lunedì 18 marzo 2013

Comunque tentino di presentarla, è stata una vittoria della democrazia. Grazie alla presenza dei parlamentari del M5s. - Sergio Di Cori Modigliani




Chi ha vinto? Chi ha perso?
Trattandosi di battaglie politiche, per poter comprendere ciò che sta accadendo è necessario cercare di capire quali risultati siano stati raggiunti e da chi.
Nel suo libretto rosso, il presidente Mao sostiene che quando il nemico approva ciò che faccio e mi fa i complimenti, allora io mi devo fermare, analizzare e interrogarmi: vuol dire che è arrivato il momento di cambiare strategia. Il rivoluzionario non va in cerca di applausi, lotta per cambiare la società. Quando il nemico mi vede non deve essere contento, deve essere terrorizzato alla sola idea che io esista, perché io rappresento la sua fine.
Prendendo per buono questo assioma e leggendo le reazioni delle persone più disparate su facebook e sui bloggers in rete, i sostenitori del M5s possono davvero dormire sonni tranquilli. Berlusconi fa sapere che “il vero nemico e pericolo della democrazia è Grillo e il suo movimento” mentre da parte del PD si fa notare, per bocca del suo vice-segretario Enrico Letta Bilderberg “nonostante il M5s abbia fatto di tutto per metterci il bastone tra le ruote, siamo riusciti a dare inizio alla legislatura a dispetto del loro atteggiamento”.
Con le votazioni di ieri si è chiusa -in maniera molto veloce considerando gli standard italiani- la prima fase di questo dopo elezioni.
Penso che il M5s sia l’unica realtà politica che ne esce vittoriosa, con dei risultati davvero importanti, riuscendo a centrare degli obiettivi fino a poco tempo fa davvero impensabili. Da oggi, si apre una nuova fase.
La natura stessa del movimento si basa sullo smascheramento delle contraddizioni del potere in Italia. In questo senso, il M5s sta ottenendo dei risultati davvero prestigiosi, di cui, il più rilevante in assoluto, e poco reclamizzato, consiste nella totale e definitiva sconfitta del ragionier vanesio Mario Monti.
Già questo fatto sarebbe sufficiente per comprendere quanto grande sia stata (e strada facendo spero che lo sarà sempre di più) la forza d’impatto della presenza del M5s nel parlamento italiano.
 Dopo aver perso le elezioni e aver raccattato una percentuale di voti inferiore del 40% alle sue aspettative, il ragionier vanesio si è lanciato in una squallida inerpicata sugli specchi, cercando di allearsi con chiunque pur di essere nominato presidente del senato e da lì piroettarsi verso la presidenza della Repubblica. Perfino i membri della cupola mediatica sono rimasti esterrefatti dal suo comportamento. Altro che aplomb! Da uomo pragmatico, dopo aver capito che nessuno lo voleva candidare, si è incontrato prima con Alfano e poi con Cicchitto per chiudere un accordo personale. Si è presentato alla riunione dei suoi e ha comunicato la decisione presa: il Cialtrone non era più tale, bensì un prezioso e nobile alleato con cui andare d’accordo; così come, per il Cavaliere, l’uomo che aveva rovinato l’Italia, diventava d’un tratto l’uomo con il quale aggiustare l’Italia. Se il M5s non fosse esistito, tutto ciò sarebbe stato considerato normale (parte del cosiddetto “fare politica”). Sia Monti che Berlusconi avrebbero chiarito la necessità di allearsi per far fronte al “pericolo Grillo” andando a immediate nuove elezioni e Monti sarebbe stato il garante del fronte delle destre, unito e compatto nell’interesse comune. Ma i senatori ex PD convertiti Monti, consapevoli che, a quel punto, sarebbero finiti in bocca a Berlusconi, si sono ribellati con forza minacciando di dimettersi, insieme ad altri di provenienza berlusconiana. Asserragliato in una stanza, è stato obbligato dai suoi ad assumere una linea chiara, di fatto impossibile per il ragionier vanesio, non avendo né idee né ambizioni politiche, essendo il suo unico obiettivo quello di esercitare in maniera piatta e impiegatizia il compito affidatogli dalle banche e dalla BCE. Diversi giornalisti hanno riferito (alcuni con candido stupore) la ferocia caratteriale dell’attuale presidente del consiglio, ormai scoperto, che urlava indispettito. Nel mio quotidiano surrealista, così avrei sintetizzato la notizia rispetto alla giornata di ieri: “Elezioni al Senato: Mario Monti definitivamente sconfitto. Dopo la batosta elettorale, si allea con Berlusconi nella notte, ma viene contestato dai suoi che lo fanno fuori dopo una convulsa riunione d’altri tempi”.
Altri tempi, per l’appunto.
Linda Lanzillotta, donna intelligente, ha capito che i tempi sono cambiati e ha guidato la rivolta. Troppo tardi, però. Ormai, è finita incastrata dentro un partito che ha smascherato il proprio volto alla nazione: una pattuglia guidata da un personaggio privo di etica, sempre pronto ad allearsi con chiunque sia disposto a mettersi al suo servizio.
Rigor Montis è stato eliminato nella totale indifferenza del paese e dei media.
Ad eccezione di Giuliano Ferrara, sempre abile e intelligente ad annusare l’aria che tira.
Qui di seguito, in copia e incolla, un articolo uscito oggi sul suo quotidiano “Il Foglio”, a firma Fabrizio d’Esposito.
Il titolo dell’editoriale è: 

Monti ancora sconfitto, adesso rischia di scomparire per sempre”.

A Palazzo Madama, ieri pomeriggio, erano solo due i senatori a vita presenti. Per uno, su invito del neopresidente Pietro Grasso, c’è stata un’ovazione alla fine della seduta. Per l’altro, invece solo imbarazzi e silenzi. Il primo è Emilio Colombo, dinosauro democristiano. Il secondo è lo sconfitto Mario Monti, premier dimissionario da dicembre. Per il Professore di Scelta civica l’analisi della sua disfatta è più psicologica che politica. Ammette un senatore centrista, a microfoni spenti: “Il premier oggi (ieri per chi legge, ndr) ha perso completamente la lucidità”. Spiega sgomento un big del Pd che ha seguito la trattativa decisiva dell’altra notte, tra venerdì e sabato: “Era come impazzito, a ogni nome che abbiamo proposto per sbloccare lo stallo con il centro lui ha risposto: ‘O me o nessuno’. Questo nonostante avesse promesso di tirarsi indietro dopo il no di Napolitano”. Un’ambizione tignosa che ha scorticato a sangue la celebre sobrietà incarnata dall’uomo in loden verde. Monti è salito su una giostra perdente che in 24 ore lo ha portato da Bersani e Napolitano ai berlusconiani e infine all’isolamento nel polo di centro, spaccatosi per la sua ostinazione. Riassunto della puntata precedente: venerdì mattina, Monti pretende dal Pd la candidatura a presidente del Senato, Bersani oscilla e a risolvere la questione è il Quirinale che intima al premier di fare un passo indietro istituzionale. A quel punto il Pd offre ai centristi la Camera (Balduzzi o Dellai) poi lo stesso Senato (l’ex formigoniano Mario Mauro), ma Monti continua a dire no. IL SABATO NERO del Professore si apre con una scena del tutto diversa. Gli squali del Pdl fiutano il colpaccio e vanno in pressing sui montiani, a tutto campo. B. ha messo in campo Schifani e gli schieramenti hanno numerosi contatti. Da un lato, per il Pdl: Gasparri, Quagliariello, Verdini, Bonaiuti. Dall’altro, per i centristi: Mauro, l’ex aclista Oli-vero, Della Vedova. Viene anche organizzato un faccia a faccia tra Monti e Berlusconi, grazie al lavorìo di Federico Toniato, uomo ombra del premier a Palazzo Chigi. L’annuncio del vertice tratteggia scenari che vanno oltre i voti di Scelta civica a Schifani nel ballottaggio con Grasso: lo stesso Monti presidente del Senato o leader del centro-destra oppure ancora capo dello Stato. Un centrista autorevole decifra così il mistero montiano: “Vuole il Senato per andare al Quirinale”. Casini, senatore anche lui, aiuta il premier a fare i conti sui voti. Prima della seduta pomeridiana, il gruppo di Monti si riunisce e si spacca. La scelta è di votare scheda bianca e non fare “la stampella di nessuno”. Ma c’è una fronda filodemocrat: Olivero, Lanzillotta, Maran, Ichino. Gli ultimi tre provengono proprio da quell’area. Il confronto è duro ma prevale la linea dell’unità per non indebolire ancora di più il confuso Monti. Si vota scheda bianca. Gasparri denuncia: “I montiani piegano la scheda prima di entrare nella cabina per farsi controllare”. È il caso della Lanzillotta che si avvicina al seggio e piega la scheda davanti a tutti. Poi dichiarerà: “I nostri voti sono stati decisivi per l’elezione di Grasso: siamo 21 e la differenza di voti rispetto a quelli ottenuti da Schifani è stata di 20 voti”. Grasso passa che è già buio e ancora Gasparri si prende la sua vendetta: “I montiani ci hanno offerto cose oscene”, avrebbero votato Schifani in cambio di un disimpegno del Pdl per favorire la nascita di un governo tra Pd e Scelta civica. Commento di un berlusconiano: “Secondo Monti loro dovevano fare il governo e noi andarci a nasconderci nei cessi. Roba da mentecatti”.

Ormai impresentabile, l’appannata figura di Rigor Montis provoca un incredibile scossone all’interno del PD, di cui sapremo gli esiti soltanto la prossima settimana. Enrico Letta e Matteo Renzi perdono (entrambi) il loro più potente e poderoso alleato.
La presenza del M5s, in soli due giorni ha “letteralmente obbligato” il PD, il PDL e Mario Monti ad arrampicarsi sugli specchi, smascherandone la loro natura, denudandoli dinanzi al paese, provocando insurrezioni o malumori interni ai loro partiti.
Non provo  stima per Giuliano Ferrara, ma ne rispetto sempre la lucida intelligenza e la sua imbattibile abilità di sintesi. La sua analisi, nella stampa mainstream, è la migliore in assoluto. Racconta il circo delle vanità, il commercio ignobile delle cosiddette alleanze e in un altro corposo editoriale così conclude la sua interpretazione della giornata: “…Ci stanno tutti: chi per finta chi davvero. E inizia l’azzardo. Via la Finocchiaro, tenutaria dei vecchi equilibri: “Se dicessi che non sono dispiaciuta non sarei sincera”. È dispiaciuta ma si va avanti. Al mattino a Montecitorio appare ora tutto più semplice, i grillini si appollaiano sugli scranni più alti e aspettano l’esito. Sono compresi dalla parte, ma timorosi, impreparati a reggere l’urto così possente. Il loro apriscatole ha davvero funzionato, ma neanche lo sanno”.
Lo dice con rammarico il sagace Giuliano Ferrara, con un tono intriso di sana autocritica identifica e riconosce il grandioso successo politico del movimento a cinque stelle, di cui oggi si tenta disperatamente di appannarne il risultato.
In politica, ciò che conta è la battaglia e il suo esito, per poi poter portare avanti il proprio programma. E la si conduce a piccoli passi vincenti, uno dopo l’altro.
In due giorni, gli eletti in parlamento del M5s hanno liberato il paese del peso politico di Enrico Letta e di Mario Monti.
E vi pare poco, come inizio?
Il resto sono tutte chiacchiere da bar, fumo negli occhi, e il consueto squallido tentativo di scompaginare i fatti istillando paure, scenari inesistenti, per introdurre pessimismo e sospetti.
A nome di tutti noi che vi abbiamo eletto, grazie per l’eccellente lavoro.
Se non fosse stato per la vostra presenza, avremmo adesso Veltroni presidente della Camera, Schifani presidente del Senato, e la scelta obbligata per la carica di presidente della Repubblica tra Gianni Letta e Massimo D’Alema.
L’aria sta cambiando.

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