venerdì 17 febbraio 2012

Inchiesta Mediatrade, chiesto processo per Silvio Berlusconi e altre 11 persone.






Berlusconi, numero uno di Rti, per il produttore tv americano Frank Agrama, per il consigliere di amministrazione di Mediaset Pasquale Cannatelli, per l'ex ad di Rti Andrea Goretti, per i manager Rti Gabriella Ballabio, Daniele Lorenzano, Giorgio Dal Negro, Roberto Pace e Guido Barbieri, nonché per i cinesi Paddy Chan e Catherine Hsu Chun.


La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex premier Silvio Berlusconi, del figlio Pier Silvio, numero uno di Rti, e di altre dieci persone nell’ambito dell’inchiesta Mediatrade sulla compravendita dei diritti tv e cinematografici Mediaset. Evasione fiscale e violazione delle norme tributarie sono i reati attribuiti agli imputati in relazione a una presunta frode di circa 10 milioni di euro attraverso l’emissione di false fatturazioni per oltre 220 milioni.

Oltre ai due Berlusconi, la Procura chiede il rinvio a giudizio anche per il produttore tv americanoFrank Agrama, del consigliere di amministrazione di Mediaset Pasquale Cannatelli, dell’ex ad di Rti Andrea Goretti, dei manager Rti Gabriella Ballabio, Daniele Lorenzano, Giorgio Dal Negro, Roberto Pace e Guido Barbieri, nonché dei cinesi Paddy Chan e Catherine Hsu Chun. Agli imputati vengono contestati i reati di evasione fiscale e violazione delle norme tributarie. L’inchiesta romana, condotta dal procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani e dal sostituto Barbara Sargenti, costituisce una ‘costola’ di quella omologa milanese, dove però Berlusconi è stato prosciolto, decisione su cui la Procura meneghina ha presentato ricorso in Cassazione. Il riferimento è ad una presunta frode di circa dieci milioni di euro, il cui invio alla magistratura romana si è instaurato per competenza territoriale, giacchè nel periodo valutato la sede sociale di Rti (una delle società coinvolte) era nella Capitale.

Sul procedimento romano relativo a Mediatrade, inoltre, incombe il rischio prescrizione: per i fatti contestati riferiti alla compravendita di diritti tv contabilizzati nel 2004 la prescrizione è prevista nell’aprile 2012, mentre nell’aprile dell’anno prossimo si prescriveranno le dichiarazione dei redditi del gruppo di Cologno Monzese presentate nel 2005. Al centro delle indagini dei magistrati romani l’ipotesi che siano stati ‘gonfiati’ i prezzi dei diritti acquistati presso alcune importanti major (società di produzione) statunitensi. In particolare, si tratterebbe di operazioni di sovrafatturazione che avrebbero consentito a Rti e Mediatrade di detrarre fiscalmente cifre superiori a quelle effettivamente sborsate.

Negli atti allegati alla richiesta ci sono anche le motivazioni della sentenza emessa dal gup di Milano, il ricorso in Cassazione presentato dalla Procura, la testimonianza del produttore Silvio Sardi nonché le dichiarazioni di Giancarlo Leone, già amministratore delegato di Rai Cinema, secondo il quale le trattative per l’acquisto dei diritti avvenivano direttamente con le major senza la presenza di intermediari. In più, secondo l’ipotesi accusatoria, la differenza tra le somme investite e quelle indicate nelle fatture (allegate ai bilanci societari) sarebbero state finalizzate alla creazione di fondi neri successivamente a un complesso giro che avrebbe portato il danaro prima in estremo oriente, e successivamente in Italia.

S. Camillo, sospeso il primario di chirurgia d'urgenza. - di Giovanna Corsetti.



La procura di Roma sequestra 20 cartelle cliniche nel reparto di chirurgia generale e d'urgenza dell'ospedale San Camillo di Roma. 


ROMA – Il 2 febbraio 2012, in seguito ad alcune denunce per lesioni gravi e gravissime, le forze dell'ordine sequestrano 20 cartelle cliniche nel reparto di chirurgia generale e d'urgenza, diretto dal dottor Donato Antonellis. In realtà i guai per il reparto erano cominciati nel 2007, subito dopo la nomina dell'attuale primario, quando familiari e pazienti del reparto denunciano frequenti complicanze.
GLI INTERVENTI - L’iter era per tutti simile: ricovero programmato, accertamenti e poi la sala operatoria. Quindi interventi pianificati, su malati studiati, di cui si sarebbe dovuto conoscere ogni aspetto, con un rischio di imprevisti ridotto. Poi, sul tavolo chirurgico, le cose andavano diversamente. Molti pazienti della chirurgia generale e d’urgenza del San Camillo erano costretti, per gravi e gravissime complicanze, ad essere rioperati e, spesso, a trascorrere diverse settimane in sala di rianimazione a causa di: cedimento dei punti di sutura, perforazione di organi, gravi infezioni ed emorragie. Tali malati in comune non avevano solo una dolorosa quanto imprevista esperienza post operatoria, ma erano per lo più pazienti operati dal primario del reparto, il dottor Donato Antonellis.
LA NOMINA - Donato Antonellis, segretario regionale dell’Anaao, uno dei maggiori sindacati ospedalieri, era giunto alla guida del reparto nel 2006, nonostante il concorso che lo aveva ritenuto idoneo insieme ad altri professionisti si fosse concluso 2 anni prima. L’allora direttore generale del San Camillo-Forlanini, l’avvocato Domenico Alessio, aveva infatti sospeso la nomina poiché, come da lui dichiarato, aveva ricevuto pressioni dal sindacato Anaao affinché fosse nominato Antonellis, da lui non ritenuto sufficientemente qualificato. Nel 2006, con l’arrivo di un nuovo direttore generale, Antonellis viene nominato e da primario inizia la sua attività chirurgica al San Camillo.
L'AUDIT - In breve le segnalazioni sui cattivi esiti degli interventi arrivano al Tribunale del Malato e impongono ai rappresentanti delle istituzioni di presentare un’interrogazione al Parlamento regionale sullo stato del reparto. Dai dati dell’interrogazione la mortalità e le complicanze post operatorie del reparto risultavano sensibilmente aumentate dall’arrivo del nuovo primario. L’ospedale nel 2008 effettua un audit, un'indagine interna, a cui partecipa lo stesso primario e da cui la situazione del reparto risulta del tutto in linea con le statistiche e la letteratura chirurgica mondiale sugli esiti di un intervento. Quindi, il problema non c’è e i pazienti hanno torto e così Donato Antonellis, nel 2011, viene riconfermato alla direzione del reparto, con eccellenti valutazioni.
Ma le denunce non si fermano e così un altro direttore generale, il professor Aldo Morrone, deve ora fare i conti con nuove denunce e nuove gravissime complicanze sui pazienti del reparto di chirurgia diretto dal dottor Donato Antonellis.

“Io, cattolico, dico basta a questa Chiesa: farò sciopero della messa”. - di Ferruccio Sansa.



Tra gestioni finanziarie opache, mancato pagamento dell'Ici, vite mondane e scandali vari, la Chiesa è sempre più distante dai valori del Vangelo. E' ora che i cattolici escano dal loro silenzio e facciano sentire il proprio malcontento verso le gerarchie ecclesiastiche: lo "sciopero della messa" può essere uno strumento per cambiare le cose. 


Quanto silenzio dai cattolici! Tanti di noi, come cittadini, si sono ribellati contro il male del berlusconismo. Tanti scendono in piazza per difendere il loro lavoro. Abbiamo mostrato di avere caro, giustamente, il ruolo di cittadini italiani, di voler far sentire la nostra voce. 

Per questo mi colpisce ancora di più il silenzio di fronte ai mali profondissimi della nostra Chiesa. Lo dico da cattolico, pur con molti dubbi. È un silenzio dovuto al senso di obbedienza, di soggezione che fa parte della cultura cattolica. Magari a un comprensibile rispetto. O forse anche al timore, in un momento di profonda crisi materiale e morale, di mettere in discussione uno dei pochi sostegni rimasti. Ma oggi, di fronte agli ultimi scandali, mi chiedo se questo silenzio “rispettoso”, non rischi di diventare colpevole.

Insomma, se facciamo sentire la nostra voce nelle questioni che riguardano la vita quotidiana di cittadini, non dovremmo come fedeli avere almeno altrettanto a cuore quell’altra cittadinanza che addirittura chiama in causa l’esistenza eterna e la nostra identità più profonda (l’anima)? Non corriamo il rischio di assistere passivamente a una crisi che minaccia di travolgere definitivamente la Chiesa di cui pure diciamo di essere parte?

Se il disagio, credo, supera un limite, allora il rispetto deve essere almeno accompagnato dalla critica. Addirittura dalla protesta.
Lo dico dopo aver parlato con tanti uomini e donne che condividono con me la stessa fede e le stesse preoccupazioni. Non intendo quelli che una volta venivano chiamati “cattolici del dissenso”. Parlo di cattolici moderati, perfino di tanti sacerdoti. Ho sentito parole dure, durissime, indirizzate alle gerarchie ecclesiastiche. Discorsi che mettono in discussione i livelli più alti, perfino l’atteggiamento del Papa.
Persone cui sta a cuore il destino della Chiesa. Ma non solo: uomini che vedono vacillare anche la propria fede. Parlo anche e soprattutto per me stesso.
Lo so, lo sappiamo tutti: la fede va molto oltre le gerarchie ecclesiastiche e chi le rappresenta. Ormai, però, non siamo soltanto a quello: nell’azione della Chiesa, nel suo complesso, le ombre rischiano di essere troppe.

E così il disagio, il dissenso profondo rischiano di intaccare anche la fede e provocano uno smarrimento che travolge tutta la persona. Parlo per me, tiepido fedele. Non riesco nemmeno a immaginare il dolore che provano quei sacerdoti vecchi, stanchi che si sentono abbandonati dalla Chiesa cui hanno dedicato – non senza sacrifici – la loro intera esistenza. Ascoltando le loro parole avverto talvolta un senso di solitudine che sconfina con la disperazione. Avverto rabbia, quasi acredine. Ma a volte mi viene perfino da pensare a che cosa debba provare Cristo (il figlio di Dio o anche semplicemente l’uomo, comunque morto sulla croce) sentendosi sempre più solo. Spesso addirittura tradito.

Lo so, ci sono milioni di cattolici che ogni giorno si riuniscono per pregare animati da una fede sincera e appassionata. Che svolgono un ruolo fondamentale nell’aiuto dei più poveri contribuendo in modo decisivo anche alla vita sociale e civile del nostro Paese. E, però, non possiamo più negarlo, la Chiesa nel suo complesso pare sempre più distante.

Viviamo in un tempo di contraddizioni indicibili. Insopportabili. Da questa parte del mondo abitiamo in case riscaldate d’inverno, condizionate d’estate, spendiamo fortune per le nostre vacanze, viaggiamo in aereo una volta la settimana per lavoro, e a poche centinaia di chilometri da noi c’è chi muore ancora letteralmente di fame. Chi non ha i soldi per sconfiggere l’aids (con medicine che sarebbero reperibili sul mercato) o la malaria. Ci sono milioni di bambini le cui esistenze sono spazzate via da banalissime infezioni. Di fronte a questo delirio la Chiesa avrebbe il dovere di far sentire la sua voce ogni giorno, ogni istante. Dovrebbe, a volte penso, abbandonare gli splendidi marmi dei palazzi vaticani per correre in Africa.

Mi vengono in mente le pagine geniali e visionarie di “Roma senza Papa”, il libro dimenticato di Guido Morselli che racconta di una Chiesa che abbandona la sua Capitale.
Invece i vertici della Chiesa di Roma paiono sempre più distanti di fronte a questi mali che dovrebbero essere il cuore del suo messaggio. Certo, ci sono i missionari, ma sono sempre più soli, più spaesati. Chiedete a loro, leggete i messaggi che lanciano dai blog (sul sito www.misna.org, per esempio).

Non è vero che la gente si allontani dalla Chiesa perché spaventata dal troppo rigore. Al contrario: credo che i cattolici, ma non soltanto, chiedano parole ancora più chiare. Aspettino una chiamata all’impegno. E non è neanche vero che la Chiesa sia in crisi perché gli uomini vogliono che si adegui ai tempi, rischiando così di trasformarsi da fede in “semplice” morale. Niente di più falso: noi tutti cattolici vorremmo essere guidati, anche richiamati se necessario, alle questioni fondamentali dell’esistenza.

Invece la Chiesa pare confondere il rigore con la rigidità. Con la conservazione. Talvolta con la difesa di privilegi e posizioni di potere. E poi c’è l’attenzione ai riti, alle forme, perfino ai paramenti. Ma non erano i profeti (Giobbe) a dire “nudo sono uscito dal ventre di mia madre e nudo vi ritornerò”?

Il punto, mi pare, è che la Chiesa pare sempre più concentrata sulle questioni terrene. Non solo: ormai quotidiani sono gli scandali (non c’è bisogno di ricordare lo Ior del passato e del presente, le troppe ombre sui rapporti con la banda della Magliana, sulla morte di Emanuela Orlandi, sull’omicidio del capo delle Guardie Svizzere), poi episodi di aperta corruzione, contiguità con personaggi discussi. Gli affari di imprenditori legati al Vaticano, per esempio nel mondo del mattone. No, non si può più parlare di casi isolati, qui viene il dubbio che una fetta consistente della Chiesa, se non la sua maggioranza, abbia imboccato una strada sbagliata.
Per non dire della difesa di Berlusconi e delle incredibili intrusioni nella vita politica del nostro Paese, in aperto contrasto con il principio della laicità. E ancora viene in mente un profeta, Michea, non un rivoluzionario, quando parla dei profeti “che annunciano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra”.

E poi c’è il macigno del rapporto mai risolto con il sesso che ha fatto del corpo, e talvolta perfino dell’amore, un nemico (eppure proprio sant’Agostino diceva “ama e fai ciò che vuoi”). C’è il celibato che sta schiantando tanti sacerdoti, arrivando perfino a mettere in discussione la credibilità della loro missione. Non sono casi isolati, basta parlare con un prete per accorgersene. Ci sono diocesi in cui l’eccezione rischia di diventare la regola. Ma qui non voglio nemmeno discutere le scelte sessuali dei sacerdoti. Sono, credo, fatti loro se coltivano passioni amorose, che siano eterosessuali oppure omosessuali (un discorso a parte merita la pedofilia, che in paesi come l’Irlanda ha raggiunto dimensioni endemiche rovinando il rapporto con i fedeli). Il punto è che il rapporto con il sesso costringe tanti sacerdoti a una vita di nascondimento. Perfino di menzogna. E la menzogna dilaga, rischia di contagiare l’intera esistenza di una persona.
Davvero la Chiesa a tanti fedeli sembra ormai lontana, remota. Pare averci lasciati soli nella vita quotidiana. E di fronte ai grandi dubbi dell’esistenza. Eppure quanto bisogno avremmo di sentire la presenza di un Dio padre, come quello descritto da Giobbe. Di un Dio amante, che vuole perdono, non giustizia, come ricorda Osea. Quanto ci manca qualcuno che ci ricordi ogni giorno, in ogni nostra azione, i capitoli 5, 6 e 7 del vangelo di Matteo. Quanto ci consolerebbero di fronte al dolore e alla paura della morte le parole di Sant’Agostino: “Ovunque nell’eternità faremo muovere la luminosità spirituale dei nostri corpi, contempleremo, anche con il corpo, Dio che è incorporeo e che dirige tutto al fine…”.
Ma allora, mi chiedo sempre più spesso, che cosa posso fare? Le gerarchie ecclesiastiche finora sono sembrate sorde a qualsiasi forma di dissenso. Non hanno replicato in modo adeguato e convincente alle tante notizie di cronaca che le riguardavano.

Che cosa devo fare? Devo rassegnarmi al silenzio, lasciando che la Chiesa – che è del cardinale Tarcisio Bertone quanto di ogni singolo fedele – proceda su questa strada?
Credo che sarebbe colpevole. Allora, come un cittadino esasperato che boicotta i “riti” dello Stato laico, penso alla Messa. Per me la Messa – anche con i momenti di noia, con le preghiere distratte dei fedeli, con le prediche talvolta stanche dei sacerdoti – è stato un appuntamento, uno tra i pochissimi, che mi ha accompagnato per tutta la vita. Che mi ha costretto, oltre gli affanni di tutti i giorni, a cercare parole grandi. A individuare, se non risposte certe, almeno un abbozzo di senso.

Da quando sono nato ogni domenica vado in Chiesa. Entro con tutti i miei dubbi, spesso pensando di non credere davvero (mia moglie dice che sono un caso raro di “ateo devoto”, ma vabbé). Però quei colloqui sono stati fondamentali per me. Non importa se pregavo Dio oppure se a volte ci litigavo fino a essere blasfemo (diceva il poeta Giorgio Caproni “Non ti prego perché tu esisti, ma perché tu esista”). Non importa se a volte ero convinto di parlare con me stesso e di ascoltare soltanto le mie parole (quanto poco siamo abituati a conversare con noi stessi, ad ascoltarci).

Ma negli ultimi tempi non è più così. Emergono il disagio, il rischio di essere ipocrita, e poi un dissenso tanto forte da diventare rabbia se non può essere espresso.
Un sentimento tanto forte che rischia di intaccare anche la mia fede. E questo proprio non lo permetterò. Non lascerò che la mia idea di Dio, che addirittura la speranza nella sua esistenza, siano messe in discussione da qualcuno.
Allora domenica prossima non sarò in Chiesa. No, non è un gesto per lasciare ancora più soli tanti sacerdoti, anzi. Ma sento che – per me – è giusto così, anche se non se ne accorgerà nessuno, se non io. Ma se tanti altri lo facessero,  chissà…




http://temi.repubblica.it/micromega-online/io-cattolico-dico-basta-a-questa-chiesa-faro-sciopero-della-messa/

Bond Usa falsi per 6.000 mld di dollari.

Bond Usa falsi per 6.000 mld di dollari

Sequestrati in Svizzera dai carabinieri del Ros.


ROMA - Titoli di stato Usa falsi, per un valore di seimila miliardi di dollari - più del doppio dell'intero debito pubblico italiano - sono stati sequestrati in Svizzera dai carabinieri del Ros per ordine della Procura della Repubblica di Potenza. I titoli falsi erano contenuti in tre casse, solo apparentemente della Federal Reserve.

Al sequestro dei bond americani, custoditi da una fiduciaria elvetica, si è arrivati grazie all' "ampia collaborazione" offerta dall'autorità giudiziaria elvetica ai pm di Potenza titolari dell'inchiesta.
Venuti a conoscenza, attraverso indagini e intercettazioni, anche telematiche, su alcune caselle di posta elettronica, dell'esistenza di un elevatissimo numero di bond americani, contenuti nelle tre casse custodite dalla fiduciaria elvetica, i pm di Potenza Francesco Basentini e Laura Triassi hanno inviato un anno fa una rogatoria all'autorità giudiziaria svizzera, chiedendo il sequestro delle casse e dei titoli. Le tre casse sono state aperte alcune settimane fa, con risultati "incredibilmente sorprendenti" - ha detto un investigatore dei carabinieri del Ros - sia per l'enormità del valore dei titoli di stato falsi, sia per l'accurata manifattura delle tre casse (definite "mother box"). C'é voluta quasi una settimana per l'esame dei titoli, tutti risultati falsi, e per le successive conferme delle autorità americane. L'inchiesta ha poi avuto un ulteriore impulso in Italia, culminato con le misure cautelari eseguite oggi dai carabinieri del Ros.

Otto persone sono state arrestate stamani, all'alba - in Basilicata, Lazio, Lombardia e Piemonte - dai Carabinieri del Ros che hanno sgominato un'organizzazione specializzata in operazioni finanziarie internazionali garantite da titoli del debito pubblico degli Stati Uniti d'America falsificati. Durante l'operazione, denominata "Vulcanica", gli investigatori hanno sequestrato bond del Tesoro americano per un valore nominale di circa seimila miliardi di dollari. Le persone raggiunte dall'ordinanza di custodia cautelare del gip di Potenza sono accusate di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe, spendita e introduzione in Italia di carte di pubblico credito false e altri reati, tutti aggravati dalla transnazionalità.

I titoli falsi americani erano probabilmente destinati a mega-truffe internazionali. Una delle ipotesi -secondo gli investigatori- è che i componenti dell'organizzazione avessero intenzione di consegnarli ad un governo di un Paese "emergente"; un'altra ipotesi, di offrirli a intermediari bancari o finanziari. In entrambi i casi, l'obiettivo era quello di avere una ingente contropartita in denaro.

L'inchiesta giudiziaria è stata diretta dai pubblici ministeri di Potenza Francesco Basentini e Laura Triassi, coordinati dal Procuratore della Repubblica Giovanni Colangelo, ed ha avuto origine da indagini dei carabinieri del Ros del capoluogo lucano su una presunta associazione mafiosa attiva nell'area del Vulture-melfese, in provincia di Potenza, che avrebbe operato anche nel settore dell'usura. Nel corso dell'inchiesta è emerso, anche attraverso intercettazioni telefoniche, che alcuni indagati, insieme ad altre persone di nazionalità straniera, erano coinvolti in un giro illecito di affari che riguardava anche titoli di stato americani. Un primo riscontro si ebbe nel settembre 2010 a Roma, dove i carabinieri del Ros sequestrarono nell'abitazione di un indagato alcuni titoli di stato americani, anche questi falsi, del valore di 500 milioni di dollari.

La "totale falsità " dei titoli, apparentemente emessi nel 1934 dalla Federal Reserve, è stata accertata da funzionari della stessa Banca centrale americana e da personale in servizio presso l'Ambasciata Usa a Roma. Dalle indagini - che hanno portato oggi all'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare nei riguardi di otto persone - è emerso che le tre casse, con i titoli falsi, erano state trasportate da Hong Kong a Zurigo nel gennaio del 2007 e prese in carico da una società fiduciaria elvetica.

giovedì 16 febbraio 2012

Ici alla Chiesa, il plauso della Ue a Monti.

Svolta del governo sull'esenzione. Bruxelles: «Se passa l'emendamento chiudiamo la procedura d'infrazione».

Gli hotel «ecclesiastici» che non pagano l'Ici
La videoinchiesta dei Radicali
MILANO - «Ci è pervenuta la proposta di Monti. Per me è una proposta che va costituire un progresso sensibile sul tema e mi auguro venga recepita». Così il portavoce del commissario europeo alla concorrenza Joaquin Almunia, ha commentato nel quotidiano briefing, la decisione del nostro governo di far nuovamente pagare l'Ici agli enti religiosi per gli immobili di loro proprietà dove non si svolgono attività di culto. Sull'esenzione, introdotta dal governo Berlusconi, l'Europa aveva aperto una procedura di infrazione, in merito il portavoce di Almunia, Antoine Colombani, ha aggiunto: «La procedura per noi è tuttora in corso e abbiamo preso nota dell'emendamento, che quindi verrà esaminato dal parlamento».
ALFANO: NO A NORME PUNITIVE - Il segretario del Pdl Angelino Alfano ha spiegato che «se il governo ha individuato delle norme non punitive per la Chiesa, le valuteremo con favore. Non abbiamo ancora visto il testo dell'emendamento Ici, ma non abbiamo alcun pregiudizio».
CASINI - «È giusto che gli immobili della Chiesa adibiti ad esercizi commerciali paghino l'Ici: la linea di Monti è ineccepibile» sostiene invece il leader del'Udc Pier Ferdinando Casini. Per Casini è giusto «sgravare le attività caritatevoli e assistenziali, iniziative benemerite della Chiesa, a cui per questo siamo grati» vista l'assistenza «che svolge anche nella latitanza delle strutture pubbliche». Quanto indicato dal presidente del Consiglio Mario Monti, dunque, è in linea «con quanto la maggioranza in tutte le sue componenti ha sempre dichiarato».
IL VALORE STIMATO DALL'ANCI - Il valore stimato dell'Ici per gli immobili di proprietà della Chiesa è pari a una cifra intorno ai 600 milioni. È una prima stima approssimativa emersa al termine della riunione dell'ufficio di presidenza dell'Anci. Calcoli più precisi sono legati alla valutazione dell'esatto valore catastale degli immobili interessati, finora indicati come utilizzati a fini di culto.
INCONTRO BILATERALE - Proprio oggi c'è stato un'incontro bilaterale Governo-Chiesa in occasione dell'anniversario della firma dei Patti Lateranensi. Occasione buona per affrontare l'argomento Ici? «Si è parlato di tutto ma non di Ici» è stata la replica dell''ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco, al termine dell'incontro. Il premier Monti è invece andato via senza rilasciare alcuna dichiarazione. E' invece intervenuto il presidente del Senato Renato Schifani: «Non può essere il problema dell'Ici a mettere in discussione o ad inquinare i rapporti che ha lo Stato italiano con la Chiesa».

Relazione della Dna: le mafie sono forti in tutto il mondo. - di Aaron Pettinari

grasso-piero
E' un quadro allarmante quello presentato nell'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia. Cosa nostra, 'Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita mostrano i muscoli e le infiltrazioni si registrano non solo al sud del Paese ma in tutta Italia e anche nel resto del mondo. La relazione della Dna si apre con il resoconto delle attività investigative della mafia siciliana. Sebbene messa in ginocchio da arresti e confische, Cosa nostra mostra una vivacità criminale che segnala come sia stata superata la cosiddetta fase di “transizione”, dovuta all'arresto dell'ultimo capo corleonese, Bernardo Provenzano e ai suoi successori, come i Lo Piccolo.
“Il dato più inquietante emerso nel 2011 sul fronte mafia è il ritorno dell'uso dell'omicidio come strumento per la risoluzione di problemi dell'organizzazione, che la stessa aveva abbandonato per tutto il 2010”. “Dopo l'assoluta assenza di omicidi di tipo mafioso nel 2010 - nota la Dna - nell'intero distretto di Palermo, nel 2011 si sono verificati cinque episodi delittuosi riconducibili ad attività mafiose o di tipo mafioso. Per questi gravissimi episodi criminosi le indagini sono ancora in corso, non tutti i delitti possono essere ricondotti all'operato di Cosa nostra, ma certamente possono esserlo con riferimento alla matrice del crimine organizzato anche indirettamente controllato dall'organizzazione mafiosa”. Ma “quello che preme sottolineare è la loro non unicità ed il ricorso ad essi da parte di una entità complessa e adusa alle scelte di sommersione come Cosa nostra, che evidentemente ripropone l'omicidio come uno strumento di governo e di risoluzione dei conflitti relativi all'organizzazione, dopo un periodo nel quale tale strumento era stato volutamente accantonato”. 
Quindi viene segnalata una nuova fase dell'organizzazione criminale alla ricerca di una nuova leadership e di nuove strategie operative. Le indagini svolte nel periodo passato ed in particolare fino al 2008, hanno consentito di comprendere come “l'organizzazione abbia tentato di trovare nuovi equilibri interni, per fortuna spesso turbati dall'intervento tempestivo delle indagini che ancora per tutto il periodo in corso sono riuscite a cogliere l'attualità delle vicende dell'organizzazione criminale”. Dalle indagini è emerso come, “a più riprese, Cosa nostra abbia tentato di rinnovarsi attraverso una conferma delle sue strutture di governo a cominciare da quelle operanti sul territorio di Palermo ed in particolare con riferimento alla commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo. A conferma che anche nei momenti di crisi, Cosa nostra non rinuncia alla elaborazione di modelli organizzativi unitari ed a progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza possibile”. 

Il latitante numero uno resta sempre Matteo Messina Denaro il cui arresto, viene sottolineato, “non può che costituire una priorità assoluta ritenendosi che, nella situazione di difficoltà di Cosa Nostra, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, cosi' importanti in questi luoghi, un danno enorme per l'organizzazione”. Anche perché “a Trapani – scrivono i magistrati - l’organizzazione continua a mantenere un penetrante controllo del territorio e a riscuotere consensi tra l’opinione pubblica”.
La più forte è la 'Ndrangheta, sempre più internazionale
A fronte di una fase di transizione “superata” da parte di Cosa nostra, di una molteplice scissione interna ai clan della Camorra che la rendono potenzialmente più pericolosa sotto il profilo della violenza criminale sul territorio, è la 'Ndrangheta l'organizzazione sulla quale, anche quest'anno, i magistrati  dell'antimafia concentrano particolare attenzione.  
La descrivono come un  “un'organizzazione criminale «presente su tutto il territorio nazionale, globalizzata ed estremamente potente sul piano economico e militare», al punto da «poter essere definita presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico ed amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l'aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale”.
Le indagini portate avanti negli ultimi anni hanno denunciato una “presenza massiccia nel territorio che non trova riscontro nelle altre organizzazioni mafiose”. L'organizzazione “si avvale di migliaia di affiliati che costituiscono presenze militari diffuse e capillari ed, al contempo, strumento di acquisizione di consenso, radicamento e controllo sociale”.
Anche il processo di internazionalizzazione è sempre più veloce e si avvale della presenza all'estero di immigrati calabresi “fedeli alla casa madre si è aggiunta una strutturale presenza (militare e strategica) di soggetti affiliati a 'locali' formati ed operanti stabilmente in Germania, Svizzera, Canada ed Australia che, fermo restando il doveroso ossequio alla 'casa madre', agiscono autonomamente secondo i modelli propri dei locali calabresi autoctoni”. Perciò “la 'Ndrangheta , da fenomeno quasi disconosciuto, può oggi essere considerata una vera e propria “holding mondiale del crimine”. 
Inoltre la “nuova generazione” di 'ndranghetisti, “pur conservando il formale rispetto per le arcaiche regole di affiliazione, oggi non sono solo in grado di interloquire con altre ed altre categorie sociali, ma anche di mettere a frutto le loro conoscenze informatiche, finanziarie e gli studi intrapresi”. La Dna guidata da Piero Grasso ha inoltre evidenziato che “gli inquietanti rapporti intrattenuti con rappresentanti delle istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazionale (disvelati da numerose indagini dispiegate in varie regioni nel corso del periodo in esame) non sono soltanto frutto esclusivo del clima di intimidazione e della forza intrinseca del consorzio associativo, bensì il risultato di una progettualità strategica di espansione e di occupazione economico-territoriale, che, oramai, si svolge su un piano assolutamente paritario”. Rapporti con istituzioni e imprese “volti ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti (di nitida derivazione criminale e di inquinamento economico), ma tendenti verso una nuova fase di legittimazione imprenditoriale e sociale idonea a conferire un adeguato grado di 'mimetismo imprenditoriale' e ciò allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica alle attività imprenditoriali”. “Detto fenomeno – aggiunge la Dna - è ancor più evidente nel nord-Italia ove la 'Ndrangheta opera in sinergia con imprese autoctone o, in talune occasioni, dietro lo schermo di esse”. La relazione della Dna, soprattutto in merito alla situazione della mafia calabrese, registra anche importanti risultati. Non sono solo i numeri di sequestri, confische, e arresti di latitanti ma anche una “sorta di risveglio della coscienza civile”, ossia una marcata e consapevole presa di posizione civica che lascia intravedere l’inizio di una strenua lotta culturale ed etica volta al riscatto ed alla progressiva emarginazione del “cancro sociale” che ha attanagliato da decenni la Calabria”. Anche da parte del mondo dell'informazione.
La forte frammentazione della Camorra  
Dopo l'arresto dell'ultimo grande latitante, Michele Zagaria, si trova in una situazione di riassetto degli equilibri. Continuano delitti e omicidi (che non riguardano la provincia di Caserta) in Campania e anche le proiezioni dei clan fuori dai territori di origine. In merito all'organizzazione dei clan i magistrati scrivono: ”I clan hanno strategie comuni ma non inserite in programmi di lungo respiro comuni”. La grande pressione delle forze investigative e di intelligence ha consentito, però, di mettere a segno numerosi colpi contro i clan: dalle numerose confische, ai sequestri preventivi, agli arresti di latitanti. I magistrati, nella relazione, segnalano anche il contributo dato dai collaboratori di giustizia da un lato e la pericolosità che il riacutizzarsi di faide a causa di questa tendenza separatista interna. Due focus sono dedicati ai rapporti con pezzi della politica e pezzi dell'economia ma anche alla devastazione ambientale del territorio”.  
Quindi la relazione lancia un nuovo allarme: “Nelle strategie di espansione criminale che le più strutturate organizzazioni camorristiche perseguono in forza delle risorse finanziarie che riescono a gestire, si registra sempre più frequentemente la presenza di settori del mondo imprenditoriale i quali, in un rapporto di reciproco vantaggio, sono portati a condividere gli obiettivi dei programmi criminosi dei clan camorristici, mettendo a disposizione il proprio know-how, di cui è componente essenziale anche la rete relazionale con professionisti (commercialisti, notai, avvocati, funzionari di istituti di credito, intermediari finanziari, ecc.) o con esponenti politici, nazionali e locali”. “Si tratta di caratteri strategici -prosegue la relazione- che non possono che riguardare i sodalizi che più stabilmente hanno conquistato e conservato una propria egemonia malavitosa innanzitutto a carattere territoriale e che, nell'ambito di una progressiva espansione criminale fondata prevalentemente sul reinvestimento dei profitti, ricercano l'interlocuzione con chi sia in grado di assicurare la moltiplicazione dei profitti medesimi al riparo delle più penetranti investigazioni”. 
Per il passato, situazioni di questo tipo, fa notare la Direzione nazionale antimafia, «erano per lo più riscontrabili in relazione ai clan camorristici della provincia napoletana e casertana, apparendo forse più arduo, in un contesto magmatico come quello dell'area metropolitana, ove talvolta appare difficile pure distinguere tra clan camorristici e bande malavitose a carattere gangsteristico, tessere relazioni stabili con settori dell'imprenditoria». «Ma taluni esiti più recenti di indagini svolte in questo ambito -conclude la Dna- mostrano come anche a Napoli vi siano ormai relazioni criminose di tale natura”. 
Servendosi anche di intermediari finanziari che a tutti gli effetti sono affiliati ai clan, la camorra ricicla e investe all'estero gli enormi guadagni provenienti dai traffici di droga. Soprattutto nel settore immobiliare in Spagna, come fa la famiglia Di Lauro. “Vi è conferma che i rilevantissimi profitti ricavati dal traffico di stupefacenti costituiscono la provvista da riciclare all'estero e da impiegare per investimenti immobiliari in Spagna, anche attraverso l'impiego di posizioni fiduciarie nel principato di Monaco e aventi la sede in Paesi off-shore, con l'imprescindibile contributo di intermediari finanziari, talvolta ritenuti organicamente inseriti nel clan”. 
Il rapporto poi approfondisce anche il traffico di rifiuti dell'organizzazione criminale: “La camorra, in Campania, fa male anche alla salute e provoca, con il business dei rifiuti che inquinano il territorio e arricchiscono le entrate dei clan, l'aumento dei tumori e della presenza di inquinanti come la diossina nel sangue e nel latte materno”. 
“Alcuni dati di natura epidemiologica dimostrano in tutta la loro gravità gli effetti nefasti provocati da scellerate strategie di distruzione del territorio a fini criminali”. “Insomma è ormai manifesta una camorra - conclude Filippo Beatrice, il magistrato della Dna che ha trattato il capitolo della criminalità organizzata campana - che non solo mortifica le iniziative economiche che lecitamente si cerca di intraprendere in determinati territori a rischio di infiltrazione mafiosa, ma che con il suo agire determina effetti perniciosi per la salute della collettività”.
La sottovalutata Sacra Corona Unita
I magistrati la descrivono come un'organizzazione in “evoluzione”. “Le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia di assoluta attendibilità e ricoprente una posizione apicale nella frangia brindisina della Sacra Corona Unita attestano l’avvenuta introduzione di regole finalizzate a “compartimentare” l'assetto dei gruppi, in modo da renderli più impermeabili alle indagini o alle delazioni. È stata così introdotta la regola “dell'affiliazione solo tra paesani”, adottata dopo le collaborazioni degli anni duemila: per creare dei compartimenti sufficientemente “stagni” l'affiliazione riguardava appartenenti allo stesso gruppo territoriale e anche nella “capriata” dovevano essere indicati esponenti, pur di rilievo, ma “locali”, e comunque non dovevano essere indicati i nomi dei responsabili del gruppo”.
In tutta Italia presenza stabile delle mafie
Non si può parlare di infiltrazioni mafiose al Nord, si legge nella relazione annuale della Dna, ma per regioni come il Piemonte, la Lombardia, il Lazio e la Liguria, in vari passaggi della relazione, si afferma che "le mafie sono presenze stabili" sul territorio. 
Secondo la relazione è da almeno 20 anni che era “intuibile” la presenza della 'Ndrangheta in Lombardia attraverso la pratica, nei confronti di imprenditori, politici e pubblici amministratori, “dell'avvicinamento-assoggettamento (spesso cosciente e consenziente) di soggetti legati negli stessi luoghi da comunanze di interessi”. In proposito, il rapporto osserva che nella regione c'è stato, da parte della malavita calabrese, un «vero e proprio fenomeno di 'colonizzazione'” e non la semplice riproduzione da parte di gruppi delinquenziali autoctoni di modelli di azione dei gruppi mafiosi. Tuttavia i clan che operano nella regione non sono autonomi, ma rispondono ad «una struttura di coordinamento chiamata 'La Provincia' o 'Il Crimine' attiva in Calabria”. 
Alto l'allarme per la presenza della 'Ndrangheta ma anche di alcune famiglie di Cosa nostra, anche in Liguria. La relazione dedica particolare attenzione anche alla situazione in cui versano il Piemonte, sia per la presenza delle 'ndrine che per altri affari criminali comunque coordinate dalle famiglie calabresi, che al Lazio, terra contaminata da Camorra e 'Ndrangheta. 
Anche Toscana, Emilia Romagna (Modena in particolare) e Marche sono oggetto di analisi accurata da parte della Direzione nazionale antimafia.
Lazio, escalation criminale ma non una nuova “banda della Magliana”
Secondo i magistrati a Roma c'è una “violenza efferata”, ma non si può parlare di “nuova Banda della Magliana, in quanto non si ravvisa un gruppo criminale che possa risultare egemone sugli altri o tale da assicurare un effettivo controllo del territorio”. Un certo numero di tali fatti criminosi, spiega la Dna, «non è riconducibile a logiche di criminalità organizzata, ma piuttosto deriva da fatti occasionali (come l'aggressione al musicista nel rione Monti) o rappresenta l'estrema conseguenza di episodi delittuosi di altra natura (come l'omicidio a seguito di rapina in zona S. Basilio). Nello stesso tempo - sottolinea - però occorre ammettere che molte aggressioni, per le modalità esecutive, o per le caratteristiche soggettive delle vittime, o per l'esito delle attività di indagine, risultano invece maturate a seguito di contrasti insorti in un contesto criminale, ed in particolar modo nel traffico degli stupefacenti”. Peraltro, prosegue la relazione, “l'attuale stato delle indagini non ha evidenziato elementi che colleghino tra loro tali fatti di sangue. Al momento non sono emersi elementi per ritenere che tali delitti, o alcuni di essi, rappresentino segnali di un tentativo di monopolizzare il mercato dello spaccio, o azioni di ritorsione ad analoghe azioni delittuose”.
Intercettazioni fondamentali e 41 bis da potenziare
La Dna è quindi intervenuta anche in materia di giustizia in particolare soffermandosi su alcuni strumenti ritenuti essenziali. Il primo punto è quello delle intercettazioni ritenute indispensabili per “l'accertamento dei delitti di criminalità organizzata, specie in ambienti connotati da forte omertà, senza le quali l'azione repressiva ed anche preventiva risulterebbe sostanzialmente priva di ogni efficacia”. 
Il secondo riguarda il 41 bis evidenziato come “imprescindibile”. Per la Dna “deve essere potenziato con nuovi investimenti per la creazione di strutture adatte allo scopo e non certo depotenziato o rispetto al quale si possa addivenire ad una limitazione dei soggetti sottoposti per ragioni diverse dal venir meno della loro capacità di comunicare in maniera efficace con l'organizzazione criminale nella quale continuano ad avere un ruolo di vertice”. “In questo senso -rimarca la relazione della Dna- diviene sempre più necessario individuare nel piano carceri nuove strutture idonee, nate esclusivamente per l'assolvimento della funzione di prevenzione prevista dall'art. 41 bis, e da destinare in via esclusiva a tale scopo”. 
In passato, si ricorda, il problema è stato risolto anche grazie all'impiego di istituti penitenziari particolarmente idonei allo scopo di isolare i detenuti dall'esterno, come le carceri dell'Asinara e di Pianosa, “anche se reazioni fortemente contrarie siano state suscitata da più parti in ordine alla paventata possibilità di una loro riapertura”.