venerdì 18 febbraio 2011

Sequestro Abu Omar. Diverso governo stessa strategia. -di Leo Sisti



Quando D'Alema chiedeva agli Usa "una mano" contro i magistrati. Da Wikileaks nuove conferme.

Il titolo è tutto un programma: Abu Omar-Preemptive letters. Ovvero: “Abu Omar-lettere preventive”. Protagonista: Massimo D’Alema. I nuovi documenti di Wikileaks sull’Italia si arricchiscono di nuovi, sconcertanti retroscena sulle indagini per il sequestro dell’imam egizianoAbu Omar, rapito nel 2003 a Milano dalla Cia e dal Sismi. E il tema è delicato: come mettere i bastoni tra le ruote all’indagine che il pm Armando Spataro stava conducendo su quell’episodio.

È il 6 aprile 2007 quando dall’ambasciata degli Stati Uniti a Roma parte un cablogramma destinato al Dipartimento di Stato, allora retto dal segretario di Stato Condoleeza Rice. È classificato “S/FN” (Secret/No Foreigners), il massimo grado di segretezza, quindi occhi non americani non possono prenderne conoscenza: strettamente vietato. Il rapporto si riferisce alla visita, 18 giorni prima, di Massimo D’Alema, ministro degli Esteri nel governo guidato da Romano Prodi, proprio dalla Rice, a Washington. Una cena a tu per tu, il 19 marzo, tra i due massimi rappresentanti delle rispettive diplomazie. Un clima un po’ freddino, sottolineato dalle parole del portavoce della Rice, sulle “turbolenze” tra i due paesi, a causa di due vicende: quella di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi ucciso in uno scontro a fuoco con soldati Usa in Iraq e, appunto, Abu Omar.

D’Alema brinderà comunque all’amicizia tra i due paesi. Ma quell’atmosfera riserverà una sorpresa. Chiosa infatti, nella primavera di quattro anni fa, l’estensore della nota che ha come responsabile l’ambasciatore americano in Italia Ronald P. Spogli: “D’Alema ha chiuso il meeting, durato un’ora, osservando di aver chiesto al Segretario se il Dipartimento poteva scrivergli qualcosa spiegando che gli Usa non avrebbero agito sulla richiesta di estradizione, se fosse stata presentata, nel caso Abu Omar. Questo, ha chiarito, poteva essere usato preventivamente dal Goi (Government of Italy, il governo italiano, ndr) per eludere l’azione dei magistrati italiani che volevano l’estradizione degli americani coinvolti (nel rapimento, ndr)”.

Traduzione. Spataro si arrabattava perché gli agenti della Cia venissero estradati dagli Stati Uniti ed ecco che salta fuori la richiesta “preventiva” di D’Alema: una lettera, da Washington, a lui, nella quale in pratica gli Usa assicuravano la loro “inerzia” su una eventuale procedura di estradizione. Quel che è avvenuto in seguito lo sappiamo dalle cronache. Il ministro prodiano della Giustizia,Clemente Mastella, si guarderà bene dall’inoltrare, oltre Oceano, l’istanza dei pm di Milano, tornati alla carica proprio tre mesi prima del viaggio americano di D’Alema, nel gennaio 2007. Silenzio assoluto. Che equivale a “inerzia”.

Del resto che la materia fosse scottante, discussa anche, come si legge nei dispacci di Wikileaks, “con l’ambasciatore italiano a Washington”, Spataro lo aveva capito da tempo. Un’altra conferma viene ancora dalle carte di Julian Assange. Dispaccio di fine giugno 2006, quindi un anno prima della “missione” di D’Alema in terra americana, quando, dopo le elezioni di primavera, il governo Prodi è appena subentrato a quello di Silvio Berlusconi. Commento: “Il ministro Mastella ha fin qui posto un freno alle continue richieste di estradare presunti agenti della Cia presumibilmente implicati in un’operazione di rendition (sequestro, ndr) dell’imam Abu Omar.

Prodi ha rifiutato di fornire dettagli sul fatto che gli italiani ne fossero potenzialmente al corrente, ritenendo fosse indispensabile proteggere informazioni considerate segrete per la sicurezza nazionale”. Insomma, su Abu Omar, Prodi è sulla stessa lunghezza d’onda del suo predecessore Berlusconi: coprire. Il cablo prosegue infine mettendo l’accento sulle conseguenze di tutto questo: il gelo (“chilling effect”) “sulle tradizionali, fruttuose relazioni di lavoro sia con i servizi di intelligence esterni, Sismi, e interni Sisde”. Il che si era già verificato “con l’amministrazione Berlusconi, quando il fatto era scoppiato”.



Wikileaks, "Berlusconi danno per l'Italia"

Fuga di «giudizi» americani in 4 mila
rapporti segreti intercettati

Il premier Berlusconi
Il premier Berlusconi
MILANO - Una governance inefficiente e irresponsabile. Frequente uso di istituzioni pubbliche per conquistare vantaggi elettorali. Fragilità italiane che fanno del nostro Paese «il miglior alleato» degli Usa. O meglio un «forte alleato» a cui l'America si prepara a «chiedere». Parola di Wikileaks. Ovvero dell'ambasciatore Ronald Spogli. Documenti segretissimi, come sempre sfuggiti da servizi segreti e controlli per approdare al sito di Assange. E che ora il Gruppo Espresso pubblica.

Carteggi che «svelano» un'Italia che fa la gradassa nello scacchiere internazionale. Ma che in realtà poco ha da dire e da mettere nel piatto. Sono ancora le parole dell'ambasciatore Spogli a mettere in un drammatico ridicolo «il miglior alleato». «Il lento ma costante declino economico dell'Italia compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell'arena internazionale», scrive l'ambasciatore nel memoriale di congedo dal suo mandato al nuovo segretario di Stato Hillary Clinton. «La sua leadership manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno paese europeo....». È ancora Spogli a raccontare le relazioni del premier italiano. « Silvio Berlusconi, con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata di parole ha offeso quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader europeo». E continua: «la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa e ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell'Italia in molte branche del governo degli Stati Uniti». Spogli insiste molto sul «declino» dell'Italia.

Il presidenti Usa Barack Obama e il primo ministro Silvio Berlusconi durante il G8 all'Aquila (Afp)
Il presidenti Usa Barack Obama e il primo ministro Silvio Berlusconi durante il G8 all'Aquila (Afp)
E fornisce persino un consiglio al presidente Obama in vista del G8 dell'Aquila: «Berlusconi danneggia l'Italiama ci è utile e va aiutato: Obama deve salvarlo al G8 dell'Aquila».

Berlusconi non è la sola vittima dei giudizi negativi americani. Nei cable di Wikileaks si parla anche dell'eterno duello D'Alema-Veltroni. L'ambasciata americana in un rapporto parte dalla vittoria elettorale di Berlusconi nel 2008, vittoria «schiacciante» e maggioranza «solida» in entrambi i rami del Parlamento. «Veltroni - si legge - è stato indebolito politicamente dalla sua eclatante sconfitta alle elezioni del 13 e 14 aprile, così come due settimane dopo il Pd lo è stato dalla perdita della poltrona di sindaco nella città di Roma. Veltroni proponeva un modello anglosassone di governo in opposizione a quello berlusconiano, ma il precedente ministro degli esteri Massimo D'Alema, importante esponente del Pd, si è rifiutato di parteciparvi e ha iniziato a combattere Veltroni su diversi fronti. Il presidente della camera Gianfranco Fini ha detto all'ambasciatore che D'Alema ha messo Veltroni "nel freezer" e studia una modo per eliminarlo dalla leadership del Pd nel prossimo anno».

http://www.corriere.it/politica/11_febbraio_18/wiki-italia_5e7b6684-3b28-11e0-ad4e-5442110d8882.shtml


Benigni: ''Anche la Cinquetti era minorenne'' - Sanremo 17 febbraio 2011


giovedì 17 febbraio 2011

Le elezioni sono il male minore. - di Luigi La Spina




Un futuro da brivido. E’ quello che aspetta l’Italia nei prossimi mesi sull’asse Milano-Roma. Da una parte, al tribunale di Milano, un processo a Silvio Berlusconi che rischia di essere tutt’altro che breve e sicuramente pieno di ostacoli, come ha spiegato, ieri su «La Stampa», Carlo Federico Grosso. Con imbarazzanti e imbarazzate sfilate di giovani testimoni, al bivio tra la difesa personale e quella del premier. Un rito, destinato a una via crucis dilatoria, tra eccezioni di incompetenza, appelli al legittimo impedimento, richieste di annullamento di atti, e stretto tra le contemporanee udienze di altri tre procedimenti, sempre a carico del presidente del Consiglio.

Dall’altra parte, nelle aule del Parlamento, un governo che, con una risicatissima maggioranza, cercherà di far approvare riforme fondamentali, come quella sul federalismo o quella sulla giustizia, che richiederebbero un larghissimo consenso. Sia per superare gli ostacoli di una opposizione disposta a tutto pur di non farle passare, sia per evitare, come già successo, che l’arma del referendum vanifichi il risultato di tanti sforzi. Se questo è il cupo profilo che si staglia sul nostro orizzonte, aggravato probabilmente da un conflitto istituzionale tra poteri e ordini dello Stato quale non si è mai verificato nella storia della nostra Repubblica, l’augurio non può essere quello che il meglio prevalga sul peggio, ma solamente che, tra i mali, vinca almeno il male minore.

Da molte settimane, ormai, l’interrogativo dominante è uno solo: saranno le elezioni anticipate a far uscire il Paese, in qualche modo, da questa drammatica situazione? L’ipotesi viene caldeggiata o osteggiata, alternativamente, solo per le opposte convenienze elettorali. In una prima fase, l’aveva minacciata il presidente del Consiglio, per convincere i «responsabili» a evitare il rischio di non essere più eletti nel prossimo Parlamento e per chiudere la porta a eventuali successori a Palazzo Chigi nel corso della legislatura. L’opposizione, invece, avrebbe preferito evitare la prova del voto, per avere il tempo di organizzare un’offerta elettorale agli italiani più convincente dell’attuale.

Negli ultimi giorni, le parti si sono invertite. I sondaggi sui consensi a Berlusconi non sembrano troppo rassicuranti per il presidente del Consiglio. Ma le travagliate vicende del neonato partito di Fini, con lo sfilacciamento dei suoi parlamentari, impediscono di pensare che un altro governo riesca a essere sostenuto da una maggioranza diversa. In più, il sorprendente successo delle manifestazioni delle donne ha indotto a sospettare, forse con troppo semplicismo e con forzature magari arbitrarie, che sia mutato il clima psicologico e morale dei cittadini italiani davanti ai costumi pubblici e privati del Cavaliere.

Questa improvvisa inversione tra speranze e paure ha rovesciato ipocriticamente le tesi. Berlusconi, da sempre fautore del consenso popolare come unica patente di legittimità a governare, da sempre fustigatore degli intrighi romani, delle trasmigrazioni di deputati e senatori da un partito all’altro è diventato il più rigoroso difensore della, una volta negletta, «centralità del Parlamento». Scrupoloso e legalistico cultore della «libertà di mandato» che la Costituzione prevede per i rappresentanti del popolo nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama. Senza considerare che, proprio dal punto di vista politico, lo schieramento vittorioso quasi tre anni fa era del tutto diverso dall’attuale, perché comprendeva un partito che aveva in Fini addirittura il cofondatore.

L’opposizione, invece, galvanizzata, forse con troppo entusiasmo, dai verbali delle intercettazioni, dalle piazze, dai numeri dei sondaggi pensa sia questo il momento della spallata elettorale al premier. Nella convinzione, probabilmente fondata, che Berlusconi non sia minimamente disposto a lasciare la poltrona di Palazzo Chigi a un suo erede, Tremonti, Alfano o Letta che sia. E nella speranza, altrettanto probabilmente fondata, che, alla fine, sia Bossi l’unico possibile becchino di questo governo.

Come si è visto, i sofismi dialettici, le ipocrisie ideologiche possono giustificare l’inosservanza di qualunque scrupolo costituzionale, di qualunque coerenza politica e, persino, di qualunque regola della logica. L’anomalia italiana, rispetto alle democrazie occidentali più evolute, è tale, poi, da rendere del tutto inutile un confronto internazionale per trovare una via d’uscita. E’ vero che, all’estero, un primo ministro che si trovasse investito da accuse quali vengono rivolte a Berlusconi si sarebbe subito dimesso e presentato ai giudici per dimostrare, con la massima rapidità, la sua innocenza. Ma, in Francia, in Germania o in Inghilterra il detentore di un così grande potere mediatico e plutocratico non sarebbe mai arrivato a presiedere un governo e, quindi, quelle magistrature non sarebbero state messe nelle condizioni di dirimere una legittimità politica, come, di fatto, è avvenuto nel nostro Paese.

E’ vero, infine, che le elementari regole di un ordinamento liberale non affidano al popolo e alla sua maggioranza elettorale il verdetto su un caso giudiziario. Ma, nella realistica valutazione delle convenienze, questa volta degli italiani, il voto anticipato non può risolversi come il male minore?



La Consulta si smarca sul caso Ruby: su giurisdizione decide la Cassazione.





Fonti della Corte costituzionale: sulla questione della competenza inammissibilità sarebbe scontata.

ROMA
Se l’obiettivo è trasferire il processo a carico del premier Berlusconi sul "caso Ruby" dal tribunale di Milano a quello dei ministri, il conflitto tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale rischia di cadere nel vuoto e di essere fermato da una pronuncia di inammissibilità. E questo perchè - spiega all’ANSA un’importante e qualificata fonte di Palazzo della Consulta - sulle questioni di giurisdizione decide la Cassazione e non la Corte Costituzionale, «secondo quanto previsto dall’art.37, secondo comma, della legge 87 del 1953» sul funzionamento della Consulta.

Negli stessi ambienti si auspica che tali norme siano tenute in conto nel caso in cui la Camera o la Presidenza del Consiglio decidano di sollevare il conflitto. La norma citata prevede che il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale «se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali». Ma la stessa norma, al secondo comma, precisa che «restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione». Quindi, se la questione verrà posta per risolvere il nodo della competenza funzionale (nel telefonare in questura a Milano per chiedere il rilascio di Ruby Berlusconi ha agito o no abusando della sua funzione di premier tanto da dover essere giudicato dal tribunale dei ministri?) la Consulta dovrebbe rigettarla, dichiarandola inammissibile e senza entrare nel merito.

La sollecitazione in ambienti di Palazzo della Consulta è dunque quella di «valutare bene» la strada del conflitto tra poteri. E se questo dovesse essere sollevato, si tenga conto che il conflitto non sospende il procedimento in corso. Inoltre - fa notare la stessa fonte qualificata - tra ammissibilità e decisione nel merito mediamente passa oltre un anno prima che la Consulta si esprima sui conflitti. «Potremmo anche ridurre i tempi arrivando a sei mesi ma - viene ribadito - non si dimentichi che è la Cassazione a decidere sulle questioni di competenza».


http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/389478/



«Ruby, le telefonate, i bonifici» di Giuseppe Guastella


Le conclusioni del gip Cristina Di Censo che ha deciso il processo per Silvio Berlusconi.


MILANO - Silvio Berlusconi aveva «l'evidente scopo» di nascondere il reato di aver avuto rapporti sessuali a pagamento con una minorenne e voleva «assicurarsene l'impunità» che «la giovane e poco controllabile Karima El Mahroug ben avrebbe potuto porre a rischio», quando fece pressioni sulla Questura di Milano affinché la 17enne marocchina fosse affidata con una «procedura macroscopicamente anomala» alla consigliera regionale Nicole Minetti. Nelle 27 pagine del decreto notificato ieri a Silvio Berlusconi e alle parti lese il giudice Cristina Di Censo spiega perché, rinviando a giudizio immediato il premier per la vicenda Ruby, ritiene che i pm Ilda Boccassini, Piero Forno e Antonio Sangermano abbiano nelle mani quella «prova evidente» (che nulla ha a che vedere con la colpevolezza) richiesta dal codice per saltare l'udienza preliminare e sostenere l'accusa nel processo che comincerà il 6 aprile in Tribunale di fronte ai giudici della quarta sezione penale.

Abuso di potere da parte del premier
Secondo l'accusa, la sera del 27 maggio 2010 Silvio Berlusconi, allertato da Milano sul cellulare personale dalla prostituta brasiliana Michelle Conceicao mentre era a Parigi ad un vertice internazionale, chiamò il capo di gabinetto della Questura di Milano Pietro Ostuni per fare pressioni affinché «Ruby» fosse affidata alla Minetti invece che a una comunità per minorenni. Con quelle pressioni, che servivano ad evitare che emergessero i suoi rapporti con la giovane, per la Procura Berlusconi avrebbe commesso il reato di concussione. La difesa del premier ha sostenuto che non ci fu alcun reato e, se mai ci fosse stato, esso dovrebbe essere giudicato dal Tribunale di ministri e non da quello ordinario. Una tesi seguita anche dalla Camera dei deputati respingendo la richiesta di perquisizione dell'ufficio di Giuseppe Spinelli, l'amministratore del «portafoglio» personale di Silvio Berlusconi dal quale sarebbero partiti i pagamenti per le ragazze del bunga bunga. Il gip risponde a queste obiezioni scrivendo che, dopo aver esaminato le fonti di prova, si è convinta che la tesi della Procura non è campata in aria e che ci sono parecchi elementi che i giudici del Tribunale dovranno valutare. «È evidente che l'ipotizzato, indebito, intervento» su Ostuni e, a cascata, sugli altri due funzionari che quella sera furono investiti del problema, fu fatto da Berlusconi «sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio». Ma questo avvenne «al di fuori di qualsivoglia prerogativa istituzionale e funzionale propria» del premier. Come dire, si mosse con il peso emotivo che la sua carica poteva esercitare sui funzionari, ma non con quello proprio del premier perché come tale non ha «nessuna competenza» sulla «identificazione e affidamento dei minori» né ha «poteri di intervento gerarchico sulla Polizia che dipende solo dal ministro degli Interni.

Nipote di Mubarak «non è logico»
In una memoria allegata agli atti, i difensori di Silvio Berlusconi, gli avvocati-parlamentari Niccolò Ghedini e Piero Longo, sostengono che quella fatidica sera il premier intervenne per «salvaguardare le relazioni internazionali con l'Egitto», dato che riteneva «erroneamente» che Karima El Marough fosse la nipote del presidente egiziano. È una tesi «apertamente contraddetta dalla logica degli accadimenti», sostiene il giudice: in primo luogo, Silvio Berlusconi quando parlò con Ostuni «fece riferimento in termini generici e dubitativi all'illustre consanguineità della minorenne»; in secondo luogo, non risulta che la presidenza del Consiglio, «per tutelare le relazioni diplomatiche con l'Egitto», abbia in qualche modo contattato «le autorità di quello stato per la verifica della nazionalità e dell'identità» di Ruby. Quando poi fu chiaro che si trattava di una marocchina di 17 anni, sbandata, fuggita da una casa di accoglienza in Sicilia, la ragazza «non fu affidata a una qualsivoglia delegazione diplomatica, ma consegnata alle cure del consigliere regionale Nicole Minetti». La Minetti, 25 anni, eletta alle ultime regionali nel listino bloccato Pdl di Roberto Formigoni su indicazione di Berlusconi, di cui è stata igienista dentale, è imputata con il direttore del Tg4 Emilio Fede e l'impresario dello spettacolo Lele Mora per favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, nell'inchiesta dalla quale è stata stralciata la posizione del premier e che sarà chiusa con il deposito degli atti la prossima settimana.

Assicurarsi l'impunità Ruby è poco controllabile
Il gip scrive che «l'esito della vicenda» in Questura, «storicamente certo», conferma «la ricostruzione dell'accusa» e, cioè, che Berlusconi intervenne per un «interesse» diretto che «riguardava la ragazza e non le parentele extracomunitarie» della giovane. Ma quale sarebbe stato questo interesse? Evitare che ciò che Ruby sapeva sulle feste ad Arcore finisse nelle mani della polizia. Il processo dovrà stabilire se, come sostiene la Procura, «la sottrazione della minore alla sfera di controllo della polizia» aveva per Berlusconi lo scopo di «occultare» il reato di prostituzione minorile e «assicurarsene l'impunità», che «la giovane e poco controllabile Karima El Mahroug ben avrebbe potuto porre a rischio». I due reati, per il giudice, non sono separabili in distinti processi e vanno giudicati insieme dal Tribunale di Milano. Pertanto non c'è alcuna «violazione di legge nella scelta del Pm di mantenere unificate le due contestazioni».


Le prove in 14 pagine Spuntano le auto delle ragazze
La documentazione raccolta nelle indagini, divisa per aree tematiche, riempie 14 delle 27 pagine del decreto di giudizio immediato. Sono «plurime e variegate le fonti di prova», tutte «riferite e pertinenti ai fatti di imputazione». Si va dai momenti della notte in Questura, passando per le relazioni di servizio firmate dai poliziotti che, due mesi dopo i fatti, innescarono in parte l'inchiesta per passare ai cinque interrogatori di Ruby dinanzi ai pm tra il 2 luglio e il 3 agosto fino agli interrogatori delle ragazze che partecipavano alle feste, tra le quali la brasiliana Iris Berardi, presente di notte anche quando era minorenne. Ci sono poi le intercettazioni (mai di parlamentari) e la documentazione bancaria raccolta recentissimamente. Tra cui alcune verifiche su assegni e bonifici dal conto corrente 2472 intestato a Spinelli nella Banca popolare di Sondrio, soldi usati per acquistare autovetture. Accertamenti preceduti da verifiche sulla proprietà di auto intestate ad alcune delle ragazze. Seguono i movimenti di denaro tra Berlusconi, Spinelli, Mora e Fede oltre all'esame, attraverso i tabulati telefonici, dei presenti alle feste di Arcore anche a novembre e dicembre 2010. «Fonti prova di natura dichiarativa documentale, intercettativa e investigativa pura» che, a parere del giudice Cristina Di Censo, «convergono nel senso della ricostruzione delittuosa prospettata dall'accusa». Elementi che, «allo stato degli atti», non paiono essere «efficacemente contrastati dai contenuti delle investigazioni» fatte dalla difesa del premier che, anzi, «in più punti stridono in termini netti con le acquisizioni dell'indagine pubblica». Una ragione in più perché tutto sia valutato in un processo.


Parti lese Il ministro Maroni
Si tratta di Ruby, presunta vittima del reato di prostituzione minorile, dei tre funzionari della Questura di Milano vittime della presunta concussione: Giorgia Iafrate, che si occupò dell'affidamento della marocchina alla Minetti, del capo di gabinetto Ostuni e del funzionario Ivo Morelli, dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale. Se i dipendenti del ministero dell'Interno furono vittime del premier, è logico che anche lo stesso ministero, attraverso il suo rappresentante «pro tempore», il leghista Roberto Maroni, compaia tra le parti lese.

La copia del verbale: http://media2.corriere.it/corriere/pdf/verbale2.pdf

Nella foto il Gip Cristina Di Censo.

http://www.corriere.it/cronache/11_febbraio_17/guastella-ruby-telefonate-bonifici_e7016e98-3a62-11e0-a00e-b467f0f3f2af.shtml

Perchè va alla sbarra. da Piovono rane di Alessandro Gilioli.



Il decreto originale con cui il Gip di Milano ha rinviato a giudizio Silvio Berlusconi.


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/02/17/perche-va-alla-sbarra/