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martedì 27 marzo 2018

Caso ex spia russa, l'Italia ha espulso i diplomatici russi obtorto collo. - Umberto De Giovannangeli


SOCHI, RUSSIA MAY 17, 2017: Italys Prime Minister Paolo Gentiloni (L) and Russias President Vladimir Putin attend a press conference following their meeting at the Bocharov Ruchei residence. Mikhail Metzel/TASS (Photo by Mikhail Metzel\TASS via Getty Images)

Il nostro Paese non vuole mettere all'angolo la Russia, Lega e Fratelli d'Italia parlano di grave errore. Silenzi da M5s e Pd. I sospetti del Nyt sulla linea di Roma.


Obtorto collo. Il latino corre in aiuto per spiegare come l'Italia stia affrontando la "guerra diplomatica" ingaggiata dall'Europa contro la Federazione Russa e il suo presidente-padrone: Vladimir Putin. Ufficialmente, tutti negheranno. Ma fuori dall'ufficialità, e con la garanzia dell'anonimato, fonti diplomatiche alla Farnesina e a Bruxelles, raccontano una storia più complessa e meno idilliaca di quello che parrebbe dalla conta di funzionari e/o spie russe che i Paesi dell'Unione hanno deciso di rispedire a casa, in risposta all'avvelenamento della ex spia russa Sergey Skripal e della figlia Yulia avvenuto lo scorso 4 marzo a Salisbury, nel Regno Unito, con un agente nervino.
A concordare la risposta europea, raccontano le fonti ad HP, sono state le premier di Germania, Angela Merkel, e Regno Unito, Theresa May assieme al presidente della Francia, Emmanuel Macron. Le prime due, racconta ancora la fonte, avrebbero voluto andar giù ancor più pesantemente, inasprendo le sanzioni economiche e commerciali contro Mosca, rispetto a quelle attuate al seguito dell'(irrisolta) crisi ucraina. "Ma su questo – dicono alla Farnesina – il premier Gentiloni ha fatto resistenza, riuscendo a stoppare l'iniziativa anglo-tedesca, ben vista dall'altra parte dell'Oceano". Di diplomatici, Francia e Germania ne hanno espulsi quattro a testa, così come la Polonia. Tre ciascuno da Repubblica Ceca e Lituania, mentre due da Italia, Spagna, Danimarca e Olanda. Uno a testa, per il momento, da Lettonia, Romania, Croazia, Ungheria ed Estonia. I Ventotto hanno anche richiamato l'Ambasciatore dell'Ue a Mosca per consultazioni. Il capo della delegazione dell'Ue nella Federazione Russa, Markus Ederer, è giunto a Bruxelles nel fine settimana, e ieri è stato a colloquio con l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. Quanto alle misure adottate oggi, dall'entourage di "Lady Pesc" si ribadisce che tali misure sono conseguenziali a quanto deciso, unanimemente, al Consiglio europeo del 22 e 23 marzo.
Un riferimento che si ritrova nella nota diffusa dalla Farnesina, in cui si legge che "a seguito delle conclusioni adottate dal Consiglio Europeo del 22 e 23 marzo scorso, in segno di solidarietà con il Regno Unito e in coordinamento con partner europei e alleati Nato, il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale ha notificato oggi la decisione di espellere dal territorio italiano entro una settimana due funzionari dell'ambasciata della Federazione russa a Roma accreditati in lista diplomatica". Sono 14 gli Stati membri della Ue ad aver preso finora il provvedimento "come seguito" di quanto deciso al vertice Ue della settimana scorsa, ha affermato il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, aggiungendo che "altre espulsioni non sono da escludere nei prossimi giorni e settimane". Farnesina e Palazzo Chigi non confermano né smentiscono, ma la linea che s'intende seguire sarebbe quella della "prudenza". In altri termini, vorremo fermarci a due cartellini rossi, peraltro sventolati a due funzionari non propriamente "apicali".
Tutti gli espulsi hanno una settimana di tempo per lasciare i relativi Paesi. Un'azione congiunta per la quale esulta il governo britannico, dal ministro degli Esteri Boris Johnson a quello della Difesa Gavin Williamson. "La straordinaria risposta internazionale dei nostri alleati – ha detto Johnson – rappresenta la più grande espulsione collettiva di agenti dell'intelligence russa nella storia e ci aiuterà a difendere la nostra sicurezza. La Russia non può violare impunemente le norme internazionali". L'Italia è tra i Paesi europei che più hanno patito le conseguenze sanzionatorie. Ma la ragione del nostro freno non è solo dettata da interessi, economici e commerciali, nazionali. E le fonti diplomatiche spiegano i perché: "Restiamo convinti – dicono – che la Russia è un partner cruciale per la stabilizzazione di aree esplosive come il Nord Africa e il Medio Oriente, e a questo va aggiunto che le conseguenze negative della corsa al riarmo ingaggiata da Usa e Russia ricadrebbero soprattutto sull'Europa". Su questo, rimarcano ancora le fonti, c'è una visione "trasversale" comune alle maggiori forze politiche italiane: ognuna con le proprie motivazioni e accenti, il Movimento 5 Stelle, la Lega di Salvini, il Pd e Forza Italia convergono nel ritenere la Russia un interlocutore che non può e non deve essere messo all'angolo. Un punto di vista che non è particolarmente gradito nelle altre cancellerie europee che contano e tanto meno alla Casa Bianca.
Con un editoriale sul New York Times, Frank Bruni, una delle firme più autorevoli del NYT, ha dato voce e visibilità esattamente a un timore che non investe solo l'amministrazione Trump: : lo spostamento dell'asse di riferimento del Paese a netto favore di Vladimir Putin. "L'Italia ha abbandonato l'America. Per la Russia", il titolo eloquente. Una forzatura, certo, ma che mette in rilievo il rischio di una "etichettatura" negativa per l'Italia da parte, interessata, di Washington e, sia pure in modo meno esplicitato, di Londra, Parigi e Berlino: quello del Paese più "putiniano" del Vecchio Continente.
Un passo indietro nel tempo. "Abbiamo sostenuto la fiducia delle imprese italiane nelle aziende russe e in questo Paese". Mosca, 17 maggio 2017. Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni in una conferenza stampa con il presidente russo Vladimir Putin commentava i rapporti diplomatici tra il nostro Paese e la Russia. Poi Gentiloni fissò un obiettivo: "Tra Italia e Russia ci sono aree di cooperazione nella lotta al terrorismo e nella gestione di alcuni crisi regionali. Penso alla Libia, alla Siria e all'Afghanistan nelle quali Italia e Russia possono e devono collaborare", disse il premier italiano. "Abbiamo minacce in comune e dobbiamo rispondere in comune", aggiunse il premier. A questo punto, Gentiloni ha anche parlato delle sanzioni alla Russia: Dal nostro punto di vista lo sforzo che abbiamo sempre fatto e continueremo a fare è quello di sottolineare che non può esserci un automatismo nel rinnovo delle sanzioni alla Russia. Bisogna fare una discussione seria, con l'obiettivo di mantenere unita l'Unione europea ma maturando queste decisioni, facendo un ragionamento serio".
L'Italia è per "attuare gli accordi di Minsk, ma dobbiamo dirci come stanno le cose. L'Italia - aggiunse - è interessata a questo dossier. Nessuno pensi che l'Italia romperà in solitaria con i suoi alleati ma nessuno creda che le decisioni sul rinnovo delle sanzioni possano essere prese con il pilota automatico", concluse Gentiloni. "E' questa la linea su cui continuiamo ad attestarci – rimarcano ancora alla Farnesina – fino a nuovo ordine". E al nuovo primo ministro. Se dovesse toccare a Matteo Salvini, c'è da chiedersi se manterrà fede al "patto di amicizia" firmato a Mosca da Lega Nord e Russia Unita, il partito di Putin, definito di "cooperazione e collaborazione". Un accordo, spiegò in quell'occasione lo stesso Salvini, che mette in luce unità di intenti su "lotta all'immigrazione clandestina e pacificazione della Libia, lotta al terrorismo islamico e fine delle sanzioni contro la Russia, che sono costate all'Italia 5 miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro persi". Era il 6 marzo 2017. E la linea è rimasta la stessa. Tanto da meritare un elegiaco pezzo di Sputnik Italia, il sito "putiniano, solerte nell'indicare chi sono nel Belpaese i "veri amici" di Mosca.
"Al governo non avrei fatto una scelta del genere", ha detto Matteo Salvini commentando l'espulsione dall'Italia di diplomatici russi in risposta all'avvelenamento della ex spia russa Sergey Skripal e della figlia avvenuto lo scorso 4 marzo a Salisbury nel Regno Unito. "Leggere che invece che riannodare i fili del dialogo il governo italiano subisce la richiesta, che arriva da altri, ed espelle diplomatici russi - ha concluso a margine del consiglio comunale di Milano - mi sembra una cosa poco utile a un futuro di dialogo e convivenza". Non da meno gli è Giorgia Meloni. "E' inaccettabile che un Governo dimissionario decida di espellere due funzionari dell'ambasciata russa", dichiara la leader di Fratelli d'Italia che parla degli "ultimi colpi di coda di un Governo asservito alla volontà di Stati esteri che per fortuna sarà messo presto nelle condizioni di non nuocere più gli interessi nazionali italiani". Chissà che ne pensano dalle parti di Washington e di Berlino.

lunedì 19 gennaio 2015

Greta e Vanessa, ex dei servizi segreti: “Ostaggi? L’Italia ha sempre pagato”. - Enrico Fierro

Greta e Vanessa, ex dei servizi segreti: “Ostaggi? L’Italia ha sempre pagato”

Lo 007 in pensione ricorda i sequestri dei quattro contractor in Iraq, di Daniele Mastrogiacomo, di Enzo Baldoni e di Giuliana Sgrena: "Impossibile riportare a casa i rapiti se non si danno tanti soldi a miliziani e informatori. La guerra è un business".

La verità è che abbiamo sempre pagato. S.E.M.P.R.E. Te lo dico a caratteri cubitali, così lo capisci e la finiamo qui”. Il signore che ci parla è una vecchia volpe dei servizi con esperienze in quella che definisce “la fogna” mediorientale. L’uomo ha appeso la barba finta al chiodo. “Faccio il pensionato e mi diverto a leggere le stronzate che scrivete voi giornalisti. Tutto si paga in inferni come l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, posti dove la guerra è un business, una industria diffusa, qui paghi tutto, e quando non lo fai allora ti riporti il morto a casa. Lo ricordi Enzo Baldoni?”. Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista free-lance per la rivista Diario di Enrico Deaglio viene rapito nei pressi di Latifiya, città irachena del triangolo sunnita, il 20 agosto del 2004, il 26 viene ufficializzata la sua morte. “Ecco – ci racconta il nostro uomo – ci sono anche casi in cui non ti danno il tempo di pagare”. E allora, aggiungiamo noi attingendo ai ricordi, scatta l’operazione demolizione della vittima . Ricordiamo alcuni titoli su Baldoni pubblicati all’epoca da Libero, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri che aveva tra le sue firme di punta sull’intelligence Renato Farina, successivamente scoperto in rapporti ottimi con i servizi con il nome di “agente Betulla”: “Vacanze intelligenti”, “Il pacifista col Kalashnikov”. Non solo, ma all’epoca ambienti della nostra intelligence fecero circolare la notizia dell’esistenza di un video dove si vedeva Baldoni lottare con i suoi rapitori, altro materiale utile ad accreditare la tesi di un uomo davvero imprudente.
La verità sulla morte del giornalista non è ancora venuta fuori, ma anche in quel caso, nonostante smentite e depistaggi, una trattativa ci fu, o quantomeno fu avviata. E allora ha ragione il nostro ex 007 che per trattare devi avere tempo, i danari non sono un problema. Tempo e buoni contatti sul territorio. Ma per i quattro contractors rapiti in Iraq in quel 2004, non ci furono trattative, né soldi spesi: Maurizio AglianoUmberto Cupertino,Salvatore Stefio, i tre sopravvissuti dopo l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi, furono liberati dopo un blitz. “E come fai a individuare una stamberga di Ramadi, città a oltre cento chilometri da Baghdad, dove i tre erano rinchiusi insieme a un polacco (Jerzy Ros, ndr) se non paghi informatori, gole profonde, gente che sta un po’ di qua e un po’ di là?”. L’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, disse che non c’era stata trattativa: “È stata una azione di intelligence e militare senza spargimento di sangue”. “Beato te – è la replica – e che doveva dire? Darvi il numero del bonifico con l’Iban e tutto? Ma per favore, la linea è sempre la stessa, ieri come oggi, con Frattini o con Gentiloni.
Negare, negare sempre. Per i tre la trattativa fu lunga, soprattutto dopo l’esecuzione di Quattrocchi (“vi faccio vedere come muore un italiano”, ndr), e con varie concessioni. Il 14 aprile esce la notizia della morte di Quattrocchi, il giorno dopo c’è l’ultimatum dei rapitori e la minaccia di uccidere un ostaggio ogni 48 ore, il 20 aprile si apre un corridoio umanitario della Cri per Falluja, intanto tutti, ministri, governo e opposizione dichiaravano che con i terroristi non si tratta”. L’8 giugno la liberazione, rivendicata davanti alle tv di tutto il mondo dagli americani, contrari fermamente a ogni concessione ai rapitori. Il nostro sorride. “So bravi gli americani, ma il merito di quel blitz è tutto dei colleghi polacchi, gente che stava in Iraq dal Novanta, che conosceva tutti, buoni e cattivi, anche loro hanno trattato e pagato per arrivare in quel covo”.
Misteri, strani personaggi che si muovono sul terreno infido di una guerra dove non esistono confini, il ricorso a organizzazioni che hanno conquistato una loro autorevolezza sul campo. È il caso di Emergency di Gino Strada che viene attivata nel sequestro dei contractors e in quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, il ruolo di Maurizio Scelli, all’epoca commissario della Croce Rossa, successivamente deputato berlusconiano, nella liberazione delle “due Simona”, le volontarie di un “Un Ponte per…” rapite il 7 settembre del 2004 a Baghdad. Il 28 settembre, e dopo un’altalena di comunicati sulla loro morte, vengono liberate e consegnate nelle mani di Scelli. Ancora una volta la versione ufficiale fu “nessun riscatto pagato”, ma nel 2006, il britannico Times rivelò che l’Italia aveva pagato 11 milioni di dollari, 5 per la liberazione delle due operatrici di un “Un Ponte per…”, e 6 per riavere la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio 2005 e liberata il 4 marzo. Nel tragitto verso l’aeroporto, un militare americano sparò ferendo la Sgrena e uccidendo il funzionario del SismiNicola Calipari.