giovedì 16 febbraio 2012

Relazione della Dna: le mafie sono forti in tutto il mondo. - di Aaron Pettinari

grasso-piero
E' un quadro allarmante quello presentato nell'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia. Cosa nostra, 'Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita mostrano i muscoli e le infiltrazioni si registrano non solo al sud del Paese ma in tutta Italia e anche nel resto del mondo. La relazione della Dna si apre con il resoconto delle attività investigative della mafia siciliana. Sebbene messa in ginocchio da arresti e confische, Cosa nostra mostra una vivacità criminale che segnala come sia stata superata la cosiddetta fase di “transizione”, dovuta all'arresto dell'ultimo capo corleonese, Bernardo Provenzano e ai suoi successori, come i Lo Piccolo.
“Il dato più inquietante emerso nel 2011 sul fronte mafia è il ritorno dell'uso dell'omicidio come strumento per la risoluzione di problemi dell'organizzazione, che la stessa aveva abbandonato per tutto il 2010”. “Dopo l'assoluta assenza di omicidi di tipo mafioso nel 2010 - nota la Dna - nell'intero distretto di Palermo, nel 2011 si sono verificati cinque episodi delittuosi riconducibili ad attività mafiose o di tipo mafioso. Per questi gravissimi episodi criminosi le indagini sono ancora in corso, non tutti i delitti possono essere ricondotti all'operato di Cosa nostra, ma certamente possono esserlo con riferimento alla matrice del crimine organizzato anche indirettamente controllato dall'organizzazione mafiosa”. Ma “quello che preme sottolineare è la loro non unicità ed il ricorso ad essi da parte di una entità complessa e adusa alle scelte di sommersione come Cosa nostra, che evidentemente ripropone l'omicidio come uno strumento di governo e di risoluzione dei conflitti relativi all'organizzazione, dopo un periodo nel quale tale strumento era stato volutamente accantonato”. 
Quindi viene segnalata una nuova fase dell'organizzazione criminale alla ricerca di una nuova leadership e di nuove strategie operative. Le indagini svolte nel periodo passato ed in particolare fino al 2008, hanno consentito di comprendere come “l'organizzazione abbia tentato di trovare nuovi equilibri interni, per fortuna spesso turbati dall'intervento tempestivo delle indagini che ancora per tutto il periodo in corso sono riuscite a cogliere l'attualità delle vicende dell'organizzazione criminale”. Dalle indagini è emerso come, “a più riprese, Cosa nostra abbia tentato di rinnovarsi attraverso una conferma delle sue strutture di governo a cominciare da quelle operanti sul territorio di Palermo ed in particolare con riferimento alla commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo. A conferma che anche nei momenti di crisi, Cosa nostra non rinuncia alla elaborazione di modelli organizzativi unitari ed a progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza possibile”. 

Il latitante numero uno resta sempre Matteo Messina Denaro il cui arresto, viene sottolineato, “non può che costituire una priorità assoluta ritenendosi che, nella situazione di difficoltà di Cosa Nostra, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, cosi' importanti in questi luoghi, un danno enorme per l'organizzazione”. Anche perché “a Trapani – scrivono i magistrati - l’organizzazione continua a mantenere un penetrante controllo del territorio e a riscuotere consensi tra l’opinione pubblica”.
La più forte è la 'Ndrangheta, sempre più internazionale
A fronte di una fase di transizione “superata” da parte di Cosa nostra, di una molteplice scissione interna ai clan della Camorra che la rendono potenzialmente più pericolosa sotto il profilo della violenza criminale sul territorio, è la 'Ndrangheta l'organizzazione sulla quale, anche quest'anno, i magistrati  dell'antimafia concentrano particolare attenzione.  
La descrivono come un  “un'organizzazione criminale «presente su tutto il territorio nazionale, globalizzata ed estremamente potente sul piano economico e militare», al punto da «poter essere definita presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico ed amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l'aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale”.
Le indagini portate avanti negli ultimi anni hanno denunciato una “presenza massiccia nel territorio che non trova riscontro nelle altre organizzazioni mafiose”. L'organizzazione “si avvale di migliaia di affiliati che costituiscono presenze militari diffuse e capillari ed, al contempo, strumento di acquisizione di consenso, radicamento e controllo sociale”.
Anche il processo di internazionalizzazione è sempre più veloce e si avvale della presenza all'estero di immigrati calabresi “fedeli alla casa madre si è aggiunta una strutturale presenza (militare e strategica) di soggetti affiliati a 'locali' formati ed operanti stabilmente in Germania, Svizzera, Canada ed Australia che, fermo restando il doveroso ossequio alla 'casa madre', agiscono autonomamente secondo i modelli propri dei locali calabresi autoctoni”. Perciò “la 'Ndrangheta , da fenomeno quasi disconosciuto, può oggi essere considerata una vera e propria “holding mondiale del crimine”. 
Inoltre la “nuova generazione” di 'ndranghetisti, “pur conservando il formale rispetto per le arcaiche regole di affiliazione, oggi non sono solo in grado di interloquire con altre ed altre categorie sociali, ma anche di mettere a frutto le loro conoscenze informatiche, finanziarie e gli studi intrapresi”. La Dna guidata da Piero Grasso ha inoltre evidenziato che “gli inquietanti rapporti intrattenuti con rappresentanti delle istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazionale (disvelati da numerose indagini dispiegate in varie regioni nel corso del periodo in esame) non sono soltanto frutto esclusivo del clima di intimidazione e della forza intrinseca del consorzio associativo, bensì il risultato di una progettualità strategica di espansione e di occupazione economico-territoriale, che, oramai, si svolge su un piano assolutamente paritario”. Rapporti con istituzioni e imprese “volti ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti (di nitida derivazione criminale e di inquinamento economico), ma tendenti verso una nuova fase di legittimazione imprenditoriale e sociale idonea a conferire un adeguato grado di 'mimetismo imprenditoriale' e ciò allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica alle attività imprenditoriali”. “Detto fenomeno – aggiunge la Dna - è ancor più evidente nel nord-Italia ove la 'Ndrangheta opera in sinergia con imprese autoctone o, in talune occasioni, dietro lo schermo di esse”. La relazione della Dna, soprattutto in merito alla situazione della mafia calabrese, registra anche importanti risultati. Non sono solo i numeri di sequestri, confische, e arresti di latitanti ma anche una “sorta di risveglio della coscienza civile”, ossia una marcata e consapevole presa di posizione civica che lascia intravedere l’inizio di una strenua lotta culturale ed etica volta al riscatto ed alla progressiva emarginazione del “cancro sociale” che ha attanagliato da decenni la Calabria”. Anche da parte del mondo dell'informazione.
La forte frammentazione della Camorra  
Dopo l'arresto dell'ultimo grande latitante, Michele Zagaria, si trova in una situazione di riassetto degli equilibri. Continuano delitti e omicidi (che non riguardano la provincia di Caserta) in Campania e anche le proiezioni dei clan fuori dai territori di origine. In merito all'organizzazione dei clan i magistrati scrivono: ”I clan hanno strategie comuni ma non inserite in programmi di lungo respiro comuni”. La grande pressione delle forze investigative e di intelligence ha consentito, però, di mettere a segno numerosi colpi contro i clan: dalle numerose confische, ai sequestri preventivi, agli arresti di latitanti. I magistrati, nella relazione, segnalano anche il contributo dato dai collaboratori di giustizia da un lato e la pericolosità che il riacutizzarsi di faide a causa di questa tendenza separatista interna. Due focus sono dedicati ai rapporti con pezzi della politica e pezzi dell'economia ma anche alla devastazione ambientale del territorio”.  
Quindi la relazione lancia un nuovo allarme: “Nelle strategie di espansione criminale che le più strutturate organizzazioni camorristiche perseguono in forza delle risorse finanziarie che riescono a gestire, si registra sempre più frequentemente la presenza di settori del mondo imprenditoriale i quali, in un rapporto di reciproco vantaggio, sono portati a condividere gli obiettivi dei programmi criminosi dei clan camorristici, mettendo a disposizione il proprio know-how, di cui è componente essenziale anche la rete relazionale con professionisti (commercialisti, notai, avvocati, funzionari di istituti di credito, intermediari finanziari, ecc.) o con esponenti politici, nazionali e locali”. “Si tratta di caratteri strategici -prosegue la relazione- che non possono che riguardare i sodalizi che più stabilmente hanno conquistato e conservato una propria egemonia malavitosa innanzitutto a carattere territoriale e che, nell'ambito di una progressiva espansione criminale fondata prevalentemente sul reinvestimento dei profitti, ricercano l'interlocuzione con chi sia in grado di assicurare la moltiplicazione dei profitti medesimi al riparo delle più penetranti investigazioni”. 
Per il passato, situazioni di questo tipo, fa notare la Direzione nazionale antimafia, «erano per lo più riscontrabili in relazione ai clan camorristici della provincia napoletana e casertana, apparendo forse più arduo, in un contesto magmatico come quello dell'area metropolitana, ove talvolta appare difficile pure distinguere tra clan camorristici e bande malavitose a carattere gangsteristico, tessere relazioni stabili con settori dell'imprenditoria». «Ma taluni esiti più recenti di indagini svolte in questo ambito -conclude la Dna- mostrano come anche a Napoli vi siano ormai relazioni criminose di tale natura”. 
Servendosi anche di intermediari finanziari che a tutti gli effetti sono affiliati ai clan, la camorra ricicla e investe all'estero gli enormi guadagni provenienti dai traffici di droga. Soprattutto nel settore immobiliare in Spagna, come fa la famiglia Di Lauro. “Vi è conferma che i rilevantissimi profitti ricavati dal traffico di stupefacenti costituiscono la provvista da riciclare all'estero e da impiegare per investimenti immobiliari in Spagna, anche attraverso l'impiego di posizioni fiduciarie nel principato di Monaco e aventi la sede in Paesi off-shore, con l'imprescindibile contributo di intermediari finanziari, talvolta ritenuti organicamente inseriti nel clan”. 
Il rapporto poi approfondisce anche il traffico di rifiuti dell'organizzazione criminale: “La camorra, in Campania, fa male anche alla salute e provoca, con il business dei rifiuti che inquinano il territorio e arricchiscono le entrate dei clan, l'aumento dei tumori e della presenza di inquinanti come la diossina nel sangue e nel latte materno”. 
“Alcuni dati di natura epidemiologica dimostrano in tutta la loro gravità gli effetti nefasti provocati da scellerate strategie di distruzione del territorio a fini criminali”. “Insomma è ormai manifesta una camorra - conclude Filippo Beatrice, il magistrato della Dna che ha trattato il capitolo della criminalità organizzata campana - che non solo mortifica le iniziative economiche che lecitamente si cerca di intraprendere in determinati territori a rischio di infiltrazione mafiosa, ma che con il suo agire determina effetti perniciosi per la salute della collettività”.
La sottovalutata Sacra Corona Unita
I magistrati la descrivono come un'organizzazione in “evoluzione”. “Le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia di assoluta attendibilità e ricoprente una posizione apicale nella frangia brindisina della Sacra Corona Unita attestano l’avvenuta introduzione di regole finalizzate a “compartimentare” l'assetto dei gruppi, in modo da renderli più impermeabili alle indagini o alle delazioni. È stata così introdotta la regola “dell'affiliazione solo tra paesani”, adottata dopo le collaborazioni degli anni duemila: per creare dei compartimenti sufficientemente “stagni” l'affiliazione riguardava appartenenti allo stesso gruppo territoriale e anche nella “capriata” dovevano essere indicati esponenti, pur di rilievo, ma “locali”, e comunque non dovevano essere indicati i nomi dei responsabili del gruppo”.
In tutta Italia presenza stabile delle mafie
Non si può parlare di infiltrazioni mafiose al Nord, si legge nella relazione annuale della Dna, ma per regioni come il Piemonte, la Lombardia, il Lazio e la Liguria, in vari passaggi della relazione, si afferma che "le mafie sono presenze stabili" sul territorio. 
Secondo la relazione è da almeno 20 anni che era “intuibile” la presenza della 'Ndrangheta in Lombardia attraverso la pratica, nei confronti di imprenditori, politici e pubblici amministratori, “dell'avvicinamento-assoggettamento (spesso cosciente e consenziente) di soggetti legati negli stessi luoghi da comunanze di interessi”. In proposito, il rapporto osserva che nella regione c'è stato, da parte della malavita calabrese, un «vero e proprio fenomeno di 'colonizzazione'” e non la semplice riproduzione da parte di gruppi delinquenziali autoctoni di modelli di azione dei gruppi mafiosi. Tuttavia i clan che operano nella regione non sono autonomi, ma rispondono ad «una struttura di coordinamento chiamata 'La Provincia' o 'Il Crimine' attiva in Calabria”. 
Alto l'allarme per la presenza della 'Ndrangheta ma anche di alcune famiglie di Cosa nostra, anche in Liguria. La relazione dedica particolare attenzione anche alla situazione in cui versano il Piemonte, sia per la presenza delle 'ndrine che per altri affari criminali comunque coordinate dalle famiglie calabresi, che al Lazio, terra contaminata da Camorra e 'Ndrangheta. 
Anche Toscana, Emilia Romagna (Modena in particolare) e Marche sono oggetto di analisi accurata da parte della Direzione nazionale antimafia.
Lazio, escalation criminale ma non una nuova “banda della Magliana”
Secondo i magistrati a Roma c'è una “violenza efferata”, ma non si può parlare di “nuova Banda della Magliana, in quanto non si ravvisa un gruppo criminale che possa risultare egemone sugli altri o tale da assicurare un effettivo controllo del territorio”. Un certo numero di tali fatti criminosi, spiega la Dna, «non è riconducibile a logiche di criminalità organizzata, ma piuttosto deriva da fatti occasionali (come l'aggressione al musicista nel rione Monti) o rappresenta l'estrema conseguenza di episodi delittuosi di altra natura (come l'omicidio a seguito di rapina in zona S. Basilio). Nello stesso tempo - sottolinea - però occorre ammettere che molte aggressioni, per le modalità esecutive, o per le caratteristiche soggettive delle vittime, o per l'esito delle attività di indagine, risultano invece maturate a seguito di contrasti insorti in un contesto criminale, ed in particolar modo nel traffico degli stupefacenti”. Peraltro, prosegue la relazione, “l'attuale stato delle indagini non ha evidenziato elementi che colleghino tra loro tali fatti di sangue. Al momento non sono emersi elementi per ritenere che tali delitti, o alcuni di essi, rappresentino segnali di un tentativo di monopolizzare il mercato dello spaccio, o azioni di ritorsione ad analoghe azioni delittuose”.
Intercettazioni fondamentali e 41 bis da potenziare
La Dna è quindi intervenuta anche in materia di giustizia in particolare soffermandosi su alcuni strumenti ritenuti essenziali. Il primo punto è quello delle intercettazioni ritenute indispensabili per “l'accertamento dei delitti di criminalità organizzata, specie in ambienti connotati da forte omertà, senza le quali l'azione repressiva ed anche preventiva risulterebbe sostanzialmente priva di ogni efficacia”. 
Il secondo riguarda il 41 bis evidenziato come “imprescindibile”. Per la Dna “deve essere potenziato con nuovi investimenti per la creazione di strutture adatte allo scopo e non certo depotenziato o rispetto al quale si possa addivenire ad una limitazione dei soggetti sottoposti per ragioni diverse dal venir meno della loro capacità di comunicare in maniera efficace con l'organizzazione criminale nella quale continuano ad avere un ruolo di vertice”. “In questo senso -rimarca la relazione della Dna- diviene sempre più necessario individuare nel piano carceri nuove strutture idonee, nate esclusivamente per l'assolvimento della funzione di prevenzione prevista dall'art. 41 bis, e da destinare in via esclusiva a tale scopo”. 
In passato, si ricorda, il problema è stato risolto anche grazie all'impiego di istituti penitenziari particolarmente idonei allo scopo di isolare i detenuti dall'esterno, come le carceri dell'Asinara e di Pianosa, “anche se reazioni fortemente contrarie siano state suscitata da più parti in ordine alla paventata possibilità di una loro riapertura”.


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