Fra ieri e oggi gli iscritti ai 5Stelle decidono, sulla piattaforma Rousseau, uno dei passaggi cruciali dei loro 11 anni di vita: il sì o il no alla deroga parziale al limite di due mandati (solo per chi ne ha svolto uno in un Comune) e all’abolizione del divieto (che non è un obbligo) di allearsi con partiti tradizionali. Due svolte molto attese e anche utili. Due segni di maturità e di crescita, oltreché di realismo, da parte di quella che gli elettori due anni fa hanno eletto a prima forza politica del Paese, che ha espresso il presidente del Consiglio, dato vita a due governi e realizzato molti punti del suo programma. Purtroppo una scelta così importante avviene fra il lusco e il brusco, senza preparazione né discussione, quando la gente pensa a tutt’altro: la vigilia di Ferragosto. C’è da restare basiti dinanzi all’improvvisazione e al dilettantismo di chi – Davide Casaleggio, con l’avallo dei tre garanti Crimi, Lombardi e Cancelleri – ha deciso i tempi e i modi. Al punto da far sospettare che chi un anno fa vantò il record mondiale di partecipazione (sul governo giallorosa si espressero 80mila iscritti) ora sia ben felice che votino in quattro gatti. Magari solo i trinariciuti contrari a deroghe e alleanze. Una vittoria del No sui due fronti, o anche solo sul secondo, condannerebbe il M5S all’isolamento e all’irrilevanza, arretrando di tre anni le lancette della storia, danneggiando il governo e facendo un regalo insperato alla Casta, che non ha mai smesso di sognare il ritorno alle ammucchiate pre-2018 per tagliar fuori gli odiati grillini e rimettersi a tavola.
Chi, fra i 5 Stelle, lo apprezza non deve dimenticare che il governo Conte è stato possibile perché i voti su Rousseau autorizzarono il capo Di Maio ad allearsi con partiti: che senso ha ora vietarlo a priori nelle Regioni e nei Comuni? Sta poi ai vertici locali e nazionali valutare caso per caso opportunità e convenienza. Pronti a dire no, come sacrosantamente han fatto con De Luca in Campania; ma anche a dire sì, come han fatto in Liguria con Sansa e avrebbero dovuto tentar di fare in Puglia o almeno nelle Marche. Il discorso vale vieppiù nei Comuni, dove il M5S è nato: l’anno prossimo si eleggono i sindaci di Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli. A Roma e Torino, le candidate in pole position per battere la destra sono Raggi e Appendino; a Milano, Sala potrebbe passare la mano; a Bologna e Napoli, Merola e De Magistris devono lasciare a nomi nuovi tutti da inventare. Che ci sarebbe di male se il M5S ottenesse l’appoggio del centrosinistra dove può vincere e, dove può solo perdere, sostenesse candidati del Pd in cambio di una svolta radicale su ambiente e legalità? Si spera che anche stavolta gli iscritti siano più maturi di chi dovrebbe esserlo più di loro.
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