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sabato 28 marzo 2020

Dai molluschi ai cervi, il menù mare e monti dei Neanderthal.

La grotta vicino a Lisbona in cui sono stati trovati i resti che permesso di ricostruire la dieta dei Neanderthal (fonte:  Zilhao et al. Science) © Ansa
La grotta vicino a Lisbona in cui sono stati trovati i resti che permesso di ricostruire la dieta dei Neanderthal (fonte: Zilhao et al. Science)

Cozze, vongole, granchi, orate, foche: per la prima volta una ricerca dimostra che i Neanderthal mangiavano cibo di mare, proprio come facevano i loro contemporanei Sapiens dell'Africa meridionale, e che avevano un ricco menù di mare e monti che comprendeva anche oche, cervi, e persino pinoli. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, si deve alla ricerca guidata da Joao Zilhao, dell'università di Barcellona, e da Diego Angelucci, dell'università di Trento, che ha ricostruito il menù grazie ai reperti rinvenuti in una grotta vicino a Lisbona.

La ricerca è un'ulteriore prova a sostegno delle capacità intellettive di questi uomini considerati fino a pochi anni fa rozzi e primitivi, confermando invece che possedevano un buon sviluppo tecnologico e avevano familiarità con il mare e le coste. La grotta di Figueira Brava, protagonista della scoperta, è stata frequentata da gruppi di neandertaliani nel periodo compreso tra circa 106 mila e 86 mila anni fa.

"Lo scavo - spiega Angelucci - ha permesso di recuperare resti relativi all'occupazione della grotta da parte dei neandertaliani: strumenti in pietra scheggiata, resti di pasto, residui dell'uso del fuoco". I resti di pasto hanno sorpreso molto i ricercatori perché includono molluschi (cozze, vongole e patelle), crostacei (granceole e altri granchi), pesci (squali come lo smeriglio, il cosiddetto vitello di mare, e la verdesca, ma anche anguille, orate, gronghi, cefali, vari uccelli marini o acquatici (tra cui germani reali, oche selvatiche, gazze marine), e mammiferi marini (delfini e foche grigie).

A questi si aggiungono i resti dei prodotti della caccia, che includeva il cervo, lo stambecco, il cavallo, e la tartaruga terrestre, e resti di risorse vegetali, come vite selvatica, fico e pino domestico, di cui sono stati rinvenuti frammenti di legno, pigne e gusci di pinoli.

Secondo Angelucci, "i dati aggiungono un ulteriore contributo alla rivalutazione del modo di vita dei neandertaliani". Se è vero che il consumo abituale di alimenti di origine marina ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo delle capacità cognitive dei nostri antenati Sapiens, "bisogna quindi riconoscere che questo processo avrà riguardato l'intera umanità e non solo una popolazione limitata dell'Africa australe che si è poi espansa fuori dal continente africano".


https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/ragazzi/news/2020/03/26/dai-molluschi-ai-cervi-il-menu-mare-e-monti-dei-neanderthal-_e447484f-8e47-46e9-9f09-2a33ede4c451.html

martedì 18 febbraio 2014

UNA ESTROMISSIONE IN STILE MAFIOSO. - Viviana Vivarelli

Napolitano “voleva Monti al governo dal giugno 2011″. Il Colle: “Vero, ma è fumo”
Il succedersi degli eventi è impressionante e sono contrassegnati tutti dal più brutale attacco alla democrazia mai visto in 60 anni.
Alla vigilia dell’impeachment di Grillo arriva il colpo del Financial Times a Napolitano, pubblicato, guarda caso, dal Corriere, uno che è sempre stato coi piedi in due staffe. Napolitano riceve Renzi, che non ha nessuna carica parlamentare o ministeriale. Non sente prima i partiti come richiede la Costituzione, no, viola la prassi costituzionale e chiama direttamente quello che ‘deve’ nominare. Non agisce da coordinatore delle scelte parlamentari come vuole la Costituzione, ‘nomina’ arbitrariamente chi gli pare, come ha già fatto con Monti e Letta!
Renzi non è nessuno, a parte l’incredibile bagarre televisiva e mediatica che lo ha imposto agli occhi degli Italiani, la sua unica dote sta nei1.895.332 voti presi alle primarie del Pd in cui hanno votato  2.814.801 elettori sugli 8 644 523 che hanno  scelto il Pd alla Camera (nemmeno un piddino su 4). Siccome gli elettori italiani in tutto sono  50 449 979, è come se Renzi rappresentasse il 5,5 %  del popolo italiano!
Ma ecco che proprio alla vigilia dell’impeachment, l’inglese Financial Times anticipa un libro di Friedman, giornalista americano che ha lavorato su Rai3, che fa scoppiare uno scandalo: Napolitano si è consultato con Monti “ben 4 mesi prima che B cadesse”, e B è caduto non solo per il difetto dei numeri in Parlamento ma per decisione della Casa Bianca, per cui i mercati che hanno rialzato lo spread con lo scopo di mandarlo a picco minacciando di far crollare le azioni di Mediaset in Borsa (come già aveva spifferato Bossi dopo il G8 di Nizza). Così le società di rating ci hanno declassati illecitamente (malgrado le denunce dei nostri magistrati) e i banchieri di Wall City e della City di Londra hanno fatto dei begli affari su di noi. B è stato costretto ad andarsene e i poteri forti con la collusione di Napolitano hanno messo un loro uomo di fiducia, Monti, a capo del saccheggio italiano. Il mondo finanziario europeo collaborò ben contento di mandarci a picco e di banchettare sulle nostre imprese fallite e in primis esultò la Merkel (mentre si incontravano segretamente Prodi, Passera e De Benedetti, i quali addirittura stilarono il programma di Monti).
Monti, ricordiamolo sempre, non ha mai rappresentato la maggioranza degli elettori italiani, è stato scelto solo in quanto membro del Bilderberg e  presidente europeo della Trilaterale, il gruppo neoliberista di speculatori fondato da Rockfeller che sta rovinando l'Europa e primariamente l'Italia. Così abbiamo avuto l’aumento delle tasse, la Fornero e il suo attacco al mondo del lavoro col debito che  aumentava di 180 miliardi, la protezione di Clio ai Riva, il No deciso di Monti alla separazione delle banche d’affari da quelle di investimento, il No alla tassazione dei derivati e a un controllo sulle banche, e un primo atto di governo in cui Monti dava alla banca newyorkese Morgan Stanley 2 miliardi e 567 milioni di euro. A Monti Napolitano ha fatto seguire il docile Letta, vicepresidente della Aspen, altro esecutore del Bilderberg che ha portato avanti il patto con Berlusconi, il contratto sindacale unico, i regali alle banche, la svendita del patrimonio pubblico (Poste ecc.). Ma, di fronte al malcontento popolare, eccoci al gradino più basso: il debole Letta non basta più, va troppo piano nello smantellamento dell’Italia e così, dopo 10 mesi, se ne progetta il rapido assassinio, prendendo come sicario il rampante e ambiziosissimo Renzi, il cui pedigree non sta certo nei pochi voti presi (un partito del 5,5% non significherebbe nulla in Italia) ma nei 100 punti di un programma fatto da Gori (il programmista di Berlusconi), in cui si delinea un perfetto piano di estrema dx che piace molto al sistema finanziario come piacerà di sicuro alla P2: cancellazione dei diritti del lavoro e dello stato sociale, privatizzazione totale di beni e servizi, nessun sistema elettorale con preferenze ma anzi abolizione graduale dell’elezione democratica (Province, Senato…) in vista della trasformazione della repubblica da parlamentare a presidenziale, mentre Napolitano si dà da fare tentando (finora bloccato dai 5 stelle) di abolire l’art.139 della Costituzione, per trasformarla da rigida a flessibile e mette su la sceneggiata dei famigerati ‘saggi’ per cambiare in un colpo solo mezza Costituzione (secondo la ‘direttiva’ della prima banca d’affari USA: la Goldman Sachs). Quando Grillo avanza la messa in stato di accusa del PdR, i partiti lo difendono compatti ridicolizzandolo. Ma intanto Renzi come primo atto va a prendere ordini dalla Merkel e stringe i rapporti con B, sia direttamente che tramite Verdini che sembra lo abbia finanziato con 4 milioni di euro e lo ‘allevi’ dal 2009, cioè da 4 anni, come ‘cavallo di Berlusconi’.
Insomma la politica italiana sembra diventata un fatto privato tra Napolitano, Berlusconi, Monti-Letta e ora Renzi (con Prodi e De Benedetti nell’ombra), mentre i veri protagonisti nemmeno compaiono sui media italiani e sono: il sistema bancario-finanziario e la Trilaterale che ne è a capo.
Ed ecco il Financial Times che mette in difficoltà Napolitano e lo fa ad opera di un giornalista americano, il che fa temere piani anche peggiori. E per la prima volta abbiamo una lievissima critica fatta da Napolitano al Parlamento europeo all’austerity che ci sta massacrando. Siamo a 2 mesi dalle elezioni europee, con l’euro criticato solo del M5S, che solo per questo è il granellino di sabbia del sistema.
Appena Friedman parla, Napolitano che ha sempre sostenuto Letta, capisce che non può più continuare e Letta cade. Il Pdr non perde nemmeno tempo a sentire i partiti, li ignora, ignora anche e soprattutto il M5S che è il 2° partito italiano e rappresenta 9 milioni di elettori, sente solo il Pd e lo fa a nomina avvenuta, seguendo il nuovo diktat internazionale.
Scrive Pietro Ancona: “20 anni di berlusconismo non sono stati sufficienti a prepararci allo spettacolo del Segretario del Partito che pugnala alla gola il Capo del  Governo del suo stesso partito, assistito da un vecchio cinico che abita il Quirinale”.
Il totoministri di Renzi a questo punto è una buffonata. I poteri turbocapitalisti sanno già  chi mettere, magari la figlia di quel Reichlin economista liberista scelto dalla banca d’Inghilterra, sicuramente non saranno persone atte a fare gli interessi nostri e sicuramente saranno iperliberisti, per darci il governo più di dx mai visto in Italia, col consenso del Pd e di Sel, naturalmente, per la regola del “Tengo famigghia e poltrona”. Dopo di che la spoliazione dell’Italia sarà una cosa seria. E’ diventato risibile anche nemmeno parlare di processi per la compravendita di singoli parlamentari, stiamo assistendo al più grande mercato che la politica abbia mai fatto di se stessa: un intero parlamento e governo che si vendono in blocco al massimo aggressore!
Come diceva Ferrara: “La politica si basa sul ricatto”. Non sempre sui reati passati, spesso su quelli futuri.
Il Financial Times ha minacciato Napolitano e ha avuto il suo scalpo: porterà Renzi al governo nel modo più antidemocratico che si possa immaginare. Renzi sarà Capo del Governo per la resa ‘bulgara’ di 136 persone nel più avvilente suk politico della storia della Repubblica italiana.
Come dice Pietro Ancona: “Siamo lontani mille km dalla Costituzione e dalla prassi consolidata che regola le crisi di governo. Siamo lontani dalla democrazia”.
Ma ora il giovane squalo non può solo proclamare, per tenersi in sella deve trattare. E qui cominceranno i suoi guai.
(ricevuta tramite email dall'autrice)

domenica 9 febbraio 2014

Governo Letta, fatta la legge manca il decreto. Le 384 norme mai attuate. - Carlo Tecce


Su 429 provvedimenti approvati, solo 45 hanno poi avuto attuazione. Affari Esteri, Beni Culturali e Giustizia non ne hanno licenziato nessuno.

Enrico Letta l’ha giurato: “Io non voglio galleggiare”. E il governo non galleggia, no, non va né sopra né sotto perché resta immobile. I decreti ci sono, tanti, ampi e pure con l’etichetta per entusiasmare: “Fare Italia”, “Destinazione Italia”. Le intenzioni ci sono e, magia, in pratica non esistono. Perché i ministeri non producono le norme attuative necessarie per applicare le leggi: su 429 provvedimenti previsti soltanto 45 sono in vigore e 58 sono già scaduti, cioè sono carta straccia. La tradizionale scusa, ormai un ritornello, è sempre valida: la burocrazia. Il buco nero con protagonisti più o meno anonimi, fra capi di dipartimento, dirigenti e funzionari, che inghiotte le riforme, i ritocchi e annulla l’efficacia di Palazzo Chigi. Da Mario Monti a Enrico Letta, come ha osservato il Sole 24 Ore di ieri, riportando lo studio sul programma di governo, la situazione è peggiorata. Questa è la conseguenza di una ribellione silenziosa dei vecchi apparati e di un controllo insufficiente dei ministri.

A MAGGIO, poi a giugno e ancora a luglio, Letta ha annunciato le imperdibili occasioni per i giovani. Per smuovere un po’ lo stagno, dove non è salutare galleggiare, l’esecutivo ha pensato di stanziare un capitale, piccole indennità, per la partecipazione ai tirocini formativi e di orientamento. Il Tesoro ha inviato i documenti all’ufficio di competenza, la Ragioneria di Stato, ma il 27 agosto era già scaduto. Com’è scaduto, il 22 di ottobre, lo stanziamento per “mille giovani per la cultura”.
Quante volte s’è proclamata l’emergenza per le piccole e medie imprese? Ma il ministero per lo Sviluppo economico e il Tesoro non sono riusciti a creare il fondo di garanzia. E ancora non sanno, sempre al ministero di Fabrizio Saccomanni, come utilizzare i 20 miliardi per i pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Nonostante l’ex direttore generale di Bankitalia abbia smantellato e reinstallato i vertici, la macchina non funziona: su 76 provvedimenti ne hanno emanati 16. Il ministro Maria Chiara Carrozza ha litigato con Saccomanni e impedito che gli insegnanti dovessero restituire dei soldi in busta paga, però non s’intravede il piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato. Non una cosina secondaria. E non facile. Anche perché l’Istruzione e la Cultura non ce le fanno neanche a calcolare i mancati introiti per consentire, come promesso, ai docenti l’ingresso gratuito nei musei.
Il colmo per la burocrazia, ovvio, è non fare nulla per alleggerire la pesantezza della burocrazia. Sta ancora in un cassetto, dunque, il piano nazionale per le zone a burocrazia zero. Un pasticcio. Il ministero di Flavio Zanonato, lo Sviluppo economico, ha risposto che “la norma è complicata da applicare perché sono previste aree esclusivamente non soggette a vincolo paesaggistico, storico e artistico”. Ma rassicurano: è in fase istruttoria. Come la pianta organica per l’esaurimento dei giudici ausiliari. Gli esempi da fare sono 384 come le norme ancora non attuate e le leggi tenute in sospeso o, semplicemente, decadute. La tabella accanto dimostra che l’intero sistema è paralizzato.
E ci sono dei ministeri capaci di non emanare neanche una norma. Coesione Territoriale: 0 su 5. Affari Esteri: 0 su 7. Pubblica Amministrazione: 0 su 8. Giustizia: 0 su 10. Salute: 0 su 16. Beni Culturali: 0 su 25. Non male, per chi non vuole galleggiare. Perfetto, per chi vuole affondare.

sabato 6 aprile 2013

Come governerà Bersani? Guardate Montepaschi. - Maurizio Blondet


1698462d1358937214 e poi bersani voleva vedere la polvere sotto il tappeto dellitalia mussari bersani 213680 Come governerà Bersani? Guardate Montepaschi (di Maurizio Blondet)

Scrivo sulla notizia a caldo che Giuseppe Mussari, infine, si è dimesso dalla Associazione Bancaria Italiana. Ma perché è ancora a piede libero il banchiere del Pci-PDi? Come ha rivelato il Fatto, «il Monte dei Paschi di Siena nel 2009 – durante la gestione di Giuseppe Mussari – ha truccato i conti con un’operazione di ristrutturazione del debito per centinaia di milioni di euro di cui oggi i contribuenti italiani pagano il conto». Ciò, attraverso un contratto occulto con la banca Nomura, che «sarebbe servito a Montepaschi per abbellire il bilancio 2009 scaricando su Nomura le perdite di un derivato basato su rischiosi mutui ipotecari che poi i giapponesi avrebbero riversato sul Monte attraverso un contratto “segreto” a lungo termine», non comunicato ai vertici della MPS. Risultato: un buco nel bilancio della banca da 220 a 740 milioni di euro. 
Ora, repetita juvant, Montepaschi è la banca dei comunisti italiani. Mussari è stato il banchiere targato PCI e poi PDS, amatissimo da loro perché li ha lasciati depredare le casse della banca, ma stimatissimo (e c’è da chiedersi come mai) anche dagli altri banchieri, visto che lo hanno elevato al vertice della loro prestigiosa associazione nonostante, Mussari avesse già lasciato una banca in rovina con operazioni altamente sospette come l’acquisto di Antonveneta per un prezzo spropositato, che lasciava intravvedere operazioni loschissime, tipo fondi all’estero.
Bersani è contro il «falso in bilancio». Il suo compagno banchiere Mussari ha sicuramente commesso un falso in bilancio. Non ha nulla da dire, Bersani? Sennò si potrebbe pensare che è contro il falso in bilancio, ma solo se lo fanno gli amici e compari di Berlusconi. 
Bersani è contro coloro che si fanno fondi neri all’estero. Ha un giudizio da dare sulle operazioni Montepaschi del compagno Mussari, note da anni? Sarebbe bene saperlo, per sapere come Bersani ci governerà. Continua a ripetere che vuole «tracciabilità totale»: i 200 euro che paghi in nero all’idraulico, per esempio. Ma la tracciabilità delle operazioni Montepaschi, quelle no?
Adesso la banca comunista deve essere messa sotto commissariamento, è praticamente fallita in modo aperto. Perché era già fallita. Ma per scongiurare le conseguenze del fallimento sulla Fondazione – che avrebbe dovuto raccogliere nuovi capitali, diluendo i propri – Mario Monti ha trasferito a Montepaschi l’intero gettito dell’IMU sulla prima casa. Quasi 4 miliardi di euro ingoiati dal buco nero – o buco rosso – e per nulla, perché comunque l’inevitabile accade. 
Però mica è solo colpa dei due compari Monti e Bersani. Il Fatto Quotidiano ha spiegato che anche il PDL ha partecipato al salvataggio a spese di tutti noi. O ci ha tentato di nascosto, in combutta coi comunisti, nella Commissione Bilancio (dove il pubblico non vede), ficcando dentro il cosiddetto «DDL Sviluppo» un codicillo «che fissava condizioni particolarmente favorevoli per la banca Mps nel rimborso dei Monti-BondL’emendamento ideato da Simona Vicari (Pdl) e Filippo Bubbico (Pd), prevedeva infatti che, nel caso più che probabile che la banca non generi profitti, gli interessi sui 3,9 miliardi di aiuti pubblici che l’istituto senese si appresta a ricevere sotto forma di Monti bond potessero essere pagati anche con nuovo debito, per esempio obbligazioni. Un’alternativa al pagamento in azioni che avrebbe fatto entrare lo Stato nella proprietà dell’Istituto». (Mps, bocciato l’emendamento “salva proprietà” sui Monti Bond)
Ma allora non è vero che Berlusconi è l’avversario di Bersani!?. Quando si tratta di soldi e banche, sono d’amore e d’accordo. Basta che la gente non sappia. «Tracciabilità», dice Bersani, «No Imu», dice Berlusconi. Ma quando c’è da salvaguardare il potere dei partiti (di tutti) sulle banche, eccoli lì uniti e concordi a farne pagare il prezzo a noi contribuenti. Dilapidando 4 miliardi che, con Monti, hanno estratto dalle tasche di piccoli imprenditori disperati, di proprietari di immobili che schiacciati dall’aumento della tassa e del valore catastale, e persino a quei poveri pensionati sotto i mille euro mensili, che negli altri Paesi sono esenti, ma da noi no. 
Un lettore raffinato non capisce perché io sia così volgare, quando parlo della politica italiana: «Non mi piace l’ossessione scatologica, e il moralismo che vi è implicito, e quindi queste espressioni come: turarsi il naso, sciacquone, e altre carinerie simili…». Un altro: «io le chiedo: “Blondet, perché non dici qualcosa di cristiano?” ».
Mi scuso, mi scuso, qualche volta trascendo. Però vorrei che l’invito venisse rivolto a lorsignori. «Perché non fate qualcosa di cristiano?». Perché le loro banche, strapiene di fondi all’1%, non fanno credito alle imprese; perché loro tengono 7 milioni di italiani sotto il livello di povertà, e nella crisi recessiva corrente ridotti presto alla miseria, mentre loro sprecano e si arricchiscono? Derubano l’orfano e la vedova. Sottraggono la paga ai lavoratori. Le medicine ai malati. L’assegno d’accompagnamento agli invalidi totali. E mentono spudoratamente in tv; e dicono che è colpa nostra, che evadiamo le tasse… Capite che no, non riesco a dire qualcosa di cristiano. Forse leggo un’altra pagina del Vangelo, meno «consolante» del cristianesimo mainstream.
Vedo che Berlusconi continua a riscuotere simpatie fra i lettori. Lo avete visto impegnato a depennare dalle liste gli impresentabili: Cosentino, Dell’Utri, Scajola… Forse avrete notato che i primi due esclusi hanno minacciato, di fatto, il capo-comico di «rivelazioni», o di rovinarlo. Accade che quando ti affidi a malavitosi, poi ti ricattano. Facce nuove, giovani, dice Berlusconi. Scopro che ha rimesso in lista la Carfagna, la Brambilla, la Gelmini. E Renata Polverini, che ha fatto tanto bene alla Regione Lazio. Bondi e la sua fidanzata. Ha candidato in posizioni blindate due tizi che sono stati suoi testimoni a difesa sul caso Ruby: li avremo deputati, c’è già l’intero collegio di difesa del Maiale. E in più, scelta da lui in persona, Iliana Calabrò in rappresentanza degli italiani in Argentina. E chi è?, domanderete. Dagospia la descrive come una popputissima showgirl la cui specialità consiste nel simulare orgasmi sulla scena. Va bene che Casini, ha messo in lista la cognata e il genero, Rutelli (eh già, arieccolo) una segretaria, Gianfranco Fini un socio d’affari della sua moglie e padrone, la Tulliani… La solita girandola: parentopoli, nani, ballerine, mignottocrazia.
E però uno non deve riferire questi fatti come «liquame», e desiderare uno sciacquone che pulisca la fogna? È moralismo implicito, dice il lettore. Un altro mi accusa di non aver attenzione per quei candidati che difendono i «valori non negoziabili». Cari, come diceva Carl Schmitt, quando si comincia a parlare di «valori», si accetta il concetto di quotazione. I valori sono, originariamente, quelli della borsa-valori, e sono per eccellenza «negoziabili». La Chiesa proponeva «verità», merce antiquata. Oggi propone «valori», e pur sacrosanti: matrimonio, figli, no all’aborto e all’eutanasia. Come valori, purtroppo, hanno attualmente poco mercato… Chissà, se ricordasse che chi fa certe cose si gioca l’eterna dannazione, magari… O magari no. Questo popolo si contenta del suo destino zoologico.
E si vede: l’economia italiana, abitata da bestie da Fattoria degli Animali (dove qualche bestia è più uguale delle altre) degrada irresistibilmente, anche rispetto al contesto europeo recessivo, fiaccata forse per sempre dalle misure d’austerità (per noi, non per Mussari) di Monti. Per raggiungere gli obbiettivi della riduzione del deficit che ci ha assegnato (ma col voto del PDL) dovrà aspirarci dalle tasche altri 9 miliardi di euro, anche se adesso lui e il compare Bersani lo nega. Ma come faranno? Da dove prenderanno ancora ? Il potere d’acquisto di noi italiani è sceso del 4,1% nei primi nove mesi del 2012 rispetto al 2011, il credito bancario si è ulteriormente contratto del 3,4%, la produzione industriale è collassata addirittura, quasi del 25% dal 2008. La disoccupazione salirà al 12-14% nei prossimi mesi.
In questa situazione, come volete che governi Bersani? Visto dall’estero (dal blog di Paul Jorion) «il programma di Pier Luigi Bersani che è in testa nella corsa elettorale, si iscrive in un grande negoziato (con Berlino, ndr) che scambierebbe rinuncia alla sovranità (1) contro una diminuzione dell’austerità e l’adozione di misure cicliche di rilancio. Un cammino stretto, fatto di negoziati tra i sindacati e gli imprenditori , in favore di una moderata crescita finanziata dalla Banca europea degli investimenti, per rilanciare il mercato interno. E bisogna convincere il partner tedesco… Ma ciò non offre soluzioni ai problemi del paese, perché si urta alla necessità di una svalutazione interna (leggi: calo dei salari, retribuzioni e pensioni) a cui dovrà rassegnarsi». (L’ARBRE QUI CACHE LA FORÊT, par François Leclerc)
Ma niente paura, ci saranno sempre miliardi per Montepaschi o altre banche di proprietà dei partiti. E con il voto dei berluscònidi.
Forse davvero, l’unica è votare Grillo.


1) È esattamente quel che ha assicurato Bersani, voglioso di accreditarsi sul piano internazionale, al Financial times. «Io ho contribuito a far sì che l’Italia adottasse l’euro, io sono il segretario generale del partito italiano più favorevole all’Europa, e io ho sostenuto tutte le politiche e le riforme che l’Europa ci ha chiesto di adottare nel corso degli anni». - «Vogliamo accelerare il processo di integrazione come rimedio per combattere la recessione che sta colpendo l’intera Europa. Sinora abbiamo fatto alcuni passi in avanti importanti ma dobbiamo fare di più». Bersani respinge la posizione populista e anti-tedesca assunta da Berlusconi. - «Non litigherò con la Germania. Io voglio che l’Italia abbia una seria, franca e amichevole relazione con la Germania basata su argomentazioni razionali e realistiche» ha detto Bersani. «Infatti io concordo con molte delle critiche che la Germania rivolge a paesi come l’Italia perché sono le stesse critiche che io ho rivolto a Berlusconi». (Montepaschi sorvolando). In sostanza, Bersani s’è detto a favore addirittura di un indurimento del fiscal compact, che impegna a tagli di spesa pubblica obbligatori da 50 miliardi l’anno per 20 anni, dunque ad ulteriore stretta di cinghia e tassazione. Ed è a favore del commissario europeo a cui dovremmo far vedere il bilancio, per approvazione, prima di porlo al voto in Parlamento. È vero che un parlamento con Carfagne, Brambille e Scilipoti e segretarie di Rutelli e cognati di Casini, si merita di essere esautorato. Ma allora perchè lo paghiamo?

lunedì 18 marzo 2013

Comunque tentino di presentarla, è stata una vittoria della democrazia. Grazie alla presenza dei parlamentari del M5s. - Sergio Di Cori Modigliani




Chi ha vinto? Chi ha perso?
Trattandosi di battaglie politiche, per poter comprendere ciò che sta accadendo è necessario cercare di capire quali risultati siano stati raggiunti e da chi.
Nel suo libretto rosso, il presidente Mao sostiene che quando il nemico approva ciò che faccio e mi fa i complimenti, allora io mi devo fermare, analizzare e interrogarmi: vuol dire che è arrivato il momento di cambiare strategia. Il rivoluzionario non va in cerca di applausi, lotta per cambiare la società. Quando il nemico mi vede non deve essere contento, deve essere terrorizzato alla sola idea che io esista, perché io rappresento la sua fine.
Prendendo per buono questo assioma e leggendo le reazioni delle persone più disparate su facebook e sui bloggers in rete, i sostenitori del M5s possono davvero dormire sonni tranquilli. Berlusconi fa sapere che “il vero nemico e pericolo della democrazia è Grillo e il suo movimento” mentre da parte del PD si fa notare, per bocca del suo vice-segretario Enrico Letta Bilderberg “nonostante il M5s abbia fatto di tutto per metterci il bastone tra le ruote, siamo riusciti a dare inizio alla legislatura a dispetto del loro atteggiamento”.
Con le votazioni di ieri si è chiusa -in maniera molto veloce considerando gli standard italiani- la prima fase di questo dopo elezioni.
Penso che il M5s sia l’unica realtà politica che ne esce vittoriosa, con dei risultati davvero importanti, riuscendo a centrare degli obiettivi fino a poco tempo fa davvero impensabili. Da oggi, si apre una nuova fase.
La natura stessa del movimento si basa sullo smascheramento delle contraddizioni del potere in Italia. In questo senso, il M5s sta ottenendo dei risultati davvero prestigiosi, di cui, il più rilevante in assoluto, e poco reclamizzato, consiste nella totale e definitiva sconfitta del ragionier vanesio Mario Monti.
Già questo fatto sarebbe sufficiente per comprendere quanto grande sia stata (e strada facendo spero che lo sarà sempre di più) la forza d’impatto della presenza del M5s nel parlamento italiano.
 Dopo aver perso le elezioni e aver raccattato una percentuale di voti inferiore del 40% alle sue aspettative, il ragionier vanesio si è lanciato in una squallida inerpicata sugli specchi, cercando di allearsi con chiunque pur di essere nominato presidente del senato e da lì piroettarsi verso la presidenza della Repubblica. Perfino i membri della cupola mediatica sono rimasti esterrefatti dal suo comportamento. Altro che aplomb! Da uomo pragmatico, dopo aver capito che nessuno lo voleva candidare, si è incontrato prima con Alfano e poi con Cicchitto per chiudere un accordo personale. Si è presentato alla riunione dei suoi e ha comunicato la decisione presa: il Cialtrone non era più tale, bensì un prezioso e nobile alleato con cui andare d’accordo; così come, per il Cavaliere, l’uomo che aveva rovinato l’Italia, diventava d’un tratto l’uomo con il quale aggiustare l’Italia. Se il M5s non fosse esistito, tutto ciò sarebbe stato considerato normale (parte del cosiddetto “fare politica”). Sia Monti che Berlusconi avrebbero chiarito la necessità di allearsi per far fronte al “pericolo Grillo” andando a immediate nuove elezioni e Monti sarebbe stato il garante del fronte delle destre, unito e compatto nell’interesse comune. Ma i senatori ex PD convertiti Monti, consapevoli che, a quel punto, sarebbero finiti in bocca a Berlusconi, si sono ribellati con forza minacciando di dimettersi, insieme ad altri di provenienza berlusconiana. Asserragliato in una stanza, è stato obbligato dai suoi ad assumere una linea chiara, di fatto impossibile per il ragionier vanesio, non avendo né idee né ambizioni politiche, essendo il suo unico obiettivo quello di esercitare in maniera piatta e impiegatizia il compito affidatogli dalle banche e dalla BCE. Diversi giornalisti hanno riferito (alcuni con candido stupore) la ferocia caratteriale dell’attuale presidente del consiglio, ormai scoperto, che urlava indispettito. Nel mio quotidiano surrealista, così avrei sintetizzato la notizia rispetto alla giornata di ieri: “Elezioni al Senato: Mario Monti definitivamente sconfitto. Dopo la batosta elettorale, si allea con Berlusconi nella notte, ma viene contestato dai suoi che lo fanno fuori dopo una convulsa riunione d’altri tempi”.
Altri tempi, per l’appunto.
Linda Lanzillotta, donna intelligente, ha capito che i tempi sono cambiati e ha guidato la rivolta. Troppo tardi, però. Ormai, è finita incastrata dentro un partito che ha smascherato il proprio volto alla nazione: una pattuglia guidata da un personaggio privo di etica, sempre pronto ad allearsi con chiunque sia disposto a mettersi al suo servizio.
Rigor Montis è stato eliminato nella totale indifferenza del paese e dei media.
Ad eccezione di Giuliano Ferrara, sempre abile e intelligente ad annusare l’aria che tira.
Qui di seguito, in copia e incolla, un articolo uscito oggi sul suo quotidiano “Il Foglio”, a firma Fabrizio d’Esposito.
Il titolo dell’editoriale è: 

Monti ancora sconfitto, adesso rischia di scomparire per sempre”.

A Palazzo Madama, ieri pomeriggio, erano solo due i senatori a vita presenti. Per uno, su invito del neopresidente Pietro Grasso, c’è stata un’ovazione alla fine della seduta. Per l’altro, invece solo imbarazzi e silenzi. Il primo è Emilio Colombo, dinosauro democristiano. Il secondo è lo sconfitto Mario Monti, premier dimissionario da dicembre. Per il Professore di Scelta civica l’analisi della sua disfatta è più psicologica che politica. Ammette un senatore centrista, a microfoni spenti: “Il premier oggi (ieri per chi legge, ndr) ha perso completamente la lucidità”. Spiega sgomento un big del Pd che ha seguito la trattativa decisiva dell’altra notte, tra venerdì e sabato: “Era come impazzito, a ogni nome che abbiamo proposto per sbloccare lo stallo con il centro lui ha risposto: ‘O me o nessuno’. Questo nonostante avesse promesso di tirarsi indietro dopo il no di Napolitano”. Un’ambizione tignosa che ha scorticato a sangue la celebre sobrietà incarnata dall’uomo in loden verde. Monti è salito su una giostra perdente che in 24 ore lo ha portato da Bersani e Napolitano ai berlusconiani e infine all’isolamento nel polo di centro, spaccatosi per la sua ostinazione. Riassunto della puntata precedente: venerdì mattina, Monti pretende dal Pd la candidatura a presidente del Senato, Bersani oscilla e a risolvere la questione è il Quirinale che intima al premier di fare un passo indietro istituzionale. A quel punto il Pd offre ai centristi la Camera (Balduzzi o Dellai) poi lo stesso Senato (l’ex formigoniano Mario Mauro), ma Monti continua a dire no. IL SABATO NERO del Professore si apre con una scena del tutto diversa. Gli squali del Pdl fiutano il colpaccio e vanno in pressing sui montiani, a tutto campo. B. ha messo in campo Schifani e gli schieramenti hanno numerosi contatti. Da un lato, per il Pdl: Gasparri, Quagliariello, Verdini, Bonaiuti. Dall’altro, per i centristi: Mauro, l’ex aclista Oli-vero, Della Vedova. Viene anche organizzato un faccia a faccia tra Monti e Berlusconi, grazie al lavorìo di Federico Toniato, uomo ombra del premier a Palazzo Chigi. L’annuncio del vertice tratteggia scenari che vanno oltre i voti di Scelta civica a Schifani nel ballottaggio con Grasso: lo stesso Monti presidente del Senato o leader del centro-destra oppure ancora capo dello Stato. Un centrista autorevole decifra così il mistero montiano: “Vuole il Senato per andare al Quirinale”. Casini, senatore anche lui, aiuta il premier a fare i conti sui voti. Prima della seduta pomeridiana, il gruppo di Monti si riunisce e si spacca. La scelta è di votare scheda bianca e non fare “la stampella di nessuno”. Ma c’è una fronda filodemocrat: Olivero, Lanzillotta, Maran, Ichino. Gli ultimi tre provengono proprio da quell’area. Il confronto è duro ma prevale la linea dell’unità per non indebolire ancora di più il confuso Monti. Si vota scheda bianca. Gasparri denuncia: “I montiani piegano la scheda prima di entrare nella cabina per farsi controllare”. È il caso della Lanzillotta che si avvicina al seggio e piega la scheda davanti a tutti. Poi dichiarerà: “I nostri voti sono stati decisivi per l’elezione di Grasso: siamo 21 e la differenza di voti rispetto a quelli ottenuti da Schifani è stata di 20 voti”. Grasso passa che è già buio e ancora Gasparri si prende la sua vendetta: “I montiani ci hanno offerto cose oscene”, avrebbero votato Schifani in cambio di un disimpegno del Pdl per favorire la nascita di un governo tra Pd e Scelta civica. Commento di un berlusconiano: “Secondo Monti loro dovevano fare il governo e noi andarci a nasconderci nei cessi. Roba da mentecatti”.

Ormai impresentabile, l’appannata figura di Rigor Montis provoca un incredibile scossone all’interno del PD, di cui sapremo gli esiti soltanto la prossima settimana. Enrico Letta e Matteo Renzi perdono (entrambi) il loro più potente e poderoso alleato.
La presenza del M5s, in soli due giorni ha “letteralmente obbligato” il PD, il PDL e Mario Monti ad arrampicarsi sugli specchi, smascherandone la loro natura, denudandoli dinanzi al paese, provocando insurrezioni o malumori interni ai loro partiti.
Non provo  stima per Giuliano Ferrara, ma ne rispetto sempre la lucida intelligenza e la sua imbattibile abilità di sintesi. La sua analisi, nella stampa mainstream, è la migliore in assoluto. Racconta il circo delle vanità, il commercio ignobile delle cosiddette alleanze e in un altro corposo editoriale così conclude la sua interpretazione della giornata: “…Ci stanno tutti: chi per finta chi davvero. E inizia l’azzardo. Via la Finocchiaro, tenutaria dei vecchi equilibri: “Se dicessi che non sono dispiaciuta non sarei sincera”. È dispiaciuta ma si va avanti. Al mattino a Montecitorio appare ora tutto più semplice, i grillini si appollaiano sugli scranni più alti e aspettano l’esito. Sono compresi dalla parte, ma timorosi, impreparati a reggere l’urto così possente. Il loro apriscatole ha davvero funzionato, ma neanche lo sanno”.
Lo dice con rammarico il sagace Giuliano Ferrara, con un tono intriso di sana autocritica identifica e riconosce il grandioso successo politico del movimento a cinque stelle, di cui oggi si tenta disperatamente di appannarne il risultato.
In politica, ciò che conta è la battaglia e il suo esito, per poi poter portare avanti il proprio programma. E la si conduce a piccoli passi vincenti, uno dopo l’altro.
In due giorni, gli eletti in parlamento del M5s hanno liberato il paese del peso politico di Enrico Letta e di Mario Monti.
E vi pare poco, come inizio?
Il resto sono tutte chiacchiere da bar, fumo negli occhi, e il consueto squallido tentativo di scompaginare i fatti istillando paure, scenari inesistenti, per introdurre pessimismo e sospetti.
A nome di tutti noi che vi abbiamo eletto, grazie per l’eccellente lavoro.
Se non fosse stato per la vostra presenza, avremmo adesso Veltroni presidente della Camera, Schifani presidente del Senato, e la scelta obbligata per la carica di presidente della Repubblica tra Gianni Letta e Massimo D’Alema.
L’aria sta cambiando.

lunedì 31 dicembre 2012

AGENDA MONTI ? PIU’ INTERESSANTE LA SUA RUBRICA. - Giuseppe Germinario



Alcuni amici mi hanno sconsigliato di indugiare sul promemoria di Montihttp://www.ilpost.it/2012/12/24/agenda-monti/agenda-monti-01/ Una perdita di tempo per un documento dal sapore preelettorale. Quanto all’ecumenismo, ha poco da invidiare alla letteratura che ha infestato le precedenti e infesterà l’attuale campagna. Già a poche ore di distanza dalla pubblicazione, la cruda realtà degli eventi comincia a beffarsi, però, delle intenzioni pie e ipocrite impresse a futura memoria. A pagina 12, il documento recita “Per aiutare la crescita sostenibile del settore agroalimentare italiano occorre fermare la cementificazione e limitare il consumo di superficie agricola come proposto nel disegno di legge per la valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo”; a poche ore di distanza lo stesso Monti, sostenuto dai buoni uffici di Corrado Passera, autorizza, oltre all’aumento del 70% della tariffa riscossa per ogni passeggero, il raddoppio delle piste dell’aeroporto di Fiumicino con il conseguente esproprio, a prezzi di mercato e relativo sovrapprezzo legato all’esercizio di attività, della quasi totalità dell’area agricola Maccarese, uno dei terreni agricoli più fertili esistenti in Italia e la probabile urbanizzazione della parte restante. Un’opera in gran parte superflua solo con un semplice processo di ottimizzazione delle attuali strutture aeroportuali.

Il particolare intrigante risiede nei Benetton, proprietari dell’azienda agricola, acquistata a suo tempo a prezzi politici dallo Stato e contemporaneamente importanti azionisti di Adr, gestore dell’aeroporto http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/27/aeroporti-di-roma-lultimo-regalo-di-monti-a-benetton/456079/ 

Probabile che l’accavallarsi degli impegni in “Agenda”, porti a qualche incongruenza, qualche distrazione se non allo sdoppiamento della personalità del nostro Primo Ministro “tecnico”. Come vedremo, non si tratta, però, di un episodio isolato. Lo stesso Monti deve, in qualche maniera, essere cosciente della sua eccessiva propensione ad aderire a realtà antitetiche tra loro e temere che qualcosa sfugga al controllo se non alla sua coerenza di immagine; il suo vezzo di prendere appunti e rinviare di qualche tempo le decisioni, tra le altre cose, deve servire a riordinare le scadenze e gli argomenti; qualche particolare può sempre sfuggire.

Una qualsiasi espressione dell’uomo rivela sempre, per quanto mimetizzati, una rappresentazione, un “non detto”, un “mondo vitale”; l’Agenda, a suo modo, ne rivela tante del nostro Professore sino a farlo scendere sempre più dall’Olimpo alle beghe e furberie del conflitto politico quotidiano. 

L’EUROPA di MONTI

Innanzitutto l’Europa, il tema su cui ha costruito la propria immagine, la propria carriera e il consenso generale delle forze politiche, almeno sino a qualche giorno fa. “L’Italia deve battersi per una Europa più comunitaria e meno intergovernativa, più unita e non a più velocità, più democratica e meno distante dai cittadini” “per la costruzione di un’autentica Unione economica e monetaria basata su una più intensa integrazione fiscale, bancaria, economica e politico istituzionale”, con “il prossimo Parlamento europeo munito di mandato costituzionale”. L’obbiettivo è, quindi, l’Unione economica e monetaria con un aggiustamento istituzionale e la partecipazione di tutti. L’eterno apparente primato dell’economia, principio fondante, sin dagli anni ’50, dell’Unione Europea. È la prosecuzione senza sussulti dell’attuale processo eternamente propedeutico all’Unione politica, con l’Europa intesa in realtà come campo di battaglia e di confronto degli stati europei, con un mercato comune fintamente omogeneo che diventa la via di trasmissione di ineguaglianze ed egemonie su base nazionale e che se liberalizzato alle stesse condizioni  non farà che accentuare le gerarchie su quella base; il tutto ancora una volta diretto  e orientato dal giocatore-arbitro d’oltre-atlantico, gli USA  e con un riequilibrio parziale e temporaneo di forze legato ai giochi della superpotenza. Un elemento di chiarezza che ha scatenato le prime critiche dei federalisti duri e puri (BarbaraSpinelli) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/12/27/moderatamente-europeo.html?ref=search, spinto analisti più seri a rivelare sprazzi di verità (Lucio Caracciolo) http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1PKXQS, a far uscire dal guscio e dire senza veli ciò che Monti tenta in realtà di mascherare (Pelanda)http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1PLXZ9 e la ultradecennale retorica europeista ha cercato di nascondere. Rimando sull’argomento ai miei numerosi scritti e a un prossimo libro della redazione. Sulla base di queste premesse l’Italia deve recuperare credibilità confermando “il rispetto delle regole di disciplina delle finanze pubbliche, le priorità strategiche definite in sede europea, le raccomandazioni specifiche che l’Unione Europea rivolge ogni anno come parametri di riferimento per la formulazione della sua politica economica”. L’accettazione di condizioni capestro in cambio di una qualche forma di redistribuzione, di indebitamento europeo sostenuto da una scarsa corrispondente sovranità politica continentale e con politiche industriali attive delegate agli stati nazionali sulla base della loro specifica forza economica e politica, comprese le possibilità di dumping sociale e fiscale consentite dai rispettivi quadri sociali dei paesi. Una credibilità, quindi, frutto della completa accondiscendenza e, tutt’al più, accresciuta dalla capacità di stringere ulteriori rapporti di subordinazione con la potenza dominante. Su questo Monti ha acquisito certamente una sua forza particolare, non dettata dalla potenza del paese che formalmente rappresenta. Tutto quello che sta avvenendo nella gestione della politica estera, nella riorganizzazione della difesa, nella resistenza all’integrazione subordinata delle proprie industrie strategiche a quelle tedesche e nell’accondiscendenza trionfalistica a quelle americane lascia intravedere questa impostazione; come pure l’assordante silenzio su una qualsiasi caratterizzazione dell’Unione Politica europea, una qualsiasi autonomia del continente dalle scelte strategiche degli Stati Uniti, semplicemente perché non esiste una visione geopolitica europea e un progetto politico europeo fondato su basi praticabili. Il manifesto parla, infatti, surrettiziamente di credibilità acquisita dall’Italia confermando la sua vocazione a “sostenere il multilateralismo”, rinsaldando “i legami con gli Stati Uniti promuovendo un più forte legame transatlantico”. Come possa conciliare una vocazione di equilibrio di forze con una cieca sudditanza militare e politica, Monti deve ancora riuscire a spiegarlo; quello che ha in mente è in realtà un mondo tendenzialmente unipolare con aree regionali gestite da potenze periferiche. Una visione che accomuna, purtroppo, tutte le principali forze politiche del paese; chi attraverso una rappresentazione manichea, chi attraverso una visione globalista e sovranazionale e sovrastatale dei rapporti internazionali. Una visione che trova radici in processi ben avviati da tempo, compresi quelli di integrazione industriale e militare, e che cercano una prima istituzionalizzazione nelle trattative attualmente in corso tra Stati Uniti ed Unione Europea sulla creazione di un mercato unico euro-atlantico. Gli ostacoli sono ancora numerosi, ma le intenzioni sono purtroppo serie.

LA CRESCITA DI MONTI 

In questo contesto, Mario Monti traccia la “strada per la crescita” andandola a cercare “dove essa è veramente, nelle innovazioni, nella maggiore produttività, nella eliminazione di sprechi. La crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane.” Cosa intenda il Professore per “finanze pubbliche sane” è presto detto: il rispetto di quanto concordato con l’Unione Europea, la Germania e gli organismi sovranazionali a controllo americano prima ancora che una riorganizzazione della spesa pubblica sui cui principi ispiratori ci sarebbe, comunque, molto da discutere. Un paese privo di fondamentali strumenti sovrani, inserito in una Unione senza forma statuale precisa e autentico colabrodo nella rete internazionale, non ha del resto tante altre valide alternative. Continua, quindi, la rappresentazione del deficit pubblico come male assoluto, piuttosto che un pesante handicap in un contesto scelto più o meno consapevolmente dalle classi dirigenti nazionali sinora susseguitesi. In un contesto, quindi, di pareggio di bilancio e di riduzione annuale, per circa dieci anni, del 5% dello stock di debito il nostro tenta di spiccare il volo prospettando la riduzione e il riequilibrio dei carichi fiscali perseguiti “anche trasferendo il carico corrispondente su grandi patrimoni e consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio”. Sfioriamo la fantafinanza, combinata con il ribaltamento della politica fiscale adottata dallo stesso Monti e condizionata dalla ricerca di “meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali”. Cosa sia stata l’attuale politica di accertamenti fiscali e la presunta riorganizzazione dell’amministrazione finanziaria lascia poche speranze per il futuro e poggia su una presunzione di liquidità dei patrimoni che in realtà si sta riducendo implacabilmente con l’avanzare della crisihttp://www.conflittiestrategie.it/evasori-e-gabellieri> http://www.conflittiestrategie.it/evasori-e-gabellieri. Uno degli strumenti fondamentali di risparmio e riqualificazione è la spending review. Un principio rivoluzionario per i sistemi di gestione amministrativa dello Stato italiano che presuppone un cambiamento dei criteri di formazione del bilancio, dei progetti di spesa, della quantità e delle modalità dei livelli di controllo  e una uniformità dei criteri di organizzazione delle pubbliche amministrazioni secondo due/tre moduli organizzativi legati alle finalità delle strutture. Un impegno notevole in un contesto, determinato soprattutto dalla istituzione delle regioni, che ha invece consentito la creazione di amministrazioni dai compiti similari ma secondo principi organizzativi divergenti, con scarsa gerarchia di sovranità e conseguenti conflitti di competenze e con il sorgere di un nuovo polo di attrazione, la burocrazia europea, che ha inevitabilmente indebolito ulteriormente il controllo centrale delle amministrazioni periferiche, in particolare regionali. L’eliminazione di alcune agenzie, ad esempio la Cassa per il Mezzogiorno, ha accentuato ulteriormente questo sfilacciamento e la formazione di centri di potere frammentati e relativamente autonomi, collegati direttamente, spesso, con analoghi centri esteri. Sono processi maturati attraverso decenni; le loro mancanze non possono essere, quindi addebitati, ai tredici mesi di Governo Monti, anche se Monti è stato senza dubbio uno degli artefici, non certo tra i più importanti, di queste dinamiche. Quello che va addebitato a tutta la compagine governativa, è la relativa “sorpresa” con cui hanno scoperto l’entità del problema studiosi, accademici e manager impegnati da una vita su queste tematiche e catapultati nel Governo; la stessa “sorpresa” che li ha colti nello scoprire che per avviare una riforma ed una riorganizzazione non è sufficiente la Legge, con questo glissando bellamente su decenni di esperienza e di elaborazioni sociologiche a partire da Weber e da Merton. Un dilemma esistenziale che pare solo sfiorare  i nostri tecnici se è vero che parlano di “armonizzare i bilanci pubblici” e di “monitoraggio e valutazione della legislazione” senza altri riferimenti precisi tesi a ricreare centri di potere sostitutivi; una “sorpresa” legata al passato di questi personaggi, ai loro legami storici e alla loro impostazione elitaristica.

Una impostazione del genere non poteva che portare a delle conferme e proposte fumose , velleitarie le quali, dietro una parvenza di eguaglianza  e di condizioni paritarie di opportunità, pongono le premesse di una precarizzazione e di un degrado ulteriore, questa volta legalizzato, del tessuto sociale, una riduzione del dualismo storicamente presente nel paese attraverso l’abbassamento dei livelli di diritto e un declassamento della sua condizione produttiva e industriale. 

In assenza di un reale mercato comune europeo e di forti soggetti industriali nazionali efficienti, anzi spingendo alla frammentazione dei pochi attualmente presenti, propugna la liberalizzazione unilaterale delle attuali grandi reti di servizio, consegnandoli alla mercé degli investitori stranieri sino a teorizzarne, secondo il candore apparente propugnato dall’Istituto Leoni, l’assoluta neutralità rispetto alle strategie e ai giochi politici dei vari stati nazionali.


COME PENELOPE, PEGGIO DI PENELOPE 

Come Penelope, molto peggio di Penelope, vittima della retorica del fai da te, cerca di incentivare parzialmente la formazione di “start up”, nuove aziende legate alla creatività imprenditoriale individuale specie in settori di avanguardia, di favorire una maggiore dimensione delle aziende distruggendo, liquidando o dismettendo, però, contestualmente le residue grosse piattaforme industriali necessarie a sostenere le sperimentazioni imprenditoriali. Nella recente intervista sull’Olivetti http://www.conflittiestrategie.it/lolivetti-vista-da-un-suo-protagonista-giorgio-panattoni-2> http://www.conflittiestrategie.it/lolivetti-vista-da-un-suo-protagonista-giorgio-panattoni-2, abbiamo evidenziato molto bene, invece, quali siano le principali dinamiche necessarie a creare realtà industriali di avanguardia, compresa quella tanto mitizzata ma disconosciuta, nel concreto evolversi, della Silicon Valley. Analogamente, con la stessa approssimazione e demagogia, Monti, Fornero, Passera & Company sembrano attribuire una funzione salvifica all’attribuzione uniforme di una integrazione di reddito di diciotto mesi ai disoccupati, con contestuali corsi di qualificazione, di per sé sufficiente a garantire la rioccupazione. L’occupazione, in realtà, dipende in piccola parte da quello che ha da offrire la forza lavoro, in gran parte da quello che ha da offrire la realtà industriale e produttiva del paese; tanto è vero che segmenti importanti di personale qualificato e scolarizzato del paese stesso sono costretti a cercare lavoro all’estero o ad accettare condizioni precarie di lavoro o assistenza familiare o pubblica a casa propria.
Così obbiettivi di uniformità di prestazioni assistenziali e di riduzione conclamata di precariato si trasformano in strumenti di pauperismo e disoccupazione, come la recente vicenda dei contratti non rinnovati dei precari, degli esodati e dei cassintegrati sta dimostrando.

La lotta all’evasione fiscale, l’emersione del sommerso diventano una invocazione e un imperativo morale  piuttosto che una politica concreta legata alla crescita qualitativa e quantitativa del tessuto produttivo e sociale. I nuovi Savonarola propendono, quindi,  verso la caccia all’untore e verso il cinismo più bieco.

A volte particolari spesso secondari rivelano la statura dei personaggi che ci governano meglio di tante analisi complesse. Mesi fa Corrado Passera, alla domanda sulle opportunità da cogliere  da parte dei laureati specializzati, indicò prioritariamente la fuga all’estero; detto da un padre di famiglia è comprensibile, da un ministro responsabile della spesa pubblica di formazione per centinaia di migliaia di euro ad unità formata è rivelatore dell’inesistente legame di questi personaggi con l’interesse nazionale; analogamente il Ministro Grilli, alla domanda di come mai gran parte dei ceti medi professionali non vedessero riconosciuti il corrispettivo delle proprie competenze e fossero vittime dell’appiattimento al ribasso dei redditi, attribuì la responsabilità, in realtà il merito alla crisi.

MONTI, IL TRAGHETTATORE

In realtà Monti ha da percorrere una via decisa da altri ma attraverso corridoi molto stretti. Deve tagliare, ridurre e riorganizzare drasticamente la spesa pubblica e l’amministrazione statale ma possiede scarsa competenza tecnica, vista la sistematica distruzione di classe dirigente avvenuta nel paese in questi ultimi quarant’anni ed è vittima dell’incapacità di creare il necessario blocco sociale nazionale riformatore necessario a dare forza e continuità a questi progetti. Una incapacità aggravata dalle scarse prospettive che può offrire. Da una parte è l’Incaricato a impedire la formazione potenziale di questi blocchi, dall’altra è vittima lui stesso della rappresentazione che lo guida. Blatera del potere dei consumatori nel libero mercato, in realtà alimenta la formazione di lobby parassitarie e la liquidazione dei pochi centri decisionali autonomi di questo paese, con la complicità delle stesse agenzie antitrust e di garanzia; invoca la moralità, le riforme e l’efficienza dei servizi e delle reti, in realtà contribuisce ad alimentare le tentazioni parassitarie dei settori della borghesia nazionale, la complementarietà subordinata delle realtà produttive del paese e le scorribande predatorie, senza o con scarse contropartite, dei vari agenti esteri; copre con una patina egualitaria una politica di ridimensionamento dello stato assistenziale, compresa la larga componente parassitaria e di adeguamento della realtà normativa alla precarietà della struttura economica per rendere presentabile la futura alleanza con la cosiddetta sinistra.

La differenza con il PD è che mentre quest’ultimo risolve il problema dell’occupazione, in particolare di giovani e donne, con una tautologia, semplicemente proponendo assunzioni, presupponendo quindi una richiesta inevasa di personale, Monti affida ai meccanismi di mercato la creazione di opportunità di lavoro.

I reali agenti di questi processi, nella loro navigazione impervia ed incerta, hanno bisogno di esecutori comunque convinti ed in parte inconsapevoli della portata di queste scelte.

Monti, nella sua mediocrità, è senza dubbio uno di questi; ha dalla sua la consapevolezza che “abbiamo due alternative. O cercare di conservare il welfare state com’è, rassegnandoci a tagli e riduzioni di servizi per far fronte ad una spesa sempre crescente. O provare a rendere il sistema  più razionale o aperto all’innovazione” Più in generale la consapevolezza di una visione  dinamica rispetto ad una difesa statica dell’esistente. Ha il vantaggio di avere una controparte paralizzata nella difesa statica degli interessi, anche elementari o popolata da mestatori demagoghi pronti a liquidare al miglior offerente i migliori propositi o a finire vittima della propria stessa demagogia.

Le acrobazie del personaggio, prima garante tecnico, poi attore politico diretto in competizione con gli altri nella campagna elettorale, più che per indole per evidenti pressioni esterne, svelano la fluidità della situazione. Nel bailamme generale, ci sono forze che hanno compreso la posta in gioco. Per costrizione e convinzione hanno assunto la bandiera del cambiamento e l’iniziativa per gestirlo in qualche maniera. Tra questi, la forza principale appare la Chiesa Cattolica, o meglio la sua istituzione e parallelamente ad essa la pletora di imprenditori più subordinata ai centri esteri e più legata alle rendite delle reti di servizio, quella delle nicchie espressamente congeniali agli spazi consentiti dal mercato euro-atlantico e tutti quei centri in qualche maniera legati da sessant’anni di fedeltà all’alleanza atlantica.

La prima, dopo sonore batoste sia nel settore finanziario (vedi il caso Fazio/Banca d’Italia) che in quello delle scelte politiche strategiche (legami con la chiesa ortodossa) e della gestione morale (pedofilia, ect), ha pensato bene di rientrare politicamente nell’ovile e di gestire e ricontrattare le condizioni di accesso alla gestione del welfare alle nuove condizioni imposte, attraverso soprattutto il terzo settore e con l’alleanza e la mobilitazione delle forze collaterali. Si tratta però di forze che non sono in grado di esprimere una reale classe dirigente, espressione di ceti residuali e collaterali,  che abbisognano di personalità in grado di catalizzarle in qualche maniera e che non hanno ancora nemmeno raggiunto un livello sufficiente di compattezza. Il divario tra ambizioni e forze in campo mi pare al momento evidente. Le attuali convulsioni in Comunione e Liberazione, nelle ACLI e nella Coldiretti, con le ricorrenti tentazioni di ritorno agli ovili originari del PDL e del PD, sono rivelatrici delle incertezze del momento. Non a caso Monti ha segnalato che lo scontro reale e la destrutturazione definitiva del quadro politico avverrà dopo le elezioni, sempre che non sia lui a cadere vittima dei conflitti.

Oltre che per il completamento dell’Agenda e il suo arricchimento di contenuti, la sua propensione a prendere appunti  e a temporeggiare sulle decisioni dipende quindi dalla necessità di consultare , documento ancora più importante, la propria rubrica. Di quell’elenco nei prossimi mesi conosceremo la gran parte dei nomi delle figure locali e di secondo rango più esposte; degli ispiratori potremo immaginare la provenienza a meno che, nei posti che contano, comincino a volare gli stracci e si renda necessario un rivolgimento delle scelte. Accade raramente, ma accade.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11275

giovedì 27 dicembre 2012

DOLORI CARNALI E MORTI D'ACCIAIO - Andrea Cinquegrani



Ho sentito un dolore “carnale” per la citta' di Taranto. Non e' il mitico Alighiero Noschese a parlare, ne' il Pinocchio di Collodi, ma il premier in persona, ovvero Monti in “carne” - e' il caso di dirlo - e ossa. Immaginiano lacrime a fiumi (ma per ora Fornero batte premier 2 a 1), viscere e budella ai quattro venti, conati di vomito che rompono gli argini (come nella nostra Italia che si sbriciola ad ogni maltempo), cuore strappato alla merce' di lupi famelici. Non osiamo pensare cosa' succedera' al martoriato corpo del fu SuperMario quando gli comunicheranno cosa sta combinando - ovviamente a sua totale insaputa - la band che da mesi s'e' acquartierata dei palazzi del Governo. Per uno spread che da' segnali di ripresa (ma chi cavolo l'aveva mai tirato in ballo fino a un anno e mezzo fa, ‘sto spread?), c'e' un pil - termometro leggermente piu' credibile - che cola a picco. Consumi che neanche nel dopoguerra (perche' - questa e' la tragica realta' - siamo in guerra, tra chi muore di fame e chi continua a rubare: e non va in galera). Pensionati che resta per molti neanche il suicidio (non semplice da praticare, e costa). Giovani che il domani e' peggio di uno tsunami, nero come la pece. Disoccupati, precari, sottopagati, strasfruttati, arcicalpestati a vita. Per i fortunati che un lavoro lo hanno, be'ccati l'amianto, fu'mati la diossina, crepa comunque presto e vaffanculo. A malati e “ammalandi” botte di vaccino per eliminare il problema alla base e ingrassare le big (pig) dei farmaci. Per le piccole (ma anche medie) imprese, morte assicurata a 30, 60 o 90 giorni: scegliere per poi sciogliere. 
Dietro a questa polveriera in via di esplosione, ci sono Lorsignori, la Casta, ancora alle prese con gli ultimi, ricchi regali natalizi: 500 milioni al Monte dei Paschi, perche' - si sa - le banche non arrivano a fine mese; evasori che - fregandose del Befera di turno - hanno barche da 30 metri e dichiarano 30 mila euro “lordi”. Come lordi, sporchi, marci di riciclaggio spinto sono i tranquilli, mai toccati fiumi da miliardi di euro delle mafie sempre piu' padrone di casa nostra.
Ma tutto questo Monti-Alice non lo sa. Mentre la sua band continua a suonare (gli italiani, “carne” da macello) e a proporsi per un domani governativo, come il sempregenuflesso fra' Riccardi (consorelle Acli al seguito). 
E a proposito di lavoro-salute, non ha pensato mica Monti di farsi restituire il bottino dai Riva, con il rampollo Fabio in vacanza a Miami? O di fare una telefonatina al vicino di casa Holland e chiedergli cosa ha combinato col suo acciaio? Perche' - pochi lo sanno - ora l'ha nazionalizzato. Siamo alle solite: un Paese svaligiato dei suoi tesori produttivi piu' grandi, per regalarli agli amici, e poi agli amici degli amici. Nei settori strategici.
Ora, per il futuro, c'e' il profeta di quelle privatizzazioni, il Bersani nazionale, uno che non ha mai perso tempo a pettinar le bambole, impegnato a ricevere i regali (da 98 mila euro) dei Riva, o a regalare concessioni che in nessun paese mai, come per l'Italo dell'altra band, i “carini” di san Luca (e lui, il vate pallido, puo' tornar utile nella “squadra”, col Casini multiuso e lo stuolo di burosauri “primarizzati” come miss Bindi for ever e forza 4). 
E caso mai, ciliegina sulla torta, il Prode Romano alle prese con la scalata al Colle. A tutta velocita'. Come l'altro regalo di “sinistra”, la Tav ammazzambiente voluta dal prof. e fatta dai soliti privati (piu' clan) coi soldi pubblici. Nostri. 

venerdì 21 dicembre 2012

MONTI BIS, TER E QUATER. - Eugenio Orso



Melfi, o cara! Il patto di sangue fra Marchionne e Monti è stato stretto, presenti e plaudenti Bonanni, Angeletti e molte altre comparse. Monti è entrato di prepotenza in campagna elettorale nonostante avesse giurato, in passato, di non voler prestarsi alla politica. Ma ci può essere un governo più politico del suo, per quanto vincolato nelle linee programmatiche dalle lettere bce e dai “consigli” fmi? Talmente politico-strategico, per le trasformazioni in peggio operate in Italia in un solo anno, che Monti non poteva non “sporcarsi le mani” scendendo nell’arena elettorale.

Le “riforme” fatte si devono mantenere a ogni costo, e solo Monti può garantire le élite finanziarie che ne beneficiano. Il modello di relazioni industriali Marchionne, che prevede la riduzione dei lavoratori italiani a bestiame nei recinti della fabbrica e piena libertà di chiudere stabilimenti e di investire altrove nel mondo, si sposa con la cosiddetta agenda politica professoral-montiana approvata e benedetta dai poteri forti. Persino la chiesa vuole Monti e ne approva le “riforme strutturali”, dimentica che il messaggio di Cristo va nella direzione esattamente opposta a quella sulla quale ci spinge il professore. Ai cancelli dello stabilimento lucano teatro della kermesse, respinti oltre la linea rossa, i lavoratori esclusi dal rito ed espulsi da questa splendida democrazia, purtroppo organizzati, trattenuti e manovrati dalla tremebonda fiom-cgil di “giù la testa!”, che continua a organizzare a scioperini democratici.

Se l’Italia tredici mesi fa aveva febbre alta e non poteva essere curata con una semplice aspirina, come ha sostenuto Monti a Melfi per giustificare le sue sanguinose controriforme davanti ai buoni di cuore, oggi rischia di finire sotto la tenda di rianimazione. Sul versante fiat, basta la produzione di un paio di nuovi modelli di suv e qualche investimento tardivo, forse un miliardo di euro, per risollevare le sorti dell’industria automobilistica in Italia? Certamente no, e questo lo sanno tutti coloro che erano presenti a Melfi, nella placida Lucania, ma lo scopo di Marchionne non è quello di mantenere ed espandere la produzione di auto in Italia, come lo scopo del suo alleato Monti non è di risollevare le produzioni nazionali, i redditi e l’occupazione. Monti avrà al suo seguito un esercito di burocrati politici, di alti prelati, di patrimonializzati, di grandi manager o supposti tali, e tutto il circo mediatico globalista in occidente a favore. L’operazione “cuori forti”, lanciata dai due compari a Melfi, annuncia che soltanto i più forti sopravvivranno alla cura ultraliberista e agl’altri faranno scoppiare il cuore. 

Non contento di aver ridotto i consumi di petrolio nel paese ai livelli degli anni sessanta, Monti, idealmente federato con Marchionne, vorrebbe far scoppiare il cuore a tutti i deboli e indifesi, per liberarsene. Attenzione pensionati al minimo, disoccupati, cassaintegrati a zero ore, precari, piccoli imprenditori con l’acqua alla gola e equitalia alle calcagna, operai sottopagati, lavoratori pubblici nel mirino e ceti medi declassati! Siete voi i cuori deboli che non avranno cittadinanza nel sistema che Monti e Marchionne stanno plasmando per conto delle élite finanziarie globali. Eppure la chiesa è schierata con Monti, come se fosse una qualsiasi comunione e liberazione che applaude Marchionne al meeting di Rimini. I malevoli pensano che il consenso papalino è una contropartita per il trattamento di favore ricevuto fiscalmente, in particolare con l’imu. Gli ancor più malevoli, come lo scrivente, pensano che la chiesa di Roma appoggia pedissequa il massacro neoliberista in corso in Italia, dopo aver subito, in passato, pesanti avvertimenti “di stampo mafioso”, attraverso la stampa e le televisioni di mezzo mondo che hanno approfittato dello scandalo dei preti pedofili. Il motivo dell’attacco era la “dottrina sociale della chiesa” non conforme ai precetti e ai dogmi neoliberisti. Quindi, attenzione a come ti muovi, papa, non criticare con la tua dottrina sociale ispirata dai precetti cristiani i dogmi mercatisti, la santa finanza di rapina e le leggi del mercato sovrano, o noi distruggiamo in un sol colpo, con una campagna giudiziario-mediatica in occidente, la tua credibilità e quella di sancte romane ecclesie. Ed ecco che la chiesa appoggia Monti più per necessità, paura, viltà e opportunismo che per convinzione. Del resto, Monti si vende come il campione non dell’ultraliberismo selvaggio e della finanza spietata, quale in effetti è, ma del fantomatico “capitalismo sociale di mercato” alla tedesca, che dovrebbe garantire un futuro e miracoloso sviluppo nella competitività. Peccato che il sostegno alla produzione e ai redditi e la stessa crescita si rimandano continuamente, a data da destinarsi, mentre ciò che resta è un distruttivo rigorismo. Per Monti il rigore è già la crescita, e quindi si deve continuare su questa strada, con un Monti bis, ter e quater, battendo tutti i record in termini di aumento del debito pubblico (+ imposte e tasse e – pil), di calo dei consumi petroliferi, di crollo dei consumi in generale, di disoccupazione e sottoccupazione. 

La cosa più sconvolgente che certi giornali asserviti al regime scrivono questa mattina è che gli operai, a Melfi, hanno applaudito Monti (e di riflesso anche il caro Marchionne). Si arriva al punto di spacciare quattro venduti che hanno tradito i loro compagni, il loro stesso paese e i loro figli – che con Monti e Marchionne non avranno futuro – come gli operai, intendendo tutti, ma proprio tutti gli operai. E così, gli operai applaudono pubblicamente i loro torturatori-carcerieri. Altro che Sindrome di Stoccolma, qui siamo oltre! Una stampa vigliacca, serva e senza alcun pudore – che se ne frega della corretta informazione – può scrivere questo e altro. L’importante è che un popolo prostrato, rimbecillito e impaurito ci caschi un’altra volta. L’importante è che il denaro pubblico continui a fluire tenendo in vita testate e redazioni. L’importante è che lo Spettacolo sostituisca la realtà e abbia successo. Persino il Debord della Società dello Spettacolo e dei Commentari, se non fosse scomparso nel 1994, ne sarebbe impressionato. 

Monti non riuscirà a ottenere la maggioranza relativa dei consensi alle prossime elezioni, sia si presenti a capo di un solo listone sia si presenti come icona di una federazione di liste elettorali. Se non vi riuscirà, sicuramente “farà la pace” con Bersani, il vincitore predestinato, e mal che vada, complice lo spread in impennata, gli interessi sui btp alle stelle e gli attacchi speculativi, potrà diventare superministro economico nel futuro governo e vicepresidente del consiglio. Si tratterebbe comunque di un Monti bis, con Bersani uomo di paglia alla presidenza del consiglio e un programma in assoluta continuità con il precedente direttorio euromontiano. Quindi non ci sarà scampo e non ci sarà alcun cambiamento, a meno di eventi eccezionali come il ritorno di Silvio. In ogni caso, qualunque sarà la posizione di Monti nei prossimi governi (e anche se un giorno salirà al Colle), la sequenza sarà Monti bis, ter e quater. Il Monti quinquies ve lo risparmio, tanto a quel punto, nel lungo periodo, saremo già tutti morti … 


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