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martedì 18 maggio 2021

Letta snobba i lavoratori non garantiti. - Antonio Padellaro

 

Non ha sicuramente torto il sociologo Luca Ricolfi quando rimprovera alla sinistra “l’iper-tutela della sua base elettorale, ossia dei garantiti, e il cinico abbandono dei non garantiti, come se questa non fosse la diseguaglianza fondamentale dell’Italia di oggi” (intervista a La Verità). Infatti, continua a fare rumore il silenzio del Pd, e del suo segretario, Enrico Letta, dopo che le conseguenze di 15 mesi di pandemia e lockdown hanno reso quasi incolmabile il fossato tra chi ha potuto contare su un salario comunque garantito (dipendenti pubblici e impiegati di aziende medio grandi) e il complesso del lavoro autonomo (commercianti, artigiani, partite Iva) dal reddito massacrato.

Stupisce che la sinistra dell’equità sociale non sembri granché interessata alla tutela di un mondo di almeno cinque milioni di persone (senza contare le famiglie) – la spina dorsale dell’economia nazionale, soprattutto al Nord – e che abbia preferito lasciarne la rappresentanza politica alla destra di Lega, FdI, Forza Italia. Anche se per il Pd il blocco dei non garantiti costituisse una causa persa dal punto di vista elettorale, come può disinteressarsene il partito cha affonda le radici nelle idee di progresso e nei valori del cattolicesimo sociale? Forse da Enrico Letta sarebbe lecito aspettarsi una spiegazione sul perché, nella non facile coabitazione di governo con il Carroccio, il Pd sia impegnato a polemizzare con Matteo Salvini quasi esclusivamente sul tema dei diritti (contro l’omofobia e a favore dello ius soli). E si tralasci, per esempio, di intervenire sul davvero poco che l’esecutivo Draghi (in linea con l’esecutivo Conte) riesce a produrre nel sostegno al lavoro non garantito. Un rimprovero che non può essere mosso al M5S: senza il reddito di cittadinanza (contestatissimo dall’establishment Ztl) gli ultimi e i penultimi di questo Paese sarebbero letteralmente alla fame. Forse però a parlare bene dei 5stelle si fa peccato.

Ps. Il direttore de La Verità assai si duole per il mio articolo di domenica dedicato al piagnisteo della destra sulla legge Zan. Ha ragione: avrei dovuto avvertirlo che lo scritto (sul vittimismo della sinistra che la destra adesso imita) era autoironico. Purtroppo, la carta stampata non consente segnalazioni come quelle televisive: per esempio, il cartello a protezione dei bambini per immagini che non capiscono o che potrebbero turbarli. O come le faccine su WhatsApp.

IlFQ


A mio parere Letta non può definirsi un uomo di sinistra. Starebbe bene al centro, tra color che son sospesi, perché non ha ancora capito da che parte stare. Fa il mestierante politico.

mercoledì 30 settembre 2020

Piccole cronache di Covid e lavoro nella ex zona rossa. - Silvia Truzzi


 














Francesco lavora da 41 anni. Fa il salumiere in un supermercato, da 33 anni nello stesso negozio a Casalpusterlengo, 15mila anime nella bassa Lodigiana. Dietro il banco: prosciutti, formaggi, salami, roast beef. E Coronavirus. Anche lui, in marzo, si è ammalato: polmonite bilaterale interstiziale, ricovero in ospedale a Crema, febbre e paura. Poi la polmonite è passata, i guai no: la malattia che tiene in scacco il mondo da otto mesi gli ha lasciato in dono complicazioni cardiache di non poco conto, anche se lui è uno sportivo. Al Corriere che ieri ha raccontato la sua storia ha spiegato: “Ho resistito perché ho un cuore forte: lavoro in cella frigorifero, sono un appassionato cicloamatore e abituato ai grossi sforzi. Ho anche fatto il Mont Ventoux (tappa tra le più dure del Tour de France) su tutti i lati”. In ospedale ci è stato undici giorni, la carica virale si è esaurita in aprile con due tamponi negativi, ma i problemi sono continuati fino a luglio. Francesco ha cercato di tornare al lavoro, dietro il suo bancone in salumeria: non tutti i lavori si possono fare da remoto, con la formuletta magica dello smart working che piace tanto alle aziende perché le fa risparmiare. Soprattutto i lavori più umili si fanno in presenza. Francesco però non stava ancora bene e non era in condizioni di lavorare: l’holter cardiaco che gli avevano applicato ha segnalato un’anomalia nel tracciato. Così a fine luglio è tornato in ospedale per altre due settimane, gli hanno fatto esami approfonditi ed è saltata fuori una miocardite. Ancora oggi è costretto ad andare in giro con un defibrillatore portatile. Fine della storia? No, perché questa non è una storia di Covid, è una storia di lavoro. Francesco, a 17 mesi dalla pensione, è stato licenziato con una lettera da parte della sua azienda. Motivo? Aveva superato il massimo dei giorni di malattia di cui si può usufruire senza venire licenziati. A giugno l’Inail gli aveva trasformato la malattia in infortunio, posticipando il rientro al lavoro a metà ottobre, ma comunque il decreto Cura Italia esclude i giorni di ricovero e di isolamento per Covid dal conteggio dei periodi di comporto. Dunque, spiega un sindacalista lodigiano della Cgil, l’azienda ha fatto un errore e probabilmente il licenziamento verrà annullato. Chissà se Francesco farà in tempo a tornare dietro il suo bancone prima che scatti il giorno dell’agognata pensione: non è un bel modo di concludere la propria vita lavorativa.

C’è, dietro questa storia, la miseria di un’umanità travolta dalla burocrazia, dall’incapacità e dall’ingordigia del profitto (dopotutto un salumiere apprendista costa sicuramente meno di un salumerie con 33 anni di anzianità aziendale). Nelle cronache dalle zone rosse abbiamo sentito parlare per mesi di eroi, angeli e varie altre creature soprannaturali: applausi, lacrime, commozione svenduta a buon mercato per qualche clic. E del resto non ce ne frega niente: i meglio opinionisti parlano del lavoro come di una merce, ormai sempre più difficile da trovare, e nemmeno più se ne vergognano. Per non dire dei toni che ci tocca ascoltare nei dibattiti sul Reddito di cittadinanza: le storie che assurgono agli onori delle cronache – il criminale con il Reddito, il fancazzista sul divano che non vuole lavorare – servono solo per far venire la bava alla bocca a un’opinione pubblica sempre più anestetizzata e incattivita. Mai che ci raccontino di come i sussidi aiutano le persone in difficoltà. C’è una cosa che fa riflettere nella vicenda di Francesco: da morto lo avrebbero beatificato, da licenziato verrà ignorato. Come società facciamo abbastanza schifo, eppure non si sente parlare che di “solidarietà”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/30/piccole-cronache-di-covid-e-lavoro-nella-ex-zona-rossa/5948583/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-30

martedì 25 agosto 2020

Flavio Briatore ricoverato “in condizioni serie” al San Raffaele per coronavirus.

Flavio Briatore ricoverato “in condizioni serie” al San Raffaele per coronavirus

L'imprenditore, rivela il settimanale L'Espresso, e confermano fonti ospedaliere a Ilfattoquotidiano.it, è nell'ospedale milanese da lunedì non in terapia intensiva: giunto nel reparto solventi con sintomi da polmonite, sottoposto a una tac e al tampone, è risultato positivo. Negli scorsi giorni era stato protagonista di una polemica con il governo e il sindaco di Arzachena riguardo la chiusura delle discoteche, compreso il suo Billionarie dove 63 dipendenti hanno contratto il virus.
Flavio Briatore ha contratto il coronavirus e si trova in condizioni “serie” all’ospedale San Raffaele di Milano. Il ricovero, rivelato dal settimanale L’Espresso e confermato a Ilfattoquotidiano.it da fonti della struttura ospedaliera, è avvenuto nella giornata di lunedì non in terapia intensiva. Briatore è giunto nel reparto solventi con sintomi da polmonite: sottoposto a una tac e al tampone, è risultato positivo. Negli scorsi giorni l’imprenditore, 70 anni, ha portato avanti una dura polemica contro il governo e il sindaco di Arzachena Roberto Ragnedda riguardo alle ordinanze di chiusura delle discoteche, compreso il suo Billionaire di Porto Cervo.
Proprio tra i dipendenti del locale di Briatore sono risultati infetti 63 dipendenti su un totale 90 tamponi effettuati. I dati del focolaio non sono definitivi e potrebbero subire qualche modifica, come ha spiegato il responsabile dell’Unità di crisi del nord Sardegna Marcello Acciaro. A Ferragosto l’imprenditore era stato tra i protagonisti di una partita di calcetto all’hotel Cala di Volpe con altri vip, tra cui l’allenatore del Bologna Sinisa Mihajlovicanche lui risultato positivo al tampone e attualmente in isolamento senza sintomi. Al match, tra gli altri, erano presenti il cantante Fabio Rovazzi e il presentatore tv Paolo Bonolis, che si è sottoposto al test per la ricerca del virus: “Non ho il covid”, ha spiegato in un’intervista delle scorse ore. Qualche giorno prima, sempre in Sardegna, Briatore aveva incontrato l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Il 18 agosto il proprietario del Billionaire aveva annunciato la chiusura anticipata del suo ristorante-discoteca, rivendicando il fatto essere stato ligio alle regole anti-contagio: “Piange il cuore vedere un’economia trucidata così da gente che non ha mai fatto un cazzo nella vita”. Il sindaco Ragnedda, che aveva emesso un’ordinanza ancora più restrittiva rispetto a quella del ministero della Salute sulla chiusura dei locali, aveva replicato: “È un momento particolare e la guardia va tenuta alta, quest’ordinanza va a tutelare la salute di tutti soprattutto di quelli più anziani come lei che è giusto che si proteggano e mettano la mascherina”.
Nell’ultima settimana i casi in Sardegna sono cresciuti. Secondo i dati diffusi dal ministero della Salute, lunedì sono stati 91 i nuovi positivi accertati. Domenica erano stati 81, mentre sabato il numero dei nuovi infetti era stato di 44. Numerosi anche i casi di rientro in altre regioni tra i turisti provenienti dall’isola. Tra questi oltre una ventina di vip che hanno trascorso le loro vacanze in Costa Smeralda.

mercoledì 19 giugno 2019

Salario minimo, un fronte ampio vuole farlo saltare. - Salvatore Cannavò

Salario minimo, un fronte ampio vuole farlo saltare


Dall’Ocse a Confindustria, dai dem ai sindacati fino alla Lega. In ballo c’è la tutela degli utili aziendali.

Poche battaglie politiche, come quella sul salario minimo, riescono a catalizzare fronti così ampi. E a lasciare sostanzialmente isolato il M5S che della proposta di legge è il principale artefice. Luigi Di Maio l’ha capito e infatti ieri ha cercato di alzare la voce per dire che la misura verrà presa. Ma non sarà facile.


Nel fronte contrario, infatti, si annoverano oltre alle opposizioni, anche i sindacati, tranne la piccola Usb, la Confindustria, le varie associazioni di categoria, in ultimo anche l’Aran, l’Agenzia per il contratto pubblico che ha paventato l’aumento della spesa pubblica. E poi l’Ocse la cui audizione dell’altroieri, per bocca dell’italiano Andrea Garnero, ha contestato il valore del salario minimo, 9 euro lordi, ritenuto troppo alto.


Ma nel fronte opposto c’è anche la Lega che, in ossequio alle ragioni di impresa solidamente codificate nel suo Dna, punta a prendere tempo. Da segnalare anche l’incontro tra Maurizio Landini, segretario della Cgil, e il presidente della Camera, Roberto Fico, che è sembrato molto attento alle ragioni della Cgil.


Tra le questioni sul tavolo c’è l’importo orario che il progetto di legge in esame al Senato, stabilisce in 9 euro lordi. Una cifra che collocherebbe il salario italiano all’incirca al quarto posto in Europa accanto al Belgio. Nella sua audizione alla Camera di lunedì, il rappresentante dell’Ocse, Andrea Garnero, aveva definito questo valore “tra i più alti dell’Ocse” non in termini assoluti, ma in rapporto al salario mediano. La posizione Ocse sembra trascurare il fatto che i salari italiani siano tra i più bassi d’Europa. Secondo l’ultimo rilevamento Eurostat del 2014, si collocano al tredicesimo posto dietro Danimarca, Irlanda, Svezia, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Olanda, Germania, Francia, Austria e, fuori dalla Ue, Svizzera e Norvegia.


A salario mediano basso si deve per forza avere un salario minimo altrettanto basso, oppure l’importo di quest’ultimo può contribuire a un generale rialzo? Lo scontro verte su questo punto anche perché, come spiega l’Istat nella sua audizione al Senato, il salario minimo legale “porterebbe a una compressione di circa l’1,6% del margine operativo lordo” delle imprese, cioè una riduzione degli utili. Si tratterebbe di una chiara redistribuzione di reddito dalle imprese ai lavoratori.


Non è detto che i benefici arriverebbero subito a tutti. Certamente quelli più interessati sono in quel 22% di forza lavoro che, secondo l’Inps, ha retribuzioni inferiori ai 9 euro l’ora: si tratta soprattutto di donne (26%), under 35 (38%), lavoratori del Sud (31%) del settore artigianale (52%) o del terziario (34%).


Difficile immaginare una ricaduta negativa sulla contrattazione, una “fuga dal contratto”, come l’ha definita Andrea Garnero il quale ha ricordato che, laddove il salario minimo è stato introdotto di recente, ad esempio in Germania nel 2015, la forza contrattuale dei sindacati tedeschi, che è notoriamente alta, non ne ha risentito. Un dato che dovrebbe far tacere i timori espressi sia da Confindustria sia da Cgil, Cisl e Uil. Il problema di preservare la struttura contrattualistica italiana esiste, e ieri Maurizio Landini si è raccomandato di non diminuire alcun diritto, ma non c’è alcuna prova che il salario minimo possa intaccarla. Mentre la sua istituzione potrebbe rappresentare un utile antidoto a un’altra tentazione che emerge costantemente nel dibattito: le gabbie salariali. Ci si è riferito, pur parlando di “flessibilità nel contratto nazionale” il rappresentante dell’Ocse e sappiamo bene, fin dai tempi di Umberto Bossi, che il tema sta a cuore alla Lega. Un salario minimo per legge potrebbe fugare anche questa tentazione.


https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/photos/a.438282739515247/2590363017640531/?type=3&theater

venerdì 26 ottobre 2018

Coop scandalo a Rovigo, si paga per lavorare. Costretti a versare 100 euro al mese. - Giuliano Ramazzina



I dipendenti si rivolgono alla Cisl che avvia una procedura legale.

Rovigo, 25 ottobre 2018 - Il cda di una cooperativa sociale dice di essere in difficoltà finanziarie e senza passare per l’assemblea dei soci, documentando le difficoltà, decide di aumentare il capitale sociale per la terza volta in 3 anni infatti nel 2015 è stato chiesto un aumento di capitale di 312 euro, nel 2016 di 260 nel 2018 un ulteriore esborso di 1040.

Non solo, chiede ai lavoratori di sottoscrivere “per presa visione” l’informativa con cui la Cooperativa preleverà dalla loro busta paga 100 euro al mese e il 25% della tredicesima di dicembre. Lavoratori in gran parte donne ed inserite come operatrici socio sanitarie a Taglio di Po e Ariano nel Polesine. Pagare per lavorare. Trattenere una quota sociale minima facendo firmare aumenti di capitale senza l’approvazione dell’assemblea dei soci. Chiedendo sacrifici ai lavoratori per far fronte ad una situazione di difficoltà. Insomma, salvare l’impresa, con modalità che sono finite sul tavolo dell’avvocato Maria Enrica De Salvo, attivata dal sindacato Cisl Funzione Pubblica di Padova e Rovigo.

Quella che si è scoperchiata è una pentola ‘bollente’ che sta mettendo nei guai la ‘Corbola servizi plurimi società cooperativa’ con sede nel paese basso polesano , alla quale è giunta da parte dell’avvocato una diffida ad effettuare nuove trattenute allo stipendio di ottobre dei 116 lavoratori delle case di riposo di Corbola, Taglio di Po e Ariano Polesine (37 dei quali però non avevano accettato di sottoscrivere l’aumento di capitale ma si sono ritrovati con 100 euro di trattenuta in busta paga), intimando altresì di «provvedere immediatamente – si legge nell’atto di procedura legale – alla restituzione delle somme indebitamente trattenute». Inoltre il sindacato ha inviato una nota di protesta che è anche una denuncia agli assessorati regionali veneti al lavoro e ai servizi sociali e ai tre sindaci dei comuni coinvolti con l’obiettivo di fare chiarezza anche nei rapporti tra cooperativa e consorzio Ciass.

«E’ uno dei casi più gravi ai quali abbiamo assistito ed ha del clamoroso – afferma Franco Maisto – dirigente della Funzione Pubblica della Cisl che assieme alla collega Brenda Bergo ha illustrato ieri mattina alla stampa la delicata e complessa situazione che si è venuta a creare e che vede il sindacato in campo «perché i soldi tornino ai lavoratori». «Ci sembra incredibile – rimarca Maisto – che questa cooperativa, come sta dimostrando, agisca nel puro interesse di recuperare i soldi da chi lavora al servizio dei malati e disabili chiedendo loro di fatto di rinunciare ad una parte dello stipendio per ricapitalizzare i bilanci della Coop , non è così che si fa impresa». Maisto mette il dito nella piaga. «Mai visto – aggiunge – una simile spregiudicatezza nell’avviare colloqui individuali e far firmare moduli di versamento, azioni in base ai quali i lavoratori si impegnavano a sottoscrivere l’aumento sociale pari a 20 azioni del valore di 52 euro cadauna e a versare il valore di 1.040 euro scegliendo tre opzioni: o il versamento di 25 euro con trattenuta fissa in busta paga per i contratti part time, o il versamento di 30 euro con trattenuta mensile fissa in busta paga per i contratti full time o attraverso una quota mensile del Tfr in busta paga».

Fonte; ilrestodelcarlino del 25/10/2018

domenica 18 dicembre 2016

Addio mobilità per 185mila lavoratori licenziati: ecco chi rischia di perdere il sussidio.



Addio alla mobilità per i lavoratori colpiti da licenziamento collettivo a partire dal prossimo anno: dal 1° gennaio 2017 infatti - secondo quanto previsto dalla legge Fornero sul lavoro del 2012 - l'indennità che spettava ai lavoratori licenziati da imprese industriali con più di 15 dipendenti o commerciali con più di 50 è abrogata.

Dopo 25 anni dall'istituzione del sussidio che in alcuni casi (mobilità lunga verso la pensione) poteva durare fino a sette anni in caso di lavoratore anziano licenziato al Sud, l'unico assegno di disoccupazione resta la Naspi, uguale per tutti. Chi è stato messo in mobilità quest'anno continuerà a percepire l'assegno mentre non sarà possibile erogarne di nuovi. Dal prossimo anno - spiega la Uil - verranno meno anche gli incentivi alle assunzioni per coloro che, licenziati quest'anno, continueranno a percepire l' indennità di mobilità anche nel 2017. Gli sgravi riguardavano le assunzioni di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità indennizzata.

La contribuzione previdenziale a carico dell'azienda era pari a quella degli apprendisti, per la durata di 18 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato e 12 mesi in caso di tempo determinato. A ciò si aggiungeva un contributo mensile, pari al 50% dell' indennità non ancora percepita per un periodo di 12 mesi per persone under 50 anni; 24 mesi per gli over 50; 36 mesi over 50 anni residenti nel Mezzogiorno e nelle aree ad alto tasso di disoccupazione.

Secondo la Uil le persone che rischiano di perdere gli sgravi sono circa 185.000 (104 mila residenti nelle Regioni del Nord, 37 mila residenti nelle Regioni del Centro, 44 mila residenti nelle regioni meridionali). Per queste persone - dice la Uil - a partire dal prossimo anno sarà più difficile, soprattutto al Sud, ricollocarsi nel mondo del lavoro. Il costo degli incentivi, sempre secondo calcoli Uil, è stato di 679 milioni di euro nel 2013; di 354 milioni di euro nel 2014; di 40 milioni di euro nel 2015. Con l'abrogazione della indennità di mobilità - sottolinea sempre la Uil «i risparmi a regime saranno per lo Stato di oltre 2,5 miliardi di euro, a cui si aggiungeranno le minori spese per il cadere degli incentivi alle assunzioni».

Fino alla fine del 2014 il lavoratore del Sud over 50 licenziato poteva avere fino a 48 mesi di di indennità di mobilità. Nel 2015 e nel 2016 c'è stato un decalage a 36 mesi e a 24 mesi. Per il 2016 il sussidio dura 12 mesi per chi ha meno di 40 anni, 18 per chi ha tra i 40 e i 49 anni al Sud o per chi ne ha più di 50 al Nord e 24 se si hanno più di 50 anni e si risiede al Sud.


http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/mobilita_lavoratori_licenziati_sussidio-2146773.html

sabato 25 aprile 2015

#5giornia5stelle del 24 Aprile 2015 - #criminiemisfatti. - Luigi Di Maio



E' una puntata che vi prego di condividere il più possibile quella di questa settimana di #5giornia5stelle, per tanti motivi.
Perché affrontiamo lo spinoso caso dei migranti morti in mare con la denuncia della totale assenza di una politica estera efficace di questo governo e di quelli che lo hanno preceduto. Perché per la prima volta in questo numero ci sono dei servizi che documentano il lavoro dei nostri colleghi in Europa. Battaglie che conduciamo su più fronti, grazie ai portavoce che il M5S ha nei comuni, nelle Regioni, in Parlamento, fino ad arrivare agli uffici di Strasburgo e Bruxelles.
Non solo. Ci siamo occupati del caso dei lavoratori Indesit, dei precari del mondo della scuola, del documento economico-finanziario "lacrime e sangue" presentato da Renzi ed infine del terribile caso di Giovanni Lo Porto che abbiamo scoperto essere stato barbaramente ammazzato da un drone militare statunitense nel gennaio scorso.
Tanti temi che trovate in questi 10 minuti di video che vi prego di condividere e di portare agli occhi dei tanti che ancora non sanno che oggi in Italia c'è una forza politica che combatte al loro fianco e che presto prenderà il governo di questo Paese.


Luigi Di Maio

https://www.facebook.com/luigidimaio/videos/vb.522391027797448/837958996240648/?type=2&theater

sabato 17 gennaio 2015

Enasarco: Il M5S tutela le pensioni dei professionisti e delle partite IVA. - Roberta Lombardi



"La Bicamerale sulla attività degli Enti gestori della previdenza e dell’assistenza ha deliberato, su input del M5S, di chiedere ai ministeri del Lavoro e dell’Economia il commissariamento di Enasarco
E’ una nostra vittoria importante, un primo passo verso una riforma complessiva delle casse pensionistiche privatizzate.
Enasarco, l’ente previdenziale degli agenti di commercio, ha scommesso i soldi delle pensioni degli iscritti nella roulette russa della finanza spericolata e dei derivati. Ha provato a coprire i buchi con artifici contabili e con una gestione del patrimonio immobiliare che ha calpestato le prerogative degli inquilini. Il M5S segue questa vicenda da quasi due anni e nell’ultima audizione, in Commissione, della Fondazione Enasarco avevamo presentato formale richiesta di commissariamento dell’ente, fornendo un approfondimento sui bilanci Enasarco e sulle procedure di autorizzazione dei conferimenti del suo patrimonio immobiliare.
l lavoro che è stato fatto, attraverso il capillare controllo di ogni documento fornito (oppure omesso) da chi aveva il dovere di porre all’attenzione della commissione Enti gestori la documentazione richiesta (chi aveva il dovere di vigilare sull’Ente), ha portato alla convinzione che obbligo morale, politico e giuridico del MoVimento 5 Stelle sia far rilevare come risultino più che sufficienti i presupposti per il commissariamento della Fondazione Enasarco.
Dal luglio 2013 abbiamo presentato interrogazioni, interpellanze urgenti, mozioni, inviato lettere ai ministri competenti e chiesto a tutti gli organi di vigilanza documentazione per fare chiarezza. Tutto ciò mentre la Fondazione Enasarco diceva che “va tutto bene, è tutto a posto ed i ministeri hanno sempre controllato”.
Ma non ci siamo fermati e abbiamo continuato a lavorare. Alcuni risultati sono arrivati con dei cambiamenti significativi all’interno dei ministeri, che hanno provocato la sostituzione di alcuni dirigenti punti cardine della vigilanza.


Negli ultimi mesi del 2014, precisamente il 14 ottobre, abbiamo inviato una primo esposto alla Banca d’Italia e alla Consob. Successivamente, il 17 dicembre, abbiamo richiesto appunto il commissariamento alla bicamerale Enti gestori e il 24 dicembre abbiamo presentato una nuovo esposto alla Covip e alla Corte dei Conti, ma contemporaneamente abbiamo inviato richiesta di commissariamento ai ministeri competenti. Infine, il 14 gennaio ecco nuovo esposto del MoVimento alla Banca D’Italia e alla Consob.
Il M5S ha puntato sull’immediata sospensione delle dismissioni immobiliari Enasarco e sulla vendita degli appartamenti residenziali. Inoltre, riteniamo che il commissariamento sia la prima cosa da fare assieme alla costituzione di un comitato per la valutazione indipendente degli asset, finanziari ed immobiliari, sospendendo tutti i processi in corso di implementazione.
Il M5S crede che la vigilanza vada poi concentrata presso un unico soggetto istituzionale, con responsabilità precise e penetranti poteri di ispezione. Serve una gestione oculata degli asset e una diversificazione che riduca i rischi. In più è necessaria una definizione normativa univoca di questi soggetti, che non possono più essere degli ircocervi metà pubblici e metà privati. Le casse pensionistiche, infatti, vanno riportate in toto nell’alveo della previdenza pubblica.
La richiesta di commissariamento di Enasarco è un primo passo per tutelare le pensioni dei professionisti, delle partite Iva e gli inquilini degli immobili delle Casse.
Tanti altri ne faremo insieme…in alto i cuori!" 


http://www.beppegrillo.it/2015/01/enasarco_il_m5s_tutela_le_pensioni_dei_professionisti_e_delle_partite_iva.html

venerdì 7 dicembre 2012

Quelli che “ci vuole credibilità per attirare i capitali esteri…” - Alberto Bagnai


(Chiedo scusa se vi ho trascurato, so che avete sentito la mia mancanza – soprattutto i moderatori! – ma come sapete ho avuto di peggio da fare).
Il mondo ideale del luogocomunista è un mondo austero, popolato da virili lavoratori a torso nudo, dal bicipite tornito e dalla mascella squadrata (come in un affresco littorio o sovietico), che producono, producono, producono, senza preoccuparsi troppo di chi comprerà. In questo mondo sobrio e severo nessuno regala niente, devi meritarti tutto. Come dicono gli economisti: non ci sono pasti gratis, non ci sono free lunch, e, naturalmente, non bisogna vivere al di sopra dei propri mezzi.
O meglio…per quanto questo possa sembrare strano, i luogocomunisti, sì, proprio loro, in realtà sono convinti che al mondo un free lunch ci sia. Quale? Non ce la farete mai, ve lo dico io: i capitaliesteri! Sì, proprio quei capitali dei quali, a sentire il governo, abbiamo tanto bisogno per risolvere tutti i nostri problemi, inclusi, guarda un po’, quelli della Sanità, al punto che per attirarli, questi capitali, facciamo strame dei diritti dei lavoratori.
Cerchiamo di ragionare, non è difficile (tranne che per i luogocomunisti). Quando ti fai prestaresoldi? Normalmente, quando ne hai bisogno. E quando si ha bisogno di soldi? Normalmente, quando non si guadagna, e quindi non si risparmia, abbastanza. Ma se ti prestano soldi, contrai un debito, no? Certo! E i tuoi redditi futuri, se contrai debiti, aumentano o diminuiscono? Dipende da cosa fai coi soldi che ti prestano, ma una cosa è certa: dai redditi futuri dovrai in ogni caso detrarre gliinteressi che paghi al tuo creditore. Un dato sul quale i luogocomunisti glissano con eleganza.
L’esilarante paradosso del luogocomunismo è questo: le stesse persone che “lo Stato, come una famiglia, non deve fare debiti”, vedono poi la panacea dei problemi del paese nel contrarre ulterioredebito estero. Perché il debito del “sistema paese” verso l’estero non aumenta solo quando il governo vende all’estero un titolo di Stato (il debitopubblicobrutto che i luogocomunisti vogliono abolire). Il debito estero aumenta anche se un imprenditore (o lo Stato) italiano cede all’estero un’azienda, vendendo un pacchetto di controllo. Infatti le statistiche, correttamente, collocano la cessione a un investitore estero del controllo di una azienda italiana tra le passività estere dell’Italia (chi non ci crede legga pag. 74, e chi non lo sa non è un economista).
Ma poi scusate, il problema non era che “abbiamovissutoaldisopradeinostrimezzi”? E la soluzione sarebbe? Farsi prestare altri soldi dall’estero!? Ci vuole molto a capire che, se un’azienda italiana passa in mano estera, l’Italia è meno ricca? Per i luogocomunisti evidentemente sì. E ci vuole molto a capire che, dopo, i redditi che l’azienda produce verranno molto probabilmente espatriati, riducendo il reddito nazionale e aggravando la bilancia dei pagamenti? Pare di sì.
Notate: in entrambi i casi (vendita di un titolo all’estero, cessione di un’azienda all’estero) in Italia affluiscono capitali dall’estero, cioè il paese si fa prestar soldi, contrae un debito, accumula passività. La posizione patrimoniale netta del paese si deteriora, ma c’è una differenza: per il “sistema paese” il debito contratto vendendo un’azienda è ben più costoso di quello contratto collocando un titolo (pubblico o privato), per il semplice e ovvio motivo che il capitale di rischio normalmente riceve una remunerazione più elevata. So che anche qui, formati al divino insegnamento del pubblicobruttoprivatobello, non mi crederete, ma un esempio lo avete avuto sotto gli occhi: guardate che bella fine ha fatto l’Irlanda, che per attirare i capitali esteri ha slealmente praticato una politica di dumping fiscale! I capitali privati esteri sono arrivati, e il paese è rimasto schiacciato sotto il loro costo (mentre il debitopubblicobrutto era esiguo, al 24% del Pil).
Non so se è chiaro: le ripetute esortazioni a vendere i “gioielli di famiglia” (cioè le imprese italiane, specie pubbliche, soprattutto se remunerative) a capitalisti stranieri, allo scopo di ridurre il debito pubblico, se fossero in buona fede sarebbero deliranti! Equivarrebbero a dire: sbarazziamoci di un debito che costa molto, per contrarne uno che costa di più (in termini di redditi destinati a lasciare il paese). In generale, la politica di “credibilità” del governo Monti, vista alla luce della bilancia dei pagamenti, equivale a quella di una persona che, perso il lavoro, non si preoccupa di trovare un’altra fonte di reddito, ma va in un negozio a comprare un bel vestito costoso, che lo renda più “credibile” presso la banca alla quale vuole chiedere in prestito i soldi per campare un altro mese (sì, sto parlando di questo). Ma l’austerità ha distrutto ulteriori redditi, si è risolta in un colossale spreco di risorse, proprio come l’acquisto del vestito “credibile”.
Il problema è che l’austerità è la risposta giusta all’ennesima domanda tragicamente sbagliata: “come facciamo a sembrare credibili per farci prestare soldi che ci facciano tirare avanti per un po’?” La domanda giusta sarebbe: “come facciamo a rilanciare la nostra economia, creando reddito e quindi risparmio, ed evitando così di farci incaprettare dai mercati?” E la risposta lo sapete qual è, è dentro di voi, ed è giusta: uscendo dalla trappola dell’euro e riacquistando sovranità monetaria, per rilanciare la competitività e stimolare la domanda interna.
Questo, vi assicuro, lo sanno anche i tecnici, è scritto anche nei loro libri. Ma la buona fede, è evidente, non c’è: c’è invece l’ovvia intenzione di favorire i creditori esteri, facilitando in tutti i modi (col dumping sociale, con la distruzione del sistema produttivo italiano) l’acquisto da parte loro di attività reali italiane (aziende, ospedali, immobili, marchi di fabbrica, know-how), che in caso di uscita dall’euro non potrebbero svalutarsi (mai visto un capannone restringersi dopo una svalutazione!), e garantirebbero bei profitti (da espatriare rigorosamente all’estero).
Ne riparliamo dopo il Monti bis, o preferite evitare?