martedì 26 aprile 2011

L’Antitrust: “Multa di 200mila euro a Mediaset”


Secondo il garante della Concorrenza, il gruppo televisivo prendeva con molta calma le richieste di disdetta dei servizi aggiuntivi a pagamento.

Mediaset Premium dovrà sborsare una multa da 200mila euro per ordine dell’Antitrust. Il garante della Concorrenza ha ritenuto che il Biscione, nell’ambito dei

suoi servizi sul digitaleterrestre, abbia consapevolmente evaso alcune richieste di recesso pervenutegli da abbonati che volevano disdire il servizio “Easy Pay”. Insomma, gli utenti volevano liberarsi del servizio aggiuntivo rispetto ai pacchetti base, ma Mediaset li accontentava con molta calma. E intanto continuava ad addebitare.

MULTONE – L’Antitrust, sommerso di reclami, ha spiccato una sostanziosa multa che ora Mediaset dovrà sborsare.

L’autorita’ Antitrust ha comminato a Rti – Reti Televisive Italiane (gruppo Mediaset), una sanzione da 200.000 euro per pratica commerciale scorretta in relazione alla fatturazione agli abbonati “Easy pay” dei canoni per l’abbonamento “Mediaset Premium” anche dopo che gli abbonati avevano esercitato il diritto di recesso dal contratto. La decisione dell’authority, si legge nel testo della delibera, prende avvio da numerose segnalazioni pervenute nel periodo dicembre 2009-febbraio 2011. Il procedimento dell’Antitrust ha avuto avvio il 9 dicembre 2010 e si e’ svolto attraverso una serie di comunicazioni con Rti e di accertamenti, al termine dei quali l’Antitrust ha verificato l’esistenza di una pratica di ampia portata circa l’inefficiente gestione delle richieste di recesso da parte dei clienti e la conseguente interruzione della fatturazione ai clienti del servizio Mediaset Premium.

I numeri sono presto detti. Secondo l’Antitrust, sul totale delle richieste di recesso pervenute a Mediaset, un buon 10% veniva sostanzialmente evasa. E non da indagini dell’Antitrust, visto che una buona percentuale dei reclami è stata riconosciuta e ammessa dalla stessa azienda.

Le parole del garante della Concorrenza sono nette.

Le dimensioni del fenomeno non sono dettagliate nel provvedimento ma come ordine di grandezza l’Antitrust scrive di (100.000-500.000) richieste di recesso/disdetta registrate tra dicembre 2009 e di circa (5.000-60.000) reclami per tardiva cessazione dell’abbonamento, di cui il (20-80%) riconosciuti fondati dalla stessa Rti. L’Antitrust sottolinea anche la consapevolezza di Rti circa la natura e la dimensione del problema e il fatto che non siano state prese adeguate misure atte a superarlo. Contro il provvedimento dell’Antitrust e’ possibile ricorso al Tar del Lazio entro 60 giorni.

COMPORTAMENTO CONSAPEVOLE – RTI era dunque consapevole della pratica che veniva messa in piedi dai suoi impiegati, e non fece assolutamente nulla per fermarlo. Così, la multa, vista l’ammissione da parte dell’azienda, sarebbe addirittura meritata. Secondo il Codacons, che si è fatto portavoce della gran parte dei reclami all’azienda, la battaglia è vinta.

Un’importante vittoria dei consumatori”. Cosi’ il Codacons giudica la multa da 200mila euro inflitta dall’Antitrust a Rti. “La vicenda – spiega l’associazione – nasce da una nostra diffida inviata lo scorso anno a R.T.I. – Reti Televisive Italiane Spa, Antitrust e Agcom, nella quale si denunciavano i comportamenti scorretti dell’azienda con riferimento proprio alle modalita’ di recesso e disdetta dei servizi Mediaset Premium”.

Contro il provvedimento dell’AGCM è proponibile l’appello ante il Tar del Lazio. Ma RTI ha ammesso la gran parte delle violazioni, per cui ci si potrebbe aspettare che non impugnerà la sentenza. Ma staremo a vedere.

http://www.giornalettismo.com/archives/122830/lantitrust-multa-di-200mila-euro-a-mediaset/2/


Pdl, parte il tiro al bersaglio al pm Ingroia, nemico pubblico n .1 .


Berluscones scatenati contro il magistrato che indaga sulla trattativa mafia-Stato, il caso Ciancimino un pretesto per regolare vecchi conti e parare nuovi colpi. Domani riunione dei senatori Pdl per modificare la legge sui pentiti
di Giuseppe Lo Bianco

PALERMO – Giuliano Ferrara chiede la condanna a dieci anni di carcere per Antonio Ingroia, colpevole di ''attentato ad organi costituzionali''. Il senatore Luigi Compagna vuole una commissione d'inchiesta sulla gestione dei pentiti. Maurizio Gasparri sollecita la Procura di Palermo a spogliarsi dell'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato: "Non possono indagare su Ciancimino coloro che ne hanno fatto un oracolo". Il vice presidente dei deputati Pdl, Osvaldo Napoli, chiede addirittura un intervento del Csm sul procuratore aggiunto di Palermo. Per Fabrizio Cicchitto ''la Procura di Palermo arresta Ciancimino e lo interroga escludendo quella di Caltanissetta''. E nel coro del centro-destra alla fine spunta pure la voce di Sgarbi: ''I pm di Palermo continuano a tutelare Ciancimino, icona dell'antimafia". Ma le acrobazie lessicali, le giustificazioni surreali (e i copia e incolla documentali) del giovane figlio di don Vito sono solo un pretesto: dal randello mediatico all'iniziativa parlamentare il passo e' breve. Gasparri annuncia per domani una riunione dei senatori del Pdl per quella che definisce "un'offensiva di verità, in commissione antimafia e nel Paese".

Ecco oggi il nemico pubblico numero uno per il centro destra: il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, allievo di Paolo Borsellino, titolare delle inchieste piu' scottanti sui segreti di questo Paese. Lo accusano di frequentare i convegni e redigere le prefazioni di libri, come quello di Maurizio Torrealta, ''Il Quarto livello'': ma in quella prefazione non c'e' traccia delle indagini su Ciancimino. Lo indicano come il persecutore di Berlusconi, il pm che si ostina a inseguire favolette mediatiche come la trattativa mafia- stato, il pm populista che arringa da un palco centinaia di migliaia di persone, parlando di controriforma della giustizia progettata dal governo Berlusconi. La frontiera mediatica piu' avanzata e', ancora una volta, Ferrara che dalla prima pagina del Giornale individua con precisione il bersaglio da colpire: per lui Ingroia ha “la libido da convegno” e “usa il suo delicatissimo potere d'indagine e di accusa mescolando con un attivismo politico fazioso in forma incompatibile con la Costituzione e la legge della Repubblica”. Sono le stesse accuse mosse un mese fa, quando il procuratore aggiunto parlo' dal palco di piazza del Popolo, a Roma, definendo la riforma della giustizia del governo Berlusconi una ''controriforma''. Puo' piacere, o meno, la sua esposizione mediatica, anche nella forma populista (parlare su un palco davanti a centomila persone), ma, sostenne lo stesso Ingroia, non si puo' negare a un magistrato il diritto di replica: ''“Rivendico il diritto alla libertà di espressione – si difese - quando poi si tratta di riforme che riguardano la giustizia quel diritto diventa un dovere. Mancherei a questo dovere se tacessi. Mi piacerebbe che io, come altri miei colleghi messi nel mirino solo perché esprimiamo opinioni, potessimo avere un diritto di replica agli attacchi che spesso riceviamo da alcune reti televisive”. Oggi che il centro destra lo accusa di avere trasformato il figlio di un sindaco mafioso in un' ''icona antimafia'', Ingroia ricorda di essere stato il primo ad avere messo in guardia da questa ‘’metamorfosi mediatica’’. E cioe’ la sovraesposizione di un teste dal cognome ‘pesante’, portato in giro, per giornali, tv e presentazioni di libri, scortato come un magistrato, ed esaltato come una star dopo avere deciso di rompere, nei modi e per ragioni ancora tutte da chiarire, l'omerta' paterna. Una sovraesposizione che non inficia, pero’, la credibilita’ delle sue dichiarazioni confermate da perizie e riscontri.

In realta' crocifiggendo Ingroia ai giochi di prestigio di Massimo Ciancimino la maggioranza raccolta attorno al premier cerca di raggiungere tre obbiettivi: 1) tenta di gettare il bambino (le indagini riscontrate sulla trattativa, che per il sociologo Arlacchi e' solo ''una favoletta mediatico-giudiziaria'') con l'acqua sporca delle parole inquinanti del teste 2) delegittima il magistrato (e la Procura) che oggi (insieme a quelle di Firenze e di Caltanissetta) si sta avvicinando, grazie anche alle parole di collaboratori vecchi e nuovi, ai segreti dell'origine della fortuna finanziaria (e della conseguente discesa politica) di Silvio Berlusconi. 3) sferra una nuova, violenta, offensiva contro la magistratura, dopo i manifesti sulle Br in procura, individuata, attraverso Ingroia, da Giuliano Ferrara addirittura come ''eversiva'' dell'ordine costituzionale, tradendo uno spirito da resa dei conti lontano anni luce dalla serenita' necessaria per riformare la Costituzione. Oggi Ingroia e' il 'simbolo-bersaglio' di un controllo di legalita' che oltrepassa le vicende di corruzione e tangenti che hanno segnato il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica e si aggira faticosamente in quel ''Labirinto degli Dei'', mirabilmente descritto dallo stesso magistrato nel suo ultimo libro, il labirinto di un'Italia profondamente mafiosizzata dove troppe domande attendono ancora risposte: come quella che lo stesso Ingroia non fece in tempo a rivolgere a palazzo Chigi al presidente Berlusconi (che si avvalse della facolta' di non rispondere), interrogato come indagato di reato connesso nel processo Dell'Utri, il 26 novembre del 2002: ‘’Presidente, ammesso che all’inizio non si sapesse nulla sul conto di Mangano, Cina’, e adesso Dell’Utri, che risultarono tutti poi collegati alla mafia, le chiedo: perche’ non se ne libero’ subito? Perche’ per tanti anni se li e’ tenuti accanto? Le servirono a qualcosa?’’.


http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=222



Piccolo grande caso diplomatico Ora anche la Georgia snobba Silvio.




C’è un caso diplomatico, rimasto fino ad ora riservato, che spiega bene, alla vigilia dell’incontro bilaterale di oggi tra Berlusconi e Sarkozy, quale sia il livello di autorevolezza del Cavaliere sul piano internazionale.

Si tratta di un episodio accaduto la scorsa settimana, in occasione della visita in Italia di Nikoloz Gilauri, primo ministro della Repubblica di Georgia.

Certo non un paese del G20, ma non per questo trascurabile vista l’importanza strategica di uno Stato incastonato nella delicatissimo teatro caucasico.

Fu proprio il nostro premier, almeno questo lui dice, ad evitare che le tensioni tra Tiblisi e Mosca sfociassero, nell’estate del 2008, in guerra aperta.

E anche allora si trovò di fronte il presidente francese accanto ai georgiani, secondo uno schema che li vedeva contrapposti alla coppia Berlusconi-Putin.

Sulla base di quegli accadimenti, secondo quanto riportato da wikileaks in merito alle relazioni dell’ambasciatore Usa a Roma, il governo di Tiblisi si formò la convinzione che Putin avesse promesso a Berlusconi una percentuale di profitto da ogni gasdotto sviluppato dall’Eni insieme a Gazprom.

Per tutta questa serie di motivi la visita del primo ministro georgiano in Italia rappresentava un appuntamento importante per ribadire i sentimenti di amicizia nei confronti dello stato caucasico, tanto più se le intenzioni di Palazzo Chigi fossero state quelle di sdrammatizzare il rapporto, più che stretto asfissiante, con Putin.

E invece a far saltare il tutto ci ha pensato proprio il giovane premier georgiano che, alla vigilia dell'arrivo a Roma, ha espressamente chiesto di non incontrare Berlusconi.

Un no che avrebbe assunto i connotati dell’incidente diplomatico se non ci fosse stato l’incontro con il sottosegretario Letta, oltre a quelli con il presidente della Camera Fini e col segretario del Pd Bersani.

Ma per il Cavaliere rimane l’onta di essere stato snobbato dal collega georgiano. Sperando che resti un caso isolato.







lunedì 25 aprile 2011

Ciancimino contro Ciancimino - Marco Travaglio


Usa, nuove rivelazioni di Wikileaks "A Guantanamo vecchi e ragazzini".


L'organizzazione di Julian Assange distribuisce ad alcuni giornali centinaia di documenti sul carcere Usa nell'isola di Cuba. Rivelazioni sul rifugio di Bin Laden. Un orologio segno di riconoscimento dei terroristi

ROMA - Fanno scalpore le nuove rivelazioni di Wikileaks1. Stavolta i file consegnati dal sito di Julian Assange alWashington Post ed ad altri giornali americani ed europei, riguardano la lotta al terrorismo, i detenuti di Guantanamo e i rifugi dei leader di al Qaeda, Osama bin Laden e il suo vice egiziano Ayman al Zawahiri, subito dopo gli attentati dell'11 settembre.

Guantanamo. Wikileaks rivela i file segreti degli oltre 700 detenuti rinchiusi dal 2002 ad oggi a Guantanamo, nel campo di prigionia istituito da George Bush e tutt'ora in funzione con almeno i 172 detenuti ancora rinchiusi. Nelle migliaia di pagine vi sono scritte verità di violazioni dei diritti umani già condannate e criticate in questi 10 anni. Si parla di detenuti trasportati nel campo di prigionia a Cuba in gabbie, imprigionati per anni senza alcuna formale incriminazioni, sulla base di prove quanto mai labili o estratte con maltrattamenti quando non con torture vere e proprie.

Dai file emerge infatti l'ossessione del Pentagono e della Cia dei tempi di George Bush nell'estrarre il massimo di informazioni dai fermati, anche con l'utilizzo di quei "metodi di interrogatorio" autorizzati dallo stesso presidente. E testimoniano come tra i detenuti vi sia stato un afgano di 89 anni, fermato e trasferito a Guantanamo per "numeri di telefono sospetti" trovati a casa sua. E un ragazzo di 14 anni trasferito solo
er "la possibilità che conoscesse i leader talebani locali". Non solo. Secondo Assange gli Stati Uniti rinchiusero per anni soggetti innocui o poco pericolosi e scarcerarono 200 terroristi "ad alto rischio".

Bin Laden.
Quattro giorni dopo gli attentati a New York e Washington, Bin Laden si recò in una guesthouse nella provincia di Kandahar e incitò i combattenti arabi riuniti a "difendere l'Afghanistan dagli invasori stranieri" e di "combattere in nome di Allah". Da allora Bin Laden e Zawahiri si spostarono in macchina da posto all'altro dell'Afghanistan e il leader terreorista delegò il controllo dell'organizzazione al Consiglio della Shura, forse nel timore di essere presto catturato o ucciso dalle forze Usa. A un certo punto Bin Laden si rifugiò in una località segreta nei pressi di Kabul. Ma non così tanto segreta da impedire un flusso continuo di visitatori, tutti esponenti dell'organizzazione a cui ha dato ordini su come procedere lo scontro, facendo ritirare tutti i combattenti dai campi di addestramento e spostando le donne e i bambini in Pakistan. Nascosto, sì, ma ancora alla guida dei suoi uomini. Lo testimoniano i continui incontri con i fedelissimi. Il 25 novembre Bin Laden parlò ai leader e i combattenti, dicendo loro di "rimanere forti nell'impegno di combattere, obbedire ai leader, aiutare i talebani e di non commettere l'errore di andarsene senza aver concluso la battaglia".

L'orologio come segno di riconoscimento.
Secondo l'intelligence americana che ha pilotato i trasferimenti di sospetti terroristi a Guantanamo, un orologio Casio, modello F-91W da cinque euro, poteva essere "il segno" di appartenenza ad al Qaeda. "Un terzo dei detenuti catturati con questo modello al polso avevano collegamenti con esplosivi, o perché avevano fatto corsi, o perché collegati a luoghi dove venivano costruite bombe o per aver avuto rapporti con persone identificate come esperti di esplosivi", si legge nel documento. Oltre 50 dossier su singoli detenuti del pacchetto Wikileaks su Guantanamo fanno riferimento al Casio.


25 aprile, fischi per La Russa.



Alle celebrazioni per la festa della Liberazione a Roma, davanti all’Altare della Patria, quando il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha preso la parola, da piazza Venezia sono piovuti fischi e “buu” al suo indirizzo.
Video di Nello Trocchia



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