venerdì 13 luglio 2012

Dell'Utri e l'oro nero di Putin. - Lirio Abbate e Paolo Biondani

Marcello Dell Utri con Silvio Berlusconi


Il braccio destro del Cavaliere protagonista del business petrolifero con la Russia. In affari con un calabrese ora latitante per mafia. E l'appoggio dei servizi segreti di Mosca. Ecco le intercettazioni esclusive.


Tra l'Italia di Berlusconi e la Russia di Putin ora spuntano gli affari petroliferi di Marcello Dell'Utri. Braccio destro del Cavaliere fin dagli anni Settanta, il senatore del Pdl è il mediatore d'eccezione in compravendite di greggio e trattative per forniture di gas definite "colossali". Operazioni commerciali che vengono gestite attraverso una società energetica che ha sede in Svizzera, ma è controllata da un miliardario russo di origine ucraina: tra i suoi amministratori c'è un manager italiano, che Dell'Utri indica come il suo emissario, impartendogli istruzioni e direttive. Ma il dato più strabiliante è che questo business viene organizzato dal parlamentare berlusconiano, da poco condannato anche in appello per mafia a Palermo, accordandosi con un pregiudicato calabrese, emigrato in Venezuela per sfuggire a precedenti condanne per bancarotta, che ora è ricercato dai magistrati di Reggio Calabria che indagano nientemeno che sul clan Piromalli, la cosca della 'ndrangheta di Gioia Tauro.

A svelare questo assurdo intreccio tra petrolio, politica, mafia e affari è un faldone di intercettazioni internazionali finora inedite. Tra dicembre 2007 e aprile 2008 Dell'Utri parla a lungo al telefono con un certo Aldo Miccichè, ex politico della Dc calabrese trasferitosi in Sudamerica per sfuggire alla giustizia italiana. Miccichè viene intercettato perché ha rapporti strettissimi con la cosca mafiosa di Gioia Tauro, in particolare con Antonio Piromalli, oggi 38enne, che guida la famiglia dopo l'arresto del padre. L'inchiesta è delicata per molti motivi: gli appalti del porto stanno facendo scoppiare una guerra di mafia tra i Piromalli e i Molè, alleati "da cent'anni"; e il figlio del boss incarica Miccichè di muovere le sue conoscenze, tra massoneria e ministero della Giustizia, per far revocare il carcere duro (41 bis) al genitore. Miccichè parla anche di affari e politica: alla vigilia delle elezioni del 2008 garantisce a Dell'Utri di poter "bruciare e sostituire" migliaia di schede con i voti degli italiani all'estero. La polizia avverte subito il Viminale. E così, già due anni fa, i giornali pubblicano le prime intercettazioni, quelle sui progetti di frode elettorale. Gli affari petroliferi invece restano segreti. 

Nel frattempo sono successe tante cose: nel luglio 2008 i magistrati hanno ordinato l'arresto di Miccichè, che da allora è latitante; i suoi amici del clan Piromalli sono stati incarcerati e condannati in primo grado; e nei processi l'accusa ha dovuto pubblicare anche le intercettazioni su gas e petrolio. Mentre i messaggi svelati da WikiLeaks hanno mostrato la preoccupazione degli Stati Uniti per i rapporti tra Berlusconi e Putin, con richieste ai diplomatici di scoprire i possibili interessi personali e i misteri degli accordi Eni-Gazprom. Ora "L'espresso" è in grado di fornire una prima risposta, documentata dalle chiamate dello stesso Dell'Utri. Che, essendo parlamentare, non è mai intercettabile direttamente, ma solo quando è al telefono con un intercettato per mafia.

La prima chiamata è del 14 dicembre 2007, ore 18.39. Dell'Utri dice di aver "ricevuto il fax" su un affare petrolifero. Miccichè gli fa notare che "Massimo è un ragazzo in gamba". E il senatore commenta: "Trovare persone valide è il mio mestiere". Chi è questo "ragazzo" reclutato da Dell'Utri? E' Massimo De Caro, che ad appena 34 anni è vicepresidente della Avelar Energy (gruppo Renova), che ha sede in Svizzera ma appartiene all'undicesimo uomo più ricco della Russia, Viktor Vekselberg (vedi box a pag. 44). La prima sorpresa è proprio questa: Dell'Utri ha un suo uomo al vertice di un colosso russo-elvetico dell'energia. 
Le intercettazioni registrano tutte le fasi del primo affare: greggio venezuelano, che però è esportabile solo tramite triangolazioni con Mosca. 

Il 29 dicembre proprio De Caro è al fianco di Dell'Utri mentre il senatore telefona a Miccichè, che lo saluta come "il miglior del mondo". Leggendo "una nota segretissima", il calabrese propone di acquistare greggio dalla compagnia venezuelana Pdvsa. Qui interviene De Caro: "Però la Russia... Gli conviene che a farla sia Viktor". Viktor è il nome del padrone della Avelar. Eppure, secondo Miccichè, l'affare dipende da Dell'Utri: "Io vado lì e dico: mi manda Picone, e quando dico Picone intendo Marcello... E' un'operazione perfetta". Cosa c'entri la Russia con il greggio venezuelano, lo si capisce solo quando Dell'Utri tira in ballo un intermediario "che poi vende tutto a Gazprom", il gigante energetico controllato dagli uomini di Putin.

Le telefonate con il manager De Caro chiariscono anche le cifre di questo primo affare. Si tratta di vari tipi di petrolio: "Un milione di "crudo oriente" e tre milioni di "napo" ogni mese". Il calabrese Miccichè precisa che "il greggio parte per Mosca, ma poi in effetti va a Londra". E aggiunge che "il vero segreto è che bisogna dare 1,50 dollari al barile sottobanco" ai manager di Caracas. Solo questo "sottobanco", fatti i conti, vale "4,5 milioni di dollari al mese".

Miccichè però punta molto in alto. "Dopo il petrolio, cominciamo l'operazione gas, che è di un'importanza colossale... E' l'operazione che stanno tentando la Germania, la Francia...". E Dell'Utri, elogiandolo, cita ancora i russi: "Perfetto... Può essere che Gazprom faccia da copertura".
Il 10 gennaio il calabrese di Caracas parla di una "seconda operazione petrolifera": stando alle intercettazioni, almeno "sei milioni di tonnellate metriche" di greggio russo, chiamato in gergo D2. Trattando l'affare con il solito Miccichè, il manager De Caro spiega che "Avelar non ha raffinerie", ma fa parte del gruppo Renova e quindi del consorzio russo Tnk-Bp, per cui potrà usare gli impianti di Mosca. C'è però un problema, annunciato da un avvocato italiano: la raffineria russa ha bisogno dello "svincolo dei servizi". E il 19 febbraio Avelar viene bocciata, perché gli 007 di Mosca sospettano che voglia "rivendere il petrolio a paesi ostili". Lo stop sembra insuperabile. Invece, per gli amici di Dell'Utri, si risolve in dieci giorni. Il 28 febbraio infatti Miccichè comunica al senatore lo sblocco del contratto con queste parole: "I russi hanno mollato, stasera dovremmo avere il via libera per il D2. Questo è un colpo grosso, ma ricordati che tutto deve passare attraverso di te, se no io non faccio niente". Dell'Utri: "Benissimo". 

Come sia stato possibile superare così in fretta il veto dei servizi di Mosca, resta un mistero solo fino a quando scoppia una lite sui profitti dell'affare. Sentendosi dire dall'avvocato che "De Caro vuole prendersi tutti i meriti e i compensi", Miccichè diventa furibondo: "Farò intervenire direttamente Dell'Utri... perché chi ha messo lì Massimo è stato Marcello!". E di seguito aggiunge: "I rapporti con il russo sono di Marcello perché Berlusconi, allora, ha dato a lui questo rapporto, chiaro?". Come dire che De Caro è nella Avelar solo perché lo ha scelto Dell'Utri. E il senatore, a sua volta, può entrare nel business del petrolio solo perché lo ha voluto Berlusconi. Forte di un accordo personale con la Russia di Putin, mai rivelato, che sembra risalire al suo secondo governo (2001-2006), visto che nel 2007-2008 viene già rispettato.
Da notare che Miccichè, infuriato dopo lo stop dei servizi di Mosca, spiega al suo avvocato che "questo russo fa parte della catena di Putin", però "sta giocando con tutti, anche con Berlusconi e quindi con Marcello". E l'8 marzo 2008, quando protesta che "il ragazzo, De Caro, non si muove bene", Dell'Utri gli risponde così: "Per questo bisogna accreditarlo".

La Avelar, in tutti questi affari, fa solo da intermediario: compra, rivende all'estero e trattiene un guadagno. Le intercettazioni fanno pensare che tra gli acquirenti finali del petrolio ci fosse un gruppo americano con uffici a Los Angeles. Ed è alla fine di questo giro stesso di telefonate che Miccichè spiega al senatore come truccare "i cosiddetti voti di ritorno" degli italiani all'estero. Con Dell'Utri che risponde: "Chiarissimo". 

Il 18 marzo anche l'affare D2 sembra chiuso: l'avvocato comunica che potranno usare quattro diverse raffinerie russe, ma "il massimo della produzione lo determinerà Gazprom". E il primo aprile De Caro annuncia di aver fissato "la prossima settimana l'appuntamento tra Marcello Dell'Utri e Igor Akhmerov", che è il manager numero uno della Avelar. Ma proprio alla vigilia dell'incontro tra i big, la nostra polizia non sente più nulla: una talpa ha avvisato gli indagati che "tutti i telefoni sono sotto controllo".

Le intercettazioni, quindi, non svelano altri dettagli o ulteriori affari. Per saperne di più, "L'espresso" ha interpellato De Caro, che nel frattempo ha lasciato la Avelar ed è diventato consulente ministeriale, mentre il gruppo Renova creava in Italia un impero nei parchi eolici e nelle bio-energie. Sugli affari con Dell'Utri nel 2008, però, oggi De Caro ricorda poco: non fa alcun cenno al greggio russo D2 e cita solo "due trattative tra Avelar e Pdvsa, una per il petrolio venezuelano, l'altra per commercializzare in Italia il loro gas", sostenendo che "non andarono in porto, perché Miccichè si vendeva come rappresentante della Pdvsa e invece non aveva alcun mandato".

Una versione che contrasta con quelle fornite proprio da Dell'Utri e Miccichè nel 2008, quando nessuno parlava della Avelar e il loro unico problema era smentire brogli elettorali. Dell'Utri spiegava così a "La Stampa" le sue telefonate al calabrese: "Lui in Venezuela si occupava di forniture di petrolio. Io ero in contatto con una società russa che ha sede anche in Italia, per cui conoscendo questi russi ho fatto da tramite... Non vedo dove sia la materia del contendere". E Miccichè, da Caracas, ribadiva al "Corriere": "Non ci siamo mai visti. C'eravamo sentiti via telefono alcuni mesi fa per un contratto di compravendita di petrolio. Io da una parte, alcuni suoi amici russi dall'altra e lui da trait d'union. Ho capito che avrebbe potuto portare a compimento il contratto. Cosa fatta magistralmente e con molta affettuosità".

(art. del 6 dic 2010)


giovedì 12 luglio 2012

Truffa sui corsi di formazione arrestato Rossignolo.


L'imprenditore titolare della De Tomaso è agli arresti domiciliari per truffa ai danni dello Stato. Altre due persone in manette: un dirigente e un mediatore. L'ipotesi: sottratti 13 milioni e mezzo di finanziamenti.



L'imprenditore Gian Mario Rossignolo è stato arrestato dalla Guardia di Finanza all'alba nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Torino su corsi di formazione professionale alla De Tomaso di Grugliasco, dichiarata fallita dal Tribunale di Livorno. E' agli arresti domiciliari.



L'ORIGINE DELL'INCHIESTA
Rossignolo è stato arrestato nella sua villa a Vignale Monferrato ed è stato posto ai domiciliari per aver superato i 70 anni di età. L'operazione scattata oggi ha toccato Piemonte, Lombardia e Toscana:  oltre 50 uomini delle Gialle Gialle hanno notificato tre ordinanze cautelari emesse dal Gip di Torino su richiesta della Procura del capoluogo piemontese per il reato di concorso in truffa ai danni dello Stato.

LEGGI Rossignolo, cinque anni tra annunci e promesse

Oltre a Rossignolo sono stati arrestati un dirigente della De Tomaso, bloccato a Livorno, e un mediatore creditizio, che opera nel Bergamasco dove è stato fermato all'alba. Quest'ultimo è coinvolto nell'inchiesta per aver fornito una polizza - poi risultata falsa, secondo l'accusa - richiesta dalle procedure per l'erogazione 

dei fondi per i corsi di formazione. Nell'operazione la Guardia di Finanza ha eseguito anche otto perquisizioni. 

Finanziamenti pubblici per sette milioni e mezzo di euro per corsi di formazione che, in realtà, non sono mai stati avviati: è questa la contestazione che viene mossa  a Gian Mario Rossignolo e agli altri due coinvolti. A questi si aggiungerebbero altrie sei milioni versati dalle Regioni. Quindi in totale una truffa da 13 milioni e mezzo.

FOTO De Tomaso per immagini, dal prototipo agli schiaffi degli operai

Le ordinanze sono state emesse dal gip di Torino su richiesta del procuratore aggiunto Alberto Perduca e notificate come si ricordava in tre regioni. In particolare, a Livorno ha sede la De Tomaso, azienda automobilistica produttrice di auto di lusso rilevata da Rossignolo, ex manager della Zanussi e della Telecom, nel 2009 e già dichiarata fallita dal locale tribunale di Livorno (un'istanza analoga è in corso presso il tribunale fallimentare di Torino).

In Piemonte la De Tomaso aveva acquisito lo stabilimento ex Pininfarina di Grugliasco e gran parte dei dipendenti dell'azienda che avrebbero dovuto essere riqualificati con i corsi di formazione finanziati con fondi pubblici. Secondo l'accusa, per accedere ai contributi è stata utilizzata una fidejussione falsa dell'ammontare di alcuni milioni e parte dei fondi è finita direttamente nelle tasche di dirigenti della De Tomaso.

Al mediatore sono andati 1,7 milioni di premio per aver procurato la polizza fidejussionaria richiesta dal ministero successivamente rivelatasi falsa. Si indaga anche su 400 mila euro di retribuzioni riconosciute in tre mesi ai membri della famiglia Rossignolo e a dirigenti di fiducia. Dei mille dipendenti che nell'arco dei tre anni dovevano usufruire dei corsi finanziati e che in realtà non sono mai partiti, appena in 67 hanno iniziato la formazione e solo per pochi giorni.



http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/07/12/news/truffa_sui_corsi_di_formazione_arrestato_rossignolo-38918953/?ref=HREC2-10

Svizzera, tagliano l’erba e trovano lingotti d’oro.


I lingotti ritrovati a Klingau

I lingotti trovati a Klingau

Incredibile ritrovamento a Klingau, ma nessuno finora ha reclamato il sacchetto il cui valore ammonta a 104.000 euro.

MILANO - Certo, non capita tutti i giorni di trovare dell’oro nei cespugli. In Svizzera, invece, è successo proprio così. Mentre stavano tagliando l’erba a Klingnau, piccolo comune vicino al confine con la Germania, due operai comunali hanno trovato in un cespuglio un sacchetto di plastica con lingotti d'oro del peso di 2,5 chilogrammi. Il valore: 104.000 euro. Al momento, la polizia brancola nel buio. Nessuno finora ha reclamato il prezioso metallo giallo.
MISTERO - I lingotti erano avvolti in carta velina bianca e legati con del nastro adesivo. Come riferiscono i media elvetici, i due dipendenti comunali avevano in un primo momento sospettato si trattasse di pacchetti con dello stupefacente. Stupefatti sono invece rimasti di fronte alla scoperta. Si tratta di «un caso senza precedenti», ha detto il portavoce della polizia cantonale, Bernhard Graser. In realtà, il ritrovamento risale al 28 giugno, ma la notizia è stata resa pubblica solo ora. Finora nessuno si è fatto vivo per segnalare il singolare «smarrimento». Sottolinea Graser: «Vicino al sacchetto di plastica con l'oro qualcuno ha scavato una buca, il caso è davvero misterioso». I pezzi sono punzonati e provengono dalle banche UBS e Bank Leu (Credit Suisse). I due istituti di credito non hanno voluto commentare, dicono di aspettare i risultati delle indagini.

L’Unione europea blocca i fondi alla Sicilia: “Gravi carenze nei sistemi di controllo”.


Il versamento di diversi fondi Ue alla Sicilia è sospeso fino a nuovo ordine. Questa l’indicazione dei servizi del commissario Ue per gli affari regionali Johannes Hahn. Il blocco è stato comunicato ufficialmente da Bruxelles alla Regione ed è stato causato da “gravi carenze” riscontrate nei sistemi di controllo. La doccia fredda per il governo della Regione – in gioco ci sarebbero circa 600 milioni di euro – è arrivata da Bruxelles con una lettera inviata dal direttore generale della Commissione europea per gli affari regionali, Walter Deffaa, braccio operativo del commissario competente, l’austriaco Johannes Hahn.
“La Commissione – ha detto all’Ansa un portavoce dell’esecutivo comunitario – ha riscontrato l’esistenza di gravi carenze nella gestione e nel sistema di controllo dei programmi operativi” sotto osservazione. Una situazione, ha aggiunto, che “colpisce l’affidabilità delle procedure di certificazione dei pagamenti” e rispetto alla quale “non sono state prese misure correttive. Fino a quando queste gravi carenze non saranno state risolte, i pagamenti non riprenderanno”.
A dare l’anticipazione della pesante misura adottata da Bruxelles è stato oggi il “Giornale di Sicilia”, secondo il quale ad essere nel mirino della Commissione europea sono gli investimenti effettuati dagli assessorati alle infrastrutture, all’economia, alla salute e per la protezione civile. I funzionari europei hanno segnalato che, nell’ambito delle procedure per l’assegnazione degli appalti, in un caso era sfuggito ai controlli della regione il fatto il vincitore della gara avesse procedimenti giudiziari a carico. In molti altri casi, secondo i rilievi di Bruxelles, le verifiche sono state parziali o inadeguate.
Lo stop di Bruxelles riguarda il rimborso, attraverso i fondi strutturali messi a disposizione dall’Ue, di spese per 600 milioni di euro già effettuate dalla Regione tra la fine del 2011 e il mese scorso. In particolare 200 milioni sarebbero stati spesi tra ottobre e dicembre 2011 e altri 400 da gennaio a giugno scorso. Già lo scorso 6 gennaio una lettera di ‘avvertimentò era stata inviata da Bruxelles all’Italia per chiedere di chiarire la situazione sull’impiego di 198 milioni di euro entro sei mesi. Il termine è scaduto il 6 luglio scorso e le conseguenze del mancato chiarimento non hanno tardato ad arrivare.
Il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ha così commentato le notizie provenienti da Bruxelles:“”I rilievi della Commissione europea, a quanto pare, riguardano certificazioni, controlli e gestioni. Adempimenti tutti di carattere prettamente tecnico di cui chiederemo conto ai dirigenti che se ne sono occupati. Intanto – ha aggiunto il governatore – ovvieremo ai rilievi e adotteremo ogni misura che riterremo adeguata a superare la difficoltà. E’ una comunicazione, peraltro datata, rispetto alla quale la buona collaborazione che abbiamo avviato con il ministero della Coesione territoriale credo che ci abbia fatto già superare parecchi dei rilievi che ci sono stati mossi”.

Valentino, il marchio passa al Qatar.



Il gruppo vende a Mayhoola for Investments SpcIl valore dell'operazione è di almeno 700 milioni di euro.


Mancava solo l'ufficialità. E dopo poco è arrivata. Il gruppo Valentino finisce in Qatar. Mayhoola for Investments Spc, società partecipata da un «primario investitore» del paese - spiega un comunicato -, ha acquisito l'intera partecipazione della società dal fondo Permira e i Marzotto per almeno 700 milioni di euro. Recenti indiscrezioni avevano indicato i reali del Qatar dietro l'interesse per l'operazione.
IL PREZZO- Il prezzo dell'operazione non viene reso noto. Secondo alcune indiscrezioni finanziarie, tuttavia, la cessione sarebbe stata realizzata sopra i 700 milioni di euro, con un multiplo quindi di 27-28 volte il margine operativo lordo del 2011 (22 milioni di euro). L'annuncio ufficiale non svela chi via sia dietro Mayhoola, ma fonti finanziarie confermano che si tratta della famiglia dei reali del Qatar. Il gruppo Valentino ha chiuso il 2011 con un fatturato di 322 milioni di euro, e segna una crescita del 60% del fatturato tra il 2009 e il 2012.
Valentino, il marchio passa al QatarValentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar     Valentino, il marchio passa al Qatar
Maria Grazia Chiuri, a destra, e Pier Paolo Picciolo, gli stilisti di ValentinoMaria Grazia Chiuri, a destra, e Pier Paolo Picciolo, gli stilisti di Valentino
IL GRUPPO- Con l'operazione - spiega una nota - Mayhoola acquisisce il controllo di Valentino spa e la licenza M Missoni, mentre MCS Marlboro Classic, altro marchio getsito dal gruppo è stato separato dal perimetro di cessione e resterà in carico a Permira. Il fondo con la famiglia Marzotto, ha acquisito il controllo di Vfg nel 2007, nel quadro di una transazione che comprendeva anche una quota di maggioranza in Hugo Boss.
«HANNO FATTO UN OTTIMO LAVORO»- Un rappresentante di Mayhoola ha osservato che «Valentino è da sempre un marchio di grande fascino e di indiscusso posizionamento. Siamo rimasti colpiti dal lavoro fatto in questi anni dai direttori creativi Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli e da tutto il management team guidato da Stefano Sassi. Il nostro obiettivo è quello di supportare il management al fine di raggiungere una piena valorizzazione delle prospettive di questo magnifico marchio. Crediamo inoltre che Valentino sia la base di partenza ideale per creare una più ampia presenza nel settore del lusso».


http://www.corriere.it/cronache/12_luglio_12/valentino-qatar_f9ddc582-cbfe-11e1-b65b-6f476fc4c4c1.shtml

Operazione anti-pedofilia di Anonymous: in Belgio si dimette un esponente locale di estrema destra.


Prime vittime in Belgio dell’operazione anti – pedofilia di Anonymous: un deputato locale della formazione di estrema destra Vlaams Belang, pur reclamando la sua innocenza, si è dimesso dal partito dopo aver visto il suo nome sulla lista pubblicata su internet dal collettivo. Sono 500 indirizzi di posta elettronica di persone per Anonymous attive sui siti pedofili.

Fine del mondo 2012, la profezia Maya “creata” da un prof di storia dell’arte. - Chiara Di Martino




E' stato un docente del Minnesota, Joseph Anthony Argüelles  con il suo libro "Il fattore Maya" a trovare nel 21 dicembre 2012 un significato “apocalittico”. Per gli esperti il calendario chiude invece soltanto dei cicli temporali. Una settimana fa scoperto un altro geroglifico in Guatemala.

Tra conferme e smentite, non è ancora chiaro perché non desti altrettanto interesse la più volte proclamata inattendibilità scientifica della “profezia dei Maya”, secondo la quale il prossimo 21 dicembre ci sarebbe da dire addio a questo mondo. L’ultima “apparizione” della data risale a poco più di una settimana fa, in un testo scoperto nel sito di La Corona in Guatemala, un lungo geroglifico di 1.300 anni fa intagliato sui gradini di una scala. “Un testo che parla dell’antica storia politica dei Maya”, ha commentato Marcello Canuto, direttore del Middle American Research Institute della Tulane University e co-direttore degli scavi a La Corona insieme a Tomás Barrientos della Universidad del Valle de Guatemala. La data ci sarebbe, ma più che un riferimento a una catastrofe riguarderebbe la volontà del sovrano Yuknoom Yich’aak K’ahk’ di Calakmul, a pochi mesi dalla sconfitta ricevuta dal rivale Tikal nel 695 a.C., di scongiurare le paure del popolo rimandando a una data piuttosto lontana la fine del suo regno.
Una precedente – anche se di poco – scoperta del più antico calendario Maya, ad opera degli archeologi della Boston University, ha rinvenuto, nella stanza di un tempio scoperto nel complesso archeologico di Xultun, dipinti che raffigurano figure umane in uniformi nere e cicli lunari e planetari, datati IX secolo dopo Cristo. Sarebbero dunque più antichi dei Codici Maya, risalenti al periodo compreso fra 1300 e 1500. Le annotazioni sulle pareti sembrano rappresentare i vari cicli del calendario Maya: il calendario cerimoniale di 260 giorni; il calendario solare di 365 giorni; il ciclo di 584 giorni del pianeta Venere e il ciclo di 780 giorni di Marte. Anche in questo caso, non vi è prova di una profezia, ma soltanto della fine di un ciclo. Che il 2012 fosse il termine conclusivo di un lungo periodo lo aveva già ribadito a dicembre Sven Gronemeyer de La Trobe University in Australia: la tavoletta ritrovata su un mattone trovato nelle rovine di Comalcalco, vicino Tortuguero, indica la descrizione del ritorno dal cielo della misteriosa divinità Maya della guerra Bolon Yokte. L’era che si chiuderà, secondo le previsioni dei Maya, il prossimo dicembre è quella iniziata 5.125 anni fa con l’avvio dell’Età dell’Oro. Bolon Yokte, infatti, è, tra le tante cose, la divinità del cambiamento: secondo lo studioso tedesco, l’antico sovrano Bahlam Ajaw si era limitato ad indicare il passaggio del dio e l’intenzione di accoglierlo nel tempio di Tortuguero. Per qualche giorno, inoltre, si è diffusa la notizia che la data del 21 dicembre fosse errata e che la fine sarebbe arrivata il 5 giugno scorso (il giorno del transito di Venere, per intenderci, quando il pianeta è transitato davanti al Sole rendendosi visibile dalla terra): ma, essendo arrivati a luglio, si può dire di aver tirato il primo sospiro di sollievo.
“Gran parte della cultura Maya è basata sullo scorrere del tempo e sulla sua ciclicità – spiega Daniele Petrella, dottore di ricerca in Archeologia presso l’Università di Napoli L’Orientale, amministratore della società Archeologia Attiva e direttore della prima missione archeologica italiana in Giappone –: tanto per dirne una, il Tempio di Cuculcàn aveva 365 gradini. Ma la misurazione del tempo di questo popolo non si limitava, come è noto, a un solo calendario. I loro calcoli cronologici, ritrovati in numerosi scritti, sono di difficile traduzione rispetto ai nostri. Schematizzando, possiamo dire che, in base a un complesso calcolo sul lungo computo, ogni 5.125 un ciclo si riazzera e ne parte un altro. Il 21 dicembre 2012 non è altro che uno di questi punti, coincidente solitamente con cambiamenti più o meno evidenti dei sistemi naturali e a cui la cultura occidentale associa una fine catastrofica”. Ma se si tratta solo della fine di uno dei tanti cicli cronologici, come (e perché) è nata l’idea che proprio al termine di questo ciclo ci si dovesse preparare alla fine del mondo? “Nella seconda metà degli anni Ottanta – racconta Vincenzo Reda, scrittore appassionato di archeologia e autore del libro “101 Storie Maya che Dovresti Conoscere Prima della Fine del Mondo” – un professore di storia dell’arte del Minnesota, Joseph Anthony Argüelles (scomparso a marzo dello scorso anno) pubblica un libro, Il fattore Maya: lo studioso era rimasto affascinato dal senso circolare del tempo Maya e ha ritrovato nel 21 dicembre 2012 un significato “apocalittico”. Detto questo, c’è da precisare che il giorno è stato ricostruito tramite una correlazione operata con il nostro calendario (relativo, come tutti gli altri calendari esistenti) e anche se c’è grande accordo sulla data non si può parlare di unanimità”. “In ogni caso – spiega ancora Reda – credo che la difficoltà di sfatare questa presunta profezia sia da attribuire alla nostra cultura e al suo bisogno antico di escatologia e di apocalittico. I Maya avevano l’ossessione del tempo: se noi ad ogni giorno associamo un santo, questo popolo vi associava addirittura un dio che, con un pesante fardello, lo trasportava fino al giorno successivo per consegnarlo a un’altra divinità. In sintesi, ciò che accadrà il 21 dicembre sarà, secondo complessi calcoli matematici e astronomici, la fine di un periodo composto da 13 Baktun, ciascuno dei quali di circa 400 anni”.
Basta avere ancora qualche mese di pazienza, dunque, e molto probabilmente tutta la faccenda si risolverà come il Millennium Bug: in un falso allarme.