È il 6 aprile 2007 quando dall’ambasciata degli Stati Uniti a Roma parte un cablogramma destinato al Dipartimento di Stato, allora retto dal segretario di Stato Condoleeza Rice. È classificato “S/FN” (Secret/No Foreigners), il massimo grado di segretezza, quindi occhi non americani non possono prenderne conoscenza: strettamente vietato. Il rapporto si riferisce alla visita, 18 giorni prima, di Massimo D’Alema, ministro degli Esteri nel governo guidato da Romano Prodi, proprio dalla Rice, a Washington. Una cena a tu per tu, il 19 marzo, tra i due massimi rappresentanti delle rispettive diplomazie. Un clima un po’ freddino, sottolineato dalle parole del portavoce della Rice, sulle “turbolenze” tra i due paesi, a causa di due vicende: quella di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi ucciso in uno scontro a fuoco con soldati Usa in Iraq e, appunto, Abu Omar.
D’Alema brinderà comunque all’amicizia tra i due paesi. Ma quell’atmosfera riserverà una sorpresa. Chiosa infatti, nella primavera di quattro anni fa, l’estensore della nota che ha come responsabile l’ambasciatore americano in Italia Ronald P. Spogli: “D’Alema ha chiuso il meeting, durato un’ora, osservando di aver chiesto al Segretario se il Dipartimento poteva scrivergli qualcosa spiegando che gli Usa non avrebbero agito sulla richiesta di estradizione, se fosse stata presentata, nel caso Abu Omar. Questo, ha chiarito, poteva essere usato preventivamente dal Goi (Government of Italy, il governo italiano, ndr) per eludere l’azione dei magistrati italiani che volevano l’estradizione degli americani coinvolti (nel rapimento, ndr)”.
Traduzione. Spataro si arrabattava perché gli agenti della Cia venissero estradati dagli Stati Uniti ed ecco che salta fuori la richiesta “preventiva” di D’Alema: una lettera, da Washington, a lui, nella quale in pratica gli Usa assicuravano la loro “inerzia” su una eventuale procedura di estradizione. Quel che è avvenuto in seguito lo sappiamo dalle cronache. Il ministro prodiano della Giustizia,Clemente Mastella, si guarderà bene dall’inoltrare, oltre Oceano, l’istanza dei pm di Milano, tornati alla carica proprio tre mesi prima del viaggio americano di D’Alema, nel gennaio 2007. Silenzio assoluto. Che equivale a “inerzia”.
Del resto che la materia fosse scottante, discussa anche, come si legge nei dispacci di Wikileaks, “con l’ambasciatore italiano a Washington”, Spataro lo aveva capito da tempo. Un’altra conferma viene ancora dalle carte di Julian Assange. Dispaccio di fine giugno 2006, quindi un anno prima della “missione” di D’Alema in terra americana, quando, dopo le elezioni di primavera, il governo Prodi è appena subentrato a quello di Silvio Berlusconi. Commento: “Il ministro Mastella ha fin qui posto un freno alle continue richieste di estradare presunti agenti della Cia presumibilmente implicati in un’operazione di rendition (sequestro, ndr) dell’imam Abu Omar.
Prodi ha rifiutato di fornire dettagli sul fatto che gli italiani ne fossero potenzialmente al corrente, ritenendo fosse indispensabile proteggere informazioni considerate segrete per la sicurezza nazionale”. Insomma, su Abu Omar, Prodi è sulla stessa lunghezza d’onda del suo predecessore Berlusconi: coprire. Il cablo prosegue infine mettendo l’accento sulle conseguenze di tutto questo: il gelo (“chilling effect”) “sulle tradizionali, fruttuose relazioni di lavoro sia con i servizi di intelligence esterni, Sismi, e interni Sisde”. Il che si era già verificato “con l’amministrazione Berlusconi, quando il fatto era scoppiato”.