Gli antichi Sumeri della Mesopotamia, fiorenti tra il 4500 e il 1900 a.C., sono ampiamente considerati la prima civiltà avanzata al mondo.
Vivendo tra i fiumi Tigri ed Eufrate, nell'attuale Iraq, trasformarono fertili pianure in fiorenti città-stato come Ur, Uruk ed Eridu.
La loro invenzione della scrittura cuneiforme su tavolette d'argilla segnò l'alba della storia documentata, preservando leggi, registri commerciali, miti e osservazioni astronomiche.
Queste tavolette rivelano la più antica letteratura conosciuta, tra cui l'Epopea di Gilgamesh, che esplora i temi dell'eroismo, della mortalità e della ricerca dell'immortalità.
I Sumeri furono pionieri di innovazioni come la ruota, i sistemi di irrigazione, gli utensili in bronzo e la matematica complessa, gettando le basi per le civiltà successive.
La loro società era organizzata attorno a monumentali ziggurat, torri-tempio che collegavano cielo e terra e onoravano il loro pantheon di dei.
Le tavolette d'argilla documentano anche codici legali avanzati, sistemi contabili e pratiche educative, mostrando una burocrazia notevolmente sofisticata per l'epoca.
Le scoperte archeologiche continuano a mettere alla prova la comprensione moderna, rivelando che la conoscenza sumera dell'astronomia e della misurazione del tempo andava ben oltre quanto si potesse immaginare.
Il declino dei Sumeri intorno al 1900 a.C. portò con sé invasioni e l'ascesa di potenze vicine come Akkad e Babilonia, ma la loro eredità culturale sopravvisse.
Oggi, gli scritti e i manufatti dei Sumeri continuano a rimodellare la nostra comprensione della storia umana, illuminando la nascita della civiltà stessa nella culla della Mesopotamia.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
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domenica 26 ottobre 2025
Sumeri, Mesopotamia.
martedì 22 aprile 2025
AMERIKA .
Per capire che razza di Stato criminale siano gli Stati Uniti d’Amerika, bisogna tornare a raccontare questa storia.
E poi arriva la fiala.
Piccola, contenente una polverina bianca. Powell la solleva tra pollice e indice, la agita con studiata perizia. La platea trattiene il fiato.
“Questo è antrace”, annuncia. Un veleno mortale. E, colpo di scena, Saddam Hussein ne avrebbe Venticinquemila litri.
Per rendere il tutto più credibile, il Segretario di Stato proietta immagini satellitari, grafici, prove inconfutabili. Sullo schermo, Baghdad si trasforma in un covo diabolico di laboratori segreti e arsenali invisibili. L’aria è densa di retorica e minacce.
Se solo fosse stato vero.
Ma niente paura, c’è un precedente su cui far leva. Tra ottobre e novembre 2001, lettere contaminate con antrace mietono cinque vittime negli Stati Uniti. Panico, paura, un déjà-vu a orologeria. Perfetto per preparare il terreno.
Sei settimane dopo, il 20 marzo 2003, gli Stati Uniti e i loro alleati decidono che il tempo delle parole è finito: Baghdad va rasa al suolo, Saddam Hussein deve cadere. Poco importa che gli ispettori ONU abbiano dichiarato che in Iraq non ci sono armi di distruzione di massa.
Risultato? Otto anni di guerra, mezzo milione di morti, un paese disintegrato. Più del 60% delle vittime uccise direttamente nei combattimenti. Il resto, vittime collaterali del caos: ospedali al collasso, infrastrutture in pezzi, la vita che si sgretola tra le macerie della “liberazione”.
E le prove? Falsi. Clamorosi, sfacciati, costruiti a tavolino. Le armi di distruzione di massa? Mai esistite. I laboratori segreti? Un’invenzione. Qualche anno dopo, nel 2005, lo stesso Powell si lascerà sfuggire una confessione: quel discorso è stata una “macchia” sulla sua carriera.
Macchia? Mezzo milione di morti.
Nel 2008, il cerchio si chiude. L’FBI annuncia di aver trovato il responsabile degli attacchi all’antrace del 2001: Bruce E. Ivins, microbiologo del governo. Niente processo, però. Ivins muore prima. Si suicida. O viene “suicidato”.
This is America. Yeah.
(Alfredo Facchini)
Casimira Furlani
mercoledì 29 gennaio 2025
LA TRADUZIONE DELLE TAVOLE SUMERICHE.... - Ioana Mihaela Ilie
Il testo sumero rivela 8 esseri intelligenti che vennero sulla TERRA e governarono per 241.200 anni.
- È stato scoperto su una tavoletta di argilla di 4.000 anni fa dal ricercatore tedesco-americano HERMANN HILPRECHT all'inizio del XIX e all'inizio del XX secolo.
- L'antico documento sumero più controverso nomina otto antichi monarchi che "caddero" dal cielo e governarono per quasi duecentocinquantamila anni. Secondo la narrazione, un gruppo di otto "creature" intelligenti controllava la MESOPOTAMIA per 241.200 anni prima del GRANDE DILUVIO.
-I Sumeri erano una civiltà sofisticata che esisteva circa 7.000 anni fa tra i fiumi TIGRE ed EUFRATE in MESOPOTAMIA, che alla fine divenne BABILONIA, e ora è IRAQ e SIRIA. Un rotolo contenente un resoconto dettagliato dei sovrani sumeri e dei loro regni è stato il monumento più degno di nota trovato in un antico sito sumero in IRAQ. HILPRECHT scoprì almeno 18 lastre a forma di cuneo (ca. 2017-1794 a.C.). Non erano identici, ma condividevano informazioni che si ritiene provenissero da una fonte sumera. Una dozzina di copie degli elenchi dei re sumeri sono state scoperte a BABILONIA e IN ASSIRIA, nonché nella BIBLIOTECA REALE di NINEVA nel VII secolo a.C.
-L'elenco dei Sumeri comprende i nomi di diverse generazioni di re che governarono l'antica Mesopotamia, nonché la durata e l'ubicazione dei loro regni. Il documento contiene,anche eventi della GRANDE DILUVIONE, leggende, storie di GILMAMES e storie di monarchi pre-annegati.
- Prima del diluvio, l'elenco dei Sumeri era così:
“Il regno era in ERIDUG dopo la sua discesa dal cielo. ALALU divenne re di ERIDUG e governò per 28.800 anni. Per 36.000 anni regnò ALALJAR. Due monarchi governarono per 64.800 anni. Il regno fu trasferito a BAD-TIBIA dopo la caduta di ERIDUG. .
EN-MEN-LUANA governò BAD-TIBIRA per 43.200 anni. EN-MEN-GAL-AN regnò per 28.800 anni. Per 36.000 anni regnò il pastore DUMUZI (il figlio più giovane del Creatore ENKI). I tre re regnarono per un totale di 108.000 anni. Dopo la caduta di BAD-TIBIRA, il regno fu trasferito a LARAG.
-EN-SIPAD-DID-ANA governò LARAGUL per 28.800 anni. C'era un solo monarca che regnò per 28.800 anni. Dopo la caduta di LARAGA, il regno fu trasferito a ZIMBIR. EN-MEN-DUR-ANA divenne re di ZINBIRU e governò per 21.000 anni. C'era un solo monarca che governò per 21.000 anni. Il potere reale passò a SHURUPPAG dopo la caduta di ZIMBIRA. UBARA-TUTU divenne re di SHURUPPAG e governò per 18.600 anni. C'era un solo monarca che governò per 18.600 anni. Regnò per 241.200 anni con 5 città e 8 re.
-Come riuscirono otto re a dominare il mondo per 241.200 anni? Il lungo regno dei primi monarchi causò molte controversie. ETANA, LUGAL-BANDA e GILGAMESH erano tra le figure mitologiche e leggendarie che apparivano nell'elenco e ognuno di loro regnò per un periodo di tempo improbabile. Alcune persone credevano di essere DEI con una vita più lunga degli umani. C'è anche un elenco delle norme e dei relativi obblighi dopo l'alluvione.
-Molti credono da tempo che queste siano solo interpretazioni sumere di miti leggendari. Allo stesso tempo, diversi esperti e autori hanno smentito questo concetto, sostenendo che l’elenco non può essere una bufala. Cominciarono a riconoscere alcuni nomi dall'elenco dei leader.
-Alcuni ricercatori hanno trovato somiglianze significative tra la lista dei re sumeri e il LIBRO DELLA GENESI. Ad esempio, l'elenco comprendeva otto monarchi che governarono attraverso le generazioni prima del diluvio e otto generazioni che governarono tra ADAMO e NOÈ prima del GRANDE DILUVIO. Pertanto, dopo l'alluvione, l'aspettativa di vita ha cominciato a diminuire.
-Gli storici sono ancora incuriositi dall'enigma dell'elenco sumero perché contiene strane informazioni su eventi storici. E se la lista fosse vera e gli dei del cielo vivessero e governassero così a lungo? E se avessero la tecnologia che permettesse loro di diventare immortali?
DEI SUMERICI E ANNUNAKI.
acquisizione: Cătălin Ionut Xifia
martedì 6 agosto 2024
La Mesopotamia, spesso chiamata "Culla della civiltà". - Bobby Howe
La Mesopotamia, spesso chiamata "Culla della civiltà", è una regione storica tra i fiumi Tigri ed Eufrate, principalmente nell'attuale Iraq. Quest'area è significativa per numerosi motivi, tra cui i suoi primi progressi in agricoltura, scrittura, governance e urbanizzazione, che hanno gettato le basi per le civiltà future.
Uno degli aspetti più sorprendenti della Mesopotamia è la sua agricoltura, resa possibile dalla fertile terra tra i due grandi fiumi. Questo ricco terreno facilitò la coltivazione di varie colture, tra cui orzo, grano e legumi. Questa abbondanza agricola ha sostenuto una popolazione crescente e ha portato alla creazione di alcune delle prime città. Lo sviluppo di tecniche di irrigazione, come canali e dighe, ha permesso ai mesopotamici di gestire efficacemente le risorse idriche, garantendo rese coerenti e facilitando il commercio.
La scrittura è un altro aspetto critico della cultura mesopotamica. I Sumeri, una delle prime civiltà della regione, svilupparono la scrittura cuneiforme intorno al 3200 a.C. Questo sistema di scrittura utilizzava segni a forma di cuneo su tavolette di argilla ed era essenziale per tenere registri, condurre scambi e codificare le leggi. L'Epopea di Gilgamesh, una delle prime opere letterarie conosciute, ha origine in Mesopotamia e riflette i miti, i valori e le credenze della sua gente.
La governance in Mesopotamia si è evoluta significativamente nel tempo. Inizialmente, era prevalentemente per mano dei re sacerdoti che governavano le città-stato. Man mano che le società divennero più complesse, la sovranità passò in una struttura politica più formalizzata, con leggi codificate in documenti come il Codice di Hammurabi. Questo codice è uno dei primi sistemi giuridici scritti e principi stabiliti di giustizia e responsabilità, influenzando il pensiero legale nelle civiltà successive.
L'urbanizzazione della Mesopotamia portò all'ascesa di importanti città-stato come Ur, Uruk e Babilonia. Queste città divennero centri di commercio, cultura e innovazione. Le conquiste architettoniche della Mesopotamia, come gli ziggurat, templi a gradini dedicati agli dei, dimostrano la loro comprensione avanzata dell'ingegneria e dell'arte. Le città erano anche centro di pratiche religiose, con credenze politeiste che dominavano la vita spirituale dei mesopotamici, che costruivano grandi templi per onorare le loro divinità.
L'influenza della Mesopotamia si estendeva oltre i suoi confini. Le reti commerciali facilitavano lo scambio di beni, idee e tecnologie con le regioni vicine, contribuendo allo sviluppo culturale ed economico del mondo antico. Le innovazioni della Mesopotamia, in particolare in matematica e astronomia, hanno colpito le civiltà successive, plasmando il modo in cui le società hanno compreso il mondo che le circonda.
In conclusione, i contributi della Mesopotamia alla civiltà umana sono profondi e di vasta portata. L'agricoltura, la scrittura, la governance e l'urbanizzazione della regione hanno stabilito elementi fondamentali che avrebbero influenzato innumerevoli società nel corso della storia. Come luogo di nascita di molte innovazioni prime, la Mesopotamia rimane un capitolo fondamentale nello sviluppo umano, ricordandoci il nostro passato condiviso e l'eredità duratura delle culture antiche.
giovedì 14 dicembre 2023
Al Ubaid - Sud dell'odierno Iraq.
La cultura preistorica Ubaid risale a 7.000 anni fa e, l'origine del popolo Ubaidiano, é in gran parte sconosciuta
Sappiamo solo che svilupparono agricoltura, architettura ed allevamento e vivevano in grandi insediamenti di case costruite con mattoni adobe, ottenuti da un impasto di argilla, sabbia e paglia essiccata all'ombra
Il sito principale dove sono stati scoperti dei reperti della civiltà Ubaidiana, si chiama Tell Al'Ubaid
Gli scavi hanno portato alla luce statuette maschili e femminili che indossavano un casco ed un'imbottitura sulle spalle
Altre impugnavano uno scettro
I volti sono simili a quelli dei "rettili", teste allungate, occhi a mandorla e nasi come le lucertole
Alcune figure femminili, sembrano allattare bambini con le stesse caratteristiche somatiche dei genitori
Autore..
Ameliach Lisseth
Leyendas Negras en la Historia
Sappiamo solo che svilupparono agricoltura, architettura ed allevamento e vivevano in grandi insediamenti di case costruite con mattoni adobe, ottenuti da un impasto di argilla, sabbia e paglia essiccata all'ombra
Il sito principale dove sono stati scoperti dei reperti della civiltà Ubaidiana, si chiama Tell Al'Ubaid
Gli scavi hanno portato alla luce statuette maschili e femminili che indossavano un casco ed un'imbottitura sulle spalle
Altre impugnavano uno scettro
I volti sono simili a quelli dei "rettili", teste allungate, occhi a mandorla e nasi come le lucertole
Alcune figure femminili, sembrano allattare bambini con le stesse caratteristiche somatiche dei genitori
Autore..
Ameliach Lisseth
Leyendas Negras en la Historia
venerdì 22 settembre 2023
PORTE STELLA ZOGOTH 29 novembre 1932, Iraq.
Un gruppo di archeologi inglesi ha scoperto un complesso insieme di solide strutture in granito, con rilievi intriganti e linguaggio cuneiforme. I resti archeologici sono stati rinvenuti a pochi chilometri dall'enorme ziggurat di Ur. Date le ipotesi dei ricercatori, i dati indicavano che doveva trattarsi di qualche tipo di arte del granito realizzata dagli antichi Sumeri, sebbene il simbolismo utilizzato fosse molto diverso da quello utilizzato. praticato in quel periodo.
Ulteriori analisi hanno indicato che la sua composizione deve essere migliaia di anni più antica dei primi insediamenti mesopotamici.
Sebbene le tre lastre rinvenute nella regione fossero gelosamente custodite dal Museo antropologico iracheno, decenni dopo furono perseguitate dai membri delle maggiori potenze mondiali. Fino all’invasione statunitense del 2001, dove furono strappati una volta per tutte al governo iracheno.
Gli archivi analizzati da allora hanno indicato che le lastre di granito emanavano una sorta di forza soprannaturale. Oltre alla particolarità di vibrare ed emettere un piccolo bagliore, durante le eclissi e alcune lune piene.
Molti cittadini della regione temevano già in passato la scoperta di questi artefatti, perché nelle loro leggende li contemplavano come enormi porte stellari che conducevano l'uomo alla camera degli dei e delle entità oltre la comprensione umana.
Uno dei grandi saggi che vivevano nella catena montuosa Zagros, indicò che se fosse caduto nelle mani sbagliate, esseri terribili avrebbero potuto essere liberati dalla sua struttura, poiché ognuno di loro aveva una peculiare sfera di quarzo che poteva evocare il temibile Zogoth Niamarath; una divinità mostruosa che regnava in tempi in cui l'uomo era solo molto giovane e altre creature strisciavano e governavano le sue terre.
Attualmente, l'Agenzia è a conoscenza dell'ubicazione di questi cancelli a tre stelle, che sono tenuti in bunker sotterranei in diverse località degli Stati Uniti.
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lunedì 17 ottobre 2016
Mosul, l’Italia in prima linea: elicotteri da attacco e 130 incursori per i blitz. A 20 km dal fronte i bersaglieri presidiano la diga. - Enrico Piovesana
I nostri connazionali impegnati in operazioni di combat search and rescue. Vale a dire blitz in teatro di guerra per evacuazioni di combattenti alleati o curdi feriti. Agli uomini dell'aeronautica si affiancano gli elicotteri da combattimento A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti. A correre i rischi maggiori sono però gli uomini a presidio della diga della città: armati di equipaggiamento leggero, non sono direttamente coinvolti al fronte, ma sono un bersaglio potenzialmente fragile dei razzi dello stato islamico.
La battaglia per Mosul è cominciata e i militari italiani schierati in Iraq – 700mila euro al giorno il costo della missione – si trovano impegnati in prima linea. La loro principale missione sarà quella di combat search and rescue, ovvero compiere blitz in zone di combattimento per evacuare i combattenti curdi o alleati feriti. Una missione di guerra a tutti gli effetti, che verrà condotta in ambienti “non permissivi” (come si dice in gergo militare) e comporterà quindi elevati rischi per il personale coinvolto. Non a caso gli elicotteri militari da trasporto Nh-90 dell’Esercito saranno scortati da elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti e a scendere a terra saranno gli incursori del17° stormo dell’Aeronautica, cioè forze speciali da combattimento. La base operativa del Task Group Personnel Recovery, composta in tutto da 130 uomini, è l’aeroporto di Erbil, un’ottantina di chilometri a est di Mosul.
Secondo fonti irachene riprese dalla stampa nei giorni scorsi, anche i 300 (presto 500) bersaglieri del 6° reggimento della brigata meccanizzata “Aosta” che presidiano la diga di Mosul “potrebbero intervenire per aiutare l’esercito iracheno in caso di necessità”, ma la loro capacità di combattimento sarebbe molto limitata, poiché il governo italiano ha inviato un contingente “leggero”, senza mezzi corazzati e né artiglieria pesante. Una scelta fatta proprio per evitare che la Coalizione a guida statunitense possa chiedere agli italiani un maggiore coinvolgimento. Non avendo grossi assetti da combattimento, non possono chiederceli.
Questo però espone i bersaglieri a maggiori rischi poiché, trovandosi a solo venti chilometri dalle postazioni dell’Isis, sono un soft target, facile obiettivo di attacchi da parte dello stato islamico, come già accaduto una decina di giorni fa quando sei razzi Grad Bm-21 da 122 millimetri sono caduti a poche centinaia di metri dal campo italiano.
Fondamentale, in questa prima fase di massicci bombardamenti aerei su Mosul, sarà poi il ruolo della componete aerea italiana schierata in Kuwait, impegnata in continue missioni di ricognizione e identificazione obiettivi con quattro cacciabombardieri Amx e due droni Predator, più un aero-cisterna che rifornisce in volo i bombardieri alleati.
Non è da escludere, infine, il coinvolgimento di team di forze speciali italiane in operazioni clandestine, come avvenuto fino allo scorso giugno nella provincia di Al-Anbar con l’operazione “Centuria” condotta dagli uomini della Task Force 44 basata all’aeroporto militare di Taqaddum, tra Ramadi e Fallujah. Se la TF-44 verrà impiegata anche sul fronte di Mosul in attività outside the wire, cioè sul campo a fianco dei corpi d’élite iracheni, non verrà certo reso pubblico dal Ministero della Difesa. Al momento è nota la partecipazione all’offensiva di forze speciali americane, inglesi, francesi, australiane e, secondo fonti non confermate, anche tedesche.
Articolo 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
I nostri governanti aggirano la Costituzione?
mercoledì 6 luglio 2016
Invasione in Iraq, rapporto Chilcot: "Guerra non era necessaria". Blair: "Io in buona fede".
Il Regno Unito non esaurì tutte le possibili opzioni pacifiche prima di decidere di unirsi nel 2003 agli Stati Uniti nell'invasione dell'Iraq di Saddam Hussein. Queste le attese conclusioni di Sir John Chilcot, a capo della commissione di inchiesta che per 7 anni ha indagato sulle ragioni della guerra e che oggi presenta il suo Rapporto finale.
Per Chilcot, l'allora premier laburista Tony Blair giudicò le informazioni di intelligence sulla minaccia delle presunte armi di distruzione di massa irachene "con una certezza che non era giustificata". I piani per il dopoguerra, inoltre, furono "completamente inadeguati" alla situazione.
In una dichiarazione Blair ha risposto alle conclusioni del Rapporto: "Il rapporto dovrebbe mettere a tacere le accuse di cattiva fede, menzogne o inganni. Sia che la gente sia d'accordo o in disaccordo con la mia decisione di intraprendere un'azione militare contro Saddam Hussein, lo feci in buona fede e in quello che credevo essere il migliore interesse del Paese".
E' una critica "devastante", come la definisce il Guardian, quella rivolta nei confronti di Blair dal Rapporto. Per John Chilcot, che per sette anni ha guidato la commissione d'inchiesta, la decisione britannica di invadere uno stato sovrano per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale prima che tutte "le opzioni pacifiche per il disarmo" venissero esplorate, fu della "massima gravità". E se l'azione militare non era all'epoca "l'ultima risorsa" possibile, Chilcot suggerisce che uno dei fattori decisivi nella decisione di unirsi agli Stati Uniti e scendere in guerra, fu proprio il convincimento di Blair.
Secondo il Rapporto, il celebre dossier presentato dal premier alla Camera dei Comuni nel settembre del 2002 non era sufficiente a supportare l'accusa che l'Iraq di Saddam Hussein stava sviluppando armi di distruzione di massa. L'allora governo laburista non riuscì inoltre a prevedere le disastrose conseguenze della guerra, ha detto Chilcot nell'illustrare le conclusioni contenute nei 12 volumi che compongono il Rapporto. Con almeno 150mila morti, molti dei quali civili e "oltre un milione di sfollati", ha ricordato, "il popolo iracheno soffrì enormemente".
giovedì 19 febbraio 2015
Libia, analista: “Intervento costerebbe un miliardo e attirerebbe orde di jihadisti”. - Enrico Piovesana .
Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa: "Per la missione in Afghanistan al suo picco, con 4.700 uomini, lo Stato spendeva oltre 800 milioni l’anno". Non solo: "Far sbarcare soldati occidentali in Libia attrarrebbe in quel paese fondamentalisti da tutta la regione, che verrebbero a combattere i crociati come mosche attratte dal miele.”
La scorsa settimana il governo Renzi ha decretato un rifinanziamento per le missioni militari all’estero da 750 milioni di euro fino a settembre. Oggi le missioni militari all’estero ci costano all’incirca un miliardo di euro all’anno, vale a dire 2,7 milioni al giorno. Con la missione il Libia questo costo raddoppierebbe. “Una missione libica da 5mila uomini costerebbe almeno un miliardo di euro l’anno – spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it - tenuto conto che quella in Afghanistan al suo picco, con 4.700 uomini, costava oltre 800 milioni l’anno, e non comprendeva nessun dispositivo navale, né carri armati e artiglieria pesante, che invece in questo caso sarebbero necessari”.
Ma il problema non è solo economico. Sottolineando come parlare oggi di un intervento in Libia sia “puramente accademico, finché non si capirà se ci sarà una missione internazionale, chi vi prenderà parte e quali obiettivi avrà”, Gaiani ritiene altamente rischioso, se non controproducente, l’invio di truppe occidentali in terra libica. “Far sbarcare soldati occidentali in Libia attrarrebbe in quel paese orde di jihadisti da tutta la regione, che verrebbero a combattere i crociati come mosche attratte dal miele”, spiega Gaiani descrivendo uno scenario bellico che mescolerebbe il peggio delle esperienze somala, irachena e afgana, nel quale rischieremmo di finire impantanati per anni, con perdite altissime e risultati tutt’altro che scontati. “L’Italia – si chiede il direttore diAnalisifesa.it – è pronta a imbarcarsi in un’impresa del genere, in una guerra vera e propria?”.
Un’impresa che richiederebbe un contributo di truppe molto alto a tutte le nazioni dell’eventuale coalizione militare, soprattutto se, come sembra chiaro, questa volta non ci saranno gli Stati Uniti a guidare la missione fornendo il grosso dei soldati. Sicuramente più dei 5mila uomini di cui ha parlato la Pinotti, che però, come spiega Gaiani, rappresentano il limite massimo di impiego per le nostre forze armate.
“Per combattere una guerra vera non potremmo certo mandare la fanteria leggera come in una normale missione di peacekeeping: servirebbero forze addestrate ed equipaggiate in maniera adeguata”, dice Gaiani. “Considerando le altre missioni in corso e le esigenze di avvicendamento dopo sei mesi di schieramento, si potrebbe arrivare a quella cifra impiegando l’intera brigata Folgore, da mesi in riserva strategica proprio in vista di un impiego in Nord Africa, più la nuova forza da sbarco della brigata San Marco e una consistente aliquota di forze speciali”.
Le truppe italiane attualmente impegnate nelle altre missioni all’estero sono 4mila (1.100 in Libano, 850 in Afghanistan, 500 in Iraq, 500 nei Balcani, 330 in Gibuti e Somalia, 240 nell’Oceano Indiano, 170 nel Mediterraneo e altre 200 e passa tra Egitto, Repubblica Centrafricana, Palestina, Malta, Mali,Georgia, Cipro, India/Pakistan e Marocco) e scenderanno a 3.500 a fine anno con il ritiro quasi completo dall’Afghanistan. Considerando che il massimo schieramento recente di truppe italiane all’estero è stato di 8.500 uomini nel 2010, la differenza risulta proprio di 5mila uomini.
lunedì 19 gennaio 2015
Greta e Vanessa, ex dei servizi segreti: “Ostaggi? L’Italia ha sempre pagato”. - Enrico Fierro
Lo 007 in pensione ricorda i sequestri dei quattro contractor in Iraq, di Daniele Mastrogiacomo, di Enzo Baldoni e di Giuliana Sgrena: "Impossibile riportare a casa i rapiti se non si danno tanti soldi a miliziani e informatori. La guerra è un business".
La verità è che abbiamo sempre pagato. S.E.M.P.R.E. Te lo dico a caratteri cubitali, così lo capisci e la finiamo qui”. Il signore che ci parla è una vecchia volpe dei servizi con esperienze in quella che definisce “la fogna” mediorientale. L’uomo ha appeso la barba finta al chiodo. “Faccio il pensionato e mi diverto a leggere le stronzate che scrivete voi giornalisti. Tutto si paga in inferni come l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, posti dove la guerra è un business, una industria diffusa, qui paghi tutto, e quando non lo fai allora ti riporti il morto a casa. Lo ricordi Enzo Baldoni?”. Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista free-lance per la rivista Diario di Enrico Deaglio viene rapito nei pressi di Latifiya, città irachena del triangolo sunnita, il 20 agosto del 2004, il 26 viene ufficializzata la sua morte. “Ecco – ci racconta il nostro uomo – ci sono anche casi in cui non ti danno il tempo di pagare”. E allora, aggiungiamo noi attingendo ai ricordi, scatta l’operazione demolizione della vittima . Ricordiamo alcuni titoli su Baldoni pubblicati all’epoca da Libero, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri che aveva tra le sue firme di punta sull’intelligence Renato Farina, successivamente scoperto in rapporti ottimi con i servizi con il nome di “agente Betulla”: “Vacanze intelligenti”, “Il pacifista col Kalashnikov”. Non solo, ma all’epoca ambienti della nostra intelligence fecero circolare la notizia dell’esistenza di un video dove si vedeva Baldoni lottare con i suoi rapitori, altro materiale utile ad accreditare la tesi di un uomo davvero imprudente.
La verità sulla morte del giornalista non è ancora venuta fuori, ma anche in quel caso, nonostante smentite e depistaggi, una trattativa ci fu, o quantomeno fu avviata. E allora ha ragione il nostro ex 007 che per trattare devi avere tempo, i danari non sono un problema. Tempo e buoni contatti sul territorio. Ma per i quattro contractors rapiti in Iraq in quel 2004, non ci furono trattative, né soldi spesi: Maurizio Agliano, Umberto Cupertino,Salvatore Stefio, i tre sopravvissuti dopo l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi, furono liberati dopo un blitz. “E come fai a individuare una stamberga di Ramadi, città a oltre cento chilometri da Baghdad, dove i tre erano rinchiusi insieme a un polacco (Jerzy Ros, ndr) se non paghi informatori, gole profonde, gente che sta un po’ di qua e un po’ di là?”. L’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, disse che non c’era stata trattativa: “È stata una azione di intelligence e militare senza spargimento di sangue”. “Beato te – è la replica – e che doveva dire? Darvi il numero del bonifico con l’Iban e tutto? Ma per favore, la linea è sempre la stessa, ieri come oggi, con Frattini o con Gentiloni.
Negare, negare sempre. Per i tre la trattativa fu lunga, soprattutto dopo l’esecuzione di Quattrocchi (“vi faccio vedere come muore un italiano”, ndr), e con varie concessioni. Il 14 aprile esce la notizia della morte di Quattrocchi, il giorno dopo c’è l’ultimatum dei rapitori e la minaccia di uccidere un ostaggio ogni 48 ore, il 20 aprile si apre un corridoio umanitario della Cri per Falluja, intanto tutti, ministri, governo e opposizione dichiaravano che con i terroristi non si tratta”. L’8 giugno la liberazione, rivendicata davanti alle tv di tutto il mondo dagli americani, contrari fermamente a ogni concessione ai rapitori. Il nostro sorride. “So bravi gli americani, ma il merito di quel blitz è tutto dei colleghi polacchi, gente che stava in Iraq dal Novanta, che conosceva tutti, buoni e cattivi, anche loro hanno trattato e pagato per arrivare in quel covo”.
Misteri, strani personaggi che si muovono sul terreno infido di una guerra dove non esistono confini, il ricorso a organizzazioni che hanno conquistato una loro autorevolezza sul campo. È il caso di Emergency di Gino Strada che viene attivata nel sequestro dei contractors e in quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, il ruolo di Maurizio Scelli, all’epoca commissario della Croce Rossa, successivamente deputato berlusconiano, nella liberazione delle “due Simona”, le volontarie di un “Un Ponte per…” rapite il 7 settembre del 2004 a Baghdad. Il 28 settembre, e dopo un’altalena di comunicati sulla loro morte, vengono liberate e consegnate nelle mani di Scelli. Ancora una volta la versione ufficiale fu “nessun riscatto pagato”, ma nel 2006, il britannico Times rivelò che l’Italia aveva pagato 11 milioni di dollari, 5 per la liberazione delle due operatrici di un “Un Ponte per…”, e 6 per riavere la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio 2005 e liberata il 4 marzo. Nel tragitto verso l’aeroporto, un militare americano sparò ferendo la Sgrena e uccidendo il funzionario del Sismi, Nicola Calipari.
lunedì 17 novembre 2014
TERRORISMO SPONSORIZZATO DAGLI USA E “CAOS COSTRUTTIVO”. - Julie Lévesque
L’Iraq è di nuovo in prima pagina. E di nuovo la situazione ci viene presentata dai media occidentali con un misto di mezze verità, bugie, disinformazione e propaganda. I media non vi dicono che gli USA stanno supportando entrambe le parti del conflitto iracheno. Washington sta apertamente supportando il governo shiita, mentre segretamente addestra, arma e finanzia l’ISIS. Supportare le brigate terroristiche è un atto di aggressione straniera, ma i media vi dicono che l’amministrazione Obama è “preoccupata” dalle azioni commesse dai terroristi.
Il racconto preferito dalla gran parte dei media USA e occidentali è che la situazione attuale è dovuta al “ritiro” delle truppe statunitensi, finito nel dicembre 2011. [...] Come al solito, non vogliono che capiate cosa sta succedendo. Il loro obiettivo è di formare percezioni e opinioni per una visione del mondo utile ai poteri forti. Vi dicono che è una guerra civile.
Quello che invece sta accadendo è un processo di “caos costruttivo” architettato dall’Occidente.
La destabilizzazione dell’Iraq e la sua frammentazione sono state pianificate molto tempo fa, e fanno parte del piano militare anglo-americano-israeliano per il Medio Oriente [...], che mira a creare un arco di instabilità, caos e violenza in tutta l’area che va dal Libano all’Afghanistan, fomentando l’animosità tra i diversi gruppi etnici e religiosi per ridisegnare i confini della regione.
Sebbene la strategia del “dividi e conquista” non sia nuova, essa funziona ancora grazie al fumo sollevato dai media. Architettare una guerra civile è il modo migliore per dividere un paese in territori diversi. Ha funzionato nei Balcani, abusando delle tensioni etniche per frammentare la Yugoslavia in 7 entità diverse. Oggi stiamo assistendo alla balcanizzazione dell’Iraq tramite lo strumento preferito dell’imperialismo, ovvero le milizie armate, chiamate “opposizione pro-democratica” oppure “terroristi” a seconda del contesto e del ruolo che devono giocare nella psiche collettiva.
Sebbene la strategia del “dividi e conquista” non sia nuova, essa funziona ancora grazie al fumo sollevato dai media. Architettare una guerra civile è il modo migliore per dividere un paese in territori diversi. Ha funzionato nei Balcani, abusando delle tensioni etniche per frammentare la Yugoslavia in 7 entità diverse. Oggi stiamo assistendo alla balcanizzazione dell’Iraq tramite lo strumento preferito dell’imperialismo, ovvero le milizie armate, chiamate “opposizione pro-democratica” oppure “terroristi” a seconda del contesto e del ruolo che devono giocare nella psiche collettiva.
I media e i governi occidentali le definiscono non in base a cosa sono, ma in base a contro chi combattono. In Siria costituiscono una “opposizione legittima, combattenti per la libertà e la democrazia contro una dittatura brutale”, mentre in Iraq sono “terroristi che lottano contro un governo democraticamente eletto e appoggiato dagli USA”.
Scrive Michel Chossudovsky in un articolo del 14 giugno:
“E’ noto e documentato che gruppi affiliati ad Al Qaeda sono stati usati da USA e NATO in numerosi conflitti fin dai tempi della guerra afgano-sovietica. In Siria, Al Nusrah e l’ISIS sono la fanteria dell’alleanza militare occidentale, che sovrintende e controlla il reclutamento e l’addestramento delle forze paramilitari. [...] Il progetto per uno Stato Islamico dell’Iraq e un califfato sunnita coincide con un piano statunitense di lunga data per ricavare da Siria e Iraq tre territori separati: un Califfato Islamico Sunnita, una Repubblica Araba e una Repubblica del Kurdistan. Mentre il governo (appoggiato dagli USA) di Baghdad acquista armi avanzate dagli Stati Uniti, compresi F-16 della Lockheed Martin, l’ISIS è supportato segretamente dall’intelligence occidentale.
“E’ noto e documentato che gruppi affiliati ad Al Qaeda sono stati usati da USA e NATO in numerosi conflitti fin dai tempi della guerra afgano-sovietica. In Siria, Al Nusrah e l’ISIS sono la fanteria dell’alleanza militare occidentale, che sovrintende e controlla il reclutamento e l’addestramento delle forze paramilitari. [...] Il progetto per uno Stato Islamico dell’Iraq e un califfato sunnita coincide con un piano statunitense di lunga data per ricavare da Siria e Iraq tre territori separati: un Califfato Islamico Sunnita, una Repubblica Araba e una Repubblica del Kurdistan. Mentre il governo (appoggiato dagli USA) di Baghdad acquista armi avanzate dagli Stati Uniti, compresi F-16 della Lockheed Martin, l’ISIS è supportato segretamente dall’intelligence occidentale.
L’obiettivo è di architettare una guerra civile in Iraq, in cui entrambe le parti sono controllate indirettamente da USA e NATO. [...] Sotto la copertura di una guerra civile viene combattuta una guerra di aggressione. Questo mentre all’opinione pubblica si fa credere che sia un conflitto tra sciiti e sunniti.”
[...] Mentre i media riconoscono che l’Arabia Saudita supporta il terrorismo, ignorano il fatto che anche gli USA stanno supportando indirettamente entità terroristiche. Inoltre, i giornalisti mainstream non si chiedono mai perché gli USA non reagiscono al supporto saudita dei terroristi. I fatti sono chiari: gli USA stanno supportando il terrorismo proprio attraverso alleati come l’Arabia Saudita e il Qatar. Se i commentatori dei media non riescono a mettere insieme i pezzi, è solo perché non vogliono.
[...] Ora ci dicono che l’ISIS è riuscito a mettere le mani su sofisticate armi di fabbricazione statunitense. Non fatevi ingannare: quelle armi non sono arrivate lì per caso. Gli USA sapevano esattamente cosa stavano facendo mentre armavano e finanziavano l'”opposizione” in Libia e in Siria. Ciò che facevano non era stupido. Sapevano cosa sarebbe successo ed è ciò che volevano. Quando una risorsa di intelligence finisce con il lottare contro i suoi sponsor, qualcuno nei media “progressisti” parla di effetto boomerang. Scordatevi l’effetto boomerang, questo è un “effetto boomerang” pianificato con molta cura.
Alcuni diranno che la politica statunitense nel Medio Oriente è un “fallimento”, che i suoi artefici sono “stupidi”. Ebbene, non è un fallimento e non sono stupidi. Questo è ciò che vogliono che pensiate, perché loro pensano che voi siate stupidi.
Quanto sta accadendo ora è stato pianificato molto tempo fa. La verità è che la politica estera statunitense in Medio Oriente è diabolica, brutalmente repressiva, criminale e anti-democratica.
Alcuni diranno che la politica statunitense nel Medio Oriente è un “fallimento”, che i suoi artefici sono “stupidi”. Ebbene, non è un fallimento e non sono stupidi. Questo è ciò che vogliono che pensiate, perché loro pensano che voi siate stupidi.
Quanto sta accadendo ora è stato pianificato molto tempo fa. La verità è che la politica estera statunitense in Medio Oriente è diabolica, brutalmente repressiva, criminale e anti-democratica.
Fonte: Global Research
http://www.controinformazione.info/terrorismo-sponsorizzato-dagli-usa-e-caos-costruttivo/
Leggi anche:
http://www.lastampa.it/Page/Id/2.0.2548272084
http://metapolitica.ilcannocchiale.it/2014/08/11/chi_finanzia_e_arma_lisis.html
http://notizie.tiscali.it/socialnews/Ragnedda/13930/articoli/L-ISIS-crea-il-califfato-ma-gli-USA-continuano-ad-armarli.html
Leggi anche:
http://www.lastampa.it/Page/Id/2.0.2548272084
http://metapolitica.ilcannocchiale.it/2014/08/11/chi_finanzia_e_arma_lisis.html
http://notizie.tiscali.it/socialnews/Ragnedda/13930/articoli/L-ISIS-crea-il-califfato-ma-gli-USA-continuano-ad-armarli.html
martedì 30 settembre 2014
Irak: chi arma l'ISIS e perché gli Usa non interverranno. - Maria Grazia Bruzzone
I commenti di questi giorni sull’avanzata travolgente degli estremisti sunniti dell’ISIS calati dalla Turchia e dal nord est della Siria fino a Mosul, la seconda città irakena con 2 milioni di abitanti, e fin quasi alle porte di Bagdad, non possono evitare ironie o addirittura sarcasmi. La guerra dell’Occidente per “portare la democrazia” in Irak dopo 10 anni (e 5000 morti e 100.000 feriti solo fra i soldati Usa, un milione la stima delle vittime civili) si sta risolvendo in una beffa: dove sventolava la bandiera dell’Irak di Saddam Hussein – non certo immacolata sebbene il raiss non avesse armi di distruzione di massa, né rapporti con Al-Qaeda, al contrario di quanto sostenevano G.W. Bush e Blair – sventola il drappo nero dei quaedisti sunniti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante (o in Iraq e Siria) ovvero Islamic State of Iraq and Al-Sham, l’ISIS, insomma.
E’ una lettura di gran lunga troppo facile di quel che accade, e non da oggi, in quel settore del Medio Oriente dove le parti in gioco sono tante - Usa, Iran, Siria, Monarchie del Golfo in particolare Arabia Saudita e Qatar, Irak del governo sciita di al-Maliki e Irak dei combattenti sunniti - con interessi in parte in conflitto fra loro, come cerca di chiarire ai lettori una sorta di mappa sul NYTimes. Un coacervo di contraddizioni ben analizzato sulla Stampa da Claudio Gallo (“Nella guerra a distanza Arabia-Iran la Turchia gioca la carta dei curdi”).
Più drastici, i blog “alternativi” vanno oltre e non esitano a puntare il dito sul ruolo degli Stati Uniti. Ruolo peraltro ambiguo. Al punto che il governo Usa sembra molto riluttante a soddisfare la richiesta di aiuto da parte del filo-americano al-Maliki (che ha subito chiesto un intervento con aerei o droni) al quale si è clamorosamente unito l’Iran offrendo agli Usa collaborazione per respingere la minaccia sunnita. “Questa volta no”, ha dichiarato Hillary Clinton, potenziale candidata presidente nel 2016, contraria a ogni tipo di iniziativa (vedi Politico.com) Il dibattito negli Usa è quanto mai aperto, specie dopo che l’Iran sciita ha proposto agli Usa una collaborazione contro i sunniti dell’ISIS.
Mr President: is the US still arming ISIL in Syria? Chiedeva provocatoriamente un tweet di @zerohedge venerdì scorso (13/6 ). Il giorno prima lo stesso blog postava un pezzo, senza punti interrogativi, intitolato Come gli Usa armano i due fronti del conflitto irakeno, ripreso da Infowars.
Armi all’Irak di Maliki. Il primo, sulla scia di una notizia Reuters, si dava conto del primo F-16, del contingente di ben 36 aerei ordinati dal governo irakeno di al-Maliki, 18 nel 2011 per $3 miliardi, altrettanti nel 2012. Per meglio proteggere l’Irak in marzo gli Usa hanno fornito all’Irak 100 missili Hellfire, e fucili d’assalto e munizioni, si aggiungeva. E in aprile avevano mandato altre armi, e 11 milioni di rotoli di munizioni e altre forniture.
“L’Irak è un grande paese con 3600 km di confini, e dobbiamo proteggerli”, dichiarava l’ambasciatore Usa, in procinto di priedere alla cerimonia di consegna alla Lockeed. Il paese non ha più un’aviazione dopo l ‘invasione del 2003 che rovesciò Saddam, dopo aver distrutto l’esercito del raiss, ora tocca ricostituirlo, fantastico - osservava il post.
E armi ai jihadisti combattenti sunniti . “Qualcuno mente. Obama dichiara di non armare i 'ribelli 'siriani, loro affermano il contrario”, titolava due settimane prima (28/5) lo stesso blog economico-finanziario (ad influenzare Borse, valute, petrolio e materie prime e Borse come si sa sono le notizie più varie). Riferendosi da una parte alle affermazioni del presidente (stiamo pensando di addestrare e armare i ribelli siriani “moderati” che combattono cotro Assad, come fosse solo un’intenzione), dall’altro al servizio della tv pubblica PBS, Frontline dove ribelli volutamente non identificati ma apparentemente moderati al giornalista che li ha seguiti per vari giorni sul terreno asserivano di avere contatti con Americani che ordinavano loro di mandare contingenti di 80-90 militi in Turchia dove vengono addestrati all’uso di armi sofisticate e tecniche di combattimento.
Chi guadagna da questo duplice gioco? Sicuramente il complesso militar-industriale, conclude zerohedge, e qui si ferma.
“ Susan Rice ammette che gli Usa danno armi ad Al Qaeda in Siria” arrivava a titolare ad effetto Infowars il 7 giugno con video di YouTube incorporato in cui il consigliere n. 1 del presidente parla alla CNN. Dice di avere il “cuore spezzato” per le distruzioni in atto in Siria. “ E’ per questo che gli Stati Uniti hanno accresciuto il sostegno alle opposizioni moderate fornendo armi letali e non letali dove possiamo appoggiare sia l’opposizione civile sia quella militare”. Gruppi moderati spesso sotto finanziati, frammentati e caotici, sembrano servire a poco rispetto alle unità islamiste più radicali e organizzate, scriveva l’agenzia Reuters già un anno fa. E oggi? Nonostante le dichiarazioni di Rice l’amministrazione Usa è rimasta vaga, rifiutando di dare dettagli.
A chi finiscono le armi? L’autore del post ricorda di aver scritto già ad aprile che gli Stati Uniti fornivano armi ad al-Nusra ( fazione jihadista vicino ad al Qaeda) e altri gruppi terroristi in Siria attraverso gruppi moderati. “Se quelli che ci sostengono (Usa, Arabia Saudita, e Qatar) ci dicono di madare le armi a un altro gruppo le mandiamo. Un mese fa ci dissero di mandare molte armi a Yabroud, (una città siriana) e lo abbiamo fatto”, ha raccontato Jamal Marouf, che guida il Syrian Revolutionary Front (SRF) creato dalla CIA e intelligence di Arabia e Qatar.
Ora viene citato Barak Barfi, ricercatore della New America Foundation, a sua volta certo che al Nusra, uno dei gruppi jihadisti più feroci, riceve armi indirettamente dal SRF . “Si sa che il primo ministro turco Erdogan appoggia l’ al-Nusra Front e altri gruppi terroristi, ha scritto del resto lo scorso aprile il giornalista Premio Pulitzer Seymour Hersh, parlando degli appoggi da parte dei paesi vicini della Siria, specie la Turchia, alle milizie terroriste.
E al-Nusra Front un mese fa ha dichiarato che avrebbe obbedito all’ordine del leader di al-Quaeda Al-Zawahiri di fermare gli attacchi ai rivali dell’ISIS , raccontava a inizio maggio Asharq Al-Awsat , primo giornale panarabo, stampato in 4 continenti. Al-Nusra è una branca di al-Qaeda in Siria mentre l’ISIS è considerato l’ala irachena, viene specificato.
Ma chi c’è dietro l’ISIS che dice di guidare la ribellione dei sunniti contro le ingiustizie commesse dagli sciiti del dopo Saddam? Chi lo sostiene, chi lo arma, chi lo finanzia? Se lo chiede l’autore di un altro articolo dello stesso giornale, che si dice sorpreso di aver visto il suo capo Abu Bakr Al-Baghdadi addirittura sulla copertina di TIME alla fine dell’anno scorso.
Baghdadi - secondo un blog francese assai “cospirazionista” ma informato - comanderebbe la milizia per conto dei Saudiani (sunniti-wahabiti), sarebbe legato direttamente a un principe della famiglia reale fratello di un ministro, ma il gruppo sarebbe co-finanziato da americani, saudiani e anche francesi. Irakeno, Baghdadi nel 2013 se ne è partito a combattere in Siria, radicandosi nel nordest a Raqqa. Salvo dirigersi recentemente verso l’Irak , arrivando al distretto di Ninive, a Mosul e a Baliji, sede della maggiore raffineria irakena, oggi circondata dalle sue truppe.
Gli alleati segreti dell’ISIS. Senza nemmeno trovare troppa resistenza, racconta qui Global Research: a Mosul l’esercito irakeno – addestrato per 10 anni dagli americani (costo $20 miliardi)- non solo non è stato capace di fermare 2-3000 militi ISIS, ma i soldati hanno disertato in massa lasciando sul campo uniformi e armi per i guerriglieri, dove già militavano ex ufficiali e commilitoni dell’esercito di Saddam, sunniti come loro. E come gran parte della popolazione della regione, che infatti pare abbia applaudito la rotta dell’esercito di Al Maliki. (“Gli alleati segreti dell’ISIS”, titola un post del Daily Beast, raccontando cose simili).
Una campagna non da poco , quella di Mosul, pensata e preparata con cura e per tempo. L’ISIS del resto è un vero esercito ben organizzato e pagato, scrive un post di Land Destroyer/Infowars .
E mostra la foto di un lunghissimo convoglio di guerrieri con i loro vessilli neri a bordo di veicoli Toyota tutti uguali e nuovi, a quanto sembra. “Gli stessi usati dai miliziani che la Nato ammette di armare”, osserva l’autore. Che non crede alla “sorpresa” che i media americani raccontano.
Davvero la CIA non sapeva niente dell’avanzata di giugno? Vogliono far credere che l’intelligence sia stata colta di sorpresa, malgrado la sua presenza in Irak, e che l’ISIS sia un gruppo che si autofinanzia con furti alle banche e donazioni via twitter (sui giornali è uscito anche questo). La CIA ha da tre anni un programma di droni che sorveglia il confine fra Siria e Turchia. Poteva almeno leggere i giornali: il Lebanon Daily Start in marzo riferiva che il gruppo si era dislocato dalla Siria del nord verso est lungo il confine con l’Irak.
L'autore cita Seymour Hersh che già nel 2007 ( articolo The Redirection) documentava "l'intenzione di Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele, di creare e dispiegare una rete regionale di estremisti settari che avrebbero dovuto confrontarsi con Iran,Siria e Hezbollah in Libano. "L'armata ISIS è la manifestazione finale di questo disegno", scrive. Accreditando la tesi complottista avanzata dall'autorevole giornalista.
L’ ISIS non è più da tempo una mera organizzazione terroristica. E’ una forza militare convenzionale che occupa un territorio e pretende di governarne una parte. La campagna di Mosul è stata bel pianificata e ha richiesto anni per metterne a punto le condizioni. Le operazioni hanno permesso di tagliar fuori i media dalla città, limitare le attività delle Forze di Sicurezza irachene, e guadagnarsi libertà di movimento all’interno. Un lavoro sul terreno per arrivare il 10 giugno alla presa di Mosul e del territorio, all’apprezzamento del suo attacco, all’aspirazione a governare uno stato tra Irak e Siria (non va dimenticato che l’ISIS controlla già l’area nel nord della Siria intorno a Deir el Dzor, ndr).
Così un report del 10 giugno dell’Institute for the Study of War, (istituto di ricerca indipendente, no partisan e no profit, specializzato in Medio Oriente). A citarlo è un post di Counterpunch online, mensile ormai storico di orientamento “radicale”, che non esita di criticare dem o rep. Il report – commenta il post - suggerisce che l’ISIS non è affatto quell’amalgama di fanatici rabbiosi che si vuol far credere, ma un esercito altamente motivato e disciplinato con chiari e definiti obiettivi politici e territoriali.
Come andrà a finire? Interessante la convergenza fra analisi assai diverse.
“Vi sono indicazioni crescenti che la crisi innescata dall’offensiva ISIS possa portare alla completa frattura dell’Iraq secondo linee settarie, cambiando la mappa politica del Medio Oriente”, scrive Global Research. E Claudio Gallo sulla stampa.it:
“Paradossalmente, il crollo dell’Iraq ha riportato in voga le cartine apparse sul web all’indomani dell’Operazione Iraqi Freedom lanciata da George W. Bush nel 2003. Mostravano un paese diviso in tre stati: uno curdo al nord, uno sunnita al centro e uno sciita a sud. Più o meno la mappa attuale” .
Counterpunch è il più esplicito:
“Se le cose stanno così allora è verosimile dopo che non marcerà su Bagdag, ma stringerà la sua presa sulle aree a predominanza di sunniti, costruendo uno stato nello stato. E questo è precisamente il motivo per cui l’ amministrazione Obama potrebbe scegliere di star fuori del tutto dalla conflagrazione, perché gli obiettivi dell ’ ISIS coincidono con un piano assai simile di creare una “ partizione soft " che data dal 2006"
"Il piano fu proposto per la prima volta da Leslie Gelb, ex presidente del Council of Foreign Relations (il suo articolo sul NYTimes risale in realtà al 2003 ndr), e dal senatore Joe Biden (nel 2006). Secondo il New York Times “ il cosiddetto piano della ‘ partizione soft’ prevede di dividere l’ Irak in tre regioni semi-autonome. Ci sarebbe un Kurdistan arrendevole, un morbido Shiastan, e un altrettando soft Sunnistan , tutti sotto un grande, debole ombrello Irak".
"Ed è per questo motivo che gli Stati Uniti probabilmente non dispiegheranno truppe da combattimento per confrontarsi coi miliziani sunniti a Mosul. E’ perché gli obiettivi strategici dell ’ amministrazione Obama e quelli dei terroristi sono quasi identici. Cosa che non dovrebbe sorprendere nessuno”, conclude Counterpunch.
Va sottolineato che il Sunnistan comprenderebbe una parte del territorio siriano, peraltro già sotto il controllo dell’ISIS. I siriani (e il presidente Assad) sarebbero d’accordo? E l’Iran sciita che oggi infatti offre collaborazione agli Stati Uniti?
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