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venerdì 20 dicembre 2024

Progetto Selene: l’Italia vuole costruire piccole centrali nucleari sulla Luna.

 

I progetti atomici del Governo Meloni non trovano territori favorevoli lungo lo Stivale, potrebbe andare meglio nello spazio?

Il ritorno dell’energia nucleare su suolo italiano, che il Governo Meloni continua a propagandare come chiave di volta per la transizione energetica – nonostante costi e tempi maggiorati rispetto alle fonti rinnovabili, per tacere delle preoccupazioni sul fronte sicurezza – non trova spazio sui territori: da ultimo è stato il Consiglio regionale del Veneto, governato dalla destra, a dire no a nuove centrali. Non va meglio col Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, l’unica infrastruttura davvero utile per il Paese, che il ministro Pichetto immagina però possa entrare in funzione non prima del 2039. Perché allora non ampliare gli orizzonti localizzativi al cosmo?

In un certo senso, è l’idea che davvero sta nascendo in seno al progetto tutto italiano denominato Selene (Sistema energetico lunare con l’energia nucleare), finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) e condotto dall’Enea come capofila, in collaborazione con il dipartimento di Energia del Politecnico di Milano e Thales Alenia Space Italia.

«L’Italia è fortemente impegnata nell’esplorazione della Luna e nella realizzazione di una base lunare permanente. Per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, le soluzioni attualmente disponibili, basate sull’utilizzo dell’energia solare, non consentono – dichiara Angelo Olivieri, responsabile Missioni scientifiche dell’Asi – di raggiungere gli obiettivi energetici sfidanti per le future attività sulla superficie lunare, a causa dell’alternanza di 14 giorni di luce e 14 di buio. La ricerca di una soluzione tecnologica adeguata rappresenta un campo di ricerca di notevole interesse per l’Asi».

L’obiettivo dell’infrastruttura denominata Moon energy hub (Menh) sarà di fornire una base energetica stabile ai futuri insediamenti lunari attraverso l'impiego di piccoli reattori nucleari a fissione, i Surface nuclear reactors (Snr).

«In prospettiva, queste innovazioni potrebbero consentire di superare i limiti dei pannelli solari che hanno mostrato bassa densità di potenza, scarsa scalabilità, breve vita operativa e vulnerabilità da irraggiamento cosmico – aggiunge il coordinatore del progetto Francesco Lodi, ricercatore Enea – In questo senso, il Menh segna un passo rivoluzionario nell'esplorazione lunare, ponendosi al centro della strategia per espandere le capacità umane sulla Luna».

Oltre alla progettazione dei sistemi di conversione, distribuzione dell'energia e degli Snr, i ricercatori dell’Enea lavoreranno all’analisi degli aspetti di decommissioning e della supply chain e alla creazione di una roadmap per l'industrializzazione dell’infrastruttura.

https://www.greenreport.it/news/nuove-energie/4345-progetto-selene-litalia-vuole-costruire-piccole-centrali-nucleari-sulla-luna

sabato 23 marzo 2024

Scoperta una riserva di 600.000 milioni di litri d’acqua sulla Luna. - Angelo Petrone

 

Una serie di nuove osservazioni della NASA superano le stime precedenti della navicella spaziale Lunar Prospector. L’hanno trovato sul fondo di oscuri crateri lunari

Seicento milioni di tonnellate di litri di acqua potrebbe nascondersi nella profondità della Luna. Si tratta della quantità stimata, sotto forma di ghiaccio, che il radar Mini-SAR della NASA, a bordo della navicella spaziale indiana Chandrayaan-1, ha rilevato sul fondo di oltre 40 crateri tra 2 e 15 km vicino al polo nord della Luna. La scoperta è stata pubblicata su “Geophysical Research Letters“. Lo strumento della NASA, che pesa meno di 10 kg, è in grado di acquisire immagini radar delle aree permanentemente in ombra che esistono intorno ai due poli lunari. E lì, all’interno di crateri profondi e oscuri che non vedono la luce solare da milioni di anni e sui cui fondi sono state misurate alcune delle temperature più fredde dell’intero Universo, Mini-SAR ha confermato i sospetti che ci sia una grande quantità di ghiaccio d’acqua. Il principale obiettivo scientifico dell’esperimento Mini-SAR, infatti, non è altro che mappare il maggior numero possibile di questi preziosi depositi. Grazie alle condizioni di oscurità e caldo, il ghiaccio in questi crateri lunari, che spesso hanno bordi taglienti e campi di blocchi di roccia sparsi ovunque, è straordinariamente stabile. Mini-SAR ha trovato tali depositi studiando il cosiddetto “grado di rugosità superficiale” (CPR) dei crateri e trovandone alcuni che hanno un CPR elevato all’interno, ma non all’esterno dei bordi. Una diversa disposizione delle rocce rispetto a quella osservata in un cratere ‘normale’ e che gli scienziati della NASA ritengono causata da materiale ‘diverso’ all’interno dei crateri stessi. ”Interpretiamo questo rapporto – scrivono i ricercatori – come coerente con l’acqua ghiacciata presente in questi crateri. “Il ghiaccio deve essere relativamente puro e spesso almeno un paio di metri per produrre questa firma.” La quantità di ghiaccio d’acqua, circa 600 milioni di tonnellate, è superiore a quanto precedentemente stimato dallo spettrometro di neutroni della missione Lunar Prospector, che ha analizzato la superficie del nostro satellite, ma solo fino ad una profondità di circa mezzo metro.

Il quadro che emerge dalle molteplici misurazioni e dai dati risultanti dagli strumenti della missione lunare – afferma Paul Spudis, ricercatore principale dell’esperimento Mini-SAR presso il Lunar and Planetary Institute di Houston – indica che la creazione, migrazione, deposizione e ritenzione idrica si stanno verificando anche sulla Luna. Le nuove scoperte mostrano che il nostro satellite è una destinazione scientifica, esplorativa e operativa ancora più interessante e attraente di quanto si pensasse fino ad ora.” “Dopo aver analizzato i dati – afferma Jason Crusan, dirigente del programma Mini-RF per la missione delle operazioni spaziali della NASA a Washington – il nostro team scientifico ha determinato una forte indicazione della presenza di ghiaccio d’acqua, una scoperta che darà alle missioni future un nuovo obiettivo da esplorare e sfruttare ulteriore.” Questi risultati si aggiungono ora alle recenti scoperte di altri strumenti della NASA e confermano che è possibile ottenere acqua in molteplici modi sulla Luna. Il Moon Mineralogy Mapper della NASA , ad esempio, ha scoperto molecole d’acqua in entrambe le regioni polari, e il satellite di osservazione e rilevamento dei crateri lunari, LCROSS, ha rilevato anche il vapore acqueo. Per non parlare dei 270 miliardi di tonnellate di “acqua fantasma” intrappolata nelle perle di vetro che si formano durante gli impatti dei meteoriti, una riserva inaspettata e scoperta lo scorso anno. Ottima notizia, quindi, nel momento in cui l’Umanità si prepara a ritornare sul nostro satellite. E questa volta con l’intenzione di restare.

https://www.scienzenotizie.it/2024/03/22/scoperta-una-riserva-di-600-000-milioni-di-litri-dacqua-sulla-luna-2782239

martedì 6 febbraio 2024

Marte sta distruggendo la sua luna più grande? - Angelo Petrone

Il nuovo studio sostiene che la distruzione della luna Phobos è già iniziata e che i solchi superficiali e i canyon sottostanti ne sono i primi segni.

Un team di ricercatori provenienti da Cina e Stati Uniti ha ipotizzato che gli strani solchi paralleli sulla superficie di Phobos, la più grande luna di Marte, potrebbero essere un segno che il satellite viene lacerato dalle intense forze di marea del pianeta rosso. Gli insoliti solchi, precedentemente ritenuti cicatrici dell’impatto di un asteroide, sono in realtà canyon pieni di polvere, che si allargano mentre la luna viene allungata Il nuovo studio sostiene che la distruzione della luna Phobos è già iniziata e che i solchi superficiali e i canyon sottostanti ne sono i primi segni dalle forze gravitazionali mentre si avvicina lentamente verso Marte, hanno riferito questo lunedì. Phobos, di 22 chilometri di diametro, orbita attorno a Marte, distante appena 6.000 chilometri. Lo fa in un’orbita instabile che lo spinge a precipitare a spirale verso la superficie marziana a una velocità di quasi 2 metri ogni 100 anni. La forza di marea aumenterà man mano che la luna si avvicina alla superficie marziana, fino a quando non si romperà completamente, in circa 40 milioni di anni. I detriti probabilmente formeranno un piccolo anello luminoso attorno al pianeta. Poiché la composizione polverosa della superficie di Phobos la rende troppo morbida perché si formino tali crepe, l’idea che le forze di marea abbiano prodotto le particolari striature della luna è stata a lungo respinta dai geologi planetari. Tuttavia, nel nuovo studio, sono state utilizzate simulazioni al computer per testare questa idea. La simulazione ha rilevato che la superficie ” spugnosa ” della luna potrebbe poggiare su uno strato più coeso che potrebbe aver formato profondi canyon, in cui la polvere è caduta dalla superficie, creando i solchi visibili.

Modellando Phobos come un mucchio di macerie all’interno ricoperto da uno strato coesivo, abbiamo scoperto che lo stress delle maree potrebbe creare fessure parallele regolarmente distanziate“, hanno scritto i ricercatori in un articolo recentemente pubblicato su The Planetary Science Journal. “Questa è la prima volta che milioni di particelle sono state utilizzate per modellare esplicitamente lo stiramento e la compressione della regolite granulare in fase di evoluzione mareale“, afferma Bin Cheng della Tsinghua University, in Cina, che ha guidato il nuovo studio. Confrontando direttamente il modello ottenuto con i supercomputer e le osservazioni dei solchi sulla superficie di Phobos, gli scienziati hanno avuto un accordo. Uno schema parallelo di solchi e fratture si è sviluppato sotto la superficie in alcune aree. L’orientamento della faglia era generalmente perpendicolare alla direzione della principale sollecitazione di trazione della forza di marea. La morfologia e il modello di queste depressioni estensionali sono coerenti con alcuni solchi lineari su Phobos. Nel 2024, l’Agenzia spaziale giapponese, JAXA, lancerà una nuova missione, nota come Martian Moons eXploration (MMX), per far atterrare un veicolo spaziale su Phobos. I campioni che torneranno nel 2029 dovrebbero rivelare cosa sta succedendo con la sua superficie graffiata. Il nuovo studio prevede che questa distruzione di Phobos sia già iniziata e che i suoi solchi superficiali e i canyon sottostanti ne siano i primi segni. “Siamo fortunati ad essere qui ora, a vederlo“, afferma Erik Asphaug dell’Università dell’Arizona (USA), che ha partecipato all’analisi.

https://www.scienzenotizie.it/2024/02/04/marte-sta-distruggendo-la-sua-luna-piu-grande-0063026

lunedì 26 ottobre 2020

L'acqua sulla Luna c'è ed è più accessibile del previsto VIDEO

Scoperta utile per le future missioni.

L'acqua sulla Luna c'è per davvero e potrebbe essere più accessibile del previsto: la svolta per le future missioni umane arriva da due studi pubblicati sulla rivista Nature Astronomy. Il primo, coordinato dalla Nasa, dimostra la scoperta inequivocabile della 'firma' della molecola di acqua (H2O), rilevata per la prima volta sulla Luna dal telescopio volante Sofia. Il secondo studio, condotto dall'Università del Colorado, stima invece che oltre 40.000 chilometri quadrati di superficie lunare potrebbero intrappolare acqua sotto forma di ghiaccio in piccole cavità ombreggiate.



Ricerche precedenti avevano indicato la possibile presenza di acqua sulla superficie lunare, soprattutto vicino al polo Sud, ma gli strumenti usati per le rilevazioni non permettevano di distinguere se il segnale derivasse dalla molecola d'acqua H2O o dall'idrossile (OH) legato ai minerali. Il telescopio Sofia, montato a bordo di un Boeing 747, ha risolto il mistero analizzando lo spettro della Luna a una lunghezza d'onda di 6 micrometri a cui l'acqua non può più essere confusa con altro. "Aver visto la firma spettrale della molecola d'acqua è un grande passo avanti, perché ci permette finalmente di risolvere una questione aperta da anni", commenta Enrico Flamini, presidente della Scuola Internazionale di Ricerche per le Scienze Planetarie (IRSPS) presso l'Università di Chieti-Pescara.

I risultati delle analisi dimostrano che a latitudini più meridionali l'acqua è presente in abbondanza (circa 100-400 parti per milione), probabilmente sequestrata in matrici vetrose o rocciose. "Questo ci dice che la Luna potrebbe essere meno arida del previsto - aggiunge Flamini - ma non è ancora possibile stabilire quanta acqua ci sia e quanta sia utilizzabile: di certo questa scoperta ci aiuterà a pianificare meglio le future missioni". Più ottimisti i ricercatori dell'Università del Colorado, che col loro studio ipotizzano la presenza diffusa di 'trappole' d'acqua sulla superficie lunare: "se avessimo ragione - afferma Paul Hayne - l'acqua potrebbe essere più accessibile per ottenere acqua potabile, carburante per i razzi, tutto ciò per cui la Nasa ha bisogno di acqua".

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/10/26/lacqua-sulla-luna-ce-ed-e-piu-accessibile-del-previsto-_3ade9d2e-65a3-4215-8ac6-58b8692f3940.html

venerdì 2 ottobre 2020

La Luna Blu e Marte protagonisti del cielo di ottobre.

 














La Luna Blu e Marte, il pianeta più luminoso della prima parte della notte, sono i protagonisti del cielo di ottobre. Entrambi sono pronti a dare spettacolo e la Luna piena, osserva l'Unione Astrofili Italiani (Uai), si affaccerà nel cielo due volte, a salutare l'inizio del mese, e il 31 ottobre a rischiarare la notte di Halloween. La seconda Luna piena in un mese è note per essere la Luna Blu, ma non è prevista nessuna variazione nei colori del nostro satellite naturale: il nome deriva dall'espressione popolare anglosassone "once in a blu moon" ("una volta ogni luna blu"), usata per indicare un evento raro.

L'altro protagonista del cielo di ottobre, Marte, raggiungerà la minima distanza dalla Terra, pari a 62 milioni di chilometri, il 6 ottobre, mentre il 13 il pianeta sarà in opposizione, cioè nella posizione opposta al Sole, rispetto alla Terra, e sarà quindi nelle condizioni migliori di osservazione: visibile per tutta la notte e per alcune settimane sarà il pianeta più luminoso della prima parte della notte. L'opposizione significa infatti che Sole, Terra e Marte sono allineati: al tramonto del Sole dalla parte opposta della volta celeste sorge Marte, che si potrà osservare ad Est nel corso della sera, culminante a Sud nelle ore centrali della notte, ad occidente prima dell'alba.

Nella prima parte della notte saranno visibili anche Giove e Saturno, nella costellazione del Sagittario. Venere resta ancora protagonista del cielo del mattino, luminoso ad Est nelle ore che precedono il sorgere del Sole. Anche il pianeta Urano, sarà in opposizione, il 31 ottobre, e anch'esso sarà nella migliore condizione di osservazione per l'anno in corso, ma è comunque necessario un telescopio, perché non è visibile ad occhio nudo. Il corteo di pianeti luminosi visibile in orario serale genere una sequenza di suggestive congiunzioni con la Luna: Marte e Luna per esempio si incontrano due volte, il 2 e il 29 ottobre, mentre Giove e Saturno formeranno uno spettacolare terzetto con la Luna, il 22 e il 23 ottobre. Durante il mese, infine, saranno visibili numerosi transiti in orario serale della Stazione Spaziale Internazionale.

(foto: Rappresentazione artistica della Luna Blu (fonte: pixy.org ANSA)

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/10/01/la-luna-blu-e-marte-protagonisti-del-cielo-di-ottobre-_21db7675-8821-4ba2-8f4f-7b1a7406f133.html

sabato 25 luglio 2020

Su Luna e Marte cavità naturali per ospitare future basi.

Il radar italiano Sharad ha ricostruito in 3D la rete di canali nascosta sotto la superficie di Marte (fonte: NASA) © Ansa
Il radar italiano Sharad ha ricostruito in 3D la rete di canali nascosta sotto la superficie di Marte (fonte: NASA)

Cavità naturali scavate dalla lava e lunghe fino a 40 chilometri sulla Luna e Marte potrebbero essere luoghi ideali per ospitare future basi abitate dall'uomo. Le ha scoperte la ricerca italiana pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews e condotta dalle università di Bologna e di Padova. Cavità simili, chiamate 'tubi di lava', "esistono non solo sulla Terra, ma nel sottosuolo della Luna e di Marte, i cui pozzi di accesso in superficie sono stati ripetutamente osservati nelle immagini ad alta risoluzione fornite dalle sonde interplanetarie", ha detto Francesco Sauro, del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'università di Bologna e direttore dei corsi Caves e Pangaea dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa).
Coordinatore della ricerca con il geologo planetario Riccardo Pozzobon, del Dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, Sauro ha detto inoltre che la presenza dei tubi di lava "è evidenziata da allineamenti sinuosi di cavità e collassi nei tratti in cui la volta della galleria ha ceduto" e che "questi collassi, di fatto, costituiscono potenziali ingressi o finestre sul sottosuolo".. Formazioni simili sono state esplorate, sulla Terra, nelle Hawaii, nelle Canarie, in Australia e Islanda.
Confrontando le immagini del suolo di Luna e Marte riprese dai satelliti , i ricercatori hanno scoperto che rispetto ai "tubi" terrestri, che raggiungono un diametro compreso fra 10 e 30 metri, le dimensioni dei condotti aumentano di 100 volte su Marte e di 1.000 volte sulla Luna: un impressionante aumento di dimensioni dovuto alla minore gravità e ai suoi effetti sull'attività vulcanica.
Secondo Pozzobon "condotti di tali dimensioni possono raggiungere lunghezze superiori ai 40 chilometri, fornendo così spazio a sufficienza per ospitare intere basi planetarie per l'esplorazione umana della Luna: cavità talmente enormi da arrivare a contenere il centro storico della città di Padova".
I tubi di lava proteggono inoltre dalle radiazioni cosmica e solare, riparano dai micrometeoriti e offrono un ambiente a temperatura controllata, non soggetta a variazioni tra notturne e diurne.
Le agenzie spaziali stanno mostrando crescente interesse per le grotte planetarie e i tubi lavici in vista delle future missioni umane su Luna e Marte, hanno rilevato infine i ricercatori, per i quali "tutto questo rappresenta un cambio di paradigma nella futura esplorazione spaziale

mercoledì 14 settembre 2016

La Luna è una costola Terra, strappata con violenza.

Un impatto violentissimo fra la Terra e un piccolo pianeta ha dato origine alla Luna


Nata dalle sue polveri.


La Luna è una 'costola' della Terra strappata in modo violentissimo. La conferma definitiva arriva da analisi chimiche più raffinate di quelle finora possibili pubblicate su Nature, dal gruppo coordinato da Kun Wang, dell'università americana di Harvard. Le analisi mostrano che Terra e Luna hanno composizione identica e di conseguenza quest'ultima sarebbe nata dall'aggregazione delle polveri della Terra strappate dall'impatto di un pianetino che polverizzò e vaporizzò completamente buona parte del nostro pianeta. ''I nostri risultati forniscono la prima prova concreta che l'impatto ha fatto letteralmente vaporizzare gran parte della Terra'', ha detto Wang. 

I ricercatori hanno riesaminato sette campioni di roccia lunare portati sulla Terra da diverse missioni del programma americano Apollo e hanno confrontato i risultati con le analisi di otto rocce terrestri che si sono formate nel mantello, ossia lo strato che si trova tra la crosta e il nucleo. Le analisi che sono 10 volte più precise dei metodi precedenti, hanno mostrato che tutte queste rocce hanno le stesse 'impronte digitali' cioè hanno gli stessi elementi chimici. Inoltre nelle rocce lunari è presente una forma molto pesante del potassio che potrebbe essere nata solo ad altissime temperature, come quelle che avrebbero vaporizzato parte del mantello della Terra. 

Secondo gli autori, la collisione avrebbe vaporizzato e polverizzato gran parte della Terra, che allora era in formazione, come capita a un'anguria colpita con violenza da un martello. Queste misure smentiscono anche l'ipotesi finora prevalente sull'origine della Luna, secondo la quale il nostro satellite sarebbe nato dalla fusione dei materiali sia della Terra sia del pianetino che l'ha colpita. Questo modello, hanno spiegato gli autori, ha cominciato a vacillare sin dal 2001, quando è stato scoperto che molte rocce terrestri e lunari hanno elementi identici.

sabato 5 dicembre 2015

MARTE, GIOVE E LA LUNA DANNO SPETTACOLO NEL WEEK END. E DOMENICA LE STELLE CADENTI. - Francesca Mancuso

cielo dicembre

Incrociamo le dita e speriamo che le nuvole di questi giorni concedano qualche tregua. Durante il week end tanti sono gli spettacoli che il cielo ci offre, dalle congiunzioni alle stelle cadenti.
Quello che ci attende sarà un mese ricco di appuntamenti. Si comincia già da questi primi giorni. Sarà la luna la vera protagonista. Il nostro satellite naturale la notte tra iul 4 e il 5 sarà in congiunzione con Giove e Marte. I tre corpi saranno idealmente vicini.
Per ammirarli al meglio però sarà necessario svegliarsi presto o andare a letto molto tardi. La mappa che segue mostra il satellite e i due pianeti attorno alle 3 del mattino, durante la loro risalita al di sopra dell'orizzonte orientale.
giovelunamarte5dic
Il 6 dicembre toccherà poi alla Luna e Marte che si ritroveranno vicini e questa volta da soli. Un romantico appuntamento di fine autunno.
I due corpi sorgeranno poco dopo le 2 del mattino a est e saranno via via sempre più alti sull'orizzonte. Un aiuto per individuarli potrebbe essere la costellazione della Vergine, come mostra la mappa che segue:
marteluna
Spazio anche al primo sciame di meteore del mese, in attesa del più importante, quello delle Geminidi atteso per la metà di dicembre. Per il momento dobbiamo accontentarci della sigma Hydridi che raggiungeranno il loro picco il 6 dicembre.
idridi
Come spiega l'Uai, queste meteore saranno visibili a partire dalle 23 circa e fino alle e 3.30. Le notti del 5 e del 6 dicembre saranno le più fortunate, anche per via dell'assenza della luna.

martedì 24 novembre 2015

Marte sta perdendo una luna, ma avrà un anello.



Rappresentazione artstica di Marte con l'anello formato dai detriti della sua luna più grande, Phobos (fonte: Tushar Mittal using Celestia 2001-2010, Celestia Development Team; Berkeley University)

Rappresentazione artstica di Marte con l'anello formato dai detriti della sua luna più grande, Phobos (fonte: Tushar Mittal using Celestia 2001-2010, Celestia Development Team; Berkeley University)

Phobos sta precipitando ed esploderà in una nube di detriti.


Un anello può coronare una travagliata storia d'amore, anche nello spazio. E' il caso del pianeta Marte, che sta stringendo sempre più forte a sè la maggiore delle sue lune, Phobos. Quest'ultima, che mostra già sul 'volto' i primi segni di sofferenza, è pronta a farsi annientare in questo 'abbraccio' mortale come una vera eroina romantica, per poi disperdersi in frantumi: tutto per poter regalare a Marte uno splendido anello, destinato a cingere il Pianeta Rosso per ben 100 milioni di anni.

Un finale strappalacrime, dunque, che però non faremo in tempo a vedere, dato che accadrà nell'arco dei prossimi 20-40 milioni di anni. A prevederlo sono due planetologi dell'Università della California a Berkeley, che pubblicano i risultati sulla rivista Nature Geoscience. 

La protagonista assoluta dell'articolo è proprio la luna 'suicida' Phobos, che orbita a circa 6.000 chilometri da Marte. Letteralmente 'rapita' dalla sua attrazione gravitazionale, Phobos gli si sta avvicinando di 2 metri ogni 100 anni, come hanno stabilito qualche giorno fa gli esperti della Nasa: i solchi che stanno comparendo sempre più numerosi sulla sua superficie sarebbero proprio i segni impressi dall'abbraccio del pianeta. 

Secondo i calcoli dei due ricercatori di Berkeley, la luna marziana sarebbe composta da materiali piuttosto morbidi, destinati ad andare in frantumi nel giro di 20-40 milioni di anni: i blocchi più grossi potranno ricadere sulla superficie di Marte, generando nuovi crateri, mentre i frammenti più piccoli si potranno disperdere dando vita ad un anello (denso quanto i più famosi anelli di Saturno) che è destinato a persistere per un lungo periodo, fino a 100 milioni di anni.

sabato 7 marzo 2015

La Terra ha una seconda luna. Esperti: “Possibile teatro di un futuro sbarco”. - Davide Patitucci

La Terra ha una seconda luna. Esperti: “Possibile teatro di un futuro sbarco”

Si chiama “3753 Cruithne”, come un leggendario popolo della Britannia dell’Età del Ferro. Secondo quanto riportato dal sito della Smithsonian Institution Usa, infatti, la bizzarra orbita potrebbe rappresentare un “ideale banco di prova per capire come si è formato ed evoluto il Sistema solare”, plasmato dalla forza di gravità.

La Luna non è l’unico satellite naturale che accompagna la Terra nel suo peregrinare intorno al Sole. Esiste una seconda luna. Un piccolo corpo celeste, del diametro di appena 5 chilometri, che disegna attorno al nostro Pianeta un’orbita simile a un arabesco, talmente bizzarra da arrivare a sfiorare anche quelle di altri due pianeti, Marte e Venere. Si chiama “3753 Cruithne”, come un leggendario popolo della Britannia dell’Età del Ferro.
Gli astronomi conoscono questo piccolo corpo roccioso da più di dieci anni. È stato, infatti, descritto per la prima volta su Nature in uno studio del 1997, a firma degli astronomi Paul Wiegert eKimmo Innanen, della York University in Canada, e Seppo Mikkola, dell’University of Turku in Finlandia. Ma solo di recente gli studiosi hanno iniziato a comprenderne a fondo le caratteristiche. “Questo quasi-satellite si muove in risonanza con la Terra, la cui gravità – spiega su “New Scientist” Martin Connors, astronomo presso l’Athabasca University in Canada, ed esperto di asteroidi – modifica la posizione del corpo celeste come un adulto fa dondolare un bimbo su un’altalena”.
L’orbita di Cruithne è talmente allungata che impiega 770 anni per completare il suo viaggio intorno alla Terra. Per questo, gli esperti preferiscono etichettarlo come “quasi-satellite”. Proprio a causa della sua particolare orbita, diversa da quella ellittica tradizionale, questa seconda luna, però, non è mai visibile dalla Terra, né a occhio nudo, né coi telescopi. E questo riduce notevolmente il suo fascino rispetto al satellite per antonomasia, quello con la “L” maiuscola. Ma non la sua importanza per gli astronomi. Secondo quanto riportato dal sito della Smithsonian Institution Usa, infatti, la bizzarra orbita di questa seconda luna terrestre potrebbe rappresentare un “ideale banco di prova per capire come si è formato ed evoluto il Sistema solare”, plasmato dalla forza di gravità.
Gli asteroidi e gli altri corpi celesti rocciosi simili a Cruithne sono da tempo oggetto di studio da parte di astronomi e planetologi, perché riportano indietro le lancette del Sistema solare fino alle sue origini. In queste ore, ad esempio, la sonda della Nasa “Dawn” incontra il più grande corpo roccioso della cosiddetta “cintura degli asteroidi”, il pianeta nano Cerere. Inoltre, in prospettiva di un futuro sbarco su Marte, tra le tappe intermedie che la Nasa ha in programma di realizzare c’è proprio lo sbarco su un asteroide, o la cattura di uno di questi fossili celesti con una sorta di lazo da “cowboy”, per spingerlo intorno all’orbita della Luna e poterlo così studiare da vicino.
In quest’ottica, anche Cruithne potrebbe essere protagonista di un futuro sbarco, magari come quello della missione Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Gli astronomi negli ultimi tempi stanno rivalutando questa mini-luna, la cui forma, secondo le ultime stime, potrebbe essere simile proprio a quella a scamorza della cometa 67P. Il tempo gioca a favore di Cruithne. Secondo i calcoli degli astronomi, questo piccolo e misterioso satellite continuerà a viaggiare per il Sistema solare in compagnia della Terra almeno per altri 8mila anni. Poi, forse, sarà catturato dall’abbraccio gravitazionale di Venere, restituendo così il primato alla Luna.

lunedì 15 settembre 2014

sabato 7 giugno 2014

La Luna è nata da uno scontro spaziale: nuovi dati lo confermano. - Emanuela Di Pasqua

La formazione della Luna dopo l’impatto di Theia sulla Terra

Le differenze isotopiche rafforzano lo scenario secondo il quale la Luna sarebbe nata dall’impatto di un altro corpo di dimensioni planetarie contro la Terra.
Circa 4,5 miliardi di anni fa un corpo spaziale che è stato denominato Theia si scontrò contro la Terra e dall’urto nacque la Luna. Dagli studi sulle rocce lunari, a distanza di oltre 40 anni grazie alle nuove tecnologie di analisi, si sta facendo chiarezza sulle origini del nostro satellite naturale, anche se il cammino della conoscenza è ancora lungo. Una minima differenza nella composizione degli isotopi dell’ossigeno tra rocce lunari e terrestri accerta infatti definitivamente la natura «non terrestre» di parte della superficie lunare.

Impatto
Sono stati resi noti su Sciencei risultati delle analisi eseguite dal gruppo dell’Università di Colonia guidato da Daniel Herwartz, che verranno presentati l’11 giugno in California nel corso della conferenza Goldschmidt (la più importante al mondo per la geochimica). La Nasa ha infatti permesso agli studiosi di analizzare i campioni lunari provenienti dalle missioni Apollo 11, 12 e 16 e la misurazione del rapporto tra isotopi di ossigeno, silicio, titanio, calcio, tungsteno e altri elementi conferma una volta per tutte la tesi della collisione chiamando in causa un corpo astronomico di dimensioni planetarie di nome Theia, che nella mitologia greca è la madre di Selene (la dea della Luna). La Luna dunque sarebbe un miscuglio di Theia e della Terra primordiale, anche se ancora non è dato sapere in quali proporzioni.

Teorie precedenti
In realtà nel 2007 nuovi esami dei materiali lunari avevano ipotizzato una tesi molto più soft, sostenendo che la Luna si fosse formata insieme alla Terra. Ma quest’ultima scoperta del team di Colonia riporta in auge la teoria più accreditata dell’impatto, con l’entrata in scena di questo pianeta dal nome mitologico. Un gruppo francese dell’Osservatorio della Costa Azzurra a Nizza stimava recentemente la nascita di Selene 95 milioni di anni dopo la formazione del Sistema Solare e sosteneva appunto che lo scontro con un pianeta grande come Marte sulla Terra avesse originato il nostro satellite, mentre gli studiosi spiegano che le due facce del nostro satellite sarebbero addebitabili a uno scontro tra le due lune che aveva originariamente la Terra, che si sarebbero poi fuse insieme. Ora le carte vengono ulteriormente rimescolate, suggerendo la necessità di molti altri studi sui reperti lunari in profondità (quelli non esposti a tempeste solari o all’urto di meteoriti), che continuano e continueranno a regalarci preziose informazioni da molto lontano.

sabato 29 giugno 2013

Luna: in un cratere senza sole, scoperte molecole di idrogeno. - Leonardo Debbia

Luna
Vista panoramica lunare del bordo Nord del cratere Cabeus, ripresa dal Lunar Reconnaisance Orbiter Camera (fonte: NASA / Arizona State University)

Utilizzando i dati della sonda lunare Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA, gli scienziati ritengono di aver risolto il mistero di una delle regioni più fredde del Sistema Solare, un cratere situato permanentemente in ombra sulla Luna. Gli scienziati spiegano come particelle di energia, penetrando nel suolo lunare, riescano ad ottenere idrogeno allo stato molecolare dal ghiaccio. La scoperta evidenzia come la radiazione solare possa cambiare la chimica del ghiaccio in tutto il sistema solare.
Gli scienziati dell’Università del New Hampshire e del NASA Goddard Space Flight Center hanno pubblicato i risultati di uno studio congiunto sul Journal of Geophysical Research: Planets.
Autore principale è Andrew Jordan, dell’Institute for the Study of Earth, Oceans and Space (EOS) presso l’Università del New Hampshire.
La scoperta di molecole di idrogeno è giunta a sorpresa dopo lo schianto, avvenuto a 5600 miglia orarie sulla superficie lunare, nel cratere Cabeus, del razzo Centaur, vettore del satellite della missione Lunar Crater Observation Sensing Satellite (LCROSS) della NASA.
Questa regione non è mai stata esposta alla luce solare e le temperature riscontrate sono rimaste prossime allo zero assoluto per miliardi di anni, preservando incontaminato il suolo lunare, ricoperto dalla regolite.
Con questo termine viene indicato uno strato di materiale a grana variabile e composizione eterogenea, che copre lo strato compatto della “roccia madre”, presente sulla Luna e sulla Terra. Mentre però sul nostro pianeta la derivazione viene dalla degradazione di rocce, dal trasporto e deposito ad opera di agenti meteorici o chimici (piogge, vento, alterazioni), sulla Luna e su altri corpi celesti privi di un’atmosfera, è causato dall’aggregazione gravitazione di materiale prodotto da impatti (meteoriti, comete), che ha originato un accumulo a granulometria decrescente dal basso verso l’alto.
Per merito del Lyman Alpha Mapping Project (LAMP) e per mezzo degli strumenti di bordo del LCROSS, è stato possibile rilevare nel suolo lunare la presenza di idrogeno nella sua forma molecolare.
“La formazione di molecole di idrogeno dall’acqua ghiacciata è stata inaspettata ed inspiegabile”, afferma Jordan. “La molecola dell’idrogeno è composta da due atomi di idrogeno e la formula chimica è H2. La presenza dell’idrogeno sotto forma di molecola nella regolite lunare è da attribuirsi probabilmente a particelle cariche di energia “piovute” sulla Luna che – a de
tta degli studiosi – avrebbero favorito la formazione del legame tra gli atomi di idrogeno H al di sotto della superficie lunare.
“Dopo la scoperta sono state elaborate due ipotesi sul modo in cui potrebbe essere avvenuta la formazione, ma nessuna sembra spiegare esattamente se sia stato per le condizioni del cratere o per l’impatto del razzo vettore”, afferma Jordan. “La nostra analisi mostra che i raggi cosmici, particelle cariche di energia sufficiente per penetrare al di sotto della superficie lunare, possono dissociare la molecola dell’acqua, H2O, in molecole H2, attraverso diversi potenziali percorsi”.
L’analisi si basa sui dati raccolti dal telescopio per raggi cosmici CRaTER che si trova a bordo della sonda LRO. CRaTER misura e distingue, infatti, le quantità delle radiazioni cosmiche in arrivo e le quantità delle particelle energetiche provenienti dal Sole.
Una simulazione al computer ha raccolto i dati e ha mostrato che le particelle cariche di energia possono produrre dal 10 al 100 per cento dell’idrogeno molecolare misurato dal LAMP.
Lo studio sottolinea che restringere la percentuale richiede esperimenti nel ghiaccio con gli acceleratori di particelle per valutare con maggior precisione il numero di reazioni chimiche risultanti per unità di energia depositata dai raggi cosmici e da particelle energetiche solari.