Giammarinaro, racconta un’inchiesta della squadra mobile di Trapani e della Guardia di Finanza, è stato lo sponsor politico di Sgarbi nella sua corsa alla poltrona a sindaco di Salemi. E una volta che il critico d’arte ha ottenuto quell’incarico di fatto ha condizionato pesantemente l’amministrazione del paese. Ex deputato regionale, Giammarinaro nei primi anni 90 era stato arrestato per corruzione, concussione e concorso in associazione mafiosa. E alla fine aveva patteggiato una pena per peculato e concussione, mentre dalla terza accusa, quella più infamante, era stato assolto perché gli indagati per reato connesso e i pentiti, che in istruttoria avevano puntato l’indice contro di lui, in aula si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Giammarinaro era così stato mandato per quattro anni al soggiorno obbligato proprio in quel di Salemi.
Un decreto lungo 388 pagine
In Sicilia, ma non solo, la storia di Giammarinaro è ampiamente nota. Eppure il futuro conduttore diRaiuno, secondo gli investigatori, non ha esitato a permettergli di fatto di esercitare la carica di ‘sindaco ombra’ di Salemi. Lo dicono le 388 pagine con cui gli investigatori propongono il sequestro preventivo. Un documento impressionante, nel quale è pure descritto il ruolo di Saverio Romano, indagato a Palermo per altre vicende di mafia e legato a Giammarinaro da rapporti di amicizia e di comune militanza politica nell’Udc.
Il decreto ricorda come il presunto nume tutelare di Sgarbi, sia stato un tempo vicino ai cugini Nino e Ignazio Salvo, gli esattori della mafia, e come sia oggi considerato “l’espressione della borghesia mafiosa che ha rivoluzionato i contorni classici della figura del soggetto indiziato di contiguità a Cosa nostra”.
“Dalle intercettazioni e dalle altre indagini svolte”, scrivono tra l’altro gli investigatori “è emerso che la candidatura alla carica di Sindaco di Salemi di Vittorio Sgarbi è stata sostenuta proprio dal Giammarinaro che ha appoggiato il noto critico d’arte durante la campagna elettorale”. Dopodiché, incassate la vittoria, l’uomo, Giammarinaro, “avrebbe addirittura partecipato, senza averne alcun titolo politico o istituzionale, a diverse riunioni della Giunta, allo scopo di indirizzare le decisioni dell’organo amministrativo”, incidendo “ in modo significativo su alcune delibere del Comune di Salemi”.
L’inchiesta arriva a pochi giorni dall’esordio della trasmissione Rai di Sgarbi. Esordio sul quale adesso pesa anche un’interrogazione del deputato Democratico Vinicio Peluffo che chiede “chiarimenti sulla messa in onda del programma, non solo perché pare inopportuna la presenza in Tv durante la campagna elettorale per i ballottaggi di un politico, ma anche perché Sgarbi, come ha sostenuto oggi l’onorevole Garavini, non ha mai preso le distanze dall’ex deputato Giuseppe Giammarinaro”. Dal canto suo Sgarbi minimizza e ribatte: “Giammarinaro non ha mai avuto un ruolo attivo nella giunta”.
La testimonianza di Toscani
Eppure, il celebre fotografo Oliviero Toscani, per qualche tempo assessore accanto a Sgarbi, racconta un’altra storia. “Vittorio mi ha detto che fu Pino Giammarinaro a chiedergli di fare il Sindaco di Salemi. Mi ha detto che salì a Milano e gli fece la proposta”. L’ex deputato regionale, infatti, in paese voleva comandare. Tanto che ora gli investigatori denunciano “un vero e proprio condizionamento mafioso di tutta l’attività amministrativa del comune”. Del resto di Giammarinaro hanno parlato diversi collaborati di giustizia. Tra questi Mariano Concetto della famiglia mafiosa di Marsala: “Tra i politici che si sono avvalsi di Cosa Nostra in occasione di varie consultazioni elettorali, posso riferire degli aiuti forniti, tra gli altri, a Pino Giammarinaro”
È sempre Oliviero Toscani a spiegare come andavano le cose in comune prima delle sue dimissioni. “Sin dal mio ingresso in Giunta, ho potuto constatare la costante presenza di Pino Giammarinaro alle riunioni della Giunta. Partecipava e assumeva decisioni senza averne alcun titolo, alla presenza di Sgarbi, del sottoscritto e di altri assessori comunali. La cosa mi sembrò alquanto anomala, perché nessun estraneo aveva mai partecipato alle riunioni della Giunta”. E la risposta di Sgarbi agli interrogativi di Toscani qual è stata? “E’ solo un mafiosetto che non conta nulla”.
A chi va il bene confiscato? Lo decide Giammarinaro
Sarà. Le intercettazioni però descrivono tutta un’altra situazione. Siamo nell’ottobre del 2009. Tra i problemi di Sgarbi (non indagato) c’è quello di assegnare con urgenza un bene confiscato al mafioso narcotrafficante Salvatore Miceli, un terreno di sessanta ettari per cui avevano fatto richiesta “Slow Food” e l’associazione Libera di Don Ciotti. Sgarbi, secondo il decreto, non ha alcuna intenzione di darlo “a quelli di Don Ciotti”. Così il sindaco, buono buono, chiama Giammarinaro per farsi dire a chi dovesse dare l’assegnazione. Ascoltando le telefonate gli investigatori concludono come “i dipendenti del Comune di Salemi o rappresentati politici dello stesso ente informassero e consultassero, con cadenza quasi giornaliera e sistematica, il Giammarinaro in ordine a qualunque decisione politica da intraprendere concernente l’amministrazione cittadina, notiziandolo anche sulle iniziative del sindaco Sgarbi, allo scopo di conoscerne il parere e ricevere direttive in merito”.
Il ministro Romano sponsorizza il sorvegliato speciale
A svelare, invece, il ruolo di Saverio Romano nell’escalation di Giammarinaro sono due colleghi di partito: Massimo Grillo e Giuseppe Lo Giudice. Grillo, eletto alla Camera nel 2001 nelle fila del Ccd-Cdu, ha raccontato agli investigatori di aver partecipato a riunioni a casa di Giammarinaro con l’allora presidente regionale, Totò Cuffaro, contrario a una sua eventuale candidatura in quanto ancora sottoposto alla sorveglianza speciale. Romano, invece, secondo quanto ha dichiarato Grillo, spingeva in senso opposto: “L’onorevole Romano ebbe a dirmi che la misura di prevenzione applicata a Giammarinaro sarebbe stata revocata di lì a breve”.
Quello tra Giammarinaro e Romano, comunque, è un rapporto ancora attuale. La figura del ministro, scrivono gli investigatori, “ha acquisito una apprezzabile rilevanza, per gli indiretti riferimenti che nel corso delle intercettazioni svolte nei confronti di alcuni degli indagati sono stati a lui fatti quale ulteriore referente e autorevole contatto per gli imprenditori vicini al Giammarinaro”. Ed è poi certo Giammarinaro, anche se sottoposto alla sorveglianza speciale, nel 2001 militò nel «Biancofiore», un micropartito creato da Cuffaro per sostenere la propria candidatura alla presidenza della Regione. Poi entrò nell’Udc sfiorando addirittura l’elezione col simbolo scudocrociato.
Con legami del genere ovvio quindi che Giammarinaro fosse una potenza nel settore dell’amministrazione pubblica in cui l’Udc contava di più: la sanità. Così, secondo l’accusa, grazie alle coperture istituzionali Giammarinaro controllava strutture specializzate nell’assistenza ai malati ai quali finiva un fiume di denaro della Regione. E grazie alla complicità con imprenditori, medici, operatori sanitari e dirigenti della Asl di Trapani otteneva convenzioni con la azienda sanitaria. Dietro a tutto c’era una rete di prestanome (che gli hanno permesso di intascare decine di milioni di euro) e una potenza politica tale, secondo gli investigatori, da consentirgli di decidere molte nomine.
Pedinamenti, filmati e certificati medici falsi
Per coltivare i suoi interessi lontano da occhi indiscreti, Giammarinaro lasciava spesso Salemi. A permetterglielo era il tribunale di sorveglianza che però rilasciava i permessi sulla base di certificati medici falsi. La polizia ha così filmato incontri fra il sorvegliato speciale e il futuro ministro Romano a Palermo, nella centralissima via Notarbartolo. I faccia a faccia tra i due sono stati documentati per tre volte (7 ottobre 2002, 15 novembre 2002, 3 dicembre 2002, 19 febbraio 2003) e in uno di questi c’è stato anche uno scambio di bigliettini, in puro stile provenzaniano.
Poi ci sono i misteriosi giri di soldi. Chi li ricostruisce è un altro politico Udc, Giuseppe Lo Giudice, che ha confermato come Giammarinaro fosse “indiscusso leader dell’Udc nel Trapanese”, tanto da averlo chiamato a candidarsi per il rinnovo dell’Ars garantendogli il suo appoggio. “Giammarinaro”, racconta Lo Giudice, “ senza mezzi termini, mi disse che il mio successo elettorale dipendeva dai voti che mi aveva procurato lui e mi ammoniva a non adottare nessuna iniziativa senza prima consultarlo. In quella stessa occasione il Giammarinaro, con toni perentori, mi diceva di avere sostenuto per la mia campagna elettorale una spesa di 200.000 euro che quindi pretendeva io gli rimborsassi. Ricordo che io gli risposi qualcosa del tipo ‘tu mi devi fare campare’, nel senso che gli chiedevo di non farmi pressioni eccessive”.
Chi paga? Saverio Romano
I rimborsi, però, Giammarinaro li avrebbe comunque ricevuti direttamente da Saverio Romano. “Con riferimento alle spese elettorali”, continua Lo Giudice, “ avevo già prelevato dal mio conto corrente, prima delle elezioni, la somma di € 20.000 che avevo consegnato allo stesso Giammarinaro per il pagamento di cene e piccole spese di rappresentanza. (…) Successivamente poi, più di recente, ho chiesto a Saverio Romano di ricevere qualche rimborso dal partito per le spese elettorali e lui mi ha detto che non mi spettavano fondi perché ero già stato aiutato, per un importo di almeno 40.000 euro, sottointendendo che tale somma di denaro era già stata consegnata al Giammarinaro. Il Romano mi ha anche detto che nessun altro sa di queste somme di denaro ricevute dal Giammarinaro”.
È vero? È falso? Non si sa. Quello che è certo, invece, che oggi il ministro difende l’ex sorvegliato speciale. E sebbene Giammarinaro abbia patteggiato una pena per tangenti dice: “È una persona per bene, lo conosco da vent’anni, se qualche volta mi ha dato un appunto o mi ha chiesto un chiarimento non penso che debba esser declinato nel termine pseudo mafioso di pizzino”. Ma a questo punto spetta a Silvio Berlusconi e alla Rai spiegare se davvero sulla tolda di comando dell’Agricoltura e in una trasmissione di prima serata di Raiuno, Romano e Sgarbi possono ancora restare. Il garantismo deve valere nelle aule di tribunale. In politica e nel mondo dell’informazione forse è davvero venuto il tempo di far prevalere il buonsenso.