giovedì 29 settembre 2011

Reintegro di Tiziana Ferrario Minzolini indagato per abuso d’ufficio.


Nonostanze due ordinanze del tribunale del lavoro che hanno riconosciuto "i motivi di discriminazione politica" alla base della rimozione della giornalista dal suo ruolo di conduttrice e inviata, il direttore del Tg1 non ottempera alle richieste dei giudici e per questo dovrà rispondere alla Procura di Roma.

Il direttore del Tg1 Augusto Minzolini
Abuso d’ufficio e mancato adempimento di un’ordinanza del giudice del lavoro. Questi i due capi d’accusa cui il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, dovrà rispondere alla procura di Roma. Al centro la vicenda della giornalista Tiziana Ferrario, rimossa dal suo ruolo di conduttrice e inviata speciale per gli esteri perché non ‘fedele’ alla nuova linea editoriale dell’ex giornalista della Stampa.

Si spiegherebbe così, quindi, la ‘visita’ odierna di alcuni militari delle Fiamme gialle, che stamane si sono presentati nella sede Rai di Saxa Rubra, precisamente nell’ufficio del direttore, per acquisire ordini di servizio e altri documenti relativi alla vertenza promossa da Tiziana Ferrario dopo essere stata rimossa dai suoi incarichi.

Già il 15 settembre scorso, secondo quanto riportato dal sito Globalist.it, i finanzieri erano andati nell’ufficio del direttore del Tg1. In quell’occasione, Minzolini smentì l’indiscrezione: “Qualche imbecille si diverte a diffondere notizie totalmente infondate – disse – . Da me questa mattina non è venuto nessuno, eppure sono inondato di telefonate. Spererei che di questi millantatori se ne occupasse chi di dovere”. L’ex cronista parlamentare de La Stampa, per la cronaca, è indagato sempre dalla procura di Roma anche per peculato per aver speso – come rivelato dal Fatto Quotidiano – 68mila euro in 15 mesi con la carta di credito aziendale (leggi). Gli accertamenti in questo caso sono finiti e per il giornalista si profila ora una richiesta di rinvio a giudizio.

Insomma, per il direttore del Tg1 si apre un nuovo fronte giudiziario legato all’epurazione di Tiziana Ferrario. Ben due ordinanze del giudice del Lavoro hanno riconosciuto – a dicembre 2010 e a marzo di quest’anno -  le ragioni politiche della rimozione della giornalista: “Si ravvisa una grave lesione della sua professionalità per motivi di discriminazione politica a seguito dell’opposizione della stessa giornalista alla linea editoriale del direttore Augusto Minzolini”, scriveva nella prima sentenza il giudice Marocco. Secondo il magistrato, “i provvedimenti che hanno riguardato la Ferrario sono stati adottati in contiguità temporale con la manifestazione, da parte della lavoratrice, del dissenso alla linea editoriale impressa al telegiornale dal nuovo direttore. Con l’adesione da parte sua alla protesta sollevata dal Cdr e diretta a far applicare nel tg i principi di completezza e pluralismo nell’informazione. E, infine, con la mancata sottoscrizione da parte della stessa del documento di censura al Cdr il 4 marzo scorso”. Questi provvedimenti, si leggeva nella motivazione , “sono stati antitetici rispetto a quelli adottati nei confronti dei colleghi di redazione che non avevano posto in essere le suddette condotte”. In particolare, “in merito alla rimozione dell’incarico di conduzione del Tg1, dichiaratamente collegata dal direttore del telegiornale all’intento di ringiovanire i volti del tg, risulta in atti che identica decisione non ha coinvolto due giornalisti in sostanza coetanei della ricorrente (Petruni Romita), i quali, di contro, avevano sottoscritto il documento 4 marzo 2010 di sostegno alla linea editoriale”.

Di qui la denuncia penale per mancata applicazione di quella sentenza, al di là della promozione a caporedattore per gli speciali della mattina. Alberto Caperna, il magistrato titolare dell’inchiesta, ha quindi disposto l’acquisizione di documenti relativi alla vicenda. Una prima “visita” delle Fiamme gialle negli uffici di viale Mazzini, inoltre, non avrebbe avuto esito; di qui la decisione di verificare negli uffici di Saxa Rubra l’esistenza e l’acquisizione della documentazione necessaria all’esame del caso.

Il diretto interessato, tuttavia, si dice assolutamente tranquillo: “L’inchiesta riguarda l’azienda e non il direttore. Rispetto al clamore suscitato, questa vicenda è una boiata pazzesca”, ha detto Augusto Minzolini. “No comment”, invece, da parte del presidente Rai Paolo Garimberti. Diversa la presa di posizione del consigliere d’amministrazione della Rai, Giorgio van Straten. “Ho pieno rispetto della magistratura, ma non spetta a me commentare la visita della Guardia di Finanza negli uffici del direttore del Tg1″ dice van Straten, rilasciando poi un commento “aziendale”: “Non ci si comporta così nei confronti dei professionisti – precisa il consigliere Rai – e Ferrario è un’ottima professionista. Resto dell’idea che la sua rimozione non era originata da ragioni editoriali, ma da motivazioni ‘altre’. Lei fu reintegrata da una sentenza che non è stata mai onorata. Io non ho mai rivisto Tiziana Ferrario in video”.

Rincara abbondantemente la dose, invece, l’Italia dei Lavori. Secondo il portavoce del partito, Leoluca Orlando, “Minzolini continua ad essere una grave anomalia del servizio pubblico. Il Tg1 non fa più informazione da quando c’è il direttorissimo – ha detto Orlando – . Il telegiornale perde continuamente ascolti e ci chiediamo perchè il direttore generale non lo rimuove prima che la sua presenza getti ulteriore discredito sull’azienda più di quanto non abbia già fatto?” Orlando, in seguito, attacca anche il direttore generale Lorenza Lei che “ha contribuito a far cancellare dai palinsesti trasmissioni di successo come AnnozeroParla con me e Vieni via con me e si ostina inspiegabilmente a tenere Minzolini”. Il portavoce dell’Idv, infine, ribadendo che il suo partito è “l’unica forza politica presente in Parlamento a non aver accettato poltrone nel cda Rai”, chiede a tutti i partiti “di fare un passo indietro e di restituire la Rai ai cittadini e alla libera informazione, approvando una legge sul conflitto d’interessi”.

Dalla parte di Minzolini si schiera il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, secondo cui “le sproporzionate iniziative giudiziarie nei confronti del direttore del Tg1 costituiscono un’emblematica conferma dell’anomalia italiana che si rifiuta di riconoscere solo coloro che se ne avvantaggiano o ne hanno paura”. Il ministro poi rincara la dose, aggiungendo che a suo avviso “è preoccupante il fatto che ne sia oggetto uno dei pochi giornalisti fuori dal coro. Diffusamente la giustizia in Italia non appare nè cieca, nè sobria, nè chirurgica, nè tempestiva. In questo contesto troppi, anche nelle organizzazioni della rappresentanza, tacciono o parlano solo in termini opportunistici”.

Contattata da IlFattoQuotidiano.itTiziana Ferrario giudica “assolutamente plausibile” che la visita della Guardia di finanza nell’ufficio del direttore del Tg1 sia motivata da eventuali accertamenti sulla causa da lei intentata all’azienda. “Il magistrato a cui è stata affidata la mia denuncia ha a disposizione vari strumenti di indagine e tra questi figura certamente anche il ricorso alle Fiamme gialle – ha detto la giornalista del Tg1 -. Non mi sembra nulla di strano. Detto ciò, non so nulla di più anche perché non sono in redazione”. Sulla denuncia penale presentata dai suoli legali dopo quella in sede civile al Tribunale del lavoro, Tiziana Ferrario usa parole nette: “Non è una decisione che ho preso a cuor leggero – ha detto la cronista -, ma poiché non sono state applicate ben due ordinanze del tribunale civile a mio favore, nelle quali si chiedeva il mio reintegro, sono stata costretta a fare una denuncia penale per far valere i miei diritti. Attendo fiduciosa che la magistratura svolga il suo ruolo”.


Ecco le condizioni imposte dall’Europa al governo per la manovra di Ferragosto.



Una lettera chiarissima, ultimativa, praticamente un diktat. La Bce (doppia firma di Jean Claude Trichet e Mario Draghi) ha indicato lo scorso 5 agosto al Governo italiano le cose da fare “con decreto legge e con ratifica parlamentare entro la fine di settembre 2011″. Il Governo Berlusconi ha risposto sì, recependo con il decreto legge di agosto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 16 settembre, molte delle indicazioni provenienti da Francoforte.

Ecco, in sintesi (la lettera è pubblicata integralmente dal Corriere della Sera), le richieste della Bce del 5 agosto scorso “per ristabilire la fiducia degli investitori” nei titoli di Stato italiani:

1) Il pareggio di bilancio nel 2014 non è “sufficiente. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 ed un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa”

2) E’ possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigori i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settroe pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012

3) Andrebbe valutata una riduzione dei costi del pubblico impiego, “rafforzando le regole per il turn over e, se necessario, riducendo gli stipendi”

4) C’è l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e “rendendo questi accordi piu’ rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione”

5) Dovrebbe essere adottata “una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione ed il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione ed un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”

6) E’ necessaria la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. “Questo – prosegue la Bce nella lettera del 5 agosto a Berlusconi – dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala

7) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi del deficit sara’ compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali

8) Andrebbero messi “sotto stretto controllo” l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo

9) Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio

10) Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione)

11) C’e’ l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le province)

12) Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali. Trichet e Draghi concludono così la lettera a Berlusconi: “Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate”.

Con la migliore considerazione

Jean Claude Trichet e Mario Draghi



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/29/ecco-le-condizioni-imposte-dalleuropa-al-governo-per-la-manovra-di-ferragosto/160779/

Alma Mater, il rettore Dionigi: “Nel 2012 mancheranno anche i soldi per gli stipendi”




Secondo Dionigi verrebbero a mancare, in tutta Italia, qualcosa come 300 milioni di euro: "A quel punto l'intero sistema è a grave rischio. Anche per quello che riguarda i salari"
Anche l’Università italiana fa i conti con i tagli decisi dal governo. E le prospettive, calcolatrice alla mano, sono nere. Anzi nerissime. Perché nel 2012 potrebbero mancare addirittura i soldi per coprire i costi degli stipendi. L’allarme è stato lanciato dal rettore Ivano Dionigi e riportato dall’agenzia di stampa Dire: “Siamo all’insostenibilità del sistema. Nel 2012 il totale del Fondo di finanziamento ordinario sarà inferiore alla somma degli stipendi”.

Nel 2011 il Fondo di finanziamento ordinario, la principale fonte di finanziamento statale delle università, sarà tagliato a livello nazionale del 3,75%, e del 5,5% nell’anno successivo. In altre parole, il Fondo passerà da 6,9 a 6,5 miliardi, con il rischio di non riuscire a coprire il costo degli stipendi dei dipendenti.

Secondo i calcoli di Dionigi verranno a mancare in totale circa 300 milioni di euro. Una sforbiciata che mette a repentaglio il funzionamento dell’intera macchina accademica, con “danni incalcolabili” per gli studenti. “Il tema è radicale – ha spiegato il rettore di Bologna – perché se paghi solo gli stipendi, tagliando corsi e ricerca, allora diventi un ente inutile. Questo è il quadro, non su cui piangere ma da conoscere”. Dunque, le università si troverebbero di fronte a un’amara scelta: o gli stipendi o la ricerca. E il timore del rettore è che, optando per la prima, gli atenei perdano la loro ragione di esistere.

Nel 2011, ha specificato ancora Dionigi, la quota premiale destinata agli atenei virtuosi è aumentata, passando dal 10% al 12%. Mentre per le università con i conti in rosso il Ministero ha deciso di non tagliare oltre il 5%, per evitare di “metterle in crisi”.

Come da previsioni nel 2011, per l’Ateneo di Bologna, la riduzione del fondo di finanziamento ordinario dovrebbe aggirarsi intorno al 3,7%, ossia 15 milioni di euro in meno. Un taglio “già previsto”, ha assicurato però Dionigi, che per ora non dovrebbe minacciare gli stipendi del personale dell’Alma Mater.

g.z. 


mercoledì 28 settembre 2011

La rivincita di Luigi de Magistris. In Cassazione rivive l’inchiesta Why Not. - di Rita Di Giovacchino




Il presidente della Suprema Corte, Giovanni De Roberto, ha annullato la decisione del gup di Catanzaro e rinviato gli atti ad altro giudice per un nuovo giudizio. Riconosciuta l'esistenza dell'associazione per delinquere di cui facevano parte politici, amministratori e imprenditori.

Il sindaco di Napoli ed ex pm Luigi De Magistris
Il sindaco di Napoli ha altri problemi per la testa, ma può dirsi davvero soddisfatto perché sia pure con ritardo la giustizia gli ha dato ragione. Pochi giorni fa, il 21 settembre, è stata depositata presso la cancelleria della Cassazione una sentenza che annulla la decisione del gup di Catanzaro Abigail Mellace e rinvia gli atti ad altro giudice del tribunale di Catanzaro per un nuovo giudizio.

Non parliamo di una sentenza qualunque, madell’inchiesta Why Not, la madre di tutte le inchieste che a dire, non soltanto di de Magistris, aveva sollevato il velo sul “comitato di affari” che dominava la città. Ma soprattutto su un intreccio di politico-affaristico, con contorno di ambienti massonici e servizi deviati, che ha precorso inchieste come la P3 e P4 di Roma e Napoli. Basti dire che nella prima fase dell’indagine compariva anche Luigi Bisignani, quale rappresentante della Ilte spa. L’inchiesta culminò il 18 giugno 2007 con 26 perquisizioni. Anche nello studio di Pietro Scarpellini, consulente “non pagato” della Presidenza del Consiglio.

Un ruolo centrale nella vicenda lo svolgeva l’imprenditore Antonio Saladino, presidente della Compagnia delle Opere della Calabria, uno che telefonava molto. Dai tabulati, ricostruiti daGioacchino Genchi, risultò in contatto perfino con Romano Prodi (estraneo all’inchiesta). De Magistris fu accusato di aver speso 9 milioni in intercettazioni telefoniche, agli atti non ce n’era neppure una. Frequenti però i contatti tra il ministro della Giustizia Clemente Mastella e Saladino: il Guardasigilli reagì chiedendo il trasferimento del pm e del capo della ProcuraLombardi. Alla fine furono in due a doversi dimettere: De Magistris, costretto ad abbandonare l’indagine e poi la magistratura, ma anche Mastella, la cui decisione provocò la fine anticipata del governo Prodi.

Un terremoto politico-giudiziario, che oggi il presidente della Suprema Corte Giovanni De Roberto, rilegge in maniera totalmente diversa, riconoscendo l’esistenza di quell’associazione per delinquere, fortemente sostenuta da de Magistris e negata dal gup Mellace, di cui facevano parte politici, amministratori e imprenditori. Tra questi gli assessori Ennio Morrione Nicola Adamodel Pd. Sosteneva il gup che le condotte illecite “sono state poste in essere con l’accordo di pubblici funzionari, ma in virtù di singole intese”.Una sentenza che fece gridare al “flop investigativo” di de Magistris. Il presidente De Roberto capovolge l’assunto:  ”La ritenuta mancanza di ogni accordo o vincolo tra gli imputati “soggetti pubblici” non può portare alla negazione dell’esistenza dell’associazione, il legame associativo non va ricercato solo tra tali soggetti, ma tra questi, singolarmente considerati, e i rappresentanti delle società facenti capo al Saladino o ai suoi collaboratori”.

Può sembrare strano che il terremoto di Why Not, con le laceranti guerre tra le procure di Potenza, Salerno, Catanzaro e le sofferte decisioni del Csm, sia dovuto a un’inchiesta che si è conclusa con sole otto condanne. In realtà gli indagati erano 150, i rinviati a giudizio 34. Fu il procuratore generale di Catanzaro, Dolcino Favi, a decapitare Why Not avocando a sé per presunta incompatibilità l’inchiesta. Il processo è ancora in corso. Dice oggi il sindaco di Napoli, raggiunto telefonicamente da Il Fatto Quotidiano: “La decisione della Cassazione ribalta la sentenza del gup sulla parte dell’inchiesta che ero riuscito a preservare dopo l’avocazione illegittima per la quale è ancora in corso un procedimento giudiziario”. Per De Magistris è stata una pagina amara: “La mia vita è cambiata, ma voglio ricordare il prezzo pagato dai colleghi di Salerno, i pm Gabriella Nuzzi,Dionigio Versani e dal procuratore Apicella“. E poi l’ultimo affondo: “Sarebbe bene che si levasse qualche voce di autocritica per quei comportamenti omissivi e censori del Csm, ma anche dall’Associazione nazionale magistrati”. Lui oggi non è più pm, ma il processo riparte.

da Il Fatto Quotidiano del 28 settembre 2011


Il latitante Lavitola in tv: “Ho anticipato per Berlusconi i 500mila euro a Tarantini”




“Sono innocente e lo si legge dalle carte del Riesame di Napoli”. “Non mi sono mai impossessato dei soldi che il presidente aveva dato a Tarantini”. “C’è una telefonata non intercettata o non trascritta che mi scagiona dall’accusa di aver ricattato il premier”. “Non ho dato nessuna scheda telefonica peruviana a Berlusconi”. Valter Lavitola non aveva mai parlato prima: silenzio e latitanza. Ora è uscito dall’ombra: è andato in tv e ha dato la sua versione dei fatti, collegandosi in diretta televisiva da Panama con Bersaglio Mobile, il nuovo talk show di Enrico Mentana. In studio e in collegamento, il vicedirettore del Fatto Marco Travaglio, il cronista giudiziario del quotidiano Marco LilloCarlo Bonini di Repubblica e Corrado Formigli, conduttore di Piazza Pulita. Da Panama (o da un’altra località sconosciuta), il latitante Valter Lavitola. Domande e risposte. Secche.

“UNA TELEFONATA MI SCAGIONA” – Il primo colpo lo ha battuto Mentana, che ha chiesto qual è la sua posizione sulla vicenda del presunto ricatto. Secondo il faccendiere ci sarebbe una telefonata con Silvio Berlusconi che lo scagionerebbe dall’accusa di essersi appropriato indebitamente di parte dei 500mila euro fatti avere dal premier perché li consegnasse a Tarantini. “La mia telefonata – ha detto l’ex direttore de L’Avanti! – è stata fatta dalla stessa utenza argentina usata con Tarantini ma non c’è traccia di questa intercettazione. Perchè?”.

“TARANTINI? UN PO’ FESSO” – Travaglio ha chiesto perché, visto che si dichiara innocente, ha detto a Tarantini di “costringere con le spalle al muro” il presidente del Consiglio. Lavitola prima ha letto direttamente l’ordinanza del Riesame, ma poi, pressato da Travaglio, ha aggiunto: “Tarantini è uno scapestrato e non un criminale, anche un po’ fesso. I Tarantini non avevano il senso della realtà, erano solo ragazzi sperperoni. Erano pressanti in maniera esasperante verso di me, aveva tre ossessioni: vedere il premier quanto più possibile, riuscire a far sì che un loro amico, Pino Settanni, potesse concretizzare l’ottenimento di un lavoro con una delle società collegate all’Eni e la necessità di ottenere soldi per le loro esigenze più disparate. Io dicevo a Nicla Tarantini: questa storia finirà e lo metterò con le spalle al muro perché a me non conveniva. In ginocchio? Era rivolta agli avvocati, ed è l’unica frase in 1200 atti che mi vede coinvolto nel discorso del patteggiamento”.

LA SCHEDA TELEFONICA DATA A B. – Sulla scheda peruviana data al premier, Lavitola ha risposto: “Io non ho fornito nessuna scheda telefonica peruviana, ho dato una scheda italiana al Presidente Berlusconi, comprata da un mio collaboratore peruviano. Ho dato la scheda per timore di essere intercettato non per i contenuti illegali della telefonata ma perchè parlavo di considerazioni riservate”. Rapporto stretto con Berlusconi si evince dalla telefonata con Berlusconi che fa parte dell’inchiesta di Pescara. Mentana la manda in onda e poi chiede: “Lei ha un rapporto quasi da consigliere con Berlusconi”? E Lavitola: “Ho poco da dire sulla telfonata. Sul ruolo, non sono mai riuscito dal ’94 ad ora a non avere mai un ruolo elettivo. sono riuscito, invece, dopo una gavetta lunghissima a far sì che il presidente mi concedesse di dire la mia su una serie di argomenti importanti, come si evince nella telefonata in questione. Sono un giornalista, gfaccio politica da 25 anni. Non sono un cretino: non vedo perché non avessi il diritto di dire la mia al presidente. Mi ero ritagliato un piccolo ruolo”.

“HO ANTICIPATO IO I 500MILA EURO PER TARANTINI” – Formigli chiede: “Perché soldi a Tarantini da lei tramite una banca uruguaiana?” E Lavitola: “Perché Berlusconi al momento non poteva per altri motivi e li ho dati io. Non ce la facevo più ad avere due, tre telefonate al giorno da Tarantini. Ecco perché il premier gli aveva dato questi soldi, solo per sviluppare una attività imprenditoriale. Per me era una liberazione quando Tarantini ha detto: ‘datemi questi soldi e non vi rompo più’. Ma come si fa a dare 500mila euro a Tarantini per far sviluppare un’attività all’estero? Io so cosa significa e i costi che comporta, perché in Sud America ho lavorato e lavoro bene. Ma lui consumava come una Ferrari”. Va in onda la telefonata con la segretaria del premier in cui si parla di soldi. Mentana chiede: “Di cosa si tratta?” E Lavitola: “Erano una parte del rimborso di una parte dei 500mila euro che avevo anticipato”. E Travaglio: “Qui c’è una cosa che fa passare Ghedini per uno sprovveduto, visto che si era attivato con B. per far riavere i soldi indietro da Tarantini. Possibile che Berlusconi si sia attivato per avere i soldi indietro da Tarantini se invece li aveva dati Lavitola?”. E Mentana: “E’strano che Lavitola dia 500mila tutti insieme e il premier in comode rate mensili?”. Lavitola risponde così: “Sono socialista, nel ’93-’94 ero nel partito, gran parte dei socialisti sono traghettati in Forza Italia, poi nel ’95 si iniziarono a fare una serie di riunioni e a Fiuggi l’ho incontrato la prima volta. Da allora in poi, in una srie di riunioni ho avuto modo di vederlo cercando di farmi apprezzare per fare il parlamentare. Non ci sono mai riuscito anche per colpa di Ghedini. E’ vero che ho minacciato di menarlo. Stasera ho fatto questa cosa perché non voglio fare un processo in tv, perché sia ben chiaro che ho un sacro terrore della magistratura e non voglio farli irritare in nessuna maniera. Ho una paura dannata. Sono latitante per alcuni errori, ma forse ho fatto been vedendo quello che è successo a Tarantini e alla moglie, che non doveva essere arrestata perché aveva dei bambini piccoli. Tutto contro la legge, nonostante la misura sia disposta da un gip donna. Io avrei fatto la stessa fine di Tarantini: due mesi di carcere e poi mi avrebbero rilasciato chiedendomi scusa perché non ho fatto nulla”.

LA MASSONERIA – Travaglio ha chiesto al faccendiere del suo rapporto con la massoneria. Lavitola ha risposto: “Mi sono iscritto alla massoneria quando avevo 18 anni in una loggia di Roma perchè mi sembrò, leggendo un libro, che fosse il miglior apprendimento per imparare a stare zitti. Non so se Berlusconi sia iscritto”.

QUAL E’ IL LAVORO DI LAVITOLA? – Bonini, poi, chiede nuovamente a Lavitola qual è il suo mestiere e perché il premier perde tempo con lui, che sta sempre in mezzo a tante, troppe storie, da Saint Lucia al caso Tarantini. Lavitola ha detto: “Sono qui stasera per non irritare i magistrati e voglio dimostrare di non essere l’uomo nero nè il faccendiere che mi dicono di essere. Voglio dimostrare chi sono, cosa faccio e perché risulto un personaggio scomodo. Sono determinato e non soffro di timori reverenziali nei confronti di nessuno, ecco perché sono inviso a molti collaboratori del premier. Sono un giornalista, facevo le riunioni di redazione al telefono. Mi prendete in giro dicendo che sono un filantropo? Non c’è nulla da scherzare. Ho aiutato i Tarantini perché me lo ha chiesto il presidente. Lo incontrai, parlammo di loro, dissi ‘perché non li aiutiamo’ e lui mi disse: ‘aiutali perché questi sono dei ragazzini’. Per quanto riguarda il fatto di essere un imprenditore ittico, è una sottolineatura strana, perché è il mio lavoro e basta.

I CORTIGIANI DI B. – Cosa so dei cortigiani del presidente a cui avrei dovuto fare il culo? Ricordo di cosa stiamo parlando. Vennero da me D’Avanzo e un altro di Repubblica e mi sfogai: c’è una querela che feci a Repubblica perché quelli erano solo sfoghi. Io non so nulla che possa consentire di far male a nessuno. Molti dei collaboratori del premier mi stanno antipatici, ma se sapessi qualcosa di compromettente su di loro non lo verrei certo a dire in tv”.

I RAPPORTI CON RAI, ENI, FINMECCANICA – Viene mandato in onda un servizio sulle tante attività imprenditoriali di Lavitola e sui suoi rapporti con le società di Stato. “Molte cose non vere. I soldi de L’Avanti! dirottati alla mia società brasiliana? Qualcuno dopo stasera mi può dire che sono completamente scemo? E allora come avrei potuto: se qualcuno di voi è in grado di dimostrare queste cessioni a società che non si occupano di stampa, beh, allora denunciatemi e querelatemi come ho già fatto io. Sarei un pazzo a fare una cosa del genere. Su Rai Trade? Chiesi un appuntamento un anno e mezzo fa per verificare se era possibile acquistare diritti tv da vendere nel mercato centro e su americano. Non ne valeva la pena e non si è fatto nulla. Finmeccanica? Ho conosciuto Pozzessere il 2,3 dicembre 2009. C’erano molte multinazionali, tra cui Finmeccanica. Ho subito una serie di ingiuste delusioni da Berlusconi, non sono mai stato eletto né mai nominato e sappiamo la lite con Ghedini. Lo scoop è che non essendo mai riuscito, nel 2010 chiesi di essere responsabile personale di Silvio in America Latina. Lui non mi disse né sì né no. Io dissi di essere messo alla prova durante un viaggio in america latina e lui mi disse sì per togliermi dalle scatole. Poi ci fu la storia delle ballerine di San Paolo e fu deciso che io non dovessi avere nessun incarico. Io qui non mi sto divertendo, non vedo mio figlio da tanto tempo né faccio il latitante per divertimento. Non voglio fare gossip con il discorso delle ballerine. Quando siamo arrivati a Panama, arrivo lì e mi rendo conto che non c’era nessuna chanche per le mie attività politiche. E mi resi conto che con Finmeccanica potevo trovare un lavoro.Ero in difficoltà e credevo che potesse essere un lavoro, Pozzessere stesso mi ha proposto una consulenza, per me una grande opportunità. Lui stesso ha detto di avermi fregato con un contratto di 30mila euro, cifra che gli proposi io perché credevo che fosse uno scherzo. Poi mi sono reso conto di quanti soldi potevo chiedere, viste le consulenze. C’è un’altra indagine in corso e non posso dire nulla. Il mio contratto stava scadendo e avevo chiesto un aumento a 70mila euro, ma mi hanno detto che non era possibile. Avevo scoperto un mondo in cui potevo mettere a frutto le mie competenze create negli anni grazie alle mie capacità. In molti anni sono entrato in contatto con imprenditori, politici e quant’altro”.

“IL SEGRETO DEL MIO SUCCESSO” – “Ma non tutti hanno le sue entrature” ha chiesto Mentana, che poi ha mandato in onda un servizio sugli stretti rapporti con i potenti sudamericani di Lavitola. “E’ difficile avere brutti rapporti con chi dona sei navi…Qual è il segreto del suo successo?” è stata la domanda di Marco Lillo, che poi ha citato un’intercettazione in cui parlano la moglie di Tarantini e Lavitola. La signora è arrabbiata perché il premier non si fa ricevere e Lavitola spiega che Gianpi non può avere più rapporti con il presidente perché a lui interessa solo la figa. Lillo ha chiesto se c’è una relazione tra queste frasi e il suo rapporto con il presidente del Consiglio. Lavitola ha risposto così: “Ci sono troppi omissis e bisogna contestualizzare le intercettazioni: le trascrizioni non sono attendibili perché sono parziali. Per la questione della figa, invece, qualcuno può pensare che a Berlusconi non piacciano? Per quanto riguarda il Castello di Tor Crescenza, fui io a suggerire al presidente di affittarlo, visto che doveva passare le vacanze estive e di passare l’estate lì. Mi chiese di andare con lui e mi chiese il mio parere sulla questione. Per quanto riguarda la questione delle navi, invece, bisogna finirla di dire cose inesatte: non ho regalato né fatto regalare nessuna nave. Era il frutto di un accordo bilaterale con l’Italia, Panama si impegnava nella lotta al narcotraffico in cambio di sei pattugliatori che stavano andando in disuso. Basta verificare: dai porti panamensi parte tantissima droga”.

I RAPPORTI CON PANAMA – Bonini torna sulla questione degli affari: “Come nascono i suoi rapporti col presidente panamense? Quali sono i suoi rapporti con Eni? Che ci faceva a Sofia il 24 agosto?” Lavitola ha risposto così: “A Sofia avevo appuntamento con dei fornitori di pesce, può testimoniarlo. Con eni nessun tipo di contatto e in alcune occasioni ho bluffato con i Tarantini perché ero ossessionato dalle loro richieste. Con Martinelli nessun rapporto speciale. E’ un signore con radici italiane ed è un magnate dell’industria agroalimentare che ho conosciuto per motivi lavorativi nell’ambito delle comunità italiane del sud e centro America”.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/28/la-verita-di-lavitola-dalla-latitanza-di-panama-in-diretta-televisiva/160653/comment-page-3/#comment-2463442

Respinta la sfiducia a Romano con 315 voti Di Pietro: “Voto di scambio, come tra mafiosi”




Il ministro delle politiche agricole: ''Quello che un tempo era l'ordine giudiziario ormai ha soverchiato il Parlamento e ne vuole condizionare le scelte”
Il ministro dell'Agricoltura Saverio Romano
“Non ci saranno sorprese”. Umberto Bossi lo aveva garantito: il voto su Saverio Romano è certo, sicura la “salvezza” per il ministro delle politiche agricole accusato di associazione esterna di stampo mafioso. E così è stato: la mozione di sfiducia è stata respinta con 315 voti, favorevoli 294. Polemiche sull’astensione dei Radicali, inattesa. Comunque il risultato era annunciato.

E bastava ascoltare l’intervento in aula di Romano per capire quanta il ministro era certo del risultato a suo favore. Quasi una sfida. Tanto da attaccare la magistratura, sostenendo che “vuole sostituirsi al Parlamento”, e da definire “odiosa” la mozione di sfiducia nei suoi confronti. Ma l’autodifesa è arrivata soltanto dopo i messaggi di solidarietà ricevuti dalla maggioranza. In particolar modo della Lega. Bossi, entrando a Montecitorio, ha sostenuto che Romano “bisogna giudicarlo come ministro. Un magistrato voleva assolverlo – conclude – poi è stato rinviato a giudizio, sono beghe tra magistrati”. La posizione della Lega era già stata annunciata dal ministro dell’Interno giorni fa, suscitando numerose polemiche. Ma Roberto Maroni era stato chiarissimo: “No alla sfiducia”. Tutt’altra linea dunque rispetto al voto espresso su Alfonso Papa, quando il Carroccio votò per aprire al deputato le porte di Poggio Reale. La posizione è dunque cambiata. E Romano ha apprezzato il gesto, tanto da ringraziare Roberto Calderoli in aula, poco prima del voto. I due hanno avuto un breve colloquio, tra sorrisi e cordiali strette di mano. Ma se di sorprese non ne arriveranno dalla Lega, potrebbero regalarle i cattolici della maggioranza, capitanati dall’ormai frondista Beppe Pisanu, presidente della commissione antimafia, fortemente critico con l’esecutivo.

Come l’opposizione, ovviamente. Secondo Antonio Di Pietro “alla Camera, su Romano, ci si sta preparando ad un voto di scambio, così come si fa tra i mafiosi. Lui resta al governo e loro in cambio restano attaccati alle loro poltrone. Questa la chiamo collusione”, ha detto il leader dell’Idv. “Evidentemente – aggiunge – i consigli comunali o regionali si possono sciogliere per mafia, il consiglio dei ministri, no”. E durante il suo intervento Di Pietro definisce “codardo” il ministro Maroni perché assente in aula. Per il Partito Democratico è intervenuto Antonello Soro. “Oggi chiediamo di allontanare l’ombra della mafia dal governo della nostra Repubblica. Per questo voteremo a favore della mozione di sfiducia sul ministro Romano”, ha detto.

Futuro e Libertà ha attaccato in aula a Montecitorio il governo con la satira. Non sua, però, dal momento che il copyright è del vignettista Vauro che oggi su Il Fatto Quotidiano ha prodotto una mega vignetta, una parodia del Quarto Stato del pittore Pellizza da Volpedo, adattandone, per così dire, il nome all’attualità politico-scandalistica di queste settimane, in Patonza da Volpedo. Titolo della vignetta: “Il porno stato”. E i deputati di Fli si fanno sentire quando in aula intervieneSilvano Moffa, ex futurista passato ai Responsabili, a cui gridano “venduto”. Ma i momenti di tensione, le grida, i cori sono stati numerosi.
A difesa della maggioranza è intervenuto Sandro Bondi. L’ex ministro alla Cultura, da tempo in silenzio, ha ritrovato il verbo per difendere il collega Romano. “Sono solidale con il ministro Saverio Romano che soffre le conseguenze di una giustizia malata e di una politica che ha completamente smarrito quel confronto duro ma rispettoso della dignita’ delle persone che in passato aveva mantenuto. Solo chi ha subito questo trattamento può comprendere l’amarezza e la delusione verso questa degradazione della politica”, ha detto Bondi.

Romano è poi intervenuto in aula. “L’ordine giudiziario ha soverchiato il Parlamento e ne vuole condizionare le scelte”, ha detto il ministro delle politiche agricole tentando di sminuire le inchieste a suo carico come “le storie dei soliti pentiti”. Il Parlamento, ha aggiunto, ha perso la sua centralità a vantaggio di altri poteri, come quello mediatico. “Io infatti sono stato oggetto di una campagna di aggressione che non auguro a nessuno. Piena, oltretutto, di grossolane inesattezze. In questi mesi mi è stato tolto l’onore, perché i processi sono stati trasferiti in aule improprie, nelle piazze e in Parlamento”, ha detto. “Può un provvedimento giudiziario istruttorio, quale che sia, incidere sulla tenuta di un governo senza che di quel provvedimento nessuno debba rispondere?”. Romano ha lamentato di essere stato tenuto “per anni sulla graticola” da un organo, la magistratura “che non ha nessuna responsabilità”. E comunque, ha aggiunto, la mozione di sfiducia chiesta nei suoi confronti è “odiosa”, ha detto. “Mi sarei aspettato un atto ispettivo”, per capire “come mai un uomo che svolge una funzione pubblica possa essere stato tenuto otto anni sulla graticola”.

Intanto all’esterno di Montecitorio una manifestazione del Popolo Viola e Articolo 21 invoca “Fuori la mafia dallo Stato”.  Alle 15.30 era prevista una catena umana, al momento posticipata. “La gente è a lavoro – Gianfranco Mascia, volto storico del Popolo Viola – e poi, diciamocelo chiaramente, è anche un po’ stufa di sbattere contro un muro di gomma eretto da istituzioni che non ascoltano i cittadini. Non ci sentiamo affatto rappresentati da un parlamento e da parlamentari – incalza Mascia, megafono alla mano – che difendono le poltrone piuttosto che gli interessi degli italiani”. Intanto i manifestanti sventolano cartelli di protesta: “Italiani ostaggio del Parlamento”, “Napolitano pensaci tu…”, “Ieri Milanese oggi Romano…” “superlavoro per i servi di Berlusconi”. Ma il più “bacchettato” nel sit-in davanti a Montecitorio appare il Carroccio: “Lega Nord mafia doc”, “Carroccio colluso”, si legge su alcuni dei tanti cartelli anti-Lega. “Se confermeranno la fiducia a Romano – annuncia Mascia – acquisteremo cannoli siciliani da offrire ai parlamentari che passeranno di qua”.


La via è la moral suasion. - di Valerio Onida.




È comprensibile che, di fronte al continuo processo di degrado della situazione politico-istituzionale del paese, e al pervicace rifiuto del Presidente del Consiglio di prenderne atto assumendo un’iniziativa risolutiva (le sue dimissioni), vi sia chi torna a invocare l’intervento del Presidente della Repubblica, diretto a sciogliere le Camere.
Tuttavia, occorre ancora una volta ricordare ai lettori che l’ordine costituzionale ha i suoi principi e le sue regole, che nessuno può pensare di violare.
Questi principi e queste regole ci dicono: primo, che lo scioglimento anticipato delle Camere non è un atto che rientri nel potere assolutamente discrezionale del capo dello Stato, ma è un provvedimento che questi può adottare solo con la controfirma (e quindi con l’assenso) del presidente del Consiglio; secondo, che il presupposto il quale legittima lo scioglimento è l’impossibilità di funzionamento del sistema perché non c’è più in Parlamento una maggioranza che sostenga con la sua fiducia il governo o sia in grado di esprimerne uno nuovo.
La necessità del primo presupposto, cioè dell’assenso sostanziale del presidente del Consiglio in carica, potrebbe essere superata solo nell’ipotesi estrema in cui quest’ultimo, di fronte a un voto parlamentare di sfiducia, rifiutasse di dimettersi, violando così la Costituzione. In mancanza di un voto di sfiducia, cosa potrebbe fare il capo dello Stato (intendo, più di quanto ha già fatto e sta facendo)? Solo esercitare una volta di più il suo “magistero di persuasione e di influenza”, invitando esplicitamente e motivatamente il Parlamento a verificare la permanenza o il venir meno del rapporto fiduciario nei confronti del governo in carica, tenuto conto di ciò che emerge nel paese: ma rischiando così, com’è evidente, di aprire un conflitto politico e istituzionale gravissimo e insanabile nel caso in cui la maggioranza , invece, confermasse la fiducia.
Non c’è, in democrazia, un “demiurgo” onnipotente: c’è un sistema che risponde a una logica precisa e che ha in sé, nonostante tutto, anticorpi anche contro le malattie più gravi: nella specie, questi anticorpi stanno oggi, soprattutto, nel residuo di consapevolezza, di autonomia e di ragionevolezza che non può non albergare nelle menti e nei cuori di molti, se non di tutti, i deputati e i senatori di quella che fino a ora è stata la maggioranza di governo.