martedì 4 settembre 2012

Rischia l'ergastolo l'imam che ha accusato ragazzina Down di blasfemia: falsificate le prove.



Ma intanto Rimsah rimane in carcere. Rinviata l'udienza per la cauzione. È accusata di aver bruciato pagine del Corano.


La polizia pakistana sta indagando per capire se possa essere accusato di blasfemia a sua volta il religioso musulmano che denunciò una bambina cristiana per aver bruciato alcune pagine del Corano, commettendo un'azione contro l'islam punibile per legge.

IL COLPO DI SCENA - L'uomo, Khalid Chisti, è stato arrestato sabato sera dopo che è emerso, dalla denuncia un testimone che frequenta la moschea, che potrebbe aver falsificato le prove nei confronti della ragazzina. Secondo l'ufficiale di polizia Munir Jafferi, se il religioso venisse riconosciuto colpevole di aver dissacrato il Corano, potrebbe essere condannato all'ergastolo. La vicenda ha scatenato l'indignazione internazionale anche perché, secondo alcune fonti locali, la bambina sarebbe affetta da sindrome di Down.E nel frattempo il giudice pakistano Muhammad Azam Khan ha nuovamente rinviato l'udienza per la libertà su cauzione della giovane. Per Rimsha Masih, affetta da un ritardo mentale, si prospetta una nuova settimana in carcere dove è detenuta dal giorno dell'arresto, il 16 agosto scorso, con l'accusa di aver bruciato pagine del Corano. Venerdì scorso il giudice aveva prorogato di altri 14 giorni la custodia cautelare della giovane, dietro richiesta della polizia che voleva svolgere ulteriori indagini.

Diamogli una mano!

Foto: La Repubblica:Mercato auto, Marchionne vede nero
"Per agosto in Italia il calo sarà del 20%"

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=360764890665188&set=a.182814258460253.44577.182809201794092&type=1&theater

L'alcool fa mIracoli!


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=408671565864867&set=a.188226291242730.51639.186025424796150&type=1&theater

Fantascienza.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=351554464930452&set=a.351554448263787.89520.184084165010817&type=1&theater

lunedì 3 settembre 2012

Tagli. A rischio anche la lotta alla mafia. - Nicola Tranfaglia.


direzione-investigativa-antimafia

Giovanni Falcone (come ricorda chi lo ha conosciuto prima che fosse barbaramente ucciso, con Francesca Morvillo e le persone che lo accompagnavano anche a Capaci) aveva un sogno: che la lotta alla mafia potesse proseguire fino alla distruzione di Cosa Nostra e dei suoi alleati, fuori e dentro le istituzioni dello Stato, con i mezzi finanziari e culturali necessari. 
Falcone, come tutti i magistrati che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare negli ultimi vent’anni, riteneva che l’educazione delle vecchie e nuove generazioni di italiani fosse uno strumento essenziale per quella lotta ma era, nello stesso tempo, convinto che a quella difficile opera dovesse affiancarsi una lotta quotidiana condotta da corpi specializzati dello Stato e composti da persone esperte e persuase dell’urgenza di un lavoro massiccio contro le associazioni mafiose presenti in tutto il paese, anche se concentrati in alcune regioni del Mezzogiorno continentale  e della Sicilia.
Da questa idea di fondo è nata negli anni novanta, sulla base di considerazioni precise di Falcone, Caponnetto e Borsellino, cioè di quelli che hanno dedicato la vita alla lotta contro Cosa Nostra e i suoi alleati, la Direzione Investigativa Antimafia e sulla base dell’aggravarsi progressivo della crisi politica, morale ed ora economica del nostro paese, è stato fissato il cosiddetto TEA (o trattamento economico aggiuntivo) per fare in modo che i poliziotti che si dedicano in maniera esclusiva a quella lotta che consente loro di non coltivare nessun altro lavoro e percepire – per fare un esempio significativo – circa 250 euro aggiuntivi allo stipendio dopo trent’anni di servizio.
Una somma che non arricchisce nessuno ma che non è neppure trascurabile per chi vive di un medio stipendio pubblico, come la maggior parte dei dipendenti dei Ministeri che si occupano direttamente del difficile compito.
Ma il 12 novembre scorso la legge di stabilità ha drasticamente ridotto il trattamento economico aggiuntivo provocando le proteste non soltanto di parlamentari della destra ma anche degli stessi poliziotti della Dia riducendolo al 35 per cento rispetto alla misura ordinaria. Ora, proprio in questi giorni, arriva la mazzata finale giacché il ministero dell’Interno dovrà risparmiare 131 milioni di euro e nel bilancio del Ministero dell’Economia c’è il capitolo 2673 che riguarda il Dipartimento di Sicurezza del Viminale che riduce il passaggio della somma, prevista fino a qualche mese fa, di 3.655 milioni di euro, si passa a una cifra che toglie più di un terzo dello stanziamento iniziale.
Non solo. Il personale della Dia, che è sottodimensionato (mancano circa duecento elementi) viene ulteriormente ridotto e si creano gruppi interforze per il controllo degli appalti (quando già esiste nella Direzione un osservatorio centrale) e si decurtano i fondi del trattamento economico aggiuntivo.
Sul Viminale pesa un ricorso presentato da 500 tra ufficiali e sottoufficiali che dal novembre 2011 non ricevono più quel che è loro dovuto.
“I provvedimenti del Ministero – commenta Enzo Marco Letizia, segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia – puniscono quelle donne e quegli uomini che più di altri contribuiscono alla confisca dei beni della mafia.”
Ma lo Stato sembra proprio averli abbandonati.
Parole esagerate o è soltanto la fotografia di una situazione drammatica che rischia di portare invece una battaglia più che mai necessaria di fronte alla crescente espansione del fenomeno mafioso in Italia e alla sua crescente potenza economica e politica?
Lasciamo giudicare ai lettori ma siamo convinti che, di fronte a un governo che non ha certo intrapreso una battaglia culturale precisa in questo senso il rischio è grave e richiede un intervento rapido e efficace nel giro dei prossimi giorni.


Alessandro Giari scrive:
La morte di Dalla Chiesa involontariamente ha segnato un capitolo importante nella mia vita.
Dopo la Sua morte fu nominato Prefetto di Palermo il Dott. Sica che non si fidava di nessuno e, così, volle che per aluni tipi di indagini fossero utilizzarti solo Professionisti di una certa Università.
Io ne facevo parte e, così, nel 1984 feci il "mio debutto" nelle indagini su omicidi di mafia in Palermo. Doveva essere un intervento sporadico e per poco tempo. Furono 6 anni circa .. Un esperienza che non dimenticherò mai, non solo per la situazione "critica" in cui si lavorava, ma anche per le immense personalità che ho avuto modo di conoscere in quella terra che, per me, è la più bella e ricca di cultura e genialità dell'intero Mediterraneo. Non mi riferisco solo a personaggi noti a tutti, alcuni dei quali poi barbaramente uccisi, ma anche persone colà nate e vissute, semplici ma immensamente ricche dentro, e veramente per bene che, nelle loro possibilità, vivevano combattendo ogni giorno contro la Mafia .. A tutti loro devo dire grazie ora come allora.

30 anni fa l’omicidio del Generale Dalla Chiesa. Il figlio Nando: “un delitto politico”. - Stefano Corradino


dallachiesa1

“Ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”. Così parlava al figlio Nando il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre di 30 anni fa. Domani in tanto lo ricorderanno. A Milano sarà presentato il documentario “Il Generale” di Dora, figlia di Nando, nata pochi mesi dopo la morte di suo nonno. Intervistato da Articolo21 Nando Dalla Chiesa ricorda gli insegnamenti di suo padre e il processo di rimozione di tanta parte della politica…
Intorno alle commemorazioni che ricordano tuo padre a 30 anni di distanza dalla morte avverti più retorica o partecipazione vera?Dipende da ciò a cui ti riferisci. Se parliamo della gente ogni anno, e non solo durante le commemorazioni, vedo una partecipazione cospicua e vera.
Se invece parliamo della politica?
Troppe volte in questi anni ho avuto e continuo ad avere la sensazione che gran parte della politica sembra non essere interessata alla ricerca della verità e della giustizia e soprattutto, cosa ancora più grave, sembra voler procedere ad un’opera di rimozione del passato.
“Un delitto politico” affermò Giorgio Bocca, a cui si deve l’ultima intervista, all’indomani dell’assassinioLo confermo anche dopo 30 anni. Quella politica che può uccidere e far finta che nulla sia successo. O che si dimena alla ricerca di carte segrete ed inedite quando sarebbe meglio che facesse i conti con quello che è accaduto platealmente.
C’è un fil rouge, anzi nero che collega l’assassinio di tuo padre e le stragi degli anni Novanta, comprese quelle di Capaci e via D’Amelio?Non si può andare da una cosa all’altra disinvoltamente e creare correlazioni specifiche. Semmai il filo che li tiene insieme è la frequentazione dei poteri illegali con una parte di quelli dello Stato. E comunque non è poco…
L’assassinio di tuo padre può essere considerato uno dei ‘buchi neri’ della storia d’Italia? Conosciamo gli esecutori materiali ma non i reali mandanti…I mandanti (e gli esecutori) di Cosa Nostra sono stai individuati, rimangono fuori i mandanti esterni. Ma non possiamo dimenticare cosa può voler dire quell’accusa prescritta ad Andreotti di aver intrattenuto rapporti organici con la mafia fino al 1980. Mio padre tutto sommato viene ucciso nell’82…
C’era un grumo di potere che penalmente può non essere stato identificato ma moralmente e politicamente sì.
Tutto il putiferio che si è scatenato in questi giorni sulla presunta trattativa stato-mafia sembra paradossalmente aver ottenuto un solo effetto: quello di distogliere l’attenzione sul tema vero: la verità sulle stragi del ’92 e del ’93 (e non solo…) La verità è sempre più lontana?Sì, e l’unico modo in cui può venire fuori con nettezza è che qualcuno parli. Ma non può essere un mafioso a parlarne perché non verrebbe creduto. Deve essere un uomo delle istituzioni a raccontare quello che sa; temo però che non lo farà nessuno.
“Tuo padre con i mascalzoni non prendeva neanche un caffé” scrivi oggi sul “Fatto”. Tuo padre non trattava.
Non si tratta e non si flirta con chi delinque: ne va del proprio ruolo e della propria dignità. E’ quello che ci ha insegnato.
Cos’altro? Qual è il valore più importante che vi ha trasmesso?
Il senso delle istituzioni, che conta molto di più degli interessi privati.

L’aggressione di Repubblica. - Antonio Padellaro



Così fai il gioco della destra” era l’anatema scagliato nelle vecchie sezioni del Pci contro chi osava mettere in discussione la linea ufficiale del partito, l’unica autorizzata a difendere le masse lavoratrici dai “provocatori” (sempre appostati nell’ombra) e dunque da una visione dei problemi “oggettivamente fascista”.
Pensavamo che la parodia di quei dirigenti, un po’ sedotti dal mito dell’Urss e un po’ furbacchioni, immortalata dal sindaco Peppone di Gino Cervi, fosse ormai un reperto da cineforum. Invece, venerdì su la Repubblica, il direttore Ezio Mauro ce ne ha fornita una nuova versione rap: “Il fatto è che l’onda anomala del berlusconismo ha spinto nella nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra) forze, linguaggi, comportamenti e pulsioni che sono oggettivamente di destra”. Di questa prosa anni Cinquanta si è già occupato Marco Travaglio e, sull’ingenuo tentativo di mettere d’accordo capra e cavoli a proposito dello scontro su Napolitano tra Scalfari e Zagrebelsky, non aggiungeremo altro. Qualcosa invece ci preme dire a proposito dell’attacco ai limiti della diffamazione che il direttore di quel giornale ha voluto sferrare contro il Fatto e i suoi lettori.
Certo, non siamo mai nominati, ma è l’abitudine della casa: ammantarsi di spocchiosa superiorità per meglio insultare l’avversario e poi nascondere la mano. È il giornalismo “de sinistra” che per quindici anni si è giovato dell’alibi Berlusconi per alzare le barricate e scendere nelle piazze con roboanti proclami e che adesso, soddisfatto, torna finalmente a riposarsi all’ombra del potere costituito. Notare il linguaggio da proprietari terrieri: “La nostra metà del campo”. Nostra di chi? Chi ve l’ha regalata? Cos’è, un lascito di Napolitano?
E in nome di cosa pensate di rappresentare “ciò che noi chiamiamo sinistra?” (Danno perfino il nome alle cose come la Bibbia). 
Un fenomeno davvero bizzarro quello di un direttore e di un fondatore che si credono dei padre eterni. Verrebbe da chiedere in nome di quale autorità morale, di quale cattedra superiore decidono essi chi è di destra e chi di sinistra? E poi, visto che si parla di giornali esistono notizie di sinistra e notizie di destra? Di grazia, questa scelta per così dire salvifica avviene sulla base delle telefonate del Quirinale? Del gradimento dei vertici Pd (non a caso ieri Bersani scimmiottava Mauro contro Grillo e Di Pietro)? O degli interessi del padrone? E se per caso a Savona c’è una centrale con tassi di inquinamento tipo Ilva, a cui la proprietà del giornale tiene assai, non se ne parla perché trattasi di notizia “oggettivamente” di destra?
Noi rispettiamo i giornalisti e i lettori di Repubblica e non ci permetteremmo mai di scrivere che per loro “cultura è già una brutta parola”, come abbiamo letto nell’editoriale in puro stile Comintern. Comprendiamo anche l’irritazione che si respira in quelle stanze da quando Il Fatto esiste e prospera, e se alcune tra le migliori firme di quel gruppo hanno scelto di lavorare con noi se ne facciano una ragione. La polemica giornalistica anche quando è sopra le righe va accettata. Le aggressioni no.
Il Fatto Quotidiano, 26 Agosto 2012