercoledì 2 dicembre 2020

Elogio della nostra finita esistenza. - Paolo Flores d’Arcais

 

Albert Camus vince il premio Nobel per la Letteratura nel 1957. Jacques Monod vince il premio Nobel per la Medicina nel 1965. Uno scrittore e uno scienziato, dunque. In realtà entrambi anche filosofi, nel senso più vero e profondo: contribuiscono alla filosofia del dopoguerra con testi di straordinaria originalità e di raro rigore, Il mito di Sisifo e L’uomo in rivolta Albert Camus, Il caso e la necessità e i due saggi conclusivi di Per un’etica della conoscenza Jacques Monod.

Filosofi che la filosofia accademica ovviamente non vorrà riconoscere come tali, tanto più che sviluppano entrambi, in perfetta autonomia, tutte le componenti essenziali di una filosofia del finito, rigorosamente antimetafisica, partendo da materiali di riflessione lontanissimi e complementari: l’assurdità dell’esistenza per Albert Camus, che solo la rivolta potrà riscattare mettendo in solidarietà (“mi rivolto, dunque siamo”) gli uomini che si battono per “diminuire aritmeticamente il dolore del mondo”; il radicale disincanto cui la scienza costringe secondo Jacques Monod, l’Homo sapiens, mandando in frantumi plurimillenarie concezioni religiose e filosofiche, “i concetti tradizionali che da tempo immemorabile hanno fornito il fondamento etico alle società umane”, frutto tutte, nella loro differenza e concorrenza, di “ontogenesi immaginarie, nessuna delle quali può resistere al confronto con l’indagine scientifica”.

Se la filosofia ufficiale avesse fatto tesoro dei loro lavori, avrebbe potuto imboccare la strada fecondissima di una filosofia del finito, anziché avvitarsi da mezzo secolo nei piaceri insensati di tutte le varianti metafisiche, e neo e post, e nelle fantasmagorie teologiche o para, e nelle presunzioni autoreferenziali delle ermeneutiche col loro nietzschiano “non esistono fatti, solo interpretazioni”, che ha infine celebrato i suoi trionfi con le “verità alternative” canonizzate da Donald Trump.

Filosofie accademiche in asperrima concorrenza, che hanno tutte in comune, però, la fuga consolatoria dalla finitezza dell’esistenza e il disprezzo per la scienza, banco di prova di ogni pretesa conoscenza e tribunale di ogni filosofia.

Ora, finalmente, una filosofia del finito, che mette in dialogo, e in reciproca ibridazione, e in fruttuosa sinergia il pensiero di Camus con quello di Monod, ha preso corpo. Grazie a Telmo Pievani e al suo Finitudine (Raffaello Cortina editore, 280 pagine, 16 euro). Pievani ha scritto il lavoro filosofico che Monod e Camus avrebbero potuto scrivere insieme, e lo ha fatto unendo alla maturità filosofica e alla competenza scientifica una rara capacità di espressione letteraria, talvolta di poesia, se il termine non fosse abusato. L’argomentazione razionale come unico strumento di indagine, proposto ai lettori con una “leggerezza” che sarebbe piaciuta a Italo Calvino.

Il sottotitolo del libro recita “Un romanzo filosofico su fragilità e libertà”. In effetti la cornice è pura finzione, Pievani immagina che Albert Camus non muoia sul colpo nell’incidente di macchina del 4 gennaio 1960. Resta gravemente ferito, e Jacques Monod lo va a trovare ripetutamente, leggendogli ogni volta le bozze di un capitolo del libro che, nella finzione di Pievani, stanno scrivendo insieme.

La cornice è in realtà la struttura del libro, consente a Pievani di esporre la propria filosofia come sintesi e sinergia di quelle di Monod e Camus, ma anche di far dialogare i due che si raccontano gli episodi salienti delle reciproche vite, e in questo modo rivisitare momenti cruciali del dopoguerra europeo, innanzitutto la Resistenza contro il nazifascismo, l’impegno a sinistra degli intellettuali, la rottura con il mondo comunista, la coerenza di un socialismo libertario minoritario ed eretico.

Camus (nomi di clandestinità Albert Mathé e Bauchard) nella Resistenza sarà l’animatore del giornale clandestino Combat, che giocherà un ruolo fondamentale nella vita civile e politica anche nei primi anni dopo la liberazione di Parigi. Monod fa parte dei gruppi armati Franc-tireurs Partisans fino a diventare, col nome di Commandant Malivert, il numero due delle Forces Françaises de l’Intérieur.

L’alternarsi della lettura delle bozze con il reciproco “raccontarsi” permette inoltre a Pievani di mettere in bocca ai suoi personaggi/autori pagine di affascinante divulgazione scientifica, e di criticare le derive filosofiche del loro tempo, che presentano in evidente filigrana un de te fabula narratur rispetto alle derive successive, diventate il mainstream della filosofia continentale fino ad oggi, ahimé.

Pievani riesce a mostrarci in modo persuasivo, anzi stringente, come tutte queste filosofie di evasione spiritualista o dialettica o ermeneutica dal finito, costituiscano in realtà forme di animismo, forme elaboratissime, sia chiaro, esattamente come le religioni, del resto. Ma di animismo. E qui si saldano in modo inaggirabile la riflessione filosofica e l’accertamento scientifico: è il processo di selezione darwiniano – che per via evolutiva ha dato vita alla peculiarissima scimmia che tutti noi siamo – che ha impregnato di animismo la nostra neocorteccia, perché vantaggioso nella iniziale competizione di Homo sapiens.

La storia della scienza è anche il percorso di emancipazione da tale animismo, che continua a permanere come tentazione e stigmate e imprinting in ciascuno di noi. Non siamo animali razionali. Lo siamo solo potenzialmente, e sempre in lotta con l’animismo prepotente ma resistibile di un viluppo di connessioni sinaptiche inestirpabile nel nostro cervello. Quando riusciamo a venirne a capo e a dominarlo, quando riusciamo a essere razionali, riconosciamo il carattere illusorio delle religioni e di ogni aldilà, il carattere irrimediabilmente finito, materiale, della nostra esistenza. Non è un caso, allora, che Pievani metta in esergo ad ogni capitolo della sua (e di Camus/Monod) filosofia alcuni versi dal De rerum natura di Lucrezio.

Scientismo, materialismo, ateismo, sono le accuse che a questa filosofia saranno ovviamente rivolte, e che Pievani è pronto ad assumere con orgoglio come coerenza del disincanto. Cui consegue l’inaggirabile libertà della nostra scelta etica, perché la natura è muta, non esiste nessuna “morale naturale”, siamo noi i padroni della norma.

Pievani è scrupolosamente fedele ai testi di Camus e Monod. Fino quasi al collage di brani originali o comunque ad ampie parafrasi. Esponendo la loro/sua filosofia del finito critica con sferzante lucidità i continui tentativi di aggirare il finito insensato che la scienza ci squaderna davanti, i trucchi di nuovo finalismo, gli escamotage di Intelligent design con cui il neo animismo teo-filosofico cerca di metabolizzare il carattere sovversivo del darwinismo.

Chiunque ami la filosofia e la scienza, questo libro dovrebbe correre a leggerlo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/01/elogio-della-nostra-finita-esistenza/6022237/

mercoledì 2 settembre 2020

Per smascherare i furbi ricominciamo a studiare la logica aristotelica. - Daniele Luttazzi

2.1.5 Le dottrine del colore di Aristotele | colore digitale blog
Per comprendere gli errori di ragionamento che ci impediscono giudizi corretti, e finiscono per tarare il discorso pubblico, favorendo i furbi, occorre conoscere alcuni fondamenti. Esistono due tipi di giudizio: il giudizio logico (vero/falso) e quello analogico (più-o-meno-vero-o-più-o-meno-falso). L’argomento logico mette in relazione una regola di implicazione, un caso e un risultato. Esistono tre tipi di argomento logico: deduzione, induzione, abduzione.
La deduzione trae conseguenze certe:
regola Tutti gli esseri umani sono bipedi.
caso Il Papa è un essere umano.
risultato Il Papa è un bipede.
L’induzione generalizza i dati:
caso Il Papa è un essere umano.
risultato Il Papa è un bipede.
regola Tutti gli esseri umani sono bipedi.
L’abduzione formula un’ipotesi esplicativa:
risultato Il Papa è un bipede.
regola Tutti gli esseri umani sono bipedi.
caso Il Papa è un essere umano.
L’abduzione è il ragionamento logico più frequente: ci serve a formulare ipotesi sulla realtà. Nella scienza, dall’ipotesi abduttiva si deducono le evidenze da trovare; per induzione si verifica l’ipotesi accumulando fatti e dati sperimentali; e se l’ipotesi non è confermata si ripete il ciclo inferenziale: abduzione, deduzione, induzione (Peirce, 1878). Il valore probativo dei sillogismi sta nella verità dei due enunciati iniziali, detti “premessa maggiore” e “premessa minore”; ma nessun sillogismo è conclusivo, perché non spiega come facciamo a sapere la premessa minore, cioè il dato di fatto del secondo enunciato, per esempio “Il Papa è un essere umano” (Dodgson, 1939).
L’argomento analogico è diverso da quello logico. Ne esistono varie specie affini, fra cui l’entimema (argomento retorico) e l’esempio, che per Aristotele definivano la retorica. A differenza dei sillogismi logici, nell’entimema una delle due premesse è solo probabile, non certa. L’esempio migliore è quello che sorprende: “Il mare puzza particolarmente negli stretti, nei punti di congiunzione, come il corpo che puzza alle ascelle” (Cecchi, 1976)
La persuasione retorica. Si persuade con argomenti, eloquenza e pathos. Gli argomenti logici, come abbiamo visto, usano il ragionamento deduttivo, induttivo, abduttivo. Oltre al ragionamento, un argomento si avvale di concessioni: sono le obiezioni che potrebbero essere sollevate rispetto alla conclusione. Le si concede all’inizio del discorso, per neutralizzarle subito con un argomento migliore. Poi, dato che le verità assolute sono rare, il meglio che si possa fare è partire da premesse accettate. Era il trucco argomentativo di Socrate: poneva una domanda, e usava la risposta dell’interlocutore come premessa accettata. Le premesse sono vulnerabili: se mostri che sono sbagliate, avrai distrutto il sillogismo: un modo è portare la premessa alle estreme conseguenze (reductio ad absurdum).
Le fallacie logiche sono errori di ragionamento in cui le premesse sono condivisibili, ma la conclusione è sbagliata. I tipi più comuni di fallacia deduttiva sono: la contraddizione (la conclusione contraddice le premesse); la petizione di principio (la conclusione dedotta da una premessa che è la conclusione stessa: “Perché non porti il cappello, come Dio prescrive?”. “Ma nella Bibbia non è scritto da nessuna parte”. “Come no? C’è scritto che Dio mandò Abramo nella terra promessa”. “Embè?”. “Come avrebbe potuto mandarcelo senza cappello?”).
(2. Continua)

mercoledì 8 giugno 2016

Referendum costituzionale, se Massimo Cacciari dimentica Karl Popper. - Angelo Cannatà




Ho letto l’intervista di Mauro a Cacciari (la Repubblica, 27 maggio) e non riesco a liberarmi dal senso di smarrimento che trasmettono le sue parole. L’impressione molto forte è che Cacciari storicizzi e retroceda fino agli anni Ottanta (“Abbiamo provato a riformare le istituzioni per quarant’anni, e non ci siamo riusciti”), per spostare l’asse del discorso sul passato e non confrontarsi realmente sui limiti della riforma, della quale dice, certo, che è piena di difetti, ma bisogna votarla perché “realizza alcuni cambiamenti che volevamo da anni”. 

Ho molta stima per Cacciari del quale apprezzo non solo Krisis, Icone della legge, Dell’inizio, eccetera, ma anche i testi giovanili scritti per Contropiano. Una stima che non mi impedisce d’evidenziare – anzi mi stimola – quanto la sua posizione politica (sì al referendum) sia poco strutturata e fondata filosoficamente. Insomma, Aristotele lo bacchetterebbe per le conclusioni che trae dalle sue premesse: “è una riforma concepita male e scritta peggio”; “punta alla concentrazione del potere”; “la montagna ha partorito un brutto topolino”; “è una riforma modesta e maldestra”; abbinata alla legge elettorale “punta a dare tutto il potere al capo”; dunque: la voto. Incredibile! 

Si avverte un senso di vertigine pensando al profondo sdoppiamento di personalità che deve vivere Cacciari: centinaia di pagine di filosofia per riflettere, con stile e rigore logico, sulle domande del Parmenide platonico e ragionare con lucidità su Cusano e Schelling, per poi - spostato lo sguardo sulla riforma della Costituzione - approdare ad un orrendo e spicciolo pragmatismo. Fa male vedere Cacciari accodarsi a quanti sostengono che non c’è alternativa ergo bisogna votare sì anche se la riforma della Costituzione non piace. A questo siamo. Speravamo di più da un filosofo che stimiamo da anni e volevamo al governo, non solo della sua Venezia, ma del Paese, mossi dalla suggestione platonica dei filosofi re. Invece, Cacciari ci dice che dobbiamo tapparci il naso (“Vuole fingere – obietta a Mauro – che non abbiamo votato spesso turandoci il naso?”), che dobbiamo scegliere il “male minore” e votare sì. 

Chi l’ha detto, caro Cacciari, che la riforma Renzi sia il male minore? E’ vero il contrario. Se la riforma del Senato sommata all’Italicum svuota la democrazia e concentra il potere nelle mani del capo - come lei riconosce - è evidente che non ci sia male maggiore. Evidente per una serie di motivi che il logos e la tradizione filosofica hanno acquisito da anni. 

Non devo essere io a spiegare a Cacciari che Karl Popper sulla concentrazione del potere nelle mani di un capo ha scritto pagine decisive: la domanda fondamentale in democrazia non è “Chi deve governare?” - osserva - quanto piuttosto: “Come possiamo organizzare le nostre istituzioni politiche in modo tale che governanti cattivi o incapaci (che cerchiamo di evitare, ma che tuttavia possono capitarci) arrechino il minor danno possibile e che noi possiamo rimuoverli senza l’uso della forza?” Il problema della politica è “organizzare le istituzioni” per impedire che l’esecutivo prevarichi sul legislativo. 

Nel referendum di ottobre sulla Costituzione la posta in gioco è questa. Alta, fondamentale e non derubricabile a “male minore”. Si tratta di decidere, col nostro voto, se la democrazia italiana continuerà ad avere (o no) gli strumenti per frenare l’abuso di potere del Premier. E’ la questione posta da Popper, su cui è nata una teoria della democrazia. Che Cacciari la sottovaluti e preferisca turarsi il naso è peggio di un delitto. E’ un errore.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/referendum-costituzionale-se-massimo-cacciari-dimentica-karl-popper/

Cacciari, come perdersi in un bicchier d'acqua...
Per un punto Martin perse la cappa...
E' demoralizzante notare come uomini di una certa levatura morale e mentale si inchinino al tristo e bieco gioco della politica.
Sta succedendo sempre più spesso e a molti....
La politica ha il potere di comprare tutti? E' così accattivante?