giovedì 29 novembre 2012

Il boss Licciardi va in caserma a firmare con la scorta armata: arrestato.

Pietro Licciardi e Raffaele Fiore

NAPOLI - Il boss della camorra Pietro Licciardi, 32 anni, ritenuto uno dei capi dell'omonimo clan di Secondigliano, è stato arrestato dai carabinieri insieme ad un pregiudicato armato che gli faceva da scorta. 
Licciardi - che era sottoposto all'obbligo di firma dopo essere stato scarcerato nei giorni scorsi - era stato notato dai militari mentre si recava nella stazione di Secondigliano scortato da guardaspalle a bordo di una moto. 

I carabinieri hanno arrestato insieme a Licciardi il 23enne Raffaele Fiore, già denunciato in passato, trovato con una pistola calibro 9 con il colpo in canna e 14 cartucce nel caricatore. L'arma è risultata rubata in provincia di Frosinone nel 2009. Altri due componenti della scorta, un 49 enne e un 35 enne, ritenuti affiliati al clan Licciardi, sono stati denunciati.


http://www.ilmattino.it/napoli/citta/il_boss_licciardi_va_in_caserma_a_firmare_con_la_scorta_armata_arrestato/notizie/234717.shtml

Google Italia, controlli fiscali: 240 milioni di reddito non dichiarati.


Cuscini Google


Il ministro del Tesoro risponde all'interrogazione del Pd Stefano Graziano sottolineando che le verifiche riguardano anche l'Iva che la società avrebbe evaso per 96 milioni. Il Nucleo di polizia tributaria di Milano ha avviato nel 2007 un accertamento fiscale nei confronti dell'azienda e due giorni fa un altro "extraprogramma".

Google Italia non avrebbe dichiarato redditi per 240 milioni di euro e avrebbe evaso 96 milioni di Iva tra il 2002 e il 2006. Il Nucleo di polizia tributaria di Milano ha avviato nel 2007 una verifica fiscale nei confronti dell’azienda e due giorni fa un’altra “extraprogramma” sempre nei confronti della società “finalizzata al riscontro del corretto adempimento degli obblighi fiscali in Italia”. E’ quanto afferma il Tesoro in risposta a un interrogazione del Pd Stefano Graziano, sottolineando che le verifiche riguardano Iva e redditi non dichiarati. 
La questione non riguarda solo Google, ma i gruppi multinazionali operanti nel settore dell’elettronica e dell’e-commerce e lo scorso marzo ha riguardato anche RyanAir, a cui sono stati contestati 12 milioni di euro di contributi. E di questo si sta occupando l’Agenzia per le entrate e lo stesso governo in sede internazionale. Il problema, nel caso di Google, è che la società italiana ha dichiarato solo le provvigioni percepite a fronte delle prestazioni rese prima alla Google inc. e poi laGoogle Ireland. E non invece l’intero volume commerciale sviluppato. La verifica disposta dalla procura di Milano ha infatti accertato, afferma il ministero, che il fisco è stato “eluso” in base ad un contratto di servizio tra la società italiana e quelle estere “artatamente posto in essere con la sola finalità di simulare l’esercizio da parte di Google Italy Srl di una mera attività ausiliaria e preparatoria che non ha tuttavia trovato alcun riscontro negli elementi di fatto acquisiti”.
Per Graziano, se da una parte la risposta del governo “conferma la fondatezza dei nostri interrogativi su questa vicenda”, dall’altra non è soddisfacente sotto il profilo delle “iniziative che il governo deve prendere”. Secondo il deputato del Pd autore dell’interrogazione “il momento di crisi economica così profonda impone più forza e determinazione. Diversamente si rischia che aziende italiane siano nettamente svantaggiate rispetto a chi ha sede in paesi nei quali la fiscalità offre maggiori vantaggi – ha detto-. E’ una questione di giustizia sociale che non può essere trascurata”.

mercoledì 28 novembre 2012

Vittoria! (ricevuta tramite e-mail)


Change.org
Pablo Herreros rischiava 3 anni di galera. Grazie a Stefano Corradino che ha lanciato la petizione, e a te che l’hai firmata, Mediaset ha ritirato la denuncia. Proponi un cambiamento iniziando la tua petizione su Change.org.

Ciao cettina,
Mediaset, a cui appartiene Telecinco, ha ritirato la denuncia contro il blogger spagnolo Pablo Herreros, e questo succede grazie alla nostra mobilitazione su Change.org che ha portato alla raccolta di centinaia di migliaia di firme tra Spagna e Italia
Quando due giorni fa ho lanciato questa campagna per Pablo non avrei mai immaginato che avreste aderito in così tanti. Eppure in soli due giorni abbiamo ottenuto circa 9mila firme, e anche questo, insieme alle firme spagnole, ha portato Mediaset a ritirare la denuncia contro Pablo.
È una vittoria per la società civile spagnola ma che coinvolge anche il nostro Paese: perché riguarda la società Mediaset di Berlusconi, perché riguarda il bavaglio all’informazione - modalità che in molti anche in Italia vorrebbero applicare ai cronisti – e perché se circa 9mila persone in 24 ore hanno firmato l’appello su Change.org vuol dire che c’è un’opinione pubblica italiana che ha a cuore la libertà di espressione.
In Italia hanno parlato del caso "La Repubblica" e "Il Fatto Quotidiano" e migliaia di utenti twitter hanno dato il loro appoggio al blogger Herreros utilizzando l’hashtag #SiamotuttiPablo.
Questa vittoria dunque è stata raggiunta grazie a te, alla tua firma e al fatto che grazie alle firme ne hanno parlato anche i media. Voglio quindi ringraziarti per aver contribuito alla libertà di informazione.
Il traguardo raggiunto ci dimostra come la voce delle persone, aiutata dalle piattaforme digitali e dalle reti sociali, serve per progredire verso una società migliore.
Grazie ancora,
Stefano Corradino via Change.org
Ricevuta tramite e-mail




Reggio Calabria, la Corte dei conti certifica il buco: 679 milioni di euro. Lucio Musolino


Demetrio Arena


Centinaia di decreti ingiuntivi subiti, debiti fuori bilancio, "illegittima erogazione di compensi". Così, scrivono i magistrati contabili, il Comune recentemente sciolto per mafia è stato portato al crac. A giugno il sindaco Demetrio (Pdl) assicurava che il rosso era "solo" di 118 milioni.

Il dissesto finanziario diventa concreto. Ammontano a 679 milioni di euro i debiti del Comune di Reggio Calabria, sciolto poche settimane fa per contiguità mafiosa dopo la devastante relazione della commissione d’accesso che ha svelato come la ‘ndrangheta era di casa a Palazzo San Giorgio. Circa 1300 miliardi di vecchie lire di disavanzo che devono fare riflettere se confrontati ai 19 milioni di euro che, nei mesi scorsi, hanno portato al default dell’amministrazione comunale di Alessandria.
Uno degli ultimi capitoli del fallimentare “modello Reggio” lo ha scritto la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti nella delibera sulla salute finanziaria del Comune, guidato prima da Giuseppe Scopelliti (oggi governatore della Calabria) e poi da Demetrio Arena (nella foto) entrambi del Pdl.
La relazione della Corte dei Conti spiega anche come, in dieci anni di centrodestra, si è arrivati a un debito così elevato. I numeri non possono essere discussi: 165 decreti ingiuntivi per un totale di 19milioni e 890mila euro, 4 pignoramenti immobiliari e 2 pignoramenti delle quote della Reges (la società mista che si occupa della riscossione dei tributi), 331 pignoramenti mobiliari presso terzi, per un totale di un milione e 811mila euro; 409 pignoramenti mobiliari presso il debitore per un totale di 2 milioni 562mila euro. Un totale di 24 milioni 264mila euro “che vanno riconosciuti come debiti fuori bilancio”, non inseriti nei rendiconti approvati dal Comune sciolto per mafia e oggi diretto da una terna commissariale chiamata a una corsa contro il tempo. La Corte dei Conti, infatti, ha concesso 15 giorni ai commissari inviati dal ministro Cancellieri per fornire “eventuali ulteriori controdeduzioni”.
Entro 30 giorni, invece, i giudici contabili effettueranno nuovi accertamenti per capire se sussistano le condizioni per “salvare” le casse del Comune o se il dissesto è l’inevitabile conseguenza della gestione allegra della cosa pubblica da parte delle giunte Scopelliti e Arena che, per anni, hanno trasformato Reggio Calabria in una città “da bere”, una città cartolina dove mancavano i servizi ma non le feste organizzate dalla scuderia di Lele Mora, dove le consulenze esterne erano una prassi da garantire agli amici degli amici, e dove i bilanci taroccati dall’ex dirigente Orsola Fallara (morta nel 2010 dopo aver ingerito acido muriatico) si approvavano a colpi di maggioranza con i pareri favorevoli dei tre revisori dei conti, oggi sotto processo assieme al governatore Scopelliti per la voragine delle casse comunali.
Già in passato, gli ispettori del ministero dell’Economia mandati da Tremonti (non da un governo comunista) avevano accertato irregolarità per circa 170 milioni di euro. A questi, leggendo la relazione della Corte dei Conti, vanno aggiunti 20,8 milioni di ritenute fiscali non versate nei confronti dei dipendenti (già accertati dagli ispettori), “gravi irregolarità nella gestione dei residui”, “elusione dei vincoli del patto di stabilità”, “illegittima erogazione dei compensi accessori, dell’incentivo per la progettazione e di compensi aggiuntivi” a dipendenti del Comune.
A completare il quadro della finanza “creativa” ci hanno pensato le “sottoscrizioni di swap non conformi alla normativa in vigore» e i debiti nei confronti delle società partecipate: 20 milioni e 479mila euro alla Leonia (la municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti e che travolta dalla recente indagine della Direzione distrettuale antimafia che ha portato all’arresto del direttore generale Bruno De Caria) e 19 milioni alla Multiservizi (al centro dell’inchiesta “Archi-Astrea” perché infiltrata dalla cosca Tegano).
“Ammonta a 118 milioni di euro il buco del bilancio al comune di Reggio Calabria. Noi prevediamo di azzerare quel debito entro i prossimi tre anni” aveva assicurato l’ex sindaco Demetrio Arena lo scorso giugno quando è stato approvato il bilancio di previsione.
La delibera della Corte dei Conti lo ha smentito a distanza di pochi mesi: il “buco” è di 679 milioni di euro. La città sprofonda, i dipendenti comunali rischiano di non percepire lo stipendio di dicembre e la tredicesima, le imprese vantano milioni di euro dal Comune infiltrato dalla ‘ndrangheta. E c’è ancora chi parla di “modello Reggio”.

Regione Sicilia, mensa d’oro: fritto misto a 3 euro, il resto lo pagano i cittadini. - Giuseppe Pipitone


Regione Sicilia, mensa d’oro: fritto misto a 3 euro, il resto lo pagano i cittadini


Menu da gourmet a prezzi stracciati per i dipendenti dell'Assemblea regionale. L'insalata costa un euro, il caffè 45 centesimi (15 in meno di quanto pagano gli studenti dell'università di Palermo). Ogni mese l'ente "ripiana" alla società di gestione 31mila euro più iva. La denuncia on line dei Consiglieri 5 Stelle.

Un frittura mista di triglie o calamari costa 3 euro e 38 centesimi. Lo stesso prezzo di un vasto assortimento di ottimo pesce locale alla griglia. Per la mitica pasta al forno bastano invece 2 euro e 25 centesimi, ma in alternativa si può optare per un ottimo piatto di cannelloni. A prezzi stracciati antipasti e contorni: un’insalata mista costa un euro e tredici centesimi, per un euro e cinquanta si può invece chiedere una caprese o una squisita parmigiana. Poco più di un euro infine il prezzo delle bibite, dall’acqua al vino bianco. Costo totale dell’ottimo e abbondante pasto? Undici euro, molto meno di una pizza e una birra in una qualsiasi pizzeria media.
Basta un rapido confronto con i menù degli altri ristoranti per sciogliere ogni dubbio: in Sicilia il posto in cui si mangia meglio in cambio di pochi spiccioli è la mensa dell’Assemblea regionale siciliana. Dove per consumare simili leccornie si usano piatti di ceramica e posate d’argento. Un ristorante dei sogni in cui perfino il caffè o i pezzi di rosticceria sono sottocosto: per un espresso i deputati del parlamento più antico d’Europa pagano infatti 45 centesimi, 38 per un cornetto, 90 per un’arancina. Prezzi davvero stracciati, soprattutto se si pensa che a poche centinaia di metri da Palazzo dei Normanni, gli studenti dell’università di Palermo fanno colazione alla mensa universitaria pagando il caffè ben 60 centesimi.
Ma all’Assemblea regionale siciliana non vogliono farsi mancare nulla: almeno una volta al mese è servito un menù tipico siciliano, mentre su richiesta è possibile anche farsi preparare pietanze etniche e aperitivi rinforzati. Ma come fanno alla mensa dell’Ars a praticare prezzi così irrisori, senza fallire in meno di un mese, avendo anche l’obbligo contrattuale di servire “vini di prima qualità” e “pesce esclusivamente fresco del Mediterraneo”? Il pranzo completo, che ai deputati costa appena 11 euro, ha infatti un valore che oscilla dai 35 ai 45 euro. E infatti per i dipendenti dell’Ars i prezzi sono un po’ superiori rispetto a quelli praticati agli onorevoli. La differenza però non è così ampia.
Chi paga il resto? “I prezzi cambiano improvvisamente quando a pagare sono i cittadini” rispondono gli attivisti siciliani del Movimento Cinque Stelle. I ragazzi di Beppe Grillo, che alle ultime elezioni regionali hanno eletto ben quindici deputati all’Ars, hanno pubblicato sul loro sito il menù della buvette del parlamento più ricco d’Europa. E spulciando nel capitolato della gara d’appalto bandita dall’Ars per il servizio di bar e ristorante si sono accorti che i prezzi irrisori pagati dagli onorevoli per pranzi luculliani sono stabiliti da contratto. “La ditta – si legge nel bando – dovrà praticare la percentuale di ribasso del 35% rispetto alla media dei prezzi di listino, consigliati dalle associazioni di categoria più rappresentative operanti nella piazza di Palermo”.
Come fa dunque la ditta che gestisce la buvette dell’Ars a rientrare del maxi sconto praticato agli onorevoli? Semplice, ogni mese l’Ars provvede a integrare il prezzo dei menù degli onorevoli con 31 mila euro ( più Iva) che elargisce direttamente all’azienda. Ma non è finita. Perché un capitolo del bando di gestione del ristorante più conveniente di Sicilia è dedicato anche allo staff che dovrà servire i pasti agli onorevoli. Uno staff d’eccellenza che dovrà avere “il gradimento dell’Assemblea”. Un gradimento tutto particolare. Perché all’Ars, anche i camerieri e i cuochi possono accedere a privilegi che altrove semplicemente non esistono. Per esempio ai lavoratori della buvette che hanno raggiunto “una continuità lavorativa di almeno 10 anni, ancorché con diversi appaltatori” spetta un “premio di gradimento” che equivale praticamente ad un benefit mensile di mille e cento euro in più in busta paga. In pratica un secondo stipendio che viene sommato al primo, ogni mese, per ben 14 mensilità. Una “mancia” facilmente raggiungibile dato che il contratto che l’Ars stipula per appaltare la gestione del ristorante obbliga la società di catering a riassumere tutto il personale già impiegato precedentemente alla buvette.
Come dire: squadra di camerieri che vince, non si cambia. Anche lì, chi paga questa mancia contrattuale a cuochi e camerieri? “Ovviamente i cittadini (a loro insaputa)” scrivono sempre gli attivisti del Movimento Cinque Stelle. Che poi si chiedono: “Un momento in cui la disoccupazione nazionale ha raggiunto livelli record sfiorando l’11% (aumentata del 25% rispetto al 2011), come si può giustificare una svista di tale entità da parte di tutte le forze politiche che hanno permesso un doppio stipendio a delle figure gradite?”.