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mercoledì 24 luglio 2024

I Misteriosi Popoli del Mare: Conquistatori dell'Età del Bronzo.

 

Immagina un'epoca di sommossa nel Mediterraneo orientale, segnata dall'emergere dei misteriosi Popoli del Mare. Questa coalizione di gruppi marinari, la cui origine rimane ancora oggi un enigma, è diventata una forza influente nell'arco dei secoli XIII e XII a.C.

Incondizionati da una complessa interazione di fattori come migrazione, pirateria e il crollo delle civiltà confinanti, i Popoli del Mare hanno intrapreso una serie di migrazioni e incursioni che li hanno portati in conflitto con potenze stabilite come l'Impero Ittita, la Grecia Micenea e l'Egitto.

Una delle figure più iconiche di questo periodo è stata Ramsete III, il faraone d'Egitto, che ha affrontato molteplici invasioni da parte dei Popoli del Mare. Le battaglie di Djahy, l'Assedio di Dor e gli scontri lungo la costa del Delta del Nilo sono vividamente illustrati sui rilievi che adornano il tempio funerario di Ramsete III a Medinet Habu. Nonostante la grande presenza dei Popoli del Mare, Ramsete III rivendicò la vittoria in questi conflitti, difendendo con successo l'Egitto dall'invasione.

 Ma l'Egitto non fu l'unico teatro del conflitto. I Popoli del Mare scontrarono anche con altre civiltà della regione. La Battaglia della Piana di Amuq, descritta nella Stele di Tanis, vide Ramsete III trionfare sul Tjeker e il Peleset.

Queste battaglie rappresentano momenti cruciali nella storia antica, illustrando le dinamiche interazioni tra i Popoli del Mare e le potenze stabilite del Mediterraneo orientale. Ma la domanda rimane: cosa ne è stato dei Popoli del Mare? Si sono assimilati in altre società, disbandati come confederazione o sono completamente scomparsi dal registro storico?

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martedì 6 luglio 2021

Algeria, quasi 200 persone intossicate dopo un bagno nel Mediterraneo: “In 178 ricoverati con infezioni polmonari”.

 

Non sono ancora chiare le cause dell'evento che ha provocato anche nausea, febbre e rossore agli occhi. Parla di "un gas che si è diffuso rapidamente grazie al vento che ha soffiato per tutto il pomeriggio di domenica" il direttore della Sanità locale, Nasreddine Benkartalia. Il prefetto ha invece ritenuto come causa "più plausibile quella relativa allo sversamento di una barca al largo di Tenes”. Mentre il professor Réda Djebar della facoltà di Scienze biologiche dell’Università di Bab Ezzouar ha ipotizzato l'azione di un’alga microscopica tossica che prolifera nel Mediterraneo quando la temperatura è alta.

Quasi duecento persone intossicate dopo un bagno in mare. È successo in Algeria, a Tenes, dove in 178, tra cui bagnini della Protezione civile, sono stati ricoverati con infezioni polmonari accusando anche, secondo quanto riferito dal prefetto di Chlef, Lakhdar Seddasnauseafebbre e rossore agli occhi. Sul posto sono state inviate squadre di sommozzatori alla ricerca di scarichi tossici.

Non sono ancora note, però, le cause di questa intossicazione di massa: “Le persone che stavano facendo il bagno nella spiaggia centrale di Tenes avrebbero inalato un gas che si è diffuso rapidamente grazie al vento che ha soffiato per tutto il pomeriggio di domenica”, ha spiegato il direttore della Sanità locale, Nasreddine Benkartalia, citato dall’agenzia ufficiale Aps. Il prefetto ha invece ritenuto come causa “più plausibile quella relativa allo sversamento di una barca al largo di Tenes”. Secondo il sito di informazione Ennahar Online, si tratta di una nave mercantile battente bandiera della Tanzania, la Barhom II, salpata dal porto di Sete nel sud della Francia.

Ma c’è anche un’altra ipotesi al vaglio di chi sta cercando di ricostruire gli eventi che hanno portato all’intossicazione: il professor Réda Djebar, della facoltà di Scienze biologiche dell’Università di Bab Ezzouar ad Algeri, ha ipotizzato che un’alga microscopica tossica che prolifera nel Mediterraneo quando la temperatura è alta possa essere la causa dietro a queste infezioni. In un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, Réda Djebar ha ricordato casi simili a Mostaganem, nel nord-ovest dell’Algeria, nel 2009, e su diverse altre spiagge del Mediterraneo.

L’emittente Echourouk Tv spiega che tre spiagge sulla costa di Tenes sono state chiuse al pubblico e che sono stati condotti prelievi per analizzare l’acqua del mare. L’agenzia di stampa Tsa riferisce che come misura di precauzione è stata ordinata la chiusura dell’impianto di desalinizzazione di Tenes.

ILFQ

martedì 13 aprile 2021

Fukushima, via libera Tokyo a rilascio acqua contaminata in mare.

 

Decisione presa nonostante l'opposizione di popolazione e pescatori.

Il governo giapponese ha deciso di rilasciare nell'Oceano Pacifico l'acqua contaminata fino ad oggi impiegata per raffreddare i reattori danneggiati dall'incidente nucleare di Fukushima.

Lo ha comunicato il premier Yoshihide Suga, confermando le anticipazioni della vigilia e malgrado la netta opposizione dell'opinione pubblica, dell'industria della pesca e dei rappresentanti dell'agricoltura locale. Suga ha incontrato i membri dell'esecutivo, incluso il ministro dell'Industria Hiroshi Kajiyama, per formalizzare la decisione, che arriva a 10 anni esatti dalla catastrofe del marzo 2011.

La manutenzione giornaliera della centrale di Fukushima Daiichi genera l'equivalente di 140 tonnellate di acqua contaminata, che - nonostante venga trattata negli impianti di bonifica, continua a contenere il trizio, un isotopo radioattivo dell'idrogeno. Poco più di 1.000 serbatoi si sono accumulati nella area adiacente all'impianto, l'equivalente di 1,25 milioni di tonnellate di liquido, e secondo il gestore della centrale, la Tokyo Electric Power (Tepco), le cisterne raggiungeranno la massima capacità consentita entro l'estate del 2022. Proteste contro lo sversamento dell'acqua in mare sono state espresse in passato anche dai paesi vicini, tra cui la Cina e la Corea del Sud. Nel febbraio dello scorso anno, durante una visita alla centrale, il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, aveva ammesso che il rilascio dell'acqua nell'Oceano Pacifico sarebbe in linea con gli standard internazionali dell'industria nucleare. Il triplice disastro di Fukushima è stato innescato dal terremoto di magnitudo 9 e il successivo tsunami, che ha provocato il surriscaldamento del combustibile nucleare, seguito dalla fusione del nocciolo all'interno dei reattori, a cui si accompagnarono le esplosioni di idrogeno e le emissioni di radiazioni. 

Cina e Corea del Sud hanno nuovamente criticato con forza il piano del Giappone, che ha rimarcato la sicurezza dell'operazione forte del sostegno dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) che ha definito la mossa simile allo smaltimento di acque reflue negli impianti nucleari in altre parti del mondo. Il processo, tuttavia, non inizierà probabilmente prima di diversi anni.

ANSA

sabato 28 marzo 2020

Dai molluschi ai cervi, il menù mare e monti dei Neanderthal.

La grotta vicino a Lisbona in cui sono stati trovati i resti che permesso di ricostruire la dieta dei Neanderthal (fonte:  Zilhao et al. Science) © Ansa
La grotta vicino a Lisbona in cui sono stati trovati i resti che permesso di ricostruire la dieta dei Neanderthal (fonte: Zilhao et al. Science)

Cozze, vongole, granchi, orate, foche: per la prima volta una ricerca dimostra che i Neanderthal mangiavano cibo di mare, proprio come facevano i loro contemporanei Sapiens dell'Africa meridionale, e che avevano un ricco menù di mare e monti che comprendeva anche oche, cervi, e persino pinoli. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, si deve alla ricerca guidata da Joao Zilhao, dell'università di Barcellona, e da Diego Angelucci, dell'università di Trento, che ha ricostruito il menù grazie ai reperti rinvenuti in una grotta vicino a Lisbona.

La ricerca è un'ulteriore prova a sostegno delle capacità intellettive di questi uomini considerati fino a pochi anni fa rozzi e primitivi, confermando invece che possedevano un buon sviluppo tecnologico e avevano familiarità con il mare e le coste. La grotta di Figueira Brava, protagonista della scoperta, è stata frequentata da gruppi di neandertaliani nel periodo compreso tra circa 106 mila e 86 mila anni fa.

"Lo scavo - spiega Angelucci - ha permesso di recuperare resti relativi all'occupazione della grotta da parte dei neandertaliani: strumenti in pietra scheggiata, resti di pasto, residui dell'uso del fuoco". I resti di pasto hanno sorpreso molto i ricercatori perché includono molluschi (cozze, vongole e patelle), crostacei (granceole e altri granchi), pesci (squali come lo smeriglio, il cosiddetto vitello di mare, e la verdesca, ma anche anguille, orate, gronghi, cefali, vari uccelli marini o acquatici (tra cui germani reali, oche selvatiche, gazze marine), e mammiferi marini (delfini e foche grigie).

A questi si aggiungono i resti dei prodotti della caccia, che includeva il cervo, lo stambecco, il cavallo, e la tartaruga terrestre, e resti di risorse vegetali, come vite selvatica, fico e pino domestico, di cui sono stati rinvenuti frammenti di legno, pigne e gusci di pinoli.

Secondo Angelucci, "i dati aggiungono un ulteriore contributo alla rivalutazione del modo di vita dei neandertaliani". Se è vero che il consumo abituale di alimenti di origine marina ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo delle capacità cognitive dei nostri antenati Sapiens, "bisogna quindi riconoscere che questo processo avrà riguardato l'intera umanità e non solo una popolazione limitata dell'Africa australe che si è poi espansa fuori dal continente africano".


https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/ragazzi/news/2020/03/26/dai-molluschi-ai-cervi-il-menu-mare-e-monti-dei-neanderthal-_e447484f-8e47-46e9-9f09-2a33ede4c451.html

martedì 8 ottobre 2019

Il Jova Beach Party e la protezione delle aree naturali. - Lisa Signorile

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Un'immagine della tappa di Roccella Ionica del Jova Beach Party. Fotografia Ansa

A conclusione del tour di concerti di Jovanotti sulle spiagge ci si pone la domanda su quali siano stati gli effettivi impatti ambientali, e se questo tipo di esibizione sia - sul lungo termine - sostenibile in ambienti fragili e sotto costante pressione antropica come le coste italiane. Abbiamo voluto fare il punto per le estati a venire.


L'estate appena trascorsa ci ha regalato un'insolita operazione di divulgazione mista a marketing, il "Jova Beach Party", in cui 17 dei 19 concerti del cantante e musicista Jovanotti sono stati organizzati sulle spiagge italiane ed erano accompagnati dalla campagna del WWF Plastic Free Tour.

“Tante persone”, dice a National Geographic Italia Gaetano Benedetto, direttore generale del WWF Italia, “hanno ritenuto che questo fosse un cambio di linguaggio dell’ambientalismo, che avvicinava la gente comune alle problematiche globali. Quest’anno si è svolta la più grande campagna popolare sul tema delle plastiche che sia mai stata fatta”.

L’iniziativa era interessante da un punto di vista della comunicazione, ma secondo gli addetti ai lavori tra cui ornitologi e associazioni ambientaliste impegnate sul territorio, ha costi troppo alti in termini ambientali, e questo tipo di concerti sarebbero in futuro assolutamente da scoraggiare. Recentemente, gli oltre 200 iscritti al Convegno Italiano di Ornitologia hanno infatti 
sottoscritto all’unanimità un documento in cui chiedono “che non vengano svolti eventi che prevedono consistenti afflussi di pubblico, negli ambienti costieri naturali o con residua naturalità frequentati o potenzialmente utilizzabili dal Fratino e da altre specie di interesse conservazionistico”

Infatti, l’infrastruttura del concerto, pensata per accogliere tra 25.000 e 40.000 persone a serata, doveva essere montata, come ha scritto la Trident, la società che organizzava questi concerti, su “alcune tra le più belle spiagge italiane”. In breve, giusto sulle spiagge meno antropizzate, quelle che accolgono ancora alcuni degli ecosistemi costieri relitti, proprio quelle zone umide che, secondo il recente rapporto delle Nazioni Unite sul preoccupante e rapido declino degli ambienti naturali, negli ultimi tre secoli si sono ridotte di oltre l’85%, una perdita, secondo il rapporto, “tre volte più rapida, in percentuale, della perdita delle foreste”.

“Le aree costiere italiane”, dice a National Geographic Italia Magazine Augusto De Sanctis, consigliere della ONLUS Stazione Ornitologica Abruzzese e ornitologo specializzato in limicoli costieri, “sono sottoposte ogni giorno a stress immensi. L’80-85% di spiagge, almeno in Abruzzo, non ha più specie psammofile, ovvero adattate a vivere negli ambienti sabbiosi. Sono rimasti piccoli tratti di duna degradata e frammenti di dune pioniere con vegetazione annua, il che non vuol dire che il primo stadio sia meno importante dell’ultimo. Siamo a favore dei concerti e della musica, ma da farsi nei luoghi adeguati, come gli stadi”.

Le tappe e gli "intoppi"
Delle varie tappe del tour programmate, tre sono state modificate: quella di Albenga è stata annullata a causa di una mareggiata che ha eroso la spiaggia. Quella prevista a Ladispoli è stata spostata a Marina di Cerveteri dopo la protesta delle associazioni ambientaliste. Quella di Vasto è stata spostata a Montesilvano per motivi legati a ordine pubblico e sicurezza, ma anche per via di esposti e proteste degli ambientalisti.

Nelle altre tappe invece i concerti si sono svolti regolarmente, malgrado le contestazioni. “Si è fatta una sorta di frullatore di valori” dice il direttore del WWF, coinvolto nell’organizzazione dei concerti, “per cui spiagge antropizzate come, ad esempio, quelle di Rimini, Lido degli Estensi, Castel Volturno, erano trattate con la stessa enfasi e approccio valoriale di spiagge sottoposte a vincoli”.

Non tutti però concordano, e tra questi c’è l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che in una replica a una richiesta di informazioni di un privato sugli effetti ambientali del Jova Beach Party a Lido degli Estensi replica che “la documentazione fotografica inviata a corredo della richiesta sembra testimoniare sostanziali trasformazioni della situazione ambientale originaria”.

La stessa situazione, secondo le associazioni ambientaliste, si applica a Castel Volturno, dove per il concerto, avvenuto a ridosso di un Sito di Interesse Comunitario (SIC), è stata rimossa con mezzi meccanici la vegetazione perenne psammofila, che include specie rare come l’Achillea maritima.

“Sembra che una parte di questo paese abbia scoperto oggi che le spiagge italiane vengono pulite con le ruspe, comprese le aree naturali protette”, afferma Benedetto. “Dire che questa situazione è responsabilità di Jovanotti o il fatto che per pulire un’area per 40000 persone si usano gli stessi mezzi che si utilizzano quotidianamente diventa un momento d’accusa forse un po’ eccessivo”. Tuttavia in futuro bisognerebbe forse evitare in toto di pulire le spiagge con mezzi meccanici, a prescindere se si tratti di lidi per turisti o di concerti con decine di migliaia di partecipanti.

Roccella Jonica e le tartarughe.
Le ruspe, infatti, possono essere distruttive. “Ma lei le ha viste le immagini di Roccella Jonica?” Esclama scoraggiato De Sanctis. “Una ruspa che fa una spianata di quel tipo porta via un intero tratto di spiaggia con ambienti protetti dalla direttiva habitat e tutto ciò che consegue. In questo caso i mezzi meccanici hanno spianato un tratto grande come due o tre campi da calcio”.

La posizione di Roccella Jonica era particolarmente critica in quanto è un sito potenziale di nidificazione delle tartarughe marine. “Di solito”, mi spiega uno dei soci fondatori di Caretta Calabria Conservation che preferisce rimanere anonimo, “la femmina elegge a proprio sito riproduttivo un tratto di costa più o meno vasto e fa un nido ogni 15 giorni circa, sino a 4, 5 deposizioni. Quest’anno, manco a farlo apposta, probabilmente la stessa femmina ha nidificato proprio nei dintorni della zona del concerto: a Riace, a Grotteria a Mare (subito a nord e subito a sud) e a Marina di Gioiosa Jonica che è il comune limitrofo. Non lo sapremo mai, ma magari ne ha fatto proprio un altro nella zona in cui le ruspe hanno fatto spazio al concerto di Jovanotti, solo che nessuno lo ha rinvenuto”.

Persino Benedetto ammette che a Roccella “c’era un’area anche interessante sotto un profilo di ripresa naturalistica dopo che la spiaggia si è formata a seguito della realizzazione del porto” e che “si poteva far meglio”. Ma c’è di più. A cosa era destinato quel tratto di spiaggia? Secondo Benedetto “nell’area dove si è svolto il concerto a Roccella Jonica, nel piano spiagge approvato dalla provincia di Reggio Calabria con valutazione ambientale strategica e quindi con tutto l’iter, la destinazione di quell’area è per eventi, è pubblica”.

Tuttavia l’area spianata dalle ruspe, fotografie aeree alla mano, si espande ben oltre l’area destinata a uso turistico. Va infatti a occupare una grande porzione dell’area destinata a rinaturalizzazione, ovvero, secondo il piano spiagge approvato dalla città metropolitana, “aree demaniali nelle quali l'ambiente naturale deve essere conservato/ripristinato nella sua totale integrità”. Chi ha autorizzato l’intervento non ha quindi tenuto conto della destinazione dell’area indicata dal piano spiagge, riducendo di fatto il tutto a una spianata desertificata.

Anche l’ISPRA è perplessa. Risponde infatti così a una richiesta di chiarimenti di De Sanctis: “Si ritiene che sia gli interventi ambientali necessari alla preparazione del sito in funzione dell’evento, sia la realizzazione dell’evento stesso e il successivo ripristino dell’area, comportino rischi di impatto su diverse componenti ambientali compresi habitat e specie tutelati dalla normativa comunitaria vigente”.

Il fosso Marino e le fogne di Nuova Delhi.
Le anomalie di Roccella si sono ripetute a Vasto, dove però il concerto non si è più svolto. A Vasto le problematiche erano molteplici, e alcune riguardavano la sicurezza stessa del pubblico del concerto. La prefettura di Chieti infatti ha annullato il concerto “a causa di gravi carenze di carattere documentale riscontrate, nonché l’assenza di alcune necessarie pianificazioni”. In particolare c’erano problemi riguardanti “la viabilità e i parcheggi” perché si voleva destinare a parcheggio un tratto della statale 16, una delle principali vie percorribili lungo l’Adriatico, nel periodo del massimo traffico ferragostano.

Inoltre il fosso Marino, un corso d’acqua ritenuto “a rischio idrogeologico”, è stato preventivamente ‘tombato’ dal comune, cioè reso sotterraneo, per allestire l’area per il concerto. Secondo la Prefettura di Chieti, “l’evento è stato programmato su un sito inidoneo dal punto di vista della safety e della security con potenziali pericolosità per gli spettatori”. Come a Roccella, anche il piano spiaggia del comune di Vasto indicava quell’area come zona di rinaturalizzazione. Inoltre, il canneto nel tratto terminale del fosso Marino, rifugio invernale di molte specie tra cui anfibi a rischio, è stato tagliato durante i lavori per tombare il corso d’acqua in violazione della normativa comunitaria.

La Trident e Jovanotti hanno preso molto male la decisione, ed è stato questo l’evento che, insieme a qualche piccola polemica locale a Montesilvano, dove è stato spostato l’evento di Vasto, ha portato Jovanotti a paragonare su Facebook l’ambientalismo italiano alle fogne di Nuova Delhi. Il WWF è rimasto al fianco del cantante: “Non bisogna perdere di vista”, ha chiarito Benedetto, “che non stiamo buttando giù le dune del Circeo”.

Policoro e gli eliporti.
A Policoro la tappa si è svolta in un SIC che si chiama Foce dell’Agri. “La foce dell’Agri”, afferma il direttore del WWF,  “è stata alterata con autorizzazione certamente sbagliata, che ha consentito la realizzazione di un porto, di un villaggio turistico, di una darsena, di un albergo a 5 stelle, di un eliporto, di una serie di attività commerciali e ha costruito una piccola città su questo fiume, tutto regolarmente autorizzato. Il concerto di Jovanotti è avvenuto a ridosso del muraglione del porto, chilometri lontano dai siti di nidificazione della tartaruga”.

Un’area protetta, quindi, ma già gravemente compromessa. Alcuni video amatoriali, indubbiamente di parte, mostrano le ruspe sulla vegetazione dunale protetta. Ma quello che sorprende di più è che il redattore della valutazione di incidenza ambientale fatta effettuare dalla Trident, sia l’ing. Marco Vitale, che risulta essere il proprietario del centro turistico di Marinagri, ovvero di quegli stessi alberghi, porti, eliporti, etc. etc., che hanno compromesso il SIC. Tutto regolarmente autorizzato.

La plastica e l’ambiente.
Le polemiche sull'impatto ambientale del tour hanno accompagnato quasi tutte le tappe. Un punto fermo dell’ecologia moderna è che qualunque attività umana svolta in ambiente non antropizzato ha un impatto più o meno grande. Ci sono altri punti quindi su cui forse vale la pena di soffermarsi.

Ammassare in un punto solo le auto di 20-30mila persone (i carabinieri di Vasto stimavano per il 17 agosto 27.000 veicoli circolanti) ha una carbon footprint elevatissima, anche considerando gli ingorghi, lamentati da molti partecipanti, alla fine del concerto, e questo moltiplicato per 19 tappe. Sempre dalla relazione del verbale dei carabinieri di Vasto si apprende che i “fuochi d’artificio freddi che non prevedono combustibile e fiamme ma solo polveri di farina di riso”, previsti nella relativa valutazione di incidenza ambientale, sono effettivamente prodotti con macchine alimentate con isoparaffina liquida, un derivato del petrolio e “bidoni di fuoco” che producono fiamme bruciando bioetanolo. Non citiamo i 12.000 euro spesi solo in energia elettrica a serata, che fanno quasi 150.000 euro in energia, ma vale la pena di menzionare che le bottiglie in alluminio -a causa della legge vigente-erano vietate, a favore di quelle di plastica (riciclata, per carità).

Spiagge e eventi di massa, un futuro da riconsiderare.
Il Jova Beach Party è stata una manifestazione di grande successo, sia in termini di popolarità (con circa mezzo milione di spettatori complessivi), sia in termini di fatturato (un biglietto singolo costava circa 60 Euro), e così lo sono state altre analoghe, sebbene più piccole, esibizioni canore in altri luoghi naturali italiani più o meno protetti. Visto il successo, è molto probabile che questi eventi si ripetano i prossimi anni, e che possano dare il via a una “moda” di grosse iniziative con decine di migliaia di spettatori che si riuniscono in aree naturali delicate e prive delle infrastrutture necessarie alla ricezione, tra cui il trasporto pubblico. Viste le numerose problematiche sollevate quest’anno dai concerti di Jovanotti, sorge tuttavia il dubbio che queste iniziative non siano ecosostenibili e che dovrebbero essere scoraggiate dagli organi competenti.

Il ministero dell’Ambiente, silente per tutta l’estate, a una esplicita richiesta di National Geographic Italia ha così commentato: “Sul versante della gestione dei Siti Natura 2000 è in fase di approvazione un documento di indirizzo alle Regioni per la corretta valutazione d’incidenza di piani e progetti. Tale atto, insieme all’attenzione sollevata da questi eventi, contribuirà ad una maggiore consapevolezza e di conseguenza ad una più attenta programmazione e valutazione di futuri eventi analoghi”.

Resta il dubbio che non ci sia il tempo e/o la volontà di limitare la prossima estate questi eventi in aree più idonee come stadi o palazzetti dello sport. Ha senso educare solo su un aspetto ecologico (la plastica in mare) ignorando invece la fragilità delle nostre coste e di altri ambienti a rischio? Il nostro pianeta, come dice Greta Thumberg, “è in fiamme”, e non abbiamo molto tempo per agire. Forse una prima azione sarebbe proprio educare il pubblico al rispetto di tutti gli ecosistemi, prima che sia troppo tardi, utilizzando quello che abbiamo imparato quest’anno per prevenire errori futuri.

venerdì 8 giugno 2018

La plastica che galleggia in mare può diventare energia pulita. - Dario Cirrincione



Un'organizzazione non profit tedesca mira a realizzare una piattaforma da 400 metri per pulire il mare e allo stesso tempo dare valore ai rifiuti. Promotrice dell'iniziativa è l'architetto Marcella Hansch. LO SPECIALE: SKY UN MARE DA SALVARE.

Cinque milioni di euro da raccogliere nei prossimi 5 anni. Poi il sogno diventerà realtà: creare una piattaforma che trasformi, sott'acqua, la plastica presente negli oceani in energia pulita. Il progetto di chiama Pacific Garbage Screening ed è stato creato da Marcella Hansch, architetto tedesco e fondatrice di una non profit dalle grandi ambizioni.

La piattaforma che sembra un'astronave.
Pacific Garbage Screening sarà grande 400 metri. L'idea era alla base, qualche anno fa, della tesi di laurea dell'architetto Marcella Hansch, amante del mare e appassionata di diving. "La plastica in mare oggi non è solo spazzatura - ha spiegato a Sky TG24 - ma è anche una risorsa. Perché contiene anche tracce di petrolio e sfruttarla in mare è la migliore soluzione possibile. Una delle nostre opzioni è quella di trasformare le microplastiche raccolte sott'acqua in un gas sintetico costituito da idrogeno e Co2 direttamente sulla piattaforma. L'idrogeno sarà fonte di energia, la Co2 alimenterà colture di alghe che serviranno a produrre bioplastiche. Il nostro obiettivo è creare una fonte che sia economicamente efficiente e utilizzabile".

Un gruppo di lavoro fatto da volontari.
Con Marcella lavorano altre 28 persone tra ingegneri, architetti, biologi, fotografi, economisti ed esperti di marketing. "Siamo un entusiasmante gruppo che lavora volontariamente per realizzare quest'obiettivo - spiegano - Cerchiamo gente e sponsor che possano darci nuovi suggerimenti su come pulire l'ecosistema e su come raggiungere il nostro obiettivo. per farlo abbiamo anche lanciato una campagna di crowfunding".

"Pulire il mare è possibile, ma dobbiamo agire subito".
"Sono convinta che sia possibile ripulire gli oceani dalla plastica, ma abbiamo bisogno di farlo subito e non possiamo rimandare ai prossimi anni - continua Marcella Hansch - Oggi troviamo in mare plastica che è stata prodotta anche dieci anni fa e non siamo in grado di sapere cosa potrebbe succedere fra 10 anni alla plastica prodotta oggi. Se non ci muoviamo subito potrebbe essere troppo tardi. Dobbiamo farlo tutti insieme e dobbiamo farlo adesso".

https://tg24.sky.it/ambiente/2018/06/07/pacific-garbage-plastica-energia-marcella-hansch.html

lunedì 3 aprile 2017

Una microalga a metà strada tra piante e animali.




Lo studio dei ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli sulla comunicazione chimica nelle microalghe marine ha dimostrato che possono produrre le prostaglandine, molecole fondamentali per gli organismi animali.
(Szn) – Parte da Napoli una rilevante scoperta nel campo della biologia marina: una particolare specie di diatomea, la “Skeletonema marinoi“, un’alga marina unicellulare, è in grado di sintetizzare molecole che rappresentano elementi distintivi del mondo animale. A scoprire la natura a metà strada tra piante e animali di questi organismi sono stati alcuni ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli (Szn): Adrianna Ianora, Ida Orefice, Alberto Amato coordinati da Valeria Di Dato e Giovanna Romano. Nello studio, pubblicato dalla rivista internazionale The Isme Journal (Multidisciplinary Journal of Microbial Ecology) del gruppo Nature, il gruppo di ricercatori ha dimostrato, infatti, che la “Skeletonema marinoi“, è in grado di sintetizzare le prostaglandine, molecole che nel mondo animale sono importanti mediatori chimici e nei mammiferi agiscono in modo simile agli ormoni intervenendo in molti processi fisiologici e patologici, quali quelli infiammatori.
Fino ad ora, le prostaglandine erano state trovate, oltre che nei mammiferi, soltanto in alcune macroalghe e piccoli invertebrati marini, nei quali sembra che agiscano come molecole di difesa e di comunicazione. Da sottolineare che le diatomee, microalghe unicellulari principali componenti del fitoplancton, ritenute responsabili della maggior parte della produzione primaria negli oceani e nelle acque dolci, sono il polmone verde dell’oceano e svolgono la stessa funzione che la foresta pluviale ha per gli ambienti terrestri.
Queste microalghe, caratterizzate dalle forme più svariate e originali, con un’origine evolutiva molto peculiare, hanno un Dna misto, composto di geni simili a quelli batterici, vegetali ed anche animali e sembra che, proprio tale caratteristica, sia il motivo per il quale tali microorganismi hanno avuto un enorme successo evolutivo, riuscendo ad adattarsi sia ad ambienti caldi che freddi, sia in acque dolci che marine.
Dunque, lo studio condotto dai ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli mette in evidenza, per la prima volta, la presenza delle prostaglandine anche in organismi fotosintetici unicellulari quali le microalghe del fitoplancton. Come specificato dalle ricercatrici della Szn, Valeria Di Dato e Giovanna Romano: “Questa scoperta può avere un’applicabilità scientifica e biotecnologica nel campo della salute umana. Le prostaglandine, usate per molteplici scopi in medicina, vengono sintetizzate, infatti, chimicamente grazie ad un processo molto dispendioso.
Poiché la Skeletonema marina può essere facilmente coltivata in laboratorio in grandi biomasse, si potrebbe produrre un’elevata quantità di prostaglandine con notevole risparmio economico in un sistema altamente produttivo”.
Inoltre, nel campo della biologia marina, il recente studio apre nuove prospettive sull’evoluzione e il ruolo di queste molecole nell’ambiente marino dove, agendo come mediatori nella comunicazione cellula-cellula, o nella difesa delle microalghe contro l’attacco di batteri, virus o predatori dello zooplancton, potrebbero influenzare le dinamiche delle differenti popolazioni di microorganismi che compongono il plancton e, in ultima analisi, garantire la sopravvivenza e il successo ecologico delle diatomee che le producono.
Riferimenti: Animal-like prostaglandins in marine microalgae; Valeria Di Dato, Ida Orefice, Alberto Amato, Carolina Fontanarosa, Angela Amoresano, Adele Cutignano, Adrianna Ianora and Giovanna Romano; The Isme Journal
http://www.galileonet.it/2017/03/microalga-meta-strada-piante-animali/

Siamo un caso causato da fattori che si fondono casualmente. L'Universo è il brodo primordiale, ma è il caso che ne unisce i componenti dando vita ad organismi diversissimi tra loro.

martedì 13 dicembre 2016

L’immenso ghiacciaio dell’Antartide in seria difficoltà. - Robert Hunziker

antartica
La crisi del riscaldamento globale sembra stia peggiorando sempre più velocemente. L’Antartide è oggi sotto i riflettori con una sconvolgente ricerca nuova di zecca, dagli sviluppi raccapriccianti.
Se si sciogliesse integralmente l’intera Antartide, provocherebbe un innalzamento del livello del mare di circa 60 m (200’), ma questo non succederà durante il nostro corso di vita. È troppo grande e richiederebbe decisamente troppo riscaldamento e davvero troppo tempo. Ma un collasso di una parte significante dell’Antartide, come l’Antartide occidentale, ha il potenziale, secondo la nuova ricerca, per sommergere Miami e New York durante le nostre vite attuali. È la prima volta questa, in cui delle osservazioni scientifiche giungono ufficialmente alla conclusione che una catastrofe così orrenda sia possibile, così presto!
Miami Beach è già costretta a sollevare le strade di mezzo metro (2 piedi) a causa delle persistenti inondazioni dopo le esperienze del passato. Inoltre, un mare in crescita è la vendetta del riscaldamento globale per le sconsiderate, arroganti, presuntuosamente eccessive antropogeniche (causate dall’uomo) emissioni di CO2 di combustibile fossile.
Le nuove spaventose scoperte includono il ghiacciaio di Pine Island, l’oggetto del lavoro di ricerca di Seongsu Jeong, Ian M. Howat, Jeremy N. Basis, Accelerated Ice Shelf Rifting and Retreat at Pine Island Glacier, West Antarctica, Geophysical Research Letters, 28 November 2016 (Accelerazione della frattura di una calotta di ghiaccio e arretramento nel ghiacciaio di Pine Island, Antartide occidentale, Geophysical Research Letters, 28 November 2016).
Il tenore dell’articolo di Jeong, dovrebbe spaventare a morte chiunque dubiti della solennità e della potenza dietro l’accelerazione del riscaldamento globale. Si dà il caso che il ghiacciaio di Pine Island fosse già la più grande massa al mondo di irreversibile scioglimento di ghiaccio, prima che questa nuova ricerca venisse alla luce, ma la tempistica è sempre stata un po’ confusa. Adesso, con questa nuova analisi, la tempistica sta assumendo una nuova preoccupante dimensione.
Ecco il problema: secondo Ian Howat, professore associato di Scienze della Terra presso l’Università statale dell’Ohio: “questa sorta di formazione di fratture causa un altro meccanismo di arretramento rapido di questi ghiacciai, aggiungendo la probabilità che si possano vedere collassi significanti nell’Antartide occidentale durante la nostra esistenza” (Fonte: Pam Frost Gorder, La rottura della calotta di ghiaccio dell’Antartico occidentale dall’interno, Università statale dell’Ohio, 28 Nov 2016). (Source, Pam Frost Gorder, West Antarctic Ice Shelf Breaking Up From the Inside Out, The Ohio State University, Nov. 28, 2016).
Questa è una minaccia di riscaldamento globale completamente nuova. È grande, veramente grande! È la prima volta che i ricercatori danno testimonianza di “profonde fratture sotto la superficie” che si aprono nel ghiaccio dell’Antartico. “ Questo implica che qualcosa abbia indebolito il centro della calotta di ghiaccio, con la spiegazione più probabile di un crepaccio scioltosi al livello di sostrato roccioso da un oceano riscaldato”, Ibid. La base della lastra di ghiaccio dell’Antartide occidentale giace sotto il livello del mare, in questo modo l’acqua calda dell’oceano può introdursi all’interno, inosservata.
Un oceano riscaldato appare come la causa di come l’oceano abbia assorbito il 90% del calore della Terra, aiutando a proteggere le creature sulla terraferma, come gli umani, da un reale surriscaldamento dannoso. Ma, si raccoglie ciò che si semina, come è stato dimostrato in Antartide; tutto questo calore mondiale ci si sta ritorcendo contro sotto grandi, grosse lastre di ghiaccio.
Qui le differenze rispetto alle ricerche del passato: le fratture si formano generalmente ai margini delle calotte di ghiaccio, dando vita agli iceberg, ma non in profondità e all’interno, come invece evidenzia questa nuova scoperta. Inoltre, la frattura in questione è all’interno a circa 32 km (20 miglia). Il Ghiacciaio di Pine Island (tenendo le dita incrociate) funziona come misura di protezione, trattenendo grandi porzioni di ghiaccio dell’Antartide occidentale dal riversarsi nel mare. Il Ghiacciaio di Pine Island è come un portiere di hockey per una parte delle lastre di ghiaccio del Massiccio dell’Antartide occidentale, l’ultima linea di difesa, che previene il collasso parziale delle grandi lastre di ghiaccio, che causerebbero un grande tonfo inimmaginabile, di grandezza inconcepibile!
Un anno fa, Science Magazine ha pubblicato il seguente articolo: “Just a Nudge Could Collapse West Antarctic Ice Sheet, Raise Sea Levels 3 Meters,” Science, Nov. 2, 2015 ( “Solo un colpetto potrebbe portare al collasso delle lastre di ghiaccio dell’Antartide occidentale, si solleva di 3 metri il livello del mare”, Science 2 Nov. 2015). Il paragrafo di apertura dell’articolo dichiara: “Non serve molto a causare il crollo totale della lastra di ghiaccio dell’Antartide occidentale, ed una volta iniziato, non si fermerà. Nell’ultimo anno, molti articoli hanno evidenziato la vulnerabilità della lastra di ghiaccio che ricopre la parte occidentale del continente, suggerendo che il suo crollo sia inevitabile, e probabilmente già in corso. Adesso, un nuovo modello mostra proprio come questa valanga possa realizzarsi. Una quantità relativamente piccola di scioglimento nel corso di pochi decenni, dice l’autore, porterà inesorabilmente alla destabilizzazione dell’intera lastra di ghiaccio ed all’aumento del livello del mare di più di tre metri”. Questo era prima, circa un anno fa, ma adesso le circostanze sembra si stiano accelerando…
Con questa nuova scoperta, la tempistica per il collasso della lastra di ghiaccio dell’Antartide occidentale è del tutto inquietante. In precedenza i ricercatori pensavano a decenni e secoli. Adesso, “all’interno delle nostre vite attuali”.
Presupponendo che non sia già troppo tardi, mai prima d’ora nella storia mondiale è stato importante avere una forte leadership in USA, per fare qualunque cosa sia necessaria per tamponare un cambio climatico incombente, un cataclisma del riscaldamento globale. È in gioco il nostro stile di vita.
In base a queste linee, la scienza che studia il clima è inspiegabilmente simile al rilevamento degli asteroidi vicini alla Terra, che nel corso dei millenni si sono occasionalmente scontrati con la terra, annientando ad esempio, i poveri ed indifesi dinosauri. Se un asteroide vicino alla Terra è progettato per urtare, forse un certo tipo di dispiegamento può prevenire il grande schianto dall’annientamento della vita sul pianeta. Perciò, ponendo la domanda più grande: Quale dispiegamento ferma le lastre di ghiaccio dal collasso?

lunedì 6 luglio 2015

Energia: arriva l'energia pulita ricavata dalle onde del mare.


Energia: arriva «Anaconda», il serpente che sfrutta le onde. - Luca Salvioli



Il segreto per catturare più energia dalle onde del mare è un serpente di gomma lungo 200 metri e largo 7 chiamato «Anaconda». Il sistema è stato ideato e realizzato in fase prototipale in Inghilterra. L'innovazione sta nel design (semplicissimo) e il materiale plastico, che rendono molto più economica rispetto a oggi la realizzazione e il mantenimento della struttura. La potenza teorica è di 1Mw, ovvero il consumo di energia elettrica di 2000 case.

Come funziona? «Anaconda» è chiuso su entrambe le estremità e riempito d'acqua. Viene situato tra i 40 e i 100 metri sott'acqua, parallelo all'arrivo delle onde. Il loro arrivo crea un rigonfiamento all'interno del tubo. Questo percorre tutta la sua lunghezza, spinto dall'incedere dell'onda sull'esterno. Alla fine del suo percorso, il rigonfiamento trova una turbina in grado di produrre energia eletttrica. Il vantaggio sta nel materiale: i dispositivi attualmente utilizzati sono fatti soprattutto di metallo. Nel caso dell'Anaconda, invece, fatta di gomma, il capitale iniziale e i costi di manutenzione scendono. Il progetto è stato testato su piccola scala in laboratorio. L'Engineering and physical sciences research council (Epsrc), in collaborazione con gli inventori di «Anaconda» e lo sviluppatore(Checkmate SeaEnergy), finanzia l'università di Southampton, che ora sta programmando una sperimentazione su larga scala. 

L'energia delle onde. L'energia del mare per il momento ha cifre decisamente inferiori rispetto alle fonti rinnovabili più note, come il vento. Ma alcuni Paesi, prevalentemente quelli affacciati sull'oceano, iniziano ad investire. E' il caso del Portogallo, dove da qualche mese, vicino a Porto, galleggiano tre serpenti marini rossi. Pesano 700 tonnellate ciascuno, per 142 metri di lunghezza e 3,5 metri di diametro. Il meccanismo è quindi simile a quello di «Anaconda», ma fatto di metallo: ci sono voluti mesi di lavoro e due anni per assemblarlo. La tecnologia è scozzese, del gruppo Ocean Power Delivery. L'investimento iniziale è stato di 8,2 milioni di euro, finanziato da Enersis, società portoghese controllata dalla spagnola Endesa, che a sua volta fa capo all'italiana Enel. Enersis investirà oltre un miliardo di euro in una serie di impianti, capaci di fornire elettricità a 450mila abitazioni. 

E l'Italia? Il nostro Paese ha mari meno mossi. Eppure nello specchio d'acqua tra Scilla e Cariddi dal 2001 lavora Kobold, la turbina che produce energia sfruttando le correnti marine dello Stretto nata da un'idea dell'armatore Elio Matacena. Kobold ha l'aspetto di una piattaforma galleggiante di circa 10 metri di diametro ed è dotata di una turbina ad asse verticale con tre grandi pale immerse in acqua, che ruotano grazie alla forza generata dalle correnti e che producono energia da trasferire sulla terraferma. La stessa tecnologia italiana verrà installata anche in Indonesia entro fine luglio, nell'isola di Lombok.


http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2008/07/anaconda-energia-onde.shtml?uuid=bdee2cd2-4c29-11dd-9dcf-303698a95a0e&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1




In Australia la prima centrale elettrica sott'acqua che sfrutta il moto ondoso. - Antonio Polizzi
L’idea è piuttosto semplice: possiamo ottenere elettricità dalla forza cinetica delle onde marine; in altre parole il moto ondoso del mare è in grado di produrre energia pulita e inesauribile. Nel mondo esistono già dei progetti che realizzano questo principio, pensiamo alle centrali posizionate lungo le coste della Norvegia, della Gran Bretagna e del Brasile solo per citarne alcune. Certamente, ognuna di queste realtà ha una propria maniera di sfruttare le onde, con delle turbine ad asse orizzontale in mare aperto come in Norvegia e in Gran Bretagna, oppure con dei bracci meccanici sui quali è installata una turbina a forma di coppa come nel caso del Brasile.
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Adesso però, dopo dieci anni di lavoro e un costo complessivo di 70 milioni di euro, dall’Australia arriva la notizia di un impianto che sembra ancor più rivoluzionario: la prima centrale elettrica che produce energia dal moto ondoso e che contemporaneamente genera acqua potabile desalinizzando quella del mare. Il tutto in una struttura che è interamente sommersa. L’idea di ancorare tutto sott’acqua nasce ovviamente sia per la tutela del paesaggio, rendendola invisibile dalla riva, sfruttando oltretutto al meglio l’energia delle onde sotto la superficie, e sia per preservare tutte le parti che compongono la centrale da ogni eventuale corrosione, mareggiate o da qualsiasi altro fenomeno marino ritenuto pericoloso.
A finanziare la sua realizzazione ci ha pensato la ARENA – l’Agenzia australiana per le energie rinnovabili, insieme al Governo Federale e ad alcuni investitori privati. Il progetto invece è frutto degli ingegneri della Carnegie Wave Energy, l’azienda australiana con sede a Perth che per prima ha brevettato questo sistema davvero unico nel suo genere, e che lo ha ribattezzato “Sistema CETO”, in riferimento alla divinità marina della mitologia greca, raffigurata spesso come una creatura metà balena e metà serpente.
Le caratteristiche principali che lo rendono un progetto unico al mondo non riguardano solamente il fatto che al momento questa è la più grande centrale “a moto ondoso” di tutto il pianeta (anche se la Carnegie si dice in grado di realizzarne ancora più grandi), ma piuttosto è rivoluzionario il sistema con il quale viene prodotta energia elettrica e insieme acqua potabile.
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Si tratta infatti di boe sottomarine in grado di alimentare delle pompe, fissate sui fondali a circa 50 metri di profondità, che consentono di azionare a loro volta delle turbine elettriche poste sulla terraferma, e così mentre da una parte viene generata energia elettrica a emissione zero, dall’altra l’acqua pompata viene impiegata per alimentare una centrale a osmosi inversa, per la desalinizzazione dell’acqua marina insomma.
Superate con successo le prime fasi di collaudo all’inizio dell’anno, la centrale è stata finalmente inaugurata a Febbraio, anche se ancora non sta lavorando al massimo delle sue possibilità. Solo due delle tre boe al momento sono state attivate, nell’attesa di mettere in funzione l’ultima boa con i dispositivi di desalinizzazione dell’acqua, che aumenteranno sensibilmente la sua produzione energetica nei prossimi mesi e che ovviamente forniranno acqua potabile come promesso dalla Carnegie e dalla ARENA.
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Nonostante ciò, con solamente due terzi della proprie capacità in azione, l’impianto è già in grado di fornire elettricità all’intera base navale di HMAS Stirling a Garden Island, che con i suoi 3500 uomini e 26 unità navali rappresenta di fatto la più grande base della Marina Militare dislocata sul territorio australiano. I servizi di questa centrale infatti sono stati presi in affitto da subito dal Dipartimento della Difesa australiano e questo, in un certo senso, può dirsi il banco di prova definitivo per la completa riuscita del progetto.
Non appena anche l’ultima boa e l’impianto di desalinizzazione saranno a pieno regime infatti, il governo potrà avere quella prova tangibile del funzionamento di questo progetto su larga scala, e sarà in grado di attivare la realizzazione di altre centrali simili. Se tutto questo andrà secondo le stime della Carnegie perciò, l’Australia potrebbe diventare la prima nazione al mondo ad alimentare persino delle piccole città lungo la costa con la tecnologia del Wave Power, un sistema che fino ad ora purtroppo è stato ingiustamente sottovalutato.


Energia dal mare: moto ondoso, correnti e maree per un futuro sostenibile.

Molte tecnologie e impianti sono ancora a livello sperimentale ma dal mare si possono ricavare quantità enormi di elettricità. I migliori esempi in Europa.

L’idea di produrre energia dal movimento dell’acqua del mare non è recente. Diverse civiltà, in tempi antichi, cercarono di sfruttare il grande potenziale energetico del mare. I risultati erano modesti ma tecnologie come i cosiddetti "mulini a marea" permettevano di raccogliere l’acqua marina, durante il flusso delle maree, in un piccolo bacino che veniva poi chiuso con una paratia. Quando l’acqua poi defluiva, passava attraverso un canale che la conduceva forzatamente verso una ruota che muoveva una macina. Lo stesso principio, insomma, utilizzato per far funzionare i mulini con l’acqua dei torrenti.
In tempi molto più recenti l’obiettivo è stato quello di sfruttare il moto generato dalle maree per produrre energia elettrica pulita. Come è noto, le maree derivano dal moto periodico di salita e discesa di grandi masse di acqua che sono attratte dall’azione gravitazionale della luna e del sole. In condizioni particolarmente favorevoli, presenti però in pochi luoghi del pianeta, l'alta marea sulla costa può superare i 5 metri e anche più. L'energia cinetica delle masse d'acqua soggette alla marea si trasforma per attrito in energia interna all'acqua.
centrale larance

In Francia una barriera per sfruttare la marea

Il primo e storico esempio di impianto per sfruttare l’energia delle maree è quello costruito a La Rance, nei pressi di Saint Malò, sulla costa atlantica francese, già negli anni ’60. La portata dell’impianto raggiunge 18.000 metri cubi di acqua al secondo e la potenza erogabile raggiunge i 240 MW. La produzione di energia è abbastanza notevole, pari al 3% del fabbisogno elettrico della Bretagna. Si tratta però di una centrale a barriera, cioè composta da una diga in pietrame, 6 chiuse di entrata e uscita per vuotare e riempire rapidamente la foce del fiume e 24 turbine a bulbo. Le turbine idrauliche funzionano in entrambe le direzioni, sia con l’acqua in ingresso che con l’acqua in uscita.
La presenza di una barriera che deve essere scavalcata dalle acque, quando si verifica l’alta marea, è però piuttosto impattante per l’ambiente, poiché provoca considerevoli modifiche all’ecosistema e modifiche al fondale marino.  Tuttavia la struttura di La Rance richiama ogni anno, per la sua unicità, decine di miglia di visitatori. Questo tipo di impianti a barriera ha comunque diversi limiti. Oltre al fatto che può essere installato solo in poche località del mondo va anche considerato il costo molto elevato iniziale e la discontinuità di produzione di energia; c’è poi il tema dell’erosione delle coste, provocata dalla modifica dei flussi di marea e quello delle sedimentazioni all’interno del bacino.

SeaGen in Irlanda del Nord

Meno impattante (ma tuttora sono monitoraggio ambientale) è l’unica altra centrale di sfruttamento dell’energia delle correnti di marea esistente in Europa: si trova in Irlanda del Nord, a Strangford Lough. Si chiama SeaGen e la sua costruzione risale al 2008. Dopo una prima fase sperimentale durata alcuni mesi, ora la centrale, con una potenza installata di 1,2 MW, può soddisfare il fabbisogno di energia di circa 1.000 abitazioni. seagenNon si tratta di un impianto a barriera ma di idrogeneratori a pale che vengono messi in movimento dove le correnti di marea sono più forti.  Oltre a questi due impianti europei, nel mondo ci sono altri 5 impianti per ricavare energia dalle maree: in Cina, Canada, Russia, Corea del Sud (2 centrali e una è in costruzione).

Energia dalle correnti marine

Applicazioni ancora più interessanti (e soprattutto meno impattanti per l’ambiente)  per ricavare energia dal mare sono invece quelle che sfruttano le correnti sottomarine e di marea. Sono, di fatto, simili all’impianto SeaGen dell’Irlanda del Nord ma non necessariamente devono essere installati solo in luoghi in cui il livello di marea è elevato. L'Unione Europea ha infatti di recente concluso uno studio che identifica circa 100 siti suscettibili di essere utilizzati per la produzione di energia elettrica dalle correnti marine e si calcola nel continente la disponibilità di questo tipo di energia sia pari a circa 75 GigaWatts. In Italia lo stretto di Messina è considerato uno dei siti più promettenti: le correnti marine presenti tra Calabria e Sicilia  hanno una potenzialità energetica di circa 15.000 MegaWatt.

Tanti prototipi e una fiorente sperimentazione

Esistono diverse tipologie di impianti e si tratta per in gran parte di prototipi e strutture sperimentali ma alcune forniscono comunque energia alla rete elettrica.  Le correnti marine, come le maree, sono perfettamente predicibili e quindi è possibile una stima precisa dell’energia che si può produrre ogni anno. La tecnologia sviluppata per le correnti marine, inoltre, può anche essere impiegata per le correnti fluviali o, più in generale, in tutte le situazioni dove c’è acqua in moto. La tecnologia impiegata è quasi sempre una turbina che può essere (come per le tecnologie eoliche) ad asse orizzontale o ad asse verticale. Le turbine ad asse orizzontale sono più adatte alle correnti marine costanti, come quelle presenti nel Mediterraneo, le turbine ad asse verticale sono più adatte alle correnti di marea per il fatto che queste cambiano direzione di circa 180° più volte nell'arco della giornata.
Impianti con turbine ad asse orizzontale sono installate nella centrale di Hammerfest in Norvegia e a Lynmouth in Inghilterra (in questo caso in mare aperto).
koboldUn impianto innovativo a turbina esiste anche in Italia. Si chiama Kobold - dal nome di un folletto benevolo della mitologia nordeuropea – ed è stato allacciato alla rete elettrica nazionale dell'Enel nel marzo 2006. Si trova al largo di Ganzirri, a nord di Messina. La potenza generata è esigua, soli 40 Kwatt (13 abitazioni a pieno carico) ma bisogna tener conto che si tratta di un prototipo che presto dovrebbe raggiungere i 150 Kwatt (le correnti nella zona hanno una velocità di 2 metri al secondo). Ha l'aspetto di una piattaforma galleggiante di circa 10 metri di diametro, dotata di una turbina ad asse verticale con tre grandi pale immerse in acqua, è ancorata ad una boa che a sua volta è ancorata al fondale marino (che in quel punto si trova a 20 metri). L’ha ideata Elio Matacena, con l’intuizione di sfruttare al contrario un moderno propulsore navale montato sui traghetti Caronte. Kobold è stato poi sviluppato e realizzato dall’azienda Ponte di Archimede che è pronta a venderla in molti esemplari in Indonesia, dove il governo la ritiene una soluzione praticabile per dare energia alle sue tante piccole isole.
Importanti sperimentazioni su turbine funzionanti con la corrente marina sono in corso anche da parte dell’Università gallese di Swansea. Insieme a diversi partner stanno progettando le “Swanturbines”. Una particolarità di questo impianto è l'uso di "gravity base", un pesante blocco di cemento che tiene la turbina in piedi anziché ancorata con una trivellazione al fondo marino.
limpetEnergia dal mare può essere ricavata anche dal moto ondoso, sia al largo che sulla costa. Un impianto notevole è LIMPET (Land Installed Marine Powered Energy Transformer), realizzato sull’isola di Islay nella Scozia occidentale dall’azienda Wavegen.  È stato installato nel 2000 sulla linea costiera e l’energia che produce (500 KW) grazie al moto delle onde viene ceduta alla rete elettrica nazionale. SI tratta quindi di una sorta di protezione litoranea in cemento che usa il principio della colona d’acqua per produrre energia.

Sempre in Scozia è in corso di realizzazione la più grande centrale al mondo per la generazione di elettricità dalle onde marine, con una capacità prevista di 200 MW. È stata battezzata Costa Head Wave Project e sarà installato al largo della costa di Orkney, sull'isola di Mainland, da Sse Renewables, la principale azienda scozzese del settore, e Alstom, multinazionale francese che opera nel campo delle costruzioni meccaniche.  La centrale, spiegano i progettisti, sarà equipaggiata con una serie di convertitori di energia del moto ondoso basata su un sistema di 12 celle di assorbitori a membrana flessibile che convertono l’energia delle onde mobile in energia pneumatica.
L’impianto offshore scozzese ha un precedente importante in Portogallo. Nelle acque al largo di Agucadoura nel 2007 è stato installato Pelamis, il primo impianto commerciale per la produzione di energia elettrica con un sistema basato su una struttura semisommersa che, grazie al movimento delle onde agisce su dei pistoni idraulici accoppiati a dei generatori in grado di trasformare l'energia meccanica in energia elettrica. La struttura galleggia sull’oceano ed utilizza l’ampiezza dell’onda per funzionare. Qui un video che mostra l’impianto.
seasnakeUna nuova versione di Pelamis (ribattezzata SeaSnake), elaborata in Scozia, è lunga 180 metri circa e pesa 130 tonnellate, è in grado di produrre 750 kW ed è considerato molto più efficiente rispetto alla precedente versione portoghese.
Se Pelamis e Cost Head Wave Project sono impianti che galleggiano sull’acqua è ampia anche la sperimentazione di sistemi con impianti sommersi, in grado di sfruttare il moto ondoso e delle correnti sottomarine. Uno di questi sistemi, che si basa sul principio idrostatico di Archimede, si chiama AWS(Archimedes Wave Swing), installato dalla AWS Ocean Energy al largo delle coste portoghesi. Consiste in una struttura ancorata al fondo marino nella quale una camera d'aria è compressa al momento del passaggio dell'onda sopra il sistema e risale quando l'onda è passata, nel sistema commerciale si dovrebbe avere una potenza di 2 MW, con una struttura (completamente sommersa) alta 30 metri e 10 metri di diametro.