lunedì 3 settembre 2012

Renzi, non votatelo! - Giorgio Bongiovanni


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L’altro giorno ad una domanda di un giornalista del Fatto Quotidiano che gli chiedeva un’opinione sulla costituzione del governo quale parte civile al processo sulla trattativa mafia-stato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi ha risposto di rivolgersi all’ufficio stampa perché lui era impegnato. Era allo stadio a guardare la Fiorentina.
Cioè, il primo cittadino di una delle città teatro di una delle peggiori stragi che la nostra già tragica storia ricordi, per altro al centro delle difficilissime indagini sulla trattativa, si permette di non rispondere ai giornalisti perché sta guardando una partita di calcio!!!!
Ecco Signori, questo sarebbe uno che ambisce a candidarsi alle primarie del primo o secondo partito di maggioranza del nostro Paese, uno che vorrebbe diventare Presidente del Consiglio, deputato alla Camera per mettere le mani sulla nostra Costituzione!!!
Meno male che non è il sindaco della mia città, Palermo, ma solo un ambizioso arrivista di quel Pd lontano anni luce dai valori e dagli ideali di coloro che lo fondarono.
Gente, non votate questo ibrido personaggio, uno spocchioso mocciosetto che cari amici fiorentini, avete proprio sbagliato a votare. Uno che invece di permettersi di sbattersene dei suoi concittadini che hanno perso la vita sull’altare dell’accordo politico-mafioso che ha generato le stragi, dovrebbe essere posto in stato d'accusa per gravi offese ai martiri di Firenze, Palermo e Milano e cacciato da quella splendida città che fu di Dante e di Savonarola.
Mi quereli pure, signor Renzi, andiamo in tribunale, sarò contento di farla vergognare davanti ai suoi concittadini per la sua ignoranza e bassezza morale.

Presto la verità sull'omicidio del Generale dalla Chiesa. - Giorgio Bongiovanni


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Trent'anni fa, il 3 settembre del 1982, a Palermo in via Isidoro Carini un commando di Cosa Nostra uccise a colpi di kalashnikov il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. 
Un omicidio di Stato, o meglio, dello Stato-mafia che chiese un favore a Cosa Nostra per conto dei potenti criminali che, allora come oggi, dominavano e dominano il nostro Paese. L'ho detto più volte in questi anni e ancora una volta lo ripeto, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, Falcone, Borsellino e altri martiri del nostro Paese, sono i veri padri della nostra Patria. Di seguito mi permetto di riproporre due articoli scritti in passato con il cuore e con l'anima, in suo onore, da parte mia e di tutta la giovane redazione di ANTIMAFIADuemila, formatasi anche con i suoi insegnamenti. 

Il Generale, padre della patria 
di Giorgio Bongiovanni
Il 3 settembre 1982 il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, la sua giovane moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo venivano trucidati da un commando di Cosa Nostra.
Sono passati 29 anni e mi chiedo: Cosa avrebbe potuto fare il Generale se non fosse stato trucidato? Se gli avessero dato quei poteri che gli avevano promesso e mai assegnato?
  
Penso che avrebbe stanato, uno ad uno, porta per porta, capi e gregari della mafia.
Li avrebbe trovati tutti, i latitanti, e avrebbe costretto i capi mafiosi a commettere passi falsi, per poterli catturare e arrestare. Avrebbe trovato tutte le prove da consegnare ai magistrati, a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli altri componenti del pool, per minare fin dalle fondamenta i rapporti tra la mafia e la politica.
L’era Andreotti sarebbe finita 10 anni prima e i vari Lima, Ciancimino e tutta la feccia della Dc sarebbe scomparsa dalla nostra isola.
Forse sarebbe riuscito pure ad evitare, indebolendo Cosa Nostra, le stragi Chinnici, Falcone, Borsellino e le altre… Avrebbe scovato quelle sette massoniche che ancora oggi imperversano in Sicilia e sicuramente avrebbe ripulito il marcio che si annida all’interno delle forze dell’ordine in Sicilia e i servizi segreti deviati legati ai boss.
Questo ed altro avrebbe fatto, il Generale, padre della patria e padre di tutti noi giovani diventati uomini anche grazie a lui.
Qualcuno delle entità di grosso potere economico religioso e politico ha chiesto il favore a Cosa Nostra come hanno confermato le voci interne all’organizzazione criminale.
Guttadauro: “Salvatore…ma tu partici dall’ottantadue, invece… ma chi cazzo se ne fotteva di ammazzare a Dalla Chiesa… andiamo parliamo chiaro…”.
Aragona: “E che perché glielo dovevamo fare qua questo favore… Ma perché noi dobbiamo sempre pagare le cose...”.
Guttadauro: “E perché glielo dovevamo fare questo favore...”
(Intercettazione nel salotto di casa del capo mandamento di Brancaccio Giuseppe Guttadauro mentre parla con un suo gregario Salvatore Aragona, 2001)
Chi lo ha chiesto questo favore?
Sicuramente qualcuno che oggi comanda l’Italia, che comanda nel mondo della finanza, della politica e anche delle forze dell’ordine.
Per il Generale dalla Chiesa, per la sua giovane bellissima moglie, per l’agente Domenico Russo, per loro daremo il nostro contributo per fare giustizia cercando la verità.
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Il mio ricordo del generale dalla Chiesa
di Giorgio Bongiovanni
Oggi, anniversario della morte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Quando fu ucciso, il 3 settembre del 1982, avevo 19 anni e vivevo nella mia terra, in Sicilia. Più precisamente vicino a Siracusa.
Il giorno successivo vidi sui giornali la foto del corpo del Generale e di quello di sua moglie, Emanuela Setti Carraro, trucidati dalla mafia e mi misi a piangere senza capirne il motivo.
Poiché in quel momento, in giovane età, di mafia non mi occupavo, immerso in tutt’altri interessi.
Quel nodo alla gola, quella tristezza tornarono uguali quando nel secondo anniversario della sua barbara uccisione, venne presentato il film del nostro amico regista Giuseppe Ferrara “Cento giorni a Palermo”, interpretato da Lino Ventura e Giuliana De Sio. Ricordo che di fronte allo sguardo sbigottito di mia moglie lanciai d’istinto gli occhiali contro la televisione mandandoli in mille pezzi.
Per i successivi vent’anni o quasi di mafia non mi sarei ancora occupato, impegnato nella mia vita spirituale e in opere sociali seguendo il messaggio del Cristo.
Il generale dalla Chiesa rimase però sempre dentro di me. E ricomparve con forza nel 2000, quando nel mio subconscio, nella mia coscienza, nel mio spirito lo percepii come il simbolo della giustizia, dell’integrità, della solidarietà, della profonda essenza dell’essere padre, dell’altissimo senso di dovere nei confronti della società, dei cittadini del proprio Paese.
Il generale dalla Chiesa è l’ispiratore della rivista ANTIMAFIADuemila.
Il suo sacrificio, la sua ingiusta morte e il suo insegnamento – insieme a quelli di Falcone e Borsellino e di tutte le vittime della mafia - hanno spinto il mio spirito a fondare questa rivista.
Nel mio ufficio è appeso un quadro di Falcone e Borsellino e alla sinistra della mia scrivania c’è la foto del generale dalla Chiesa. Un giorno i miei figli e i miei nipoti mi chiesero chi fosse quella persona, se la conoscevo, se era un mio amico. Risposi loro raccontando la storia che voi, cari lettori, avete letto sopra.
Il generale dalla Chiesa è stato ucciso da Cosa Nostra, la mafia siciliana, la più potente e la più conosciuta del mondo. Per la sua morte, quella di sua moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo sono stati condannati gli esecutori materiali, tutti appartenenti alla cosca corleonese di Riina e Provenzano.
Il generale è stato ucciso perché a Cosa Nostra è stato chiesto un favore da personaggi potenti che fanno parte della politica, dell’alta finanza, della massoneria deviata, dei servizi segreti, dei poteri forti.
Il senatore a vita Giulio Andreotti è a conoscenza di questi fatti, complice o omertoso.
Il generale è stato ucciso da personaggi sporchi che ancora oggi comandano e che spesso sono gli stessi che portano ghirlande di fiori in via Isidoro Carini, a Palermo, nel luogo in cui Carlo Alberto dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo hanno lasciato la vita.
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Schulz: "Futuro nell'entusiamo dei giovani"



Modena - (Adnkronos/Ign) - Il presidente del Parlamento europeo: "In Italia e Spagna livelli di disoccupazione giovanile inaccettabili". E necessario creare "opportunità" perché "se perdiamo un'intera generazione l'Europa non può avere futuro".

Modena, 3 set. - (Adnkronos/Ign) - "L'Europa avrà un futuro se sapremo trasmettere entusiasmo ai giovani''. Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz aprendo oggi a Modena la terza edizione della Summer School Renzo Imbeni dedicata al 'Futuro dell'Unione europea'.

"Abbiamo una generazione - ha spiegato Schulz - che ha la migliore istruzione e la migliore formazione, ma con livelli di disoccupazione altissimi, soprattutto in Italia e in Spagna e questo è un fatto inaccettabile". "A noi - ha aggiunto - tocca il compito di creare nuova occupazione e dare opportunità per il futuro rendendo l'Europa concorrenziale a livello mondiale".
Quanto alla crisi, "la distruzione dell'economia italiana, attaccata dalla speculazione internazionale, sarebbe un disastro per l'Europa" ha continuato il presidente Schulz, assicurando l'impegno a fare "tutto ciò che possa servire ad abbassare i tassi d'interesse" e a rivedere il rapporto tra Bce e Stati membri.
Tema, quello della disoccupazione, affrontato dal presidente dell'Europarlamento anche in un'intervista a Rainews. "Dobbiamo stabilizzare l'eurozona - ha esortato - L'altra crisi, dopo quella della fiducia, è quella dell'occupazione. La priorità delle istituzioni europee è lottare contro la disoccupazione giovanile, perché se perdiamo un'intera generazione l'Europa non può avere futuro".
L'iniziativa tenuta a battesimo da Schulz e che ha ottenuto l'Alto patronato del Presidente della Repubblica, ha l'obiettivo di offrire un'occasione di formazione avanzata a giovani laureati, proponendo loro un percorso di studio e approfondimento sull'Unione europea. La Summer School Renzo Imbeni, guidata dal direttore scientifico Marco Gestri, rappresenta inoltre un'occasione per il Comune di Modena per onorare la memoria di Renzo Imbeni, modenese, vicepresidente del Parlamento europeo dal 1994 al 2004.
Lo stesso Schulz ha precisato, infatti, di non essere presente solo in veste istituzionale, ma anche "perché grandissimo amico di Renzo Imbeni con il quale ho collaborato per anni". Dal presidente del Parlamento europeo, inoltre, è giunto un messaggio di "solidarietà per una terra che sta facendo di tutto per avviare la ricostruzione e limitare i danni al tessuto economico" dopo il sisma.
"Sono stato felice di sentire dal sindaco Pighi che molte imprese hanno deciso di rimanere qui" ha rimarcato, giudicando "importante limitare la partenza delle aziende". Oltre al Comune, la Summer School è promossa dall'Università di Modena e Reggio Emilia e dalla Fondazione Collegio San Carlo, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Economia/Schulz-Futuro-nellentusiamo-dei-giovani_313657704222.html

Non servono spiegazioni.



Equitalia invia una cartella esattoriale a un'orfana di 7 anni.

Equitalia invia una cartella esattoriale a un'orfana di 7 anni.

Il padre della bambina è morto in un incidente stradale nel 2008. Alla bambina, residente a Olbia, è stata inviata una cartella esattoriale da pagare del valore di 170 euro.

Ad una bambina di soli 7 anni, rimasta orfana, è arrivata a casa una cartella esattoriale di 170 euro da parte di Equitalia. Il curioso accaduto si è svolto ad Olbia. L'agenzia di riscossione ha notificato alla piccola, che “al centro del procedimento, c'è il mancato pagamento delle tasse sulla liquidazione versata dall'azienda per cui lavorava il padre“, secondo quanto riportato dal quotidiano l'Unione Sarda. L'uomo è deceduto in un incidente stradale nel mese di maggio 2008. Il Fisco, non potevo far affidamento sulla madre, si è diretto sulla bambina.
“Ho detto che non pago, se vogliono pignorino il triciclo della bimba”, queste le parole del nonno della piccola, il quale ha chiesto spiegazioni all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate di Olbia. Giuseppe Rossi, questo il nome dell'uomo, con molta rabbia ha dichiarato che non pagherà un centesimo della cartella esattoriale intestata alla nipote.

Parigi-Amsterdam: un tunnel ferroviario ad energia solare.


Mentre in Italia continuano le polemiche sullaTAV e sulla scelta delle risorse energetiche post nucleare, i Belgi segnano l’ennesimo punto a favore della sostenibilità energetica inaugurando la prima tratta ferroviaria in grado di produrre energia direttamente dal sole: un tunnel ferroviario lungo poco più di 3km sul tratto dell’alta velocità che collega Parigi ad Amsterdam.
Inizialmente pensato per proteggere gli alberi della secolare foresta che circonda la città belga di Anversa, in Belgio il tunnel è stato ricoperto di pannelli fotovoltaici e ha acquistato così un’ulteriore importanza dal punto di vista ambientale.
La Enfinity, società belga leader nel settore delle rinnovabili e impegnata nella realizzazione sul territorio francese di due tra le più grandi centrali fotovoltaiche mai realizzate in Europa, ha da poco installato l’ultimo dei quasi 16,000 pannelli fotovoltaici che ricoprono il tetto del tunnel, in grado di produrre approssimativamente 3.5MW di energia l’anno: quanto basta per alimentare tutti i treni del Belgio per un giorno dell’anno e fornire energia alla stessa stazione di Anversa.
Se da un lato l’impatto dell’intera opera può suscitare qualche perplessità (basta dare un’occhiata al video sotto per rendersi conto della sua imponenza) dall’altro l’idea di fondo è decisamente positiva: cercare di sfruttare al meglio tutte le superfici disponibili senza modificare ulteriormente la morfologia dell’ambiente naturale in cui ci si trova ad operare.
Laddove possibile, questo si traduce nello sfruttare tutto ciò che di antropico già esiste (i tetti delle abitazioni piuttosto che le strade o i ponti, etc.) evitando di andare a deturpare aree verdi e impattare sui paesaggi naturali.

AVVOCATO DEL DIAVOLO. - Guido Scorza



Favorita Mediaset, per controllare internet.


Il Parlamento si avvia a varare in tutta fretta – anche perché molti Senatori hanno fatto sapere che crisi o non crisi devono andare in ferie – la legge di conversione del Decreto Legge sui contributi all’editoria e sulla vendita dei giornali e dei periodici.

Inutile, purtroppo, ripetere quello che, ormai, si scrive quotidianamente: il ricorso massiccio ai decreti legge e la loro trasformazione da strumento di normazione urgente ed eccezionale a strumento di normazione ordinario e, anzi, prevalente, espropria il Parlamento del “potere legislativo” e lo rende una sorta di notaio dell’attività normativa svolta dal Governo.

Un Parlamento così, evidentemente, non serve e tanto varrebbe chiuderlo.

Considerazione tanto più vera quando, come in questo caso (n.d.r. ma, ormai, avviene sempre più di frequente) il Parlamento rinuncia “a fare le pulci al Governo” in sede di conversione in legge dei decreti – questo persino se le pulci sono elefanti – ed anzi sfrutta certe occasioni – non essendo più in grado di fare leggi di propria iniziativa – per inserire nei provvedimenti governativi disposizioni-regalo per questo o quell’amico o, comunque, previsioni oggetto di scarsa ponderazione e riflessione, in assenza di qualsiasi preventiva discussione.

È, sfortunatamente, quanto appena accaduto a Montecitorio dove il Senato ha proposto, la Camera dei Deputati accettato ed ora il Senato e pronto a ratificare di nuovo un minuscolo emendamento nella legge di conversione del decreto legge sull’editoria, attraverso il quale allo scopo – più o meno dichiarato – di rendere Google, Facebook e gli altri “demoni” degli editori più controllabili, si è, nella sostanza, autorizzata Mediaset ad allargarsi ancora di più ovvero ad aumentare, nel nostro Paese, la propria già ingombrante posizione – non solo per questioni di numeri – di leader del mercato editoriale.

Cominciamo dal principio perché l’ultimo regalo alle aziende del Cavaliere – sfortunatamente incartato in un emendamento bipartisan – è nascosto nelle pieghe di previsioni di natura tanto tecnica che la loro portata è completamente sfuggita alla più parte dei nostri parlamentari che, probabilmente, pur non comprendendone il senso, hanno lasciato correre, preoccupati di correre a godersi le ultime onorevoli vacanze prima della fine della legislatura.

C’è una norma nell’attuale testo unico della fornitura dei servizi media audiovisivi (già glorioso testo unico della radiotelevisione) – il cui contenuto proviene addirittura dalla sciagurata legge Gasparri – che stabilisce che al fine di garantire il pluralismo dell’informazione, presupposto indefettibile perché la libertà di informazione sia qualcosa di più che una sequenza di macchie di inchiostro parcheggiate sotto il numero 21 nella nostra Costituzione (n.d.r. rischio in Italia elevato come in pochi altri Paesi al mondo), nessun produttore di contenuti – rilevanti, appunto, ai fini della misurazione del pluralismo – può superare talune quote di mercato calcolate in un “paniere” composto da una serie di voci di fatturato.

Tali voci di fatturato, sin qui, sono state rappresentate dai ricavi “derivanti dal finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo al netto dei diritti dell’erario, da pubblicità nazionale e locale anche in forma diretta, da televendite, da sponsorizzazioni, da attività di diffusione del prodotto realizzata al punto vendita con esclusione di azioni sui prezzi, da convenzioni con soggetti pubblici a carattere continuativo e da provvidenze pubbliche erogate direttamente ai soggetti esercenti le attività indicate all’articolo 2, comma 1, lettera l), da offerte televisive a pagamento, dagli abbonamenti e dalla vendita di quotidiani e periodici inclusi i prodotti librari e fonografici commercializzati in allegato, nonché dalle agenzie di stampa a carattere nazionale, dall’editoria elettronica e annuaristica anche per il tramite di internet e dalla utilizzazione delle opere cinematografiche nelle diverse forme di fruizione del pubblico”.

Ora, però, si è scelto di allargare il perimetro del paniere, facendovi rientrare anche i ricavi “da pubblicità online e sulle diverse piattaforme anche in forma diretta incluse le risorse raccolte da motori di ricerca, da piattaforme sociali e di condivisione”.

L’obiettivo perseguito è evidente: aumentare il controllo dello Stato attraverso l’Autorità Garante delle Comunicazioni – sulla cui indipendenza è sufficiente rinviare alla recente pagina buia della storia del Paese scritta in occasione della nomina dei suoi ultimi membri – sui giganti del web, sin qui, spesso accusati – specie dagli editori di giornali e televisione più blasonati – di muoversi al di fuori di ogni regola e di cannibalizzare il loro mercato.

Il punto, tuttavia, non è se l’obiettivo sia lecito o meno o se meriti o meno di essere perseguito (n.d.r. A voler fare l’avvocato del diavolo si potrebbe dire che anche un ricambio generazionale tra leader di mercato è un fatto democraticamente auspicabile ed apprezzabile).

Il punto è che lo strumento che si è scelto di utilizzare è inaccettabile nel metodo, sbagliato nel merito e drammaticamente pericoloso negli effetti che produce, effetti che, sfortunatamente, sono stati voluti da alcuni e sottovalutati da altri tra i Parlamentari che hanno proposto e poi dato il proprio voto ad una delle norme con le quali il Parlamento chiude il suo semestre di lavoro a servizio del Governo dei professori.

Andiamo con ordine.

Il metodo è inaccettabile perché una norma con un impatto tanto rilevante sul mercato dell’editoria ma, soprattutto, sul pluralismo dell’informazione in un Paese come il nostro a rischio libertà di informazione non si “infila” sul primo treno che passa, avendo cura di sottrarla al dibattito parlamentare – al contrario indispensabile – omettendo, persino, di raccontarla e spiegarla a colleghi di partito con poche chance di comprenderne portata ed effetti solo leggendone il testo.

Il merito è sbagliato perché Internet – anche a volere, per un attimo, personificare e dare un’anima imprenditoriale ad un mezzo di comunicazione con un’operazione concettuale da matita rossa alla scuola elementare – non è, evidentemente, un’azienda editoriale ma un “soggetto” – lo si scrive sempre nella consapevolezza dell’errore – multi cefalo tanto editore, quanto, compagnia telefonica o commerciante di non importa quale genere di prodotto.

Considerazioni analoghe – con la differenza che, in questo caso, è concettualmente legittimo personificarne almeno le società di gestione – valgono per i motori di ricerca e le piattaforme di social networking.

Non siamo davanti ad editori e non siamo davanti a soggetti in grado di darsi – e dare ai contenuti che pubblicano – una linea editoriale e/o di compiere una selezione dei contenuti.

Sono, dunque, soggetti, insuscettibili di incidere sul tema del pluralismo dell’informazione almeno sin tanto che non si arrivi ad ipotizzare – ma occorrerebbe poi provarlo e si potrebbe, a quel punto, agire a prescindere dal quadro normativo del quale stiamo discutendo – che l’algoritmo di Google e degli altri motori o, piuttosto, il software di gestione di una piattaforma da oltre venti milioni di produttori di contenuti solo nel nostro Paese come Facebook, siano “taroccati” in modo da filtrare e privilegiare informazioni pubblicate dagli utenti.

Eccolo l’errore di alcuni e l’astuzia di altri: contrabbandare i gestori dei motori di ricerca e delle piattaforme di social network come editori solo perché attraverso essi circolano milioni di contenuti di carattere informativo e solo perché su questi contenuti qualcuno ha costruito business milionari.

E veniamo ora all’effetto perverso e pericoloso – voluto da alcuni e sottovalutato da altri – prodotto con il varo della norma: se, come si è scelto di fare, si allarga il perimetro del paniere nel cui ambito si misura la formazione di eventuali posizioni dominanti suscettibili di ledere il pluralismo, si produce la conseguenza che anche i più grandi editori come Mediaset, appaiano più piccoli, perché, appunto, il loro fatturato viene misurato non più con riferimento al paniere dei loro veri concorrenti ma con quello al nuovo paniere comprendente anche i milioni e milioni di euro (n.d.r. si tratterà poi di capire come ed in che misura imputabili al mercato geografico italiano) fatturati dall’industria dell’intermediazione dei contenuti.

Il risultato è che Mediaset sarà libera di accaparrarsi – a norma di legge – quote di mercato più ampie rispetto a quelle già detenute e di limitare ancor più di quanto sin qui accaduto il pluralismo dell’informazione senza che nessuno possa neppure ipotizzare di fermarla.

Favorire un gigante dell’informazione italiana, per soddisfare l’ansia di controllare il web ed arginare l’avanzata dei nuovi modelli di business sui vecchi non sembra una scelta sensata e, in ogni caso, è una decisione politica tanto complessa e delicata che non avrebbe dovuto essere assunta in pieno periodo pre-festivo da un Parlamento svogliato e dimissionario.

Peccato che non solo sia avvenuto ma che, con poche eccezioni, l’intero emiciclo parlamentare si sia – più o meno consapevolmente – trovato d’accordo.