Dall’Ocse a Confindustria, dai dem ai sindacati fino alla Lega. In ballo c’è la tutela degli utili aziendali.
Poche battaglie politiche, come quella sul salario minimo, riescono a catalizzare fronti così ampi. E a lasciare sostanzialmente isolato il M5S che della proposta di legge è il principale artefice. Luigi Di Maio l’ha capito e infatti ieri ha cercato di alzare la voce per dire che la misura verrà presa. Ma non sarà facile.
Nel fronte contrario, infatti, si annoverano oltre alle opposizioni, anche i sindacati, tranne la piccola Usb, la Confindustria, le varie associazioni di categoria, in ultimo anche l’Aran, l’Agenzia per il contratto pubblico che ha paventato l’aumento della spesa pubblica. E poi l’Ocse la cui audizione dell’altroieri, per bocca dell’italiano Andrea Garnero, ha contestato il valore del salario minimo, 9 euro lordi, ritenuto troppo alto.
Ma nel fronte opposto c’è anche la Lega che, in ossequio alle ragioni di impresa solidamente codificate nel suo Dna, punta a prendere tempo. Da segnalare anche l’incontro tra Maurizio Landini, segretario della Cgil, e il presidente della Camera, Roberto Fico, che è sembrato molto attento alle ragioni della Cgil.
Tra le questioni sul tavolo c’è l’importo orario che il progetto di legge in esame al Senato, stabilisce in 9 euro lordi. Una cifra che collocherebbe il salario italiano all’incirca al quarto posto in Europa accanto al Belgio. Nella sua audizione alla Camera di lunedì, il rappresentante dell’Ocse, Andrea Garnero, aveva definito questo valore “tra i più alti dell’Ocse” non in termini assoluti, ma in rapporto al salario mediano. La posizione Ocse sembra trascurare il fatto che i salari italiani siano tra i più bassi d’Europa. Secondo l’ultimo rilevamento Eurostat del 2014, si collocano al tredicesimo posto dietro Danimarca, Irlanda, Svezia, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Olanda, Germania, Francia, Austria e, fuori dalla Ue, Svizzera e Norvegia.
A salario mediano basso si deve per forza avere un salario minimo altrettanto basso, oppure l’importo di quest’ultimo può contribuire a un generale rialzo? Lo scontro verte su questo punto anche perché, come spiega l’Istat nella sua audizione al Senato, il salario minimo legale “porterebbe a una compressione di circa l’1,6% del margine operativo lordo” delle imprese, cioè una riduzione degli utili. Si tratterebbe di una chiara redistribuzione di reddito dalle imprese ai lavoratori.
Non è detto che i benefici arriverebbero subito a tutti. Certamente quelli più interessati sono in quel 22% di forza lavoro che, secondo l’Inps, ha retribuzioni inferiori ai 9 euro l’ora: si tratta soprattutto di donne (26%), under 35 (38%), lavoratori del Sud (31%) del settore artigianale (52%) o del terziario (34%).
Difficile immaginare una ricaduta negativa sulla contrattazione, una “fuga dal contratto”, come l’ha definita Andrea Garnero il quale ha ricordato che, laddove il salario minimo è stato introdotto di recente, ad esempio in Germania nel 2015, la forza contrattuale dei sindacati tedeschi, che è notoriamente alta, non ne ha risentito. Un dato che dovrebbe far tacere i timori espressi sia da Confindustria sia da Cgil, Cisl e Uil. Il problema di preservare la struttura contrattualistica italiana esiste, e ieri Maurizio Landini si è raccomandato di non diminuire alcun diritto, ma non c’è alcuna prova che il salario minimo possa intaccarla. Mentre la sua istituzione potrebbe rappresentare un utile antidoto a un’altra tentazione che emerge costantemente nel dibattito: le gabbie salariali. Ci si è riferito, pur parlando di “flessibilità nel contratto nazionale” il rappresentante dell’Ocse e sappiamo bene, fin dai tempi di Umberto Bossi, che il tema sta a cuore alla Lega. Un salario minimo per legge potrebbe fugare anche questa tentazione.
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