sabato 2 luglio 2011

Il Guardasigilli ostenta la svolta "Voglio un partito degli onesti".

Una battuta di Rotondi inquadra il neosegretario: "E' un "Forlanitecnologico" Angelino rassicura i suoi: "Vedrete, il Cavaliere sarà candidato anche nel 2013"
FABIO MARTINI

ROMA
Prima che le telecamere si spengano sul «set» del Pdl, le ultime parole di Silvio Berlusconi sono rivolte ad Angelino Alfano e sono parole semplici: «Buona fortuna...». Un modo di dire? Oppure, dopo 17 anni di autocrazia berlusconiana, siamo a un passaggio di consegne sostanzioso, una roba vera? Le tv a circuito chiuso ad uso dei giornalisti si spengono e a quel punto sul palco dell’Auditorium della Conciliazione si consuma una scena che vedono soltanto i mille quadri del Pdl, una sequenza che aiuta a capire il senso delle parole augurali pronunciate poco prima dal capo. A sorpresa, dalla regia non partono i soliti jingle e neppure inni dionisiaci del tipo «meno male che Silvio c’è...». Un epilogo silenzioso e impersonale: in 17 anni non era mai capitato. Ma c’è di più: Berlusconi, con un viso meno trionfante del solito, scende dal palco e lassù lascia soltanto il neoeletto segretario del Pdl, Angelino Alfano. Completo grigio ferro alleggerito da una cravatta viola e da una camicia bianca (senza sinistrorsi button down), alto, asciutto, stempiato, Angelino distribuisce sorrisi, strette di mano. Solo sul palco, a godersi i riflettori. Tutti per lui.

Nell’Auditorium che un tempo ospitava i concerti di Herbert von Karajan e che ormai è diventato il teatro del Pdl (un anno fa qui si consumò il famoso «Mi cacci?» di Fini) la cerimonia dell’incoronazione di Angelino Alfano è durata poco più di un’ora e alla fine quasi tutti i presenti sciamavano convinti di aver assistito a un evento a suo modo epocale: «Quello tra Berlusconi e Alfano è stato un vero passaggio di consegne» chiosa Giorgio Stracquadanio, berlusconiano tra i più «grintosi» e attenti alle novità. Certo, la trasmissione di poteri riguarda il partito e (per ora) solo il partito. Ci vorrà tempo per capire se sarà mantenuta l’impegnativa promessa che Berlusconi avrebbe confidato al suo pupillo: «Faremo delle primarie, con tanti concorrenti e vincerai tu».

Intanto, da ieri, il Pdl lo comanda Angelino, il quarantenne siciliano che dà del «lei» a Berlusconi, che suona sviolinate al capo ma senza esagerare e che parla con un lessico soft, senza spine, diversissimo dallo slang aggressivo, col coltello in bocca di tutta la classe dirigente Pdl. E il nuovo vicecapo Alfano - grossa novità ha una storia personale opposta a quella dell’imprenditore che gli ha «ceduto» il partito: figlio di un democristiano fanfaniano di Agrigento, Alfano è un uomo che in vita sua ha fatto soltanto politica, un professionista del ramo, che non dirà mai di «aver dovuto bere l’amaro calice», come fece il suo mentore Berlusconi. Per dirla con una deliziosa battuta del ministro Gianfranco Rotondi all’uscita dall’Auditorium: «Alfano? Un Forlani tecnologico».

Un segretario politico che per il momento non si «impiccia» di questioni di governo. La Lega? Ignorata. La manovra economica? Mai menzionata. Giulio Tremonti e Umberto Bossi? Rimossi. Ma di partito, Alfano parla eccome e lo fa con un piglio revanchista che piace tantissimo ai mille della nomenclatura pidiellina. Il tutti contro tutti che vige nel Pdl? «Servono regole, regole e sanzioni!». Boato e seconda battuta: «Non è possibile che chi non gradisce il Pdl si faccia la sua lista CocaCola». La moralità del partito? «Lei, presidente, è stato perseguitato dalla giustizia», «ma lo dico chiaro: noi dobbiamo lavorare a un partito degli onesti». Battuta che fa tanto «titolo», buona per un giorno, tanto è vero che è applaudita dai tanti imputati eccellenti presenti in sala. E infatti piacciono assai di più le battute pensate per i notabili di territorio. Come questa: «Deve vincere chi ha i voti, non chi ha i soldi». Ironia sui «figli di papà» e battute dedicate ai due, tre cardinali che fanno politica. Come questa: «Tutti credono che il nucleo essenziale sia la famiglia composta da uomo e donna».

Abile nel dosare sostantivi, citazioni ed elogi, Alfano si è «perso» una volta sola. Quando si è addentrato sul terreno scivoloso dell’eredità del Cavaliere, ha usato un lessico crudo («il testamento politico» di Berlusconi), anche se poi, intuita la gaffe, si è corretto: «Noi non abbiamo bisogno di eredità o di lasciti: abbiamo bisogno del sorriso, dell’entusiasmo del presidente: lei vincerà ancora una volta le elezioni del 2013». Già da qualche anno Alfano era diventato il «cocco» di Berlusconi. Nel 2001 aveva ottenuto un ufficio a palazzo Grazioli accanto a quello del capo, che aveva imparato ad apprezzare quel mix di sapienza democristiana e di decisionismo che una volta hanno fatto dire a Berlusconi: «Angelino? Il più talentuoso di tutti». Mai indagato, privo di un passato ex missino, Alfano non è soltanto un personaggio senza zavorre: dopo averci messo la faccia col famoso lodo, Alfano è stato un Guardasigilli che ha polemizzato costantemente con l’Anm, ma senza mai attaccare frontalmente i giudici e neppure la Corte Costituzionale. Ricevendo in cambio lo stesso trattamento.


http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/409676/

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